PSICOLOGIA COLLETTIVA E ANALISI DELL'IO

1921

1. Introduzione

La contrapposizione tra la psicologia individuale e quella sociale o collettiva si rivela, quando la si consideri più attentamente, ben meno profonda di quanto non appaia a prima vista. Indubbiamente la prima ha come oggetto l'individuo e ricerca i mezzi di cui questi si serve e le strade che segue per ottenere la soddisfazione dei suoi desideri e bisogni; tuttavia, ben di rado ed in casi assolutamente eccezionali essa riesce, in questa ricerca, a fare astrazione dai rapporti tra l'individuo ed i suoi simili. Nella vita dell'individuo l'altro rappresenta sempre un modello, un oggetto, un amico od un nemico, e sin dall'inizio la psicologia individuale è anche, sotto un certo aspetto, una psicologia sociale, in un senso lato, ma perfettamente legittimo, della parola.

L'atteggiamento dell'individuo nei confronti dei genitori, dei fratelli, della persona amata, del suo medico, insomma tutti i rapporti che sono stati finora l'oggetto delle ricerche psico-analitiche, possono senz'altro essere considerati fenomeni sociali, in contrapposizione con determinati altri processi che abbiamo definito narcisistici in quanto caratterizzati dal fatto che la soddisfazione di bisogni e desideri viene parzialmente o totalmente ricercata al di fuori ed indipendentemente da altre persone.

Così, la contrapposizione tra gli atti psichici sociali e quelli narcisistici (autistici, secondo la terminologia di Bleuler) non si pone fuori dell'ambito della psicologia individuale e non giustifica una separazione tra questa e quella sociale o collettiva.

Nel suo atteggiamento nei confronti dei genitori, dei fratelli, della persona amata, dell'amico e del medico, l'individuo subisce l'influenza di una sola persona o di un numero limitato di persone ciascuna delle quali ha acquisito per lui un'importanza di primo piano. In genere, quando si parla di psicologia sociale o collettiva, si fa astrazione da questi rapporti per considerare solo l'influenza simultanea che sull'individuo esercita un gran numero di persone che, sotto molti aspetti, possono essergli estranee, ma alle quali egli è legato da certi rapporti. Così, la psicologia collettiva prende in considerazione l'individuo in quanto membro di una tribù, di un popolo, di una casta, di una classe sociale, di un'istituzione, o in quanto elemento di una moltitudine umana che ad un certo punto ed in vista di un determinato fine si è organizzata in collettività.

Dopo aver spezzato i legami naturali di cui abbiamo parlato prima, si fu portati a considerare i fenomeni che si verificano in queste condizioni come espressioni di una particolare, irriducibile tendenza che in altre situazioni non si manifestava. Tuttavia, noi ci rifiutiamo di attribuire tanta importanza al fatto numerico e di ammettere che questo sia in grado da solo di far sorgere nella vita psichica dell'uomo un nuovo istinto che in altre condizioni non si manifesta. Piuttosto noi prospettiamo altre due possibilità, cioè che questo istinto non sia certo primario ed irriducibile e che esso sia già presente, non foss'altro che allo stato di abbozzo, in cerchie più ristrette, come la famiglia.

La psicologia collettiva, sebbene sia ancora agli inizi, abbraccia un numero incalcolabile di problemi ed impone al ricercatore innumerevoli compiti, ancora male o insufficientemente differenziati. La sola classificazione delle diverse forme di raggruppamenti collettivi e la descrizione dei fenomeni psichici che producono richiedono un enorme lavoro di osservazione ed hanno già costituito l'oggetto di una ricchissima letteratura. Data l'ampiezza della zona d'azione della psicologia collettiva, è appena il caso di avvertire il lettore che il mio esiguo lavoro tocca solo pochi punti di questo vasto argomento; vero è che questi sono i punti che interessano in parti-colar modo la psicoanalisi, nelle sue ricerche sull'animo umano.

2. La descrizione dell'anima collettiva secondo Le Bon

Potremmo cominciare con una definizione dell'anima collettiva, ma ci sembra molto più utile dare al lettore una veduta d'insieme dei fenomeni che vi si ricollegano, selezionandone alcuni tra i più interessanti e caratteristici e servendocene come punto di partenza per le nostre ricerche successive. Il sistema migliore per raggiungere questo duplice scopo è di prendere come guida il libro, giustamente celebre, di Gustave Le Bon, Psicologia delle folle1 ( 28" ed. Alcan, 1921).

Ecco, ancora una volta, qual è esattamente la situazione. Dopo aver esaminato ed analizzato predisposizioni, istinti, moventi ed intenzioni dell'individuo sino ad arrivare alle sue azioni ed ai suoi rapporti con gli altri, la psicologia si renderebbe immediatamente conto di dover assolvere ad un altro compito. Essa dovrebbe spiegare questo fatto sorprendente: l'individuo, che credeva di aver reso intelligibile, si mette, in determinate condizioni, a sentire, pensare, agire, in modo assolutamente diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare, e che tali condizioni sono date dalla sua incorporazione in un gruppo umano che ha acquisito il carattere di una «folla psicologica». Che cos'è un gruppo? Donde gli deriva il potere di esercitare un'influenza tanto decisiva sulla vita psichica dell'individuo? In cosa consistono le modificazioni psichiche che esso gli impone?

Compito della psicologia collettiva teorica è di dar risposta a questi tre interrogativi. E per adempiere bene a questo compito, deve cominciare dal terzo. Infatti, compito della psicologia collettiva è l'osservazione delle modificazioni impresse alle reazioni individuali dalla collettività. Bene, ogni tentativo di spiegazione dev'essere preceduto dalla presentazione di ciò che dev'essere spiegato. Lascio dunque la parola a Le Bon:

«Il fatto più notevole che si può osservare in una folla psicologica è questo: quali che siano gli individui che la compongono, per quanto il loro tipo di vita, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza possano essere simili o dissimili, il solo fatto di essersi trasformati in una folla fornisce loro una specie di anima collettiva.

Questa li induce a sentire, pensare, agire in modo assolutamente diverso da come sentirebbe, penserebbe, agirebbe ciascuno di loro isolatamente. Certe idee, certi sentimenti, nascono e si trasformano in azione solo negli individui riuniti in una collettività. La folla psicologica è un'entità provvisoria composta da elementi eterogenei, momentaneamente congiunti, proprio nello stesso modo in cui le cellule di un corpo vivente formano con la loro unione un nuovo essere che presenta caratteri molti diversi da quelli di ciascuna di esse» 2 (Op. cit., pp. 13-14).

Ci permettiamo d'interrompere con i nostri commenti l'esposizione di Le Bon e cominciamo col notare quanto segue: dato che gli individui che fanno parte di una folla sono fusi in una unità, deve senz'altro esserci qualcosa che li unisce gli uni agli altri, e può darsi che questo qualcosa sia proprio ciò che caratterizza la folla. Lasciando senza risposta questo interrogativo, Le Bon passa ad occuparsi delle modificazioni che l'individuo subisce nella folla e le descrive in termini che si accordano con i princìpi fondamentali della nostra psicologia del'inconscio.

«E facile constatare come l'individuo che fa parte di una folla differisca dall'individuo isolato, ma scoprire le cause di tale differenza è più diffìcile. Per arrivare a scorgerle, bisogna anzitutto tener presente questa osservazione della psicologia moderna, che i fenomeni inconsci hanno una parte predominante non solo nella vita organica, ma anche nel funzionamento dell'intelligenza. La vita cosciente dello spirito rappresenta solo una piccolissima parte rispetto alla sua vita inconscia.

L'analista più acuto, l'osservatore più profondo non giungono a scoprire che una piccola parte dei motivi inconsci che determinano la sua condotta. Le nostre azioni coscienti derivano da un substrato inconscio, formato soprattutto da influenze ereditarie; questo substrato racchiude gli innumerevoli residui ancestrali che costituiscono l'anima della razza.

Dietro alle cause manifeste dei nostri atti, si trovano cause segrete, a noi ignote. La maggior parte delle nostre azioni quotidiane sono l'effetto di motivi reconditi che ci sfuggono.3 (Op. cit., pp. 15-16)»

In una moltitudine, pensa Le Bon, scompaiono le acquisizioni individuali e la personalità propria di ciascuno. Il patrimonio inconscio della razza viene ad assumere il posto di primo piano, l'eterogeneo si fonde nell'omogeneo. Possiamo dire che la sovrastruttura psichica che si è formata in seguito ad uno sviluppo variabile da caso a caso è stata distrutta, ed è stata messa a nudo la base inconscia, uniforme, comune a tutti.

E così che si verrebbe a formare il carattere medio dell'individuo di una collettività. Ma Le Bon ritiene che l'individuo che faccia parte di una folla presenti inoltre nuove proprietà che in precedenza non possedeva, e cerca di spiegarne la comparsa con tre diversi fattori.

«L'apparizione dei caratteri tipici della folla è determinata da varie cause. La prima è che, nella folla l'individuo acquisisce, per il solo fatto del numero, un sentimento di grande potenza che gli consente di cedere ad istinti che, da solo, avrebbe violentemente tenuti a freno. Egli vi cederà tanto più volentieri in quanto, dato che la folla è anonima e perciò irresponsabile, scompare del tutto il senso di responsabilità che frena sempre gli individui.4 (Op. cit., p. 17)»

In base alla nostra concezione riteniamo di poter dare all'apparizione dei nuovi caratteri un'importanza limitata. Ci basta dire che l'individuo che fa parte di una folla si trova posto in condizioni tali che gli permettono di rallentare la repressione delle sue tendenze inconsce. Allora i nuovi caratteri che egli manifesta sono solo le espressioni di questo inconscio in cui sono ammassati i germi di tutto ciò che di cattivo vi è nell'animo umano; il fatto che, in queste circostanze, la voce della coscienza taccia o che il senso di responsabilità scompaia, non ci sembra affatto di difficile comprensione. Già da tempo abbiamo detto che è «l'angoscia sociale» che costituisce l'essenza di ciò che chiamiamo la coscienza morale5 ((Tra la concezione di Le Bon e la nostra c'è una certa differenza derivante dal fatto che la sua nozione dell'inconscio non coincide con quella adottata dalla psicoanalisi. L'inconscio di Le Bon racchiude le più profonde caratteristiche dell'anima della razza, caratteristiche che non presentano per la psicoanalisi alcun interesse. Certo, noi riconosciamo che l'essenza dell'/o, in cui rientra «l'arcaico retaggio» dell'anima umana, è inconscia, ma supponiamo inoltre l'esistenza di un «inconscio rimosso» derivato da una parte di questo retaggio. È proprio questa nozione del «rimosso» che manca in Le Bon).

«La manifestazione nelle folle di caratteri particolari e, nello stesso tempo, il loro orientamento, sono determinati anche da un secondo fattore, il contagio mentale. Questo è un fenomeno che è facile constatare ma non ancora chiarito e che va ricollegato ai fenomeni di carattere ipnotico che studieremo tra poco. In una folla ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e può esserlo al punto che facilmente l'individuò sacrifica a quello collettivo il proprio interesse personale. Questo è un atteggiamento contrario alla sua natura e che l'uomo assume solo quando fa parte di una folla.6 (Op. cit., pp. 17-18)»

Di quest'ultima asserzione ci serviremo più in là prendendola come punto di partenza per un'importante ipotesi.

«Un terzo fattore, e di gran lunga il più importante, viene a determinare negli individui facenti parte di una folla caratteri particolari, spesso opposti a quelli dell'individuo isolato. Mi riferisco alla suggestionabilità, di cui il contagio, cui si è accennato sopra, è solo un effetto. Per comprendere questo fenomeno bisogna tenere presenti alcune recenti scoperte della fisiologia.

Oggi noi sappiamo che un individuo può essere trasposto in una condizione tale che, avendo perduto la propria personalità cosciente, egli obbedisce a tutte le suggestioni dell'ipnotizzatore e compie le azioni più opposte al proprio carattere ed alle proprie abitudini. Bene, attente osservazioni sembrano dimostrare che l'individuo immerso da qualche tempo in una folla attiva ben presto cade, per gli efflussi che gliene derivano, o per un'altra causa completamente diversa ed ancora ignota, in uno stato particolare, che si avvicina molto a quello dell'ipnotizzato nelle mani dell'ipnotizzatore. Dato che nel soggetto ipnotizzato la vita del cervello è paralizzata, questi diviene schiavo di tutte le proprie attività inconsce, che l'ipnotizzatore dirige come crede. La personalità cosciente è annientata, sono venuti meno la volontà ed il discernimento. Sentimenti e pensieri sono orientati nel senso determinato dall'ipnotizzatore.

Questo è, pressappoco, lo stato dell'individuo che fa parte di una folla psicologica. Egli non è più conscio dei suoi atti. In lui, come nell'ipnotizzato, alcune facoltà sono annientate, mentre altre possono giungere ad un altissimo grado di esaltazione. L'influenza di una suggestione lo porterà a compiere certe azioni con irresistibile impetuosità, ancora più violenta nelle folle che nel soggetto ipnotizzato perché la suggestione, uguale in tutti gli individui, divenendo reciproca si esalta7 ( Op. cit., pp. 17-19).

... Dunque, annientamento della personalità cosciente, predominio di quella inconscia, orientamento nello stesso senso, per suggestione e contagio, di sentimenti e pensieri, tendenza a trasformare immediatamente in azioni le idee suggerite, queste sono le fondamentali caratteristiche dell'individuo che fa parte di una folla. Egli non è più se stesso, ma un automa che la volontà non è più in grado di guidare.8 (Op. cit., p. 19)»

Abbiamo riportato questo brano tutto di seguito per far notare che Le Bon non si limita a paragonare lo stato di un individuo facente parte di una collettività con quello ipnotico, ma arriva a stabilire una precisa identità tra l'uno e l'altro. Non abbiamo affatto l'intenzione di impegnarci in una discussione, ma teniamo a far osservare che i due ultimi fattori della trasformazione dell'individuo che fa parte di una folla, il maggiore contagio e la maggiore suggestionabilità, evidentemente non possono essere messi allo stesso livello, in quanto il contagio sembra essere una manifestazione della suggestionabilità. Ci sembra che Le Bon non stabilisca una distinzione abbastanza precisa tra gli effetti di queste due cause. Forse daremo una migliore interpretazione del suo pensiero dicendo che il contagio deriva dall'azione reciproca che i membri della collettività esercitano gli uni sugli altri, mentre i fenomeni di suggestione che Le Bon identifica con l'influenza ipnotica deriverebbero da un'altra fonte. Da quale allora?

Noi troviamo una notevole lacuna nel fatto che uno dei termini principali di questa identificazione, cioè la persona che, nella folla, sostituisce l'ipnotizzatore, non è affatto menzionata nell'esposizione di Le Bon. Comunque sia, egli distingue da questa influenza ipnotica, che lascia nell'ombra, l'azione contagiosa che gli individui esercitano gli uni sugli altri e che viene a rinforzare la primitiva suggestione.

Ecco un'altra concezione importante per la caratterizzazione dell'individuo che fa parte di una folla:

«Dunque, per il solo fatto d'esser parte di una massa, l'uomo discende molti gradini nella scala della civilizzazione. Preso da solo, era forse un uomo civile; nella massa, è un istintivo, perciò un barbaro. Egli ha la spontaneità, la violenza, la ferocia, e anche l'entusiasmo e l'eroismo, degli esseri primitivi» 9 (Op. cit., p. 19).

Poi l'autore insiste in particolar modo sulla diminuzione dell'attività intellettuale che il suo assorbimento nella folla determina nell'individuo10 (Cfr. il distico di Schiller: «leder, sieht man ihn einzeln, ist leidlich klug und verständing, sind sie in corpore, gleich wird euch ein Dummkopf daraus». - Ciascuno, preso da solo, può essere intelligente e razionale; messi insieme, formano tutti un solo imbecille.). Lasciamo ora l'individuo e prendiamo in considerazione l'anima collettiva, come è abbozzata da Le Bon.

Non c'è un solo aspetto, in questa descrizione, la cui origine lo psicoanalista non sappia identificare o non possa classificare. D'altra parte lo stesso Le Bon ci indica la strada giusta, mettendo in risalto le affinità sussistenti tra l'anima della folla e la vita psichica dei primitivi e dei bambini11 (Op. cit., p. 23).

La massa è impulsiva, mobile e irritabile12 (Le Bon si serve correttamente del termine «inconscio» in un significato che non è solo quello di "rimosso"). Gli impulsi ai quali essa obbedisce possono essere, secondo le circostanze, nobili e crudeli, eroici o vili, ma sono sempre così imperiosi che di fronte a essi viene meno anche l'interesse alla conservazione13 (Op. cit., p. 24). In essa niente è premeditato. Anche quando desidera violentemente una cosa, non la desidera mai a lungo, è incapace di una volontà persistente. Non sopporta alcun differimento della realizzazione di un desiderio. Prova una sensazione di onnipotenza; per l'individuo che fa parte di una folla non esiste la nozione dell'impossibile14 (V. Totem e tabù, cap. 3: «Animismo, magia ed onnipotenza del pensiero».)

La folla è straordinariamente influenzabile e credula, manca di senso critico, niente per essa è inverosimile. Pensa per immagini che si richiamano le une alle altre per associazione, come negli stati in cui l'individuo dà libero corso alla propria immaginazione, senza che un'istanza razionale intervenga a giudicare sul grado della loro conformità alla realtà. I sentimenti della folla sono sempre molto semplici e molto esaltati. Essa non conosce né il dubbio né l'incertezza15 (Nell'interpretazione dei sogni, da cui abbiamo ricavato le nostre migliori nozioni sulla vita psichica inconscia, seguiamo questa regola tecnica: facciamo astrazione da tutti i dubbi e le incertezze che si manifestano nel racconto del sogno e consideriamo tutti allo stesso modo certi gli elementi del suo contenuto manifesto. Attribuiamo dubbi ed incertezze all'azione della censura cui è sottoposto il lavoro onirico e riteniamo che essi, in quanto controllo critico, siano estranei ai pensieri primari del sogno. Naturalmente essi possono, come qualunque altro elemento, far parte del contenuto dei residui diurni che provocano il sogno. V. Traumdeutung, 5 ed., 1919, p. 386

«La folla giunge subito agli estremi. Un accenno di sospetto si trasforma immediatamente in indiscutibile evidenza. Una semplice antipatia... diviene subito odio feroce.16» (Op. cit., p. 36. La stessa tendenza all'esagerazione, la stessa facilità di giungere agli estremi caratterizzano la vita psichica infantile e si ritrovano nel sogno in cui, a causa della separazione, nell'inconscio, tra i diversi sentimenti, una piccola contrarietà provata durante il giorno si trasforma in un odio mortale per la persona che l'ha provocata, così come una lieve tentazione si trasforma in un impulso a commettere un'azione criminale rappresentata nel sogno. Il dottor Hanns Sachs ha fatto, in proposito, questa bella osservazione: «Ciò che il sogno ci ha rivelato circa i nostri rapporti con il presente (la realtà), noi lo ricerchiamo poi nella coscienza, e non dobbiamo stupirci se le mostruosità che abbiamo viste attraverso la lente d'ingrandimento dell'analisi non sono che minuscoli infusori» (Traumdeutung. cit.. p. 357)

Portata a tutti gli eccessi, la folla è influenzata solo da eccitazioni esasperate. Chiunque voglia agire su di essa, non ha bisogno di dare ai propri argomenti un carattere logico: deve presentare immagini dai colori più stridenti, esagerare, ripetere incessantemente la stessa cosa.

«Non avendo nessun dubbio su ciò che essa crede verità o errore, e con la chiara nozione della propria forza, la massa è tanto obbediente all'autorità quanto intollerante... Sente il prestigio della forza, ed è scarsamente impressionata dalla bontà, considerata una forma di debolezza. Dai suoi eroi la folla esige la forza, persino la violenza. Vuole essere dominata e soggiogata e temere il suo padrone... Infatti la folla ha un irriducibile istinto conservatore e, come tutti i primitivi, un orrore inconscio per ogni innovazione o progresso ed un illimitato rispetto per la tradizione.»

Se ci si vuol fare un'idea esatta della moralità delle folle, si deve considerare il fatto che negli individui riuniti in esse sono scomparse tutte le inibizioni individuali, mentre gli istinti crudeli, animaleschi, distruttori, residui delle epoche primitive, che giacciono nel fondo di ciascuno, si ridestano e cercano la propria soddisfazione. Ma, sotto l'influenza della suggestione, le folle sono capaci nello stesso modo di rassegnazione, disinteresse, devozione ad un ideale. Il vantaggio personale, che costituisce pressoché l'unico motivo di azione per l'uomo isolato, solo di rado determina la condotta della folla. Si può perfino parlare di una moralizzazione dell'individuo attraverso la folla 17 (Op. cit., p. 43). Mentre il livello intellettuale della folla è sempre inferiore a quello dell'individuo, il suo comportamento morale può sia essere superiore al livello morale di questo, sia scendere molto al di sotto.

Alcuni aspetti del carattere delle folle, quali le ritrae Le Bon, dimostrano fino a che punto sia giustificata l'identificazione dell'anima della folla con quella dei primitivi. Nelle folle possono coesistere le idee più opposte senza reciproco ostacolo e senza che dalla loro contraddizione logica derivi un conflitto.

Ora, la psicoanalisi ha dimostrato che tutto ciò si verifica anche nel caso del soggetto infantile o del nevrotico18. (Ad esempio, nel bambino possono coesistere a lungo atteggiamenti affettivi ambivalenti nei confronti delle persone più vicine, senza che ne derivi il minimo conflitto; e quando infine questo si manifesta, è risolto dal fatto che il bambino cambia l'oggetto, che sposta uno dei sentimenti della sua ambivalenza su di un oggetto sostitutivo. Anche studiando l'evoluzione di una nevrosi nell'adulto, si osserva spesso che un sentimento rimosso può persistere a lungo nei sogni inconsci, ed anche in quelli consci (il cui contenuto si trova naturalmente in opposizone con una tendenza dominante), senza che da questa contraddizione derivi una rivolta dell'Io contro il sentimento rimosso. Il sogno è sopportato per un periodo di tempo molto lungo, fin quando, nella maggior parte dei casi in seguito ad un'esasperazione della sua carica affettiva, improvvisamente scoppia un conflitto con l'Io, con tutte le conseguenze che ciò può comportare. Man mano che il bambino, sviluppandosi, si avvicina all'età adulta e matura la sua personalità diviene sempre più compatta; le sue varie tendenze ed aspirazioni, che fino ad allora si erano sviluppate indipendentemente le une dalle altre, si riuniscono e si fondono. Conosciamo già un processo di questo tipo nel campo della vita sessuale, in cui tutte le tendenze finiscono col convergere, in modo da formare quella che noi chiamiamo l'organizzazione sessuale. («Tre saggi sulla sessualità», 1905). Molti esempi ben noti ci dimostrano che l'unificazione dell'Io è soggetta alle stesse difficoltà che si frappongono all'unificazione della libido.)

Inoltre, la folla è molto sensibile alla forza magica delle parole, che hanno il potere sia di provocare nell'anima collettiva le tempeste più violente, sia di placarla.

«La ragione e la logica non potrebbero niente contro certe parole e certe formule. Queste vengono pronunciate con devozione davanti alla folla; ed ecco che improvvisamente i volti divengono rispettosi e le fronti si chinano. Molti le considerano forze della natura, potenze sovrannaturali.19» (Op. cit., p. 85) A questo proposito basta pensare al tabù dei nomi nei primitivi, alle forze magiche che, nel loro spirito, si ricollegano ai nomi ed alle parole20 (V. Totem e tabù).

Ed infine, le folle non hanno mai provato il desiderio della verità. Chiedono solo illusioni, delle quali non possono fare a meno. Danno sempre la preferenza al surreale rispetto al reale; l'irreale agisce su di esse con la stessa forza che il reale. Hanno un'evidente tendenza a non distinguere l'uno dall'altro. Conosciamo la parte che tale predominio della vita immaginativa e delle illusioni sorrette dai desideri insoddisfatti ha nella determinazione delle nevrosi. Abbiamo visto che per il nevrotico la sola realtà valida è quella psichica, e non quella oggettiva, di tutti. Un sintomo isterico è basato su una fantasia che prende il posto della ripetizione di un'esperienza reale, e il senso di colpa in una nevrosi ossessiva su una cattiva intenzione che non è mai andata ad effetto. Così appunto, come nei sogni e nell'ipnosi, nelle operazioni mentali di una folla la funzione di esame della realtà delle cose decresce in relazione alla forza delle pulsioni cariche di desiderio, con la loro catessi affettiva.

Ciò che Le Bon dice dei capi delle folle è meno soddisfacente e non illustra abbastanza chiaramente le leggi che regolano questo fenomeno. Ogni volta, egli dice, che gli esseri viventi, più o meno numerosi, si trovano riuniti, che si tratti di un gregge animale o di una folla umana, essi si mettono subito, istintivamente, sotto l'autorità di un capo. La folla è un gregge docile incapace di vivere senza un padrone. E talmente desiderosa di obbedire che si sottomette istintivamente a colui che le si pone a capo.

Ma se la folla ha bisogno di un capo, occorre pure che questi abbia delle doti personali. Egli deve avere una profonda fede (in un'idea) per poterla suscitare nella folla; deve avere una volontà possente, imperiosa, in grado di animare la moltitudine priva di volontà. Poi Le Bon passa a parlare delle varie categorie di capi e dei mezzi con cui agiscono sulla folla. In fondo egli vede la causa dell'influenza dei capi nelle idee in cui essi stessi credono.

A queste idee, come ai capi, egli attribuisce inoltre una potenza misteriosa, ed irresistibile che chiama «prestigio». «Il prestigio è... una sorta di fascino esercitato sul nostro spirito da una persona, un'opera o una dottrina, e paralizza tutte le nostre facoltà critiche e riempie il nostro animo di meraviglia e di rispetto. I sentimenti che si provano allora sono inesplicabili, come tutti i sentimenti, ma sono probabilmente dello stesso genere della suggestione subita da un soggetto ipnotizzato.21» (Op. cit., p. 109)

Egli distingue un prestigio acquisito o artificiale ed uno personale. Il primo è conferito alle persone per il loro nome, la loro ricchezza, la loro onorabilità, alle dottrine ed alle opere d'arte dalla tradizione. Avendo sempre la propria sorgente nel passato, non serve a farci comprendere la natura di questo misterioso influsso. Il prestigio personale è la caratteristica di quelle rare persone che si pongono come capi ed ottengono l'obbedienza quasi per magia. Ma, qualunque cosa sia, il prestigio dipende dal successo e scompare dopo ripetuti insuccessi.

Non si può fare a meno di osservare che quanto Le Bon dice sulla parte svolta dai capi e sulla natura del prestigio non si accorda affatto con la sua brillante descrizione dell'anima collettiva.

3. Altre concezioni della vita psichica collettiva

Ci siamo serviti, come introduzione, dell'esposizione di Le Bon, perché la psicologia di questo autore è parecchio vicina alla nostra, per l'importanza che dà alla parte inconscia svolta dalla vita psichica. Ma dobbiamo aggiungere che le sue affermazioni non ci portano niente di nuovo. Il disprezzo con cui egli parla delle manifestazioni dell'anima della folla è già stato espresso, con altrettanta forza ed ostilità ed in termini quasi identici, da pensatori, uomini politici e poeti di tutti i tempi e di tutti i paesi22 (V. in particolare la bibliografia in Die Psychologie der Kollektivitäten, di B. Kraskovic, 1915). Le due proposizioni che contengono le più importanti concezioni di Le Bon, quelle relative all'inibizione collettiva della funzione intellettuale ed all'esasperazione dell'affettività nelle folle, sono state formulate poco prima di lui da Sighele23 (V. Walter Moede, «Die Massen und Sozial-Psychologie im kritischen Über-blick», Zeitschrift für pädagogische Psychologie und experimentelle Pädagogik, XVI, 1915). Le cose più originali in Le Bon, sebbene anche per queste abbia dei precursori, sono la sua concezione dell'inconscio ed il confronto con la vita psichica dei primitivi.

La descrizione e la valutazione dell'anima collettiva di Le Bon ed altri hanno sollevato parecchie obbiezioni. Indubbiamente, essi avevano osservato attentamente tutti i fenomeni dell'anima collettiva che hanno descritto, ma si possono opporre loro altre manifestazioni delle formazioni collettive, da cui si può ricavare un giudizio più favorevole sull'anima della folla.

Lo stesso Le Bon conveniva che, in certe circostanze, il livello morale della folla può essere più elevato di quello dei singoli individui che la compongono, e che solo le collettività possono dar prova di un gran disinteresse e di un forte spirito di sacrificio.

«L'interesse personale, che costituisce pressoché l'unico motivo di azione per l'individuo, nelle folle non ha quasi mai una parte importante.»

Altri mettono in rilievo il fatto che è la società ad imporre all'individuo le regole della morale, alla quale egli, abbandonato a se stesso, non sarebbe in grado di giungere; si dice che, in certe circostanze eccezionali, si verifica nella massa un'esplosione di entusiasmo che la rende capace delle azioni più nobili e generose.

Per quanto riguarda la produzione intellettuale, rimane assodato che le grandi creazioni del pensiero, le scoperte e le soluzioni decisive di grandi problemi, possono derivare solo dal lavoro compiuto nella solitudine e nel raccoglimento. Ma anche l'anima collettiva è capace di creare intellettualmente, come dimostrano la lingua, i canti popolari, il folklore, etc. Resta tuttavia aperta una questione: quanto il singolo pensatore o scrittore debba allo stimolo del gruppo in cui vive, e se egli non faccia che perfezionare un'operazione mentale cui gli altri hanno simultaneamente preso parte.

Di fronte a queste contraddizioni apparentemente irriducibili, sembra che il lavoro della psicologia collettiva sia destinato a restare uno sterile gioco. Ma è facile trovare uno sbocco verso una soluzione soddisfacente. In genere, sotto la denominazione generica di «folle» si sono confuse formazioni diverse, mentre è importante stabilire una distinzione. I dati di Le Bon, Sighele ed altri si riferiscono a raggruppamenti transitori che si formano rapidamente per l'associazione di un certo numero di individui mossi da un interesse comune, ma differenti tra loro sotto tutti gli aspetti essenziali. Certamente nella loro descrizione questi autori sono stati influenzati dai caratteri delle folle rivoluzionarie, soprattutto da quelle della grande Rivoluzione Francese. Quanto alle affermazioni in senso opposto, queste sono risultate da osservazioni fatte su raggruppamenti stabili o associazioni permanenti nelle quali gli uomini passano tutta la vita e che si incarnano nelle istituzioni sociali. I gruppi della prima categoria stanno a quelli della seconda come le onde brevi, ma alte, stanno alla vasta superficie del mare.

McDougall, che nel suo libro The Group Mind (1920) osserva la stessa contraddizione, crede di poterla risolvere introducendo il fattore organizzazione. Nel caso più semplice, egli dice, il gruppo (group) non ha alcuna organizzazione, o solo un'organizzazione rudimentale. Egli chiama folla (crowd) questo gruppo privo di organizzazione o appena organizzato. Indubbiamente non può formarsi e sussistere senza un principio di organizzazione, ed è in queste associazioni semplici e rudimentali che appaiono con più precisione alcuni fenomeni fondamentali della psicologia collettiva24 (Op. cit., p. 22). Perché i membri accidentalmente riuniti di una massa umana formino un gruppo in senso psicologico, bisogna che tra gli individui ci sia qualcosa di comune, il fatto che essi si interessino tutti allo stesso oggetto, che di fronte ad una determinata situazione provino gli stessi sentimenti e (posso aggiungere, di conseguenza) che abbiano, in una certa misura, la facoltà d'influire gli uni sugli altri («some degree of reciprocai influence between the mem-bers of the group») 25 (Op. cit., p. 23). Quanto più questa omogeneità mentale è forte, tanto maggiori sono le possibilità che gli individui formino un gruppo psicologico, con una propria anima collettiva che si manifesti in modo tale da non lasciare alcun dubbio.

Il fenomeno più notevole ed anche il più importante di una formazione collettiva consiste nell'esaltazione e l'intensificazione dell'emotività negli individui che la compongono26 (Op. cit., p. 24).

Si può dire, aggiunge McDougall, che non ci siano altre condizioni in cui i sentimenti umani raggiungono un'intensità pari a quella che si osserva negli uomini riuniti in un gruppo, e questi provano certamente una sensazione piacevolissima nelFabbandonarsi, a questo punto, al loro stato d'animo, fondendosi nel gruppo, perdendo il senso della loro limitatezza individuale. McDougall spiega questo assorbimento dell'individuo da parte del gruppo con ciò che egli chiama l'induzione diretta delle emozioni, effetto della «reazione simpatica primitiva»27 ( Op. cit., p. 25), in altri termini ciò che noi psicoanalisti conosciamo già sotto la denominazione di contagio affettivo. Ed infatti i segni che si possono percepire di uno stato affettivo sono in grado di provocare automaticamente nel soggetto che li percepisce l'azione che questi segni esprimono. Questa reazione automatica è tanto più intensa quanto più grande è il numero delle persone nelle quali si osserva la stessa emozione. Allora l'individuo diviene incapace di conservare un atteggiamento critico e si lascia prendere dalla stessa emozione. Ma condividendo l'eccitazione di quelli la cui azione ha subito, egli la fa aumentare anche in loro, ed è così che la carica affettiva degli individui si intensifica per induzione reciproca. Ci si trova come costretti ad imitare gli altri, ad armonizzarsi con loro. Quanto più le emozioni sono forti ed elementari, tanto maggiore è la loro possibilità di propagarsi in questo modo nel gruppo28 (Op. cit., p. 39).

Questo meccanismo d'intensificazione affettiva è agevolato anche da altre influenze che emanano dal gruppo. Questo dà all'individuo l'impressione di una potenza illimitata e di un invincibile pericolo. Essa prende momentaneamente il posto del complesso della società umana, incarnazione dell'autorità di cui si temono i castighi e per la quale ci si impongono tante limitazioni e restrizioni. Mettersi in opposizione con essa è evidentemente pericoloso, e ciascuno, per assicurarsi la propria sicurezza, deve conformarsi a quanto avviene intorno a lui, deve «ululare con i lupi». Nell'obbedienza alla nuova autorità, si deve far tacere la propria «voce della coscienza» le cui proibizioni e i cui comandamenti potrebbero impedire all'individuo di godere di tutti i vantaggi edonistici di cui gode nel gruppo. Così non dobbiamo stupirci di vedere l'individuo che fa parte di un gruppo compiere ed approvare cose che in condizioni di vita normali disapproverebbe, ed abbiamo anche ragione di sperare che questo fatto ci permetterà di fare un po' di luce su ciò che denominiamo con l'enigmatico termine di «suggestione».

McDougall non contesta il fatto dell'abbassamento del livello intellettuale nel gruppo29 (Op. cit, p. 41). Egli dice che le intelligenze inferiori attirano al loro livello quelle superiori. Queste sono ostacolate nella loro attività perché l'esagerazione dell'affettività crea, in generale, delle condizioni sfavorevoli al lavoro intellettuale, in quanto gli individui, intimiditi dal gruppo, non possono abbandonarsi tranquillamente a questo lavoro e perché la responsabilità delle proprie azioni si trova diminuita in ogni individuo dal fatto stesso del suo assorbimento da parte del gruppo.

In questo senso, il giudizio d'insieme che McDougall formula sull'attività psichica delle masse semplici, «disorganizzate», non è più favorevole né più lusinghiero di quello di Le Bon. Ecco in che modo egli caratterizza un gruppo di questo tipo30 (Op. cit., p. 45): «è, in generale, eccitabile, impulsivo, passionale, incostante, indeciso, e, nello stesso tempo, pronto ad agire, accessibile solo alle passioni più violente ed ai sentimenti più semplici, meno facile da suggestionare, superficiale nelle riflessioni, estremista nei giudizi, capace di assimilare solo le conclusioni ed i ragionamenti più semplici e meno perfetti, facile da influenzare e da commuovere; non ha coscienza né rispetto di se stesso, non ha alcun senso di responsabilità; è disposto a lasciarsi trascinare dal sentimento della propria forza a tutti i misfatti che noi ci possiamo aspettare solo da una potenza assoluta ed irresponsabile. Esso si comporta così come un bambino maleducato o un selvaggio incontrollato che si trovasse posto in una condizione che non gli fosse familiare. Nei casi più gravi si comporta piuttosto come un gregge di animali selvatici che come un insieme di essere umani». Dato che McDougall contrappone a questo comportamento quello dei gruppi che hanno un'organizzazione superiore, siamo impazienti di sapere in che cosa quest'ultima consista e quali siano i fattori che favoriscono il suo stabilirsi. L'autore enumera cinque «condizioni fondamentali» necessarie all'elevamento della vita psichica del gruppo. La prima condizione, quella fondamentale, consiste in un certo grado di continuità per quanto riguarda la composizione del gruppo. Questa continuità può essere materiale o formale: nel primo caso le stesse persone fanno parte del gruppo per un periodo di tempo più o meno lungo; nel secondo caso, si formano, all'interno di esso, certe posizioni occupate a turno da alcuni suoi membri. E necessario, in secondo luogo, che ogni individuo che fa parte di un gruppo si sia formato, rispetto alla natura, alla funzione, all'attività ed alle esigenze di quella, un'idea da cui deriva il suo atteggiamento affettivo nei confronti del complesso dei suoi componenti.

In terzo luogo, bisogna che ogni moltitudine abbia rapporti con altre formazioni analoghe, ma che ne differiscano sotto molti aspetti: che ci sia una specie di rivalità tra un gruppo e gli altri. In quarto luogo, il gruppo deve avere tradizioni, costumi, istituzioni, le principali delle quali si riferiscano alle relazioni reciproche tra i suoi membri. Infine, deve avere un'organizzazione che si esprima nella specializzazione e la differenziazione delle attività assegnate a ciascuno. Quando queste condizioni sono realizzate, secondo McDougall verrebbero meno gli inconvenienti psichici presentati da un gruppo. Ci si difende contro l'abbassamento collettivo del livello intellettuale sottraendo al gruppo la soluzione dei problemi intellettuali, per affidarli a degli individui. Ci sembra che la condizione che McDougall chiama «organizzazione» potrebbe essere descritta diversamente. Si tratta di ricreare nel gruppo le facoltà che erano caratteristiche dell'individuo e che questi ha perdute in seguito al suo assorbimento in esso. Il fatto è che l'individuo, prima di essere conglobato dal gruppo primitivo, aveva una sua continuità, la sua coscienza, le sue tradizioni ed abitudini, un campo di attività che gli era proprio, presentava un suo modo di adattamento e si teneva al riparo dagli altri individui con i quali rivalizzava. L'individuo ha poi momentaneamente perduto tutte queste qualità in seguito alla sua entrata nel gruppo non «organizzato». Questa tendenza ad attribuire alla massa delle caratteristiche tipiche dell'individuo fa pensare alla profonda osservazione di W. Trotter31 (Instincts of the Herd in Peace and Wur. London, 1916) che vede nella tendenza alla formazione di raggruppamenti massicci un'espressione biologica, sul piano sociale, della struttura pluricellulare degli organismi superiori.

4. Suggestione e libido

Nei capitoli precedenti abbiamo preso come punto di partenza questo fatto fondamentale: che l'individuo che fa parte di un gruppo subisce, sotto la sua influenza, delle profonde trasformazioni riguardanti la sua attività psichica. La sua affettività viene straordinariamente esaltata, la sua attività intellettuale notevolmente ridotta, mentre l'esaltazione dell'una e la riduzione dell'altra si effettuano nel senso dell'assimilazione di ogni individuo a tutti gli altri. E quest'ultimo risultato può essere ottenuto solo con la soppressione di tutti i modi d'inibizione propri di ciascuno e con la rinuncia a quanto vi è d'individuale e di particolare nelle tendenze di ciascuno. Noi sappiamo che questi effetti, spesso poco desiderabili, possono essere neutralizzati, almeno in parte, dall'organizzazione; ma, affermando questa possibilità, si lascia intatto il fatto fondamentale, cioè l'esaltazione dell'affettività e l'abbassamento del livello intellettuale negli individui che fanno parte del gruppo primitivo. Si tratta dunque di trovare la spiegazione psicologica di queste modificazioni psichiche che il gruppo imprime all'individuo.

E evidente che i fattori razionali di cui abbiamo parlato prima, cioè l'intimidazione esercitata dal gruppo sull'individuo e, di conseguenza, l'azione dell'istinto di conservazione subita da questi, non sono sufficienti a spiegare i fenomeni osservati. Tutte le spiegazioni che ci sono state proposte da autori che hanno scritto di sociologia e di psicologia collettiva si riducono, in fondo, pur sotto nomi diversi, ad una sola, a quella che si riassume nella magica parola suggestione. E vero che il Tarde parla di imitazione, ma dobbiamo approvare quello che dice un autore, quando, criticando le sue idee, ci dimostra che l'imitazione cade sotto la categoria della suggestione ed è una conseguenza di questa52 (Brugeilles, «L'essence du phénomène social: la suggestion», Revue Philosoph., XXV, 1913).

Le Bon riconduce tutte le caratteristiche dei fenomeni a due fattori: la suggestione reciproca e quella esercitata dal capo. Il prestigio, a sua volta, viene esercitato solo a favore della suggestione. Per quanto riguarda McDougall, in un primo momento avremmo potuto credere che il suo principio di «induzione affettiva primaria» ci risparmiasse di dover ammettere la suggestione. Ma esaminando meglio questo principio, ci accorgiamo che esso esprime i ben noti fenomeni dell'«imitazione» e del «contagio», insistendo solo sull'aspetto affettivo di questi fenomeni. Che noi abbiamo la tendenza ad imitare lo stato affettivo di una persona con la quale ci troviamo a contatto è un fatto incontestabile. Ma bisogna sapere anche che molto spesso noi resistiamo a questa tendenza, lottando contro lo stato affettivo che vuole impadronirsi di noi, reagendo in un modo spesso diametralmente opposto.

Si dirà che è l'influenza suggestiva del gruppo che ci costringe ad obbedire alla tendenza all'imitazione, per la quale noi subiamo la prepotenza di uno stato affettivo. Tuttavia, anche seguendo McDougall non usciamo dall'ambito della suggestione; egli non ci insegna niente di più degli altri, cioè che i gruppi si distinguono per una particolare suggestionabilità. Così ci si dispone ad ammettere che la suggestione (o, più esattamente, la suggestionabilità) è un fenomeno primitivo ed irriducibile, un fatto fondamentale della vita psichica umana. Questa era l'opinione di Bernheim, le cui prove di abilità ho potuto constatare di persona nel 1889. Ma ricordo che già allora io avvertivo una specie di sorda rivolta contro questa tirannia della suggestione. Quando si gridava ad un malato che si mostrava recalcitrante: «Ma cosa fa? Lei si controsuggestiona!», non potevo impedirmi di pensare che si tentava di compiere su di lui un'ingiustizia ed una violenza. L'uomo aveva certamente il diritto di controsuggestionarsi, quando con la suggestione si cercava di sottometterlo. In seguito la mia opposizione ha preso la forma di una rivolta contro la concezione per cui la suggestione, che spiegava tutto, non avrebbe a sua volta bisogno di alcuna spiegazione. E più di una volta ho citato a questo proposito la vecchia battuta:

Christoph trug Christum,

Christus trug die ganze Welt,

Sag' wo hat Christoph

Damals hin den Fuss gestellt?

Christophorus Christum, sed Christus sustulit orbem: Constiterit pedibus die ubi Christophorus? 33 (Konrad Richter («Der deutsche St. Christoph», Berlino 1896, Ada Germanica, v, 1. (Letteralmente: «Se San Cristoforo sorreggeva il Cristo ed il Cristo sorreggeva il mondo, dimmi: dove poteva poggiare i piedi San Cristoforo?».)

Accostando di nuovo oggi, dopo trent'anni di interruzione, l'enigma della suggestione, trovo che nulla è cambiato, con una sola eccezione che attesta proprio l'influenza esercitata dalla psicoanalisi. Noto che oggi si cerca con attenzione di formulare correttamente il concetto di suggestione, cioè di imporre delle regole convenzionali per l'uso di questo termine 34 ( V. ad esempio, «A note on suggestion», di McDougall, in Journal of Neurologi and Psychopathology, vol. I, 1, maggio 1920), il che, secondo me, non è affatto inutile, dato che questa parola, applicata sempre più largamente, finirà col perdere completamente il suo significato primitivo e col designare qualunque influenza, come il termine inglese to suggest o quello francese suggérer ed i suoi derivati. Ma non conosciamo una spiegazione della suggestione, cioè delle condizioni nelle quali si subisce un'influenza senza nessuna ragione logica. Sarei disposto a dimostrare l'esattezza di questa affermazione con l'analisi della letteratura di questi ultimi trent'anni, se non sapessi che nel mio ambiente si prepara un lavoro molto importante proprio su questo argomento.

Così tenterò solo di applicare alla spiegazione della psicologia collettiva il concetto di libido che ci è già stato di grande utilità nello studio delle psiconevrosi. Libido è un termine preso dalla teoria dell'affettività. In questo modo noi designiamo l'energia (considerata come una grandezza quantitativa, ma non ancora suscettibile di essere misurata) delle tendenze che si collegano a ciò che noi riassumiamo nel termine amore. L'essenza di ciò che noi chiamiamo amore è costituita naturalmente da ciò che è comunemente conosciuto come tale e che è cantato dai poeti, cioè dall'amore sessuale, che ha il suo fine nell'unione sessuale. Ma vi comprendiamo anche tutti gli altri tipi di amore, come l'amore per se stessi, quello per i genitori ed i figli, l'amicizia, l'amore per l'umanità ed anche l'attaccamento ad oggetti concreti e ad idee astratte. Per giustificare la nostra estensione del termine «amore», possiamo citare i risultati cui ci ha condotti la ricerca psicoanalitica, cioè che tutti questi tipi di amore sono altrettante espressioni di un solo complesso di tendenze, che in certi casi spingono all'unione sessuale, mentre in altri allontanano da questo scopo, o ne rendono impossibile la realizzazione, pur conservando abbastanza gli aspetti caratteristici della loro natura, in modo che non ci si possa ingannare sulla loro identità (sacrificio di se stessi, ricerca di un contatto intimo). Pensiamo che, attribuendo al termine «amore» questa molteplicità di significati, il linguaggio abbia operato una sintesi perfettamente giustificata e che la cosa migliore che possiamo fare sia di mettere questa sintesi alla base delle nostre considerazioni e spiegazioni scientifiche. Procedendo in questo modo, la psicoanalisi ha sollevato una tempesta d'indignazione, come se si fosse resa colpevole di un'innovazione sacrilega. Ma, allargando il concetto di amore, essa non ha creato niente di nuovo. L'Eros di Platone presenta, quanto alle origini, alle manifestazioni ed ai suoi rapporti con l'amore sessuale, una perfetta analogia con l'energia amorosa, con la libido della psicoanalisi35 (Nachansohn, «Freud's Libidotheorie vergleichen rait der Eroslehre Platos», Internat. Zeitschr. f. Psychoanal, III, 1915; Pfister, ibid., VII, 1921), e quando, nella sua famosa «Lettera ai Corinzi», l'apostolo Paolo esalta l'amore e lo mette al di sopra di tutto, egli lo concepisce indubbiamente in questo senso lato36 («Quand'anche parlassi le lingue degli uomini, perfino degli angeli, se non avessi l'amore sarei come il bronzo che rimbomba o un cembalo che risuona», Lettera ai Corinzi, II, 13), dal che si ricava che non sempre gli uomini prendono sul serio i grandi pensatori, anche quando hanno l'aria di ammirarli.

La psicoanalisi considera tutti questi tipi di amore, in base alla loro origine, come tendenze sessuali. In genere le persone «colte» hanno visto in questa denominazione come un'offesa e si sono vendicate scagliando contro la psicoanalisi l'accusa di «pansessualismo». Chi vede nella sessualità qualcosa di vergognoso e di umiliante per la natura umana, è libero di servirsi dei termini più distinti di Eros e di erotico. Io avrei potuto fare altrettanto fin dall'inizio, cosa che mi avrebbe risparmiato non poche obiezioni. Ma non l'ho fatto, perché non mi piace cedere alla pusillanimità. Non si sa fino a che punto ci può portare su questa via; si comincia co! cedere sulle parole e si finisce talvolta col cedere sulle cose. Io non trovo che sia un merito vergognarsi della sessualità; il termine greco Eros, col quale si pretende di attenuare questa vergogna, non è altro, in fondo, che la traduzione del nostro termine amore; e infine, chi sa attendere non ha bisogno di fare concessioni. Cercheremo dunque di dimostrare che anche la base dell'anima collettiva è formata da rapporti amorosi (o, per usare un'espressione più neutra, da attaccamenti affettivi). Ricordiamo che gli autori che abbiamo citati non fanno parola di questo. Ciò che potrebbe corrispondere a questi rapporti amorosi in loro è nascosto dietro il paravento della suggestione. D'altra parte il nostro tentativo è giustificato da due idee cui accenniamo di sfuggita. Innanzitutto, perché il gruppo mantenga la propria consistenza, è necessario che sia tenuto insieme da una qualche forza. E quale può essere questa forza, se non l'Eros che assicura l'unità e la coesione di tutto quanto esiste nel mondo? In secondo luogo, quando l'individuo, conglobato nel gruppo, rinuncia a quanto ha di personale e di particolare e si lascia suggestionare dagli altri, abbiamo l'impressione che lo faccia perché sente il bisogno di essere d'accordo, anziché in contrasto con loro; dunque, egli lo fa forse «per amore degli altri»37 [«Ihnen zu Liebe»: per gratificarli].

5. Due gruppi artificiali: la Chiesa e l'Esercito

Per quanto riguarda la morfologia dei gruppi, ricordiamo che se ne possono distinguere vari tipi e che, nella formazione e nella costituzione, essi possono seguire direzioni spesso opposte. Vi sono raggruppamenti molto transitori ed altri stabili, alcuni sono molto omogenei, composti da individui simili tra di loro, ed altri eterogenei; alcuni si sono formati naturalmente, ed altri sono tenuti insieme solo da una coercizione esterna; vi sono gruppi primitivi ed altri differenziati con una buona organizzazione.

Ma per ragioni di cui in seguito ci si renderà conto, noi insisteremo in modo particolare su una distinzione alla quale gli autori non hanno ancora prestato abbastanza attenzione, quella tra i gruppi senza un capo e i gruppi guidati da un capo. E, in netta opposizione rispetto a quanto fanno gli altri, non prenderemo come punto di partenza per le nostre ricerche una formazione collettiva semplice ed elementare, ma un gruppo permanente, tipico, con un grado di organizzazione molto elevato. Gli esempi più interessanti di queste formazioni ci sono forniti dalla Chiesa, cioè dalla comunità dei fedeli, e dall'Esercito. La Chiesa e l'Esercito sono gruppi artificiali, la cui coesione, cioè, è mantenuta da una coercizione esterna che nello stesso tempo si oppone alle modificazioni della loro struttura. In genere si fa parte di un gruppo di questo tipo senza essere stati consultati in anticipo se lo si desidera o no; non si è liberi di entrarvi o di uscirne come si vuole, ed i tentativi di evasione sono severamente puniti o subordinati a certe condizioni rigorosamente stabilite. Per il momento non abbiamo bisogno di sapere perché queste associazioni abbiano bisogno di simili garanzie. Quello che c'interessa è che questi gruppi altamente organizzati, protetti contro ogni possibilità di disgregazione, rivelano certe particolarità che negli altri non appaiono in modo manifesto.

Nella Chiesa (e ci è utile prendere come esempio quella cattolica) e nell'Esercito, per quante differenze possano presentare sotto altri aspetti, regna la stessa illusione, quella della presenza, visibile od invisibile, di un capo (il Cristo nella Chiesa cattolica, il comandante in capo nell'Esercito) che ama allo stesso modo tutti i membri della collettività. Tutto il resto è collegato a questa illusione; se questa scomparisse, l'Esercito e la Chiesa si disgregherebbero ben presto, nella misura permessa dal grado della coercizione esterna. Per quanto riguarda l'amore con cui il Cristo ama nello stesso modo tutti i suoi fedeli, senza eccezione e senza distinzione, esso è chiaramente espresso in queste parole: «tutto ciò che voi fate ad uno qualunque dei miei fratelli più umili, lo fate a me». Egli ha nei confronti degli individui che compongono la massa dei fedeli, l'atteggiamento di un fratello maggiore; egli sostituisce per loro il padre. La Chiesa è animata da un soffio di democrazia in quanto tutti sono uguali davanti al Cristo, perché tutti hanno un ugual diritto al suo amore. Siamo spinti ad insistere sull'analogia tra la comunità cristiana ed una famiglia, e sul fatto che i fedeli si considerano come fratelli nell'amore che il Cristo ha per loro, da una ragione profonda. Indubbiamente, il rapporto che lega ogni individuo al Cristo è la causa del rapporto tra ciascuno degli individui e gli altri. Lo stesso avviene nell'esercito; il capo è il padre che ama nello stesso modo tutti i suoi soldati, ed è per ciò che questi ultimi sono legati gli uni agli altri dal rapporto di cameratismo. Dal punto di vista strutturale, l'Esercito si distingue dalla Chiesa per il fatto di essere composto da una gerarchia stratificata: ogni capitano è, come il comandante in capo, il padre della propria compagnia, ogni sottufficiale il padre della propria sezione. Vero è che anche la Chiesa presenta una gerarchia di questo tipo, ma che non vi ha la stessa parte, in quanto si suppone che il Cristo conosca in precedenza i bisogni dei fedeli e si preoccupi di loro meglio di quanto non potrebbe fare un uomo eretto a capo.

Contro questa concezione della struttura libidica dell'Esercito si obietterà giustamente che essa non tiene conto delle idee di patria, di gloria nazionale, etc, che tanto contribuiscono a mantenere la sua coesione. E facile ribattere a questa obiezione dicendo che questi elementi di coesione sono di un ordine assolutamente diverso e per nulla semplice quanto si crede; e si può aggiungere che gli esempi di grandi capitani, come Cesare, Wallenstein, Napoleone, dimostrano che queste idee non sono affatto indispensabili per il mantenimento della coesione di un esercito. Più in là parleremo della possibile sostituzione del capo da parte di un'idea direttiva e dei rapporti sussistenti tra l'uno e l'altra. Quelli che trascurano questo fattore libidico dell'Esercito, anche quando non è il solo ad agire, non commettono solo un errore teorico ma creano anche un pericolo pratico. D'altronde il militarismo prussiano, che era altrettanto poco accessibile alla psicologia quanto alla scienza tedesca, ha dimostrato le conseguenze di questo ^errore e di questo pericolo nella grande guerra europea. È stato riconosciuto che le nevrosi di guerra che hanno disgregato l'esercito tedesco rappresentavano una protesta dell'individuo contro la parte che gli era assegnata, e si può affermare, sul fondamento della relazione di E. Simmel38 (Kriegsneurosen und Psychisches Trauma, München, 1918), che il primo posto tra le cause di queste nevrosi dev'essere attribuito al modo crudele e disumano in cui i capi avevano trattato i loro uomini. Se si fosse tenuto maggior conto di questa esigenza libidica dei soldati, i quattordici punti del presidente Wilson non avrebbero trovato tanto facilmente credito ed i capi militari tedeschi non si sarebbero visti distruggere nelle mani il magnifico strumento di cui disponevano.

Osserviamo che in questi due gruppi (Esercito, Chiesa) ogni individuo è unito da legami libidici al capo (il Cristo, il comandante in capo) da una parte, a tutti gli altri membri della comunità, dall'altra. Ci riserviamo di esaminare ulteriormente i rapporti sussistenti tra questi due tipi di legami, se essi siano della stessa natura ed abbiano la stessa importanza ed in quali termini psicologici li si potrebbe descrivere. Ma riteniamo di poter già ora rimproverare agli autori di non aver tenuto sufficientemente conto dell'importanza del capo nella psicologia collettiva, mentre la scelta del primo oggetto delle nostre ricerche ci ha posto in condizioni molto più favorevoli. Riteniamo di aver trovato la strada giusta per spiegare il fenomeno fondamentale della psicologia collettiva, cioè l'assenza di libertà che caratterizza l'individuo che fa parte di un gruppo. Infatti, dato che l'individuo è unito da solidi legami affettivi a due centri diversi, non avremo difficoltà a spiegare con questa circostanza anche la modificazione e la limitazione della sua personalità che sono state osservate e notate da tutti gli autori.

Per convincerci ancora di più che l'essenza di un gruppo consiste nei legami libidici che l'attraversano da parte a parte, come una fitta rete, ci basta analizzare il fenomeno del panico, quale si può osservare soprattutto nei militari. Il panico si verifica quando il gruppo comincia a disgregarsi. È caratterizzato dal fatto che non si obbedisce più agli ordini del capo e che ognuno si preoccupa solo di se stesso, senza badare affatto agli altri. I legami reciproci sono spezzati e tutti sono posseduti da una paura immensa, di cui nessuno potrebbe spiegare le ragioni. Naturalmente ci si potrà obiettare che noi capovolgiamo l'ordine dei fenomeni e che, al contrario, è la paura che, avendo preso proporzioni smisurate, ha spezzato tutti i legami e soffocato ogni altra considerazione. McDougall39 (Op. cit., p. 24) arriva a vedere nel panico l'esempio di ciò che egli chiama primary induction, esaltazione affettiva per contagio. Questa spiegazione razionale non è affatto soddisfacente, perché si tratta proprio di spiegare perché la paura abbia preso proporzioni così gigantesche. Non si può dare la colpa all'immensità del pericolo, perché questo stesso Esercito, che ora è in preda al panico, aveva già affrontato, impavido, pericoli altrettanto grandi, se non ancora maggiori, ed il panico è caratterizzato proprio dal fatto di essere sproporzionato rispetto al pericolo e di scatenarsi spesso per cause insignificanti. Quando l'individuo, preso dalla paura panica, comincia a preoccuparsi solo di se stesso, dimostra, in tal modo, la rottura dei legami affettivi che sino ad allora avevano attenuato ai suoi occhi il pericolo. A questo punto egli ha la sensazione di trovarvisi di fronte da solo, il che lo porta ad esagerare la sua gravità. Dunque, possiamo dire che il panico presuppone l'attenuazione, l'allentamento della struttura libidica del gruppo e agisce conseguentemente a questo allentamento; e invece non corrisponde alla realtà dei fatti l'opinione contraria, che vede nella paura del pericolo la causa della distruzione dei legami libidici.

Queste osservazioni non infirmano in niente la concezione di McDougall, per cui la paura collettiva può giungere a proporzioni straordinarie sotto l'influsso dell'induzione (contagio) . Questa concezione si presta meglio alla spiegazione dei casi in cui si tratta di un pericolo veramente grande e di un gruppo la cui coesione non è assicurata da alcun legame affettivo. Il caso tipico di questo genere è quello di un incendio che scoppia in un teatro o in una sala di riunione. Ma il caso più interessante e che si accorda meglio con la nostra dimostrazione è quello di un corpo armato preso dal panico di fronte ad un pericolo che non supera la misura ordinaria e che è stato affrontato molte volte con calma e sangue freddo. D'altronde, il termine «panico» non ha un significato netto ed univoco. Talvolta sta ad indicare la paura collettiva, altre volte quella individuale, nei casi in cui va oltre ogni misura, ed inoltre spesso questo termine è riservato ai casi in cui l'esplosione della paura non è giustificata dalle circostanze. Dando al termine «panico» il significato di paura collettiva, possiamo stabilire una analogia molto importante. La paura nell'individuo è provocata o dalla gravità del pericolo o dalla cessazione di legami emotivi (catessi della libido); quest'ultimo caso è quello dell'angoscia nevrotica40 (V. Introduzione alla psicoanalisi, Lettura xxv). Nello stesso modo, il panico si verifica sia per l'aggravarsi del pericolo che minaccia tutti, sia per il venir meno dei legami affettivi che assicuravano la coesione del gruppo; e, in quest'ultimo caso, l'angoscia collettiva presenta delle analogie con quella nevrotica41 (Cfr. l'interessantissimo, anche se un po' fantastico, articolo di Béla Felszeghy, «Panik und Panikkomplex», Imago, VI, 120).

Considerando il panico, con McDougall42 (Op. cit.), come una delle manifestazioni più caratteristiche del group mind, si arriva a questo risultato paradossale: che l'anima collettiva si dissolve nel momento stesso in cui manifesta la sua proprietà più caratteristica, e proprio a causa di questa manifestazione. È fuor di dubbio che il panico voglia dire disgregazione della massa, e che abbia come conseguenza la scomparsa di ogni legame tra i membri di questa.

Nell'opera che Nestroy ha scritto per parodiare il dramma di Hebbel Giuditta e Oloferne, un guerriero grida: «Il capo ha perso la testa»; e subito tutti gli Assiri si danno alla fuga. Qui noi abbiamo un esempio tipico di come scoppia il panico, cui spesso basta un pretesto insignificante. Anche quando il pericolo rimane lo stesso, perché si verifichi il panico basta che si sia senza notizie del capo, che lo si creda perso o scomparso. Insieme ai legami che li univano al capo, generalmente scompaiono anche quelli che univano tra di loro i membri del gruppo, che si disgrega.

Non è altrettanto facile osservare la disgregazione di un gruppo religioso. Ho avuto di recente l'occasione di scorrere un romanzo inglese, scritto con spirito cristiano e raccomandato dal vescovo di Londra. Questo romanzo, intitolato When it was dark, descrive con molta abilità e, secondo me, con esattezza le vicende di una simile eventualità. L'autore immagina una cospirazione ordita da nemici di Cristo e della fede cristiana che pretendono di essere riusciti a ritrovare a Gerusalemme una tomba, e, nella tomba, un'iscrizione nella quale Giuseppe d'Arimatea confessa di avere, per compassione, tolto clandestinamente, tre giorni dopo le sue esequie, il corpo di Cristo per trasportarlo in questa tomba. Questa scoperta archeologica significa la rovina dei dogmi della resurrezione di Cristo e della sua natura divina e porta al vacillamento della cultura europea e ad uno straordinario aumento del numero di violenze e di crimini di tutti i tipi, fino al giorno in cui il complotto dei falsari viene scoperto e denunciato.

In questa presunta decomposizione del gruppo religioso non si manifesta la paura, che non ha alcuna ragion d'essere, ma si rivelano gli impulsi ostili nei confronti degli altri, impulsi che fino ad allora non hanno potuto esprimersi per l'amore comune in cui il Cristo univa tutti gli uomini43 (V. la spiegazione di fenomeni analoghi, sopravvenuti dopo la caduta dell'autorità patriarcale, in Die Vawrlose Gesellschaft, di P. Federn, Vienna, 1919). Anche mentre il Cristo regna ci sono uomini che si trovano al di fuori di questi legami: sono coloro che non fanno parte della comunità dei credenti, che non amano il Cristo e non ne sono amati. È per questo che una religione, anche quando si qualifica come una religione d'amore, deve essere severa e trattare senza amore quelli che non ne fanno parte. In fondo, ogni religione è una religione d'amore per quelli che vi partecipano, e tutti sono disposti a dimostrarsi crudeli ed intolleranti nei confronti di coloro che non li riconoscono.

Qualunque pregiudizio personale si possa avere, non si deve rimproverare troppo al credente la sua intolleranza; gli infedeli e gli indifferenti fanno bene, dal punto di vista psicologico, a dimostrarsi estranei a questi sentimenti. Se questa intolleranza non prende più, al giorno d'oggi, le forme di violenza e di crudeltà che in altri tempi l'avevano caratterizzata, ci si ingannerebbe volendo vedere in ciò una conseguenza del mitigamento dei costumi degli uomini. Bisogna piuttosto ricercarne la causa nell'incontestabile indebolimento dei sentimenti religiosi e dei legami libidici che ne derivano.

Un'altra formazione collettiva prenda il posto della comunità religiosa (e questo sembra il caso del partito comunista), e la si vedrà subito manifestare, nei confronti di coloro che ne saranno rimasti al di fuori, la stessa intolleranza che caratterizzava le lotte religiose; e se le differenze sussistenti tra le concezioni scientifiche potessero acquistare, agli occhi delle masse, un'importanza pari a quella delle differenze religiose, si vedrebbe indubbiamente, e per le stesse ragioni, verificarsi lo stesso risultato.

6. Nuovi problemi e nuovi orientamenti di ricerca

Nel capitolo precedente abbiamo esaminato due gruppi artificiali, e abbiamo trovato che sono dominati da legami affettivi di due ordini; quelli del primo ordine, che uniscono gli individui al capo, sembrano più importanti, almeno per loro, di quelli che uniscono gli individui gli uni agli altri.

Riguardo alla struttura dei gruppi, vi sarebbero molte cose da esaminare e da descrivere. Bisognerebbe cominciare con lo stabilire che un semplice assembramento di persone non costituisce un gruppo, in quanto i legami di cui parlavamo sopra non vi sono ancora formati, ma bisognerebbe anche riconoscere che qualunque raggruppamento di persone manifesta una forte tendenza a trasformarsi in un gruppo psicologico. Bisognerebbe esaminare da vicino i vari tipi di raggruppamenti, più o meno stabili, che si formano spontaneamente, e studiare le condizioni della loro composizione e decomposizione. Si potrebbe anche esaminare se i gruppi che hanno un capo non siano i più primitivi e i più completi; se, in certi gruppi, il capo non possa essere sostituito da un'astrazione, un'idea (i gruppi che ubbidiscono a un capo invisibile si accostano appunto a quest'ultima forma); se una tendenza, un desiderio che possa essere condiviso da un gran numero di persone non sarebbero in grado di agire come questa sostituzione. Ed allora l'astrazione non potrebbe, a sua volta, incarnarsi più o meno perfettamente nella persona di un capo secondario, con interessanti rapporti tra il capo e l'idea? Non può darsi la possibilità che il capo o l'idea abbiano, per così dire, un carattere negativo, cioè che l'odio per una certa persona sia in grado di operare la stessa unione e di creare gli stessi legami affettivi che nel caso di una devozione positiva nei confronti di questa persona? Ed, infine, ci si potrebbe chiedere se la presenza di un capo sia una condizione indispensabile perché un assembramento di persone si trasformi in un gruppo psicologico.

Tutti questi problemi, alcuni dei quali sono trattati nelle opere sulla psicologia collettiva, non potrebbero sviare il nostro interesse dai problemi psicologici fondamentali che ci vengono proposti dalla struttura del gruppo. Ed ecco anzitutto una riflessione che ci indica il cammino più breve da seguire per avere la conferma della natura libidica dei legami che mantengono la coesione di un gruppo.

Cerchiamo di raffigurarci in che modo gli uomini si comportino gli uni nei confronti degli altri dal punto di vista affettivo. Secondo la celebre parabola dello Schopenhauer, nessuno di noi sopporterebbe un'unione troppo intima con i propri simili44 (Parerga und Paralipomena, parte II, cap. XXXI: «Gleichnisse und Parabeln»: «In una gelida giornata invernale, i porcospini di un gruppo si serrarono gli uni contro gli altri per proteggersi dal freddo col calore reciproco. Ma, dolorosamente punti dalle spine, non tardarono a discostarsi di nuovo. Costretti a riawicinarsi dal freddo persistente, provarono un'altra volta il fastidio delle spine, e questo alterno riawicinarsi ed allontanarsi durò finché non ebbero trovato una giusta distanza in cui erano al riparo da entrambi i mali»).

Secondo i risultati della psicoanalisi, tutti i rapporti affettivi intimi, più o meno lunghi, tra due persone - rapporti coniugali, amicizie, rapporti tra genitori e figli45 (Con la sola eccezione dei rapporti tra madre e figli, rapporti che, essendo fondati sul narcisismo, non sono turbati da un'ulteriore rivalità; al contrario, sarebbero rinforzati da una derivazione verso l'oggetto sessuale) - lasciano un residuo di sentimenti ostili o quanto meno sfavorevoli, di cui ci si riesce a sbarazzare solo con la rimozione. La situazione è più chiara nel caso di due amici che passano tutto il tempo a litigare o in quello di un subordinato che sta sempre a borbottare contro il suo superiore. Lo stesso fatto si verifica quando gli uomini sono riuniti in un complesso più vasto. Tutte le volte che due famiglie si uniscono con un matrimonio, ognuna si considera superiore all'altra, più distinta dell'altra; due città vicine si fanno reciprocamente una concorrenza gelosa; ogni piccolo cantone è pieno di disprezzo per quello vicino. Gruppi etnici dello stesso ceppo si respingono reciprocamente: il tedesco del Sud non sopporta il tedesco del Nord, l'inglese dice tutto il male possibile dello scozzese, lo spagnolo disprezza il portoghese. L'avversione diventa tanto più profonda quanto più sono pronunciate le differenze: ed ecco l'avversione dei Galli per i Germani, degli Ariani per i Semiti, dei bianchi per la gente di colore.

Quando l'ostilità è rivolta contro persone care, diciamo che si tratta di un'ambivalenza affettiva, e cerchiamo la spiegazione, forse troppo razionale, di questo fenomeno, nei tanti motivi di conflitti in quegli interessi che hanno appunto origine in rapporti molto stretti. Nei sentimenti di repulsione e di avversione che si provano nei confronti di estranei con i quali ci si trova a contatto possiamo vedere l'espressione di un egotismo, di un narcisismo che cerca di affermarsi e si comporta come se la minima divergenza rispetto alle sue proprietà e particolarità individuali implicasse una loro critica e come un invito a modificarle, a trasformarle. Perché proprio questi particolari della differenziazione sono l'oggetto di una sensibilità così acuta? Lo ignoriamo; ma quello che è certo è che questo modo di comportarsi degli uomini rivela una propensione all'odio, un'aggressività la cui origine ci è ignota ed alla quale possiamo attribuire un carattere elementare46 ( Nel saggio che ho recentemente pubblicato Al di là del principio del piacere, io cerco di ricollegare la polarità amore-odio ad una contrapposizione tra istinti di vita ed istinti di morte e di dimostrare che gli istinti sessuali sono i più autentici rappresentanti della prima categoria).

Ma tutta questa intolleranza scompare, momentaneamente o in modo duraturo, nel gruppo. Finché sussiste la formazione collettiva, gli individui si comportano come se fossero fatti sul modello del loro capo, sopportano tutte le caratteristiche dei loro vicini, si considerano uguali a loro e non provano per essi la minima avversione. Conformemente alle nostre concezioni teoriche, una simile restrizione del narcisismo può derivare dall'azione di un solo fattore: dall'attaccamento libidico ad altri. L'egoismo trova un limite solo nell'amore per gli altri, nell'amore rivolto ad oggetti47 (Vedi il mio scritto «Introduzione al narcisismo», 1914 ). A questo proposito ci si potrebbe chiedere se una semplice associazione di interessi, senza l'intervento di un qualunque elemento libidico, non sia tale da comportare la tolleranza reciproca ed il rispetto per gli altri. A questa domanda è facile rispondere che in questo caso non può trattarsi di una limitazione permanente del narcisismo, perché nelle associazioni di questo tipo la tolleranza non dura più a lungo dell'immediato vantaggio che si trae dalla collaborazione con gli altri. D'altronde il valore pratico di questa domanda è minore di quanto non si potrebbe credere dato che l'esperienza ha dimostrato che, anche nelle associazioni di semplice collaborazione, si stabiliscono sempre rapporti libidici tra gli associati, e che questi rapporti sopravvivono ai vantaggi esclusivamente pratici che ciascuno trae da questa collaborazione.

Nei rapporti sociali tra gli uomini ritroviamo i fatti che la ricerca psicoanalitica ci ha permesso di osservare nello sviluppo della libido individuale. La libido è collegata alla soddisfazione dei grandi bisogni vitali e sceglie come suoi primi oggetti le persone la cui azione contribuisce a questa soddisfazione. E nell'evoluzione dell'umanità, come dell'individuo, l'amore si è rivelato il principale, se non l'unico, fattore di civilizzazione, determinando il passaggio dall'egoismo all'altruismo. E questo è vero sia rispetto all'amore sessuale per la donna, con tutte le necessità che ne derivano di aver cura della persona amata, che rispetto all'amore asessuato, omosessuale e sublimato per altri uomini, che nasce dal lavoro comune.

Così, se noi osserviamo nel gruppo delle limitazioni all'egoismo narcisistico che non si manifestano al di fuori di esso, dobbiamo vedere in ciò una prova inconfutabile del fatto che una formazione collettiva è anzitutto ed essenzialmente caratterizzata dallo stabilirsi di nuovi legami affettivi tra i suoi membri.

Il problema che si pone e si impone a questo punto è quello di sapere di che genere siano questi nuovi legami affettivi. Finora nella teoria psicoanalitica delle nevrosi ci siamo occupati in modo quasi esclusivo delle tendenze erotiche che, nella loro fissazione ad oggetti, perseguono anche degli scopi sessuali diretti. Evidentemente, per quanto riguarda il gruppo, non si può parlare di scopi sessuali. Qui ci troviamo di fronte a tendenze che, senza perder niente della loro energia, sono state deviate dai loro scopi primitivi. Bene, anche nell'ambito della normale fissazione sessuale ad oggetti abbiamo osservato fenomeni che possono essere interpretati come una deviazione dell'istinto dal suo scopo sessuale. Abbiamo descritto questi fenomeni come altrettanti gradi dello stato amoroso ed abbiamo visto che essi comportavano una certa limitazione dell'Io. Adesso esamineremo con particolare attenzione questi fenomeni caratteristici dello stato amoroso nella speranza, che mi sembra fondata, di trarne conclusioni che possano essere applicate ai rapporti affettivi tra gli individui di un gruppo. Vorremmo inoltre sapere se il modo di fissazione ad un oggetto, quale lo si osserva nella vita sessuale, è il solo possibile attaccamento affettivo ad un'altra persona o se dobbiamo tenere conto anche di altri meccanismi di questo genere. Bene, la psicoanalisi ci dimostra appunto l'esistenza di questi altri meccanismi: si tratta delle identificazioni, processi non ancora abbastanza conosciuti, diffìcili da descrivere ed il cui esame ci terrà lontani, per un po' di tempo, dal nostro soggetto, cioè la psicologia collettiva.

7. L'identificazione

La psicoanalisi vede nell'«identificazione» la prima manifestazione di  un attaccamento affettivo ad un'altra persona.

Questa identificazione ha una parte importante nel Complesso d'Edipo nelle prime fasi della sua formazione. Il bambino manifesta un grande interesse per suo padre: egli vorrebbe divenire ed essere ciò che egli è, sostituirlo sotto tutti gli aspetti. Diciamolo tranquillamente: egli fa di suo padre il proprio ideale. Questo atteggiamento nei confronti del padre (e di ogni altro uomo, in generale) non ha niente di passivo o di femminile, anzi è essenzialmente maschile, si accorda molto bene col complesso d'Edipo che contribuisce a preparare.

Contemporaneamente a questa identificazione, o poco più tardi, il bambino comincia a rivolgere i propri desideri libidici verso sua madre. Allora manifesta due tipi di attaccamenti, psicologicamente differenti: un attaccamento per la madre, come un oggetto puramente sessuale, ed un'identificazione con il padre, considerato come un modello da imitare. Questi due sentimenti sussistono per un po' di tempo l'uno accanto all'altro, senza influire reciprocamente e senza disturbarsi. Ma via via che la vita psichica tende all'unificazione, questi sentimenti si avvicinano l'uno all'altro, finiscono con l'incontrarsi, ed è da questo incontro che deriva il normale complesso d'Edipo. Il piccolo si accorge che il padre gli sbarra il cammino verso la madre; la sua identificazione col padre riceve da questo fatto una tinta ostile e finisce col confondersi con il desiderio di sostituire il padre anche presso la madre. D'altra parte, fin dagli inizi l'identificazione è bivalente; essa può essere orientata sia nel senso della tenerezza che del desiderio di soppressione. Si comporta come un prodotto della prima fase, della fase orale dell'organizzazione della libido, nella quale si incorporava l'oggetto desiderato mangiandolo, cioè sopprimendolo. E noto che il cannibale è rimasto a questa fase: egli mangia volentieri i suoi nemici e non mangia coloro che ama48. (V. Freud, Tre saggi sulla sessualità; Abraham, «Untersuchungen über die früheste prägenital Entwicklungsstufe der Libido», in Internat. Zeitschr. f. Psy-choanal., IV, 1916, e Klinische Beitrage zur Psychoanalyse, dello stesso autore, Internat. psychoanalyt. Bibliothek, vol. X)

Si perdono facilmente di vista le successive vicende di questa identificazione; può accadere che il complesso d'Edipo subisca un'inversione, che il padre divenga, per una specie di femminilizzazione, l'oggetto da cui le tendenze sessuali si aspettano la soddisfazione; in questi casi, l'identificazione col padre costituisce la fase preliminare della sua oggettivazione sessuale. Altrettanto, mutatis mutandis, si può dire della bambina nel suo atteggiamento nei confronti della madre.

E' facile esprimere con una formula questa differenza tra l'identificazione col padre e l'attaccamento ad esso come oggetto sessuale; nel primo caso, il padre è ciò che si vorrebbe essere; nel secondo, ciò che si vorrebbe avere. Nel primo caso è interessato il soggetto dell'Io, nel secondo caso il suo oggetto. È per questo che l'identificazione è possibile prima di ogni scelta dell'oggetto. Dare di questa differenza una descrizione metapsicologica concreta è molto più difficile. Tutto ciò che si può osservare è che l'Io cerca di rendersi simile a ciò che si è proposto come modello.

In un sistema nevrotico l'identificazione è collegata ad un complesso più intricato. La bambina, di cui ora ci occuperemo, contrae lo stesso sintomo morboso di sua madre, ad esempio una tosse fastidiosa. Ciò può accadere in molti modi diversi: o l'identificazione è uguale a quella che deriva dal complesso di Edipo, cioè sta ad indicare il desiderio ostile di prendere il posto della madre, nel qual caso il sintomo esprime la tendenza erotica verso il padre; questo sintomo realizza la sostituzione alla madre sotto l'influsso del senso di colpa: «Tu volevi essere la madre; ebbene, ora lo sei, se non altro per il fatto che provi le sue stesse sofferenze»; è tutto il meccanismo della formazione dei sintomi isterici. Oppure il sintomo è lo stesso che nella persona amata (così, in Bruchstuck einer Hysterie-Analyse, Dora imita la tosse del padre): in questo caso possiamo descrivere la situazione dicendo che V identificazione ha preso il posto della tendenza erotica, che questa si è trasformata, per regressione, in un 'identificazione. Sappiamo già che l'identificazione rappresenta la forma più primitiva dell'attaccamento affettivo; nelle condizioni in cui si forma il sintomo e, di conseguenza, la rimozione, sotto l'influsso anche dei meccanismi dell'inconscio, succede spesso che la scelta dell'oggetto libidico ceda nuovamente il posto all'identificazione, cioè che l'Io assorba, per così dire, le caratteristiche dell'oggetto. E il caso di osservare che, in queste identificazioni, l'Io imita sia la persona non amata che la persona amata. E possiamo constatare che in entrambi i casi l'identificazione è solo parziale, assolutamente limitata, che l'Io si limita a prendere all'oggetto un suo aspetto.

In un terzo caso, particolarmente frequente e significativo di formazione di sintomi, l'identificazione avviene al di fuori ed indipendentemente da ogni atteggiamento libidico nei confronti della persona imitata. Quando una giovane collegiale riceve da colui che ama in segreto una lettera che suscita la sua gelosia ed alla quale reagisce con una crisi isterica, alcune delle sue amiche, al corrente del fatto, subiranno, per così dire, il contagio psichico ed avranno a loro volta una crisi. Il meccanismo al quale assistiamo in questo caso è quello della identificazione, resa possibile dalla disposizione a mettersi in una certa situazione o dalla volontà di farlo. Le altre possono avere anche esse una faccenda sentimentale segreta e, sotto l'influsso del senso di colpa, accettare la sofferenza che questo fatto comporta. Ma sarebbe inesatto affermare che esse assimilano il sintomo della loro amica per simpatia. Al contrario, la simpatia nasce solo dall'identificazione e ne abbiamo la prova nel fatto che un contagio o imitazione di questo tipo si verifica nei casi in cui tra due persone determinate c'è ancora meno simpatia che tra due compagne di collegio. Uno degli Io ha percepito nell'altro una importante analogia su un certo punto (nel nostro caso si tratta di un grado di sentimentalismo ugualmente intenso): si verifica subito un'identificazione relativa a questo punto e, sotto l'influsso della situazione patogena, questa identificazione porta al sintomo che si è manifestato nell'Io imitato. Così l'identificazione per sintomo viene ad informarci sul punto d'incontro dei due Io, punto d'incontro che doveva, in fondo, restare rimosso.

Possiamo riassumere ciò che abbiamo appreso da queste tre fonti in questo modo: innanzitutto, l'identificazione costituisce la forma più primitiva dell'attaccamento affettivo ad un oggetto; in secondo luogo, in seguito ad una trasformazione regressiva, essa prende il posto di un attaccamento libidico per l'oggetto, e questo per una specie d'introiezione dell'oggetto nell'Io; in terzo luogo, l'identificazione può aver luogo ogni volta che una persona scopre in sé un aspetto comune con un'altra persona, senza che questa costituisca per lei un oggetto di desideri libidici. Più gli aspetti saranno importanti e numerosi, e più l'identificazione sarà completa e corrisponderà all'inizio di un nuovo attaccamento.

Possiamo già intuire che il reciproco attaccamento che sussiste tra gli individui che compongono un gruppo deve risultare da una simile identificazione, fondata su di una comunanza affettiva; e possiamo supporre che questa ultima sia costituita dalla natura del legame che unisce ogni individuo al capo.  Inoltre ci rendiamo conto che non abbiamo affatto esaurito il problema della identificazione, che ci troviamo di fronte al processo noto in psicologia sotto il nome di Einfuhlung (assimilazione di sentimenti altrui) e che ha una parte molto importante grazie alle possibilità che ci offre di penetrare l'animo di persone estranee al nostro Io. Tuttavia, volendoci limitare agli effetti affettivi immediati dell'identificazione, lasceremo da parte l'importanza che essa presenta per la nostra vita intellettuale.

La ricerca psicoanalitica che, quando se ne è presentata l'occasione, si è occupata anche dei più complessi problemi relativi alle psicosi, ha potuto constatare l'esistenza della identificazione in certi altri casi la cui interpretazione non è facile. Parlerò in modo particolareggiato, in vista delle nostre riflessioni successive, di due di questi casi.

La genesi dell'omosessualità maschile è, nella maggior parte dei casi, la seguente: il giovane è rimasto troppo a lungo, ed in modo troppo intenso, fissato alla madre, al complesso d'Edipo. Una volta raggiunta la pubertà, arriva il momento in cui egli deve sostituire alla madre un altro oggetto sessuale. Allora si verifica una modificazione nell'orientamento: invece di rinunciare alla madre, egli si identifica con essa, si trasforma in essa e ricerca oggetti che possano sostituire il suo Io e che possa amare e curare come egli stesso è stato amato e curato dalla madre. Si tratta di un processo la cui realtà possiamo constatare quando vogliamo e che, naturalmente, è assolutamente indipendente dall'ipotesi che si potrebbe formulare circa le ragioni ed i motivi di questa improvvisa trasformazione. Questa identificazione ci colpisce per la sua vastità: l'individuo subisce una trasformazione relativamente ad un aspetto importantissimo, evidentemente quello sessuale, secondo il modello della persona che fino ad allora era stata il suo oggetto libidico. Allora questo stesso oggetto viene del tutto abbandonato, oppure resta celato nell'inconscio. D'altra parte, questo è un punto che non rientra nella nostra discussione: tutti questi fatti non costituiscono più per noi delle novità. In certi casi, questo processo può essere osservato direttamente nel bambino. Nel-l'«Internationale Zeitschrift fùr Psychoanalyse» è stata riportata la relazione sull'osservazione di un bambino che, avendo avuto la disgrazia di perdere un gattino, dichiarò improvvisamente di essere lui stesso questo gattino, si mise a camminare con quattro gambe, non voleva più mangiare a tavola etc.50. (Marcuszewicz,   «Beitrag   zum   autistischen   Denken   bei   Kindern»,  Inlernat. Zeitschr. f. Psychoanal., VI, 1920)

Un altro esempio di introiezione dell'oggetto ci è stato fornito dall'analisi della melancolia, stato determinato nella maggior parte dei casi dalla perdita reale o affettiva di un oggetto amato. Questo caso è caratterizzato soprattutto dalla crudele autoumiliazione dell'Io: il malato stesso si colma di critiche spietate e di rimproveri sferzanti. L'analisi ha dimostrato che questi rimproveri e queste critiche sono rivolte, in realtà, all'oggetto, ed esprimono la vendetta esercitata dall'Io su di esso. Come ho detto altrove, l'ombra dell'oggetto si è proiettata sull'Io51 (V. «Lutto e melancolia», 1917). In questo senso l'introiezione dell'oggetto è chiarissima.

Ma queste melancolie ci rivelano altri particolari che possono essere importanti per le nostre ricerche successive. Esse ci mostrano l'Io diviso, spezzato in due parti, una delle quali si accanisce contro l'altra. Quest'altra parte è quella che è stata trasformata dall'introiezione dell'oggetto perduto, che lo racchiude. Ma conosciamo altrettanto bene la parte che si dimostra così crudele nei confronti della sua vicina. Essa rappresenta la «voce della coscienza», l'istanza critica dell'Io; pur manifestandosi anche in periodi normali, non si dimostra mai così ingiusta e spietata. Già in precedenza52 (Vedi nel mio saggio sul narcisismo [cit.] e in «Lutto e melancolia») siamo stati costretti ad ammettere la formazione, nell'Io, di una simile istanza, in grado di separarsi dall'altro Io e di entrare in conflitto con esso. Lo abbiamo chiamato ideale dell'Io e gli abbiamo attribuito come funzioni l'autoosservazione, la coscienza morale, la censura dei sogni e la parte decisiva nella rimozione. Allora dicevamo che questo ideale dell'Io era l'erede del narcisismo in cui l'Io infantile bastava a se stesso. Poco a poco questo comincia a sentire, sotto l'influsso dell'ambiente, tutte le esigenze che questo pone all'Io, che non sempre è capace di soddisfarle, di modo che nei casi in cui l'uomo crede di avere delle ragioni per essere scontento di se stesso, possa tuttavia provare la propria soddisfazione nell'ideale dell'Io che si è differenziato dall'Io. Inoltre abbiamo stabilito che nel delirio di autoosservazione è possibile cogliere sul vivo la decomposizione di questa istanza e fare risalire le sue origini all'influenza di autorità, e soprattutto a quella dei genitori53 ( Sezione 3 del mio saggio sul narcisismo). Abbiamo anche aggiunto che la distanza tra questo ideale dell'Io e l'Io reale varia da un individuo all'altro, e che in molte persone questa differenziazione nell'ambito dell'Io non è superiore a quella del bambino.

Ma prima di poter utilizzare tutto questo materiale per la spiegazione dell'organizzazione libidica di un gruppo, dobbiamo considerare qualche altro rapporto reciproco tra l'oggetto e l'Io54 ( Sappiamo benissimo che con questi esempi attinti alla patologia non abbiamo esaurito il problema della natura dell'identificazione e che abbiamo lasciato intatta una parte dell'enigma che le formazioni collettive presentano. Per esaurire questo soggetto bisognerebbe dedicarsi ad un'analisi psicologica molto più ampia e profonda. Partendo dall'identificazione e seguendo una certa direzione, si arriva, attraverso l'imitazione, all'Einfùhlung, cioè alla comprensione del meccanismo che permette, in generale, di prendere un determinato atteggiamento nei confronti di un'altra vita psichica. Anche nelle manifestazioni di un'identificazione già realizzata ci sono ancora molti punti da chiarire. Tra l'altro, l'identificazione porta ad opporsi all'aggressione contro la persona con la quale ci si è identificati, ad aver cura di lei, e venirle in aiuto. Lo studio dì queste identificazioni, in quanto esse sono, per esempio, alla base della comunità costituita dal clan, ha rivelato a Robertson Smith questo sorprendente risultato, che esse si fondano sul riconoscimento di una sostanza comune (Kinship and Marriage, 1885) e possono, perciò, sorgere dalla partecipazione ad un banchetto in comune. Questa particolarità permette di ricollegare le identificazioni di questo genere alla storia primitiva della famiglia umana, quale io l'ho descritta in Totem e tabù.).

8. Stato amoroso e ipnosi

Anche nelle sue evoluzioni, il linguaggio corrente resta fedele ad una qualche realtà. Così, esso designa col termine «amore» rapporti affettivi molto diversi, che noi riuniamo teoricamente sotto la stessa denominazione, senza però specificare che con questa parola bisogna intendere l'amore vero, nel senso proprio del termine, e venendo così ad ammettere implicitamente la possibilità di una gerarchia di gradi nell'ambito del fenomeno dell'amore. Non ci sarà difficile dimostrare con dati tratti dall'osservazione l'esistenza di una simile gerarchia.

In un certo numero di casi l'amore è solo un attaccamento libidico ad un oggetto; suo fine è la soddisfazione sessuale diretta, e l'attaccamento cessa dal momento in cui questa soddisfazione è realizzata: si tratta dell'amore comune, sensuale. Ma noi sappiamo che non sempre la situazione libidica si presenta con questa semplicità. La certezza che il bisogno appena appagato si sarebbe ben presto ridestato è stata probabilmente la ragione principale dell'attaccamento permanente all'oggetto sessuale, della persistenza deIl'«amore» per questo oggetto, anche negli intervalli in cui non si provava il bisogno sessuale.

Da questo sviluppo notevole della vita amorosa dell'uomo deriva anche un'altra conseguenza. Nella prima fase della sua vita, fase che in genere termina col quinto anno, il bambino trova in uno dei genitori il suo primo oggetto d'amore, e su questo si concentrano le sue tendenze sessuali che vogliono soddisfazione. La rimozione che si verifica alla fine di questa fase impone la rinuncia alla maggior parte di questi scopi sessuali infantili e comporta una profonda modificazione nell'atteggiamento del bambino nei confronti dei suoi genitori. Egli resta senz'altro attaccato a loro, ma attraverso istinti che si definiscono «inibiti nello scopo». I sentimenti che egli oramai prova per queste persone care si possono definire «teneri». Sappiamo bene che le precedenti tendenze «sensuali» persistono, con maggiore o minore intensità, nell'inconscio e che perciò, in un certo senso, la corrente primitiva continua a scorrere55 (Tre saggi sulla sessualità, 1902).

Con la pubertà, sorgono nuove tendenze, molto intense, rivolte verso scopi sessuali diretti. Nei casi peggiori queste, in quanto tendenze sensuali, restano separate dal persistente flusso di sentimenti «teneri». Si ha allora il quadro i cui due aspetti sono stati tanto spesso idealizzati da certe correnti letterarie. L'uomo è pieno di venerazione per donne che gli ispirano un profondo rispetto, ma nessun sentimento amoroso, e si sente per contro eccitato solo di fronte ad altre donne che non «ama», che stima poco (quando addirittura non le disprezza)56 («Über die allgemeine Erniedrigung des Liebeslebens», in Sammlung, 1912). Molto spesso l'adolescente riesce, in certa misura, ad operare la sintesi dell'amore platonico, spirituale, e dell'amore sessuale, terrestre, nel qual caso il suo atteggiamento nei confronti dell'oggetto sessuale è caratterizzato dall'azione simultanea di tendenze libere e di tendenze ostacolate. La misura dell'amore vero, in contrapposizione col desiderio puramente sessuale, è data dalla parte che l'una e l'altra hanno nella vita sessuale dell'uomo adulto.

Nel quadro di questo «amore vero» siamo stati colpiti sin dall'inizio dal fatto che l'oggetto amato si trova, in certa misura, sottratto alla critica, che tutte le sue qualità sono apprezzate più di quelle della persona non amata o più di quanto non lo fossero quando la persona non era ancora amata. Quando le tendenze sessuali si trovano più o meno rimosse o nascoste, si vede sorgere l'illusione che l'oggetto sia amato anche  sensualmente,  a  causa  delle  sue qualità psichiche, mentre, al contrario, molto spesso gli si attribuiscono queste qualità psichiche sotto l'influsso del piacere sensuale che esso procura.

Qui il giudizio è falsato dall'idealizzazione. Ma questo fatto facilita la nostra impostazione: noi vediamo chiaramente che l'oggetto è trattato come l'Io proprio del soggetto e che in questo stato amoroso una certa parte della libido narcisistica viene ad essere trasferita sull'oggetto. In certe forme di scelta amorosa è pure evidente che l'oggetto serve a sostituire un ideale che l'Io vorrebbe incarnare nella propria persona, senza riuscire a realizzarlo. Si ama l'oggetto per la perfezione che si vorrebbe per il proprio Io e con questo stratagemma si cerca di soddisfare il proprio narcisismo.

Via via che l'esagerazione dell'importanza che si attribuisce all'oggetto e lo stato amoroso divengono più evidenti, è più facile dare un'interpretazione di tutto il quadro. Le tendenze rivolte alla soddisfazione sessuale diretta possono subire una repressione completa, come spesso succede nell'amore poetico dell'adolescente; l'Io diventa sempre meno esigente, sempre più modesto, mentre l'oggetto diventa sempre più magnifico e prezioso, attira su di sé tutto l'amore che l'Io poteva provare per se stesso, il che può portare al suo completo sacrificio. L'oggetto assorbe, divora, per così dire, l'Io. In ogni stato amoroso si trova una tendenza all'umiliazione, alla limitazione del narcisismo, all'annientamento davanti alla persona amata; nei casi estremi questi aspetti sono esasperati e, dopo la scomparsa delle esigenze sensuali, dominano da soli la scena.

Ciò si nota soprattutto nell'amore infelice, non ricambiato, perché nell'amore condiviso ogni soddisfacimento sessuale è seguito da una diminuzione del grado di idealizzazione che si accorda all'oggetto. Contemporaneamente a questo «abbandono» dell'Io all'oggetto, che non si differenzia in niente da-l'abbandono sublime ad un'idea astratta, vengono meno le funzioni rivolte a quello che l'Io considera come il proprio ideale. Non c'è più critica: tutto ciò che l'oggetto fa e vuole è buono ed irreprensibile. Quando si tratta di qualcosa che può essere positivo per l'oggetto, la voce della coscienza non si fa più sentire; nell'accecamento amoroso, si diviene criminali senza rimorsi. Tutta la situazione può essere riassunta in questa formula: l'oggetto ha preso il posto di quello che era l'ideale dell'Io.

È facile descrivere la differenza tra l'identificazione e lo stato amoroso, nelle sue manifestazioni più elevate di pienezza amorosa. Nel primo caso, l'Io si arricchisce delle qualità dell'oggetto, se lo assimila, per servirsi dell'espressione di Ferenczi, per introiezione; nel secondo caso, egli si ritrova impoverito, essendosi dato completamente all'oggetto, essendosi annullato davanti ad esso. Tuttavia, facendo più attenzione, osserviamo che in base a questa descrizione sembravano esservi delle contrapposizioni che in realtà non esistono. Dal punto di vista economico non si tratta né di arricchimento né di impoverimento, perché anche lo stato amoroso, nei casi estremi, può essere concepito come un'introiezione dell'oggetto nell'Io. Un'ulteriore distinzione potrebbe forse riguardare aspetti più essenziali: nel caso dell'identificazione, l'oggetto si volatilizza e scompare, per ricomparire nell'Io, che subisce una trasformazione parziale, secondo il modello dell'oggetto scomparso; nell'altro caso l'oggetto sussiste, ma viene ad essere dotato di tutte le qualità dell'Io e a spese di questo. È proprio certo che l'identificazione comporti una negazione delle qualità dell'oggetto? Ma, prima di impegnarci nella discussione di questo delicato problema, noi presentiamo già vagamente che la natura della situazione comporta un'altra alternativa, a seconda che l'oggetto sia messo al posto dell'Io o di ciò che costituisce l'ideale dell'Io.

Tra lo stato amoroso e l'ipnosi non c'è una gran distanza. I punti di rassomiglianza sono evidenti. Nei confronti dell'ipnotizzatore si dimostra la stessa umiltà nella sottomissione, lo stesso abbandono, la stessa mancanza di senso critico che nei confronti della persona amata. Si osserva la stessa rinuncia ad ogni iniziativa personale; indubbiamente l'ipnotizzatore ha preso il posto dell'ideale dell'Io. Solo, nell'ipnosi tutte queste caratteristiche si presentano con più chiarezza ed un maggiore rilievo, di modo che sembrerebbe più opportuno spiegare lo stato amoroso con l'ipnosi che viceversa. L'ipnotizzatore è per l'ipnotizzato il solo oggetto degno di attenzione; tutto il resto non conta. Il fatto che l'Io provi, come in sogno, tutto ciò che l'ipnotizzatore vuole ed afferma, ci fa ricordare che abbiamo dimenticato di citare, tra le funzioni devolute all'ideale dell'Io, l'esercizio della prova della realtà57 (V. «Supplemento metapsicologico alla teoria dei sogni», in Sammlung Kleiner Schriften zur Neurosenlehre, 4ª serie, 1918). Non è affatto sorprendente che l'Io consideri una percezione come reale, quando l'istanza psichica incaricata di sottomettere gli avvenimenti alla prova della realtà si pronuncia per la realtà di questa percezione. La totale assenza di tendenze orientate verso scopi sessuali contribuisce ad assicurare l'estrema purezza dei fenomeni. Il rapporto ipnotico consiste in un abbandono amoroso totale, senza nessuna soddisfazione sessuale, mentre nello stato amoroso la tendenza a questa soddisfazione è solo momentaneamente rimossa e si trova sempre in secondo piano, come scopo possibile.

Ma, d'altra parte, possiamo dire che il rapporto ipnotico rappresenta, se ci si può servire di questa espressione, una formazione collettiva a due. L'ipnosi non si presta molto al confronto con la formazione collettiva, perché, piuttosto, essa è identica a quella. Essa presenta un elemento della complicata struttura del gruppo: l'atteggiamento di un membro del gruppo nei confronti del capo. L'ipnosi si differenzia dalla formazione collettiva per questa limitazione del numero, così come si differenzia dallo stato amoroso per l'assenza di tendenze sessuali dirette. In tal modo essa viene ad occupare un posto intermedio tra l'una e l'altro.

È interessante notare come proprio le tendenze sessuali deviate dal loro scopo creino i legami più durevoli tra gli uomini. Ciò si spiega facilmente col fatto che queste tendenze non possono ricevere una soddisfazione completa, mentre le tendenze sessuali libere subiscono uno straordinario indebolimento, un abbassamento di livello, ogni volta che viene raggiunto lo scopo sessuale. L'amore sensuale è destinato a spegnersi, una volta soddisfatto; per poter durare, esso deve essere associato, fin dagli inizi, ad elementi di pura tenerezza, deviati dallo scopo sessuale, o subire ad un certo punto una trasposizione di questo genere.

L'ipnosi sarebbe in grado di svelarci facilmente l'enigma della costituzione libidica di un gruppo, se essa stessa non presentasse, come lo stato amoroso senza tendenze sessuali dirette, aspetti che sfuggono ancora ad ogni spiegazione razionale. Sotto molti aspetti l'ipnosi è ancora molto difficile da comprendere e si presenta con un carattere mistico. Una delle sue caratteristiche consiste in una sorta di paralisi della volontà e dei movimenti, che deriva dall'influenza esercitata da una persona onnipotente su di un soggetto impotente, indifeso; appunto questa caratteristica ci rende comprensibile l'ipnosi provocata negli animali dal terrore. Il modo in cui si provoca l'ipnosi, i suoi rapporti con il sonno ancora non sono affatto del tutto chiariti; e l'enigmatica scelta delle persone in grado di provocarla, mentre essa si dimostra assolutamente refrattaria all'azione di altre, ci lascia supporre che nell'ipnosi si trovi realizzata una condizione ancora ignota, essenziale per la purezza degli atteggiamenti libidici. Altro fatto degno di nota è che, malgrado l'assoluta malleabilità suggestiva della persona ipnotizzata, la sua coscienza morale può dimostrarsi molto resistente. Forse è così perché nell'ipnosi, quale è praticata abitualmente, il soggetto continua a rendersi conto che si tratta solo di un gioco, di un'inesatta riproduzione di un'altra situazione che ha un'importanza vitale assai maggiore.

Tuttavia, le considerazioni che precedono ci permettono di stabilire la formula della costituzione libidica di un gruppo, quale, almeno, l'abbiamo considerato finora, cioè che abbia un capo e che non abbia ancora acquisito in via secondaria, in seguito a una organizzazione troppo perfetta, le caratteristiche di un individuo.

Così considerato, un gruppo primario si presenta come un insieme di individui che hanno tutti sostituito il loro ideale dell'Io con lo stesso oggetto, il che porta all'identificazione del loro proprio Io. Questa condizione viene rappresentata dal seguente grafico:

 

 

9. L'istinto gregario

La nostra illusione di aver risolto con questa formula l'enigma del gruppo sarà di breve durata. Ben presto saremo richiamati all'inquietante realtà dal fatto che in fondo ci siamo accontentati di riportare l'enigma del gruppo all'enigma dell'ipnosi, che, a sua volta, presenta ancora tanti punti oscuri. Ed ecco sorgere un'altra obbiezione che ci indica il cammino che dovremo seguire.

Bisogna dire che i vari legami affettivi che caratterizzano il gruppo bastano certamente a spiegare la mancanza di indipendenza e d'iniziativa nell'individuo, l'identità delle sue reazioni con quelle di tutti gli altri individui del gruppo, il suo scadimento ad una semplice unità all'interno di questo. Ma il gruppo, considerato nel complesso, presenta anche altre caratteristiche: l'abbassamento dell'attività intellettuale, un'affettività smodata, l'incapacità di moderarsi e di controllarsi, la tendenza a superare, nelle manifestazioni affettive, tutti i limiti, e ad esprimere queste manifestazioni sotto forma di azioni. Tutte queste caratteristiche, ed altre analoghe, di cui Le Bon ha dato una descrizione così efficace, rappresentano indubbiamente una regressione dell'attività psichica ad una fase anteriore che non ci stupisce ritrovare nel bambino e nel primitivo. Questa regressione è soprattutto caratteristica dei gruppi comuni, mentre in quelli che hanno un livello di organizzazione piuttosto elevato è, per quanto ne sappiamo, considerevolmente attenuata.

Così, noi ci troveremmo di fronte ad uno stato in cui il sentimento individuale e l'atto intellettuale personale sono troppo deboli per affermarsi in modo autonomo, senza l'appoggio di analoghe manifestazioni affettive ed intellettuali degli altri individui.

Teniamo presente, a questo proposito, quanto siano numerosi i fenomeni di dipendenza nella società umana normale, quanto poco coraggio ed originalità personale vi siano, fino a che punto l'individuo sia condizionato dagli influssi di un'anima collettiva, come le caratteristiche razziali, i pregiudizi di classe, l'opinione pubblica, etc. L'enigma dell'influsso suggestivo si fa ancora più oscuro se ammettiamo che questo non è esercitato solo da parte del capo nei confronti delle persone che gli sono soggette, ma anche da individuo a individuo, e siamo portati a rimproverarci di aver considerato solo i rapporti con il capo e di aver trascurato l'altro fattore, quello della suggestione reciproca.

Stando così le cose, noi siamo disposti ad ascoltare un'altra spiegazione fondata su princìpi più semplici. Traggo questa spiegazione dall'intelligente libro di M. W. Trotter sull'istinto gregario, rimpiangendo solo che l'autore non sia riuscito a sottrarsi alle antipatie scatenate dalla Grande Guerra58 (Instincts of the Herd in Peace and War, London. 1916).

Il Trotter fa derivare i fenomeni psichici caratteristici della massa da un istinto gregario (gregariousness), innato nell'uomo come nelle altre specie animali. Dal punto di vista biologico, quest'istinto è solo un'espressione ed una conseguenza della pluricellularità, e dal punto di vista della teoria della libido, esso sarebbe una nuova manifestazione della tendenza libidica di quegli esseri viventi che sono tesi a formare unità sempre più vaste59 (Si veda in proposito Al di là del principio del piacere). L'individuo si sente «incompleto» quando è solo. Una manifestazione dell'istinto gregario si ritrova già nell'angoscia del bambino. Il contrasto con il gruppo equivale alla separazione da esso ed è perciò ansiosamente evitato. Ma il gruppo respinge tutto ciò che è nuovo, insolito. L'istinto gregario è un istinto primario indecomponibile («which cannot be split up»).

Secondo il Trotter, gli istinti primari sarebbero l'istinto di conservazione, di nutrizione, l'istinto sessuale e quello gregario. Quest'ultimo può spesso trovarsi in contrasto con gli altri. Il senso di colpa e la coscienza del dovere sarebbero le due caratteristiche di un animale gregario. Dall'istinto gregario il Trotter fa derivare anche le forze rimotive, la cui esistenza la psicoanalisi ha scoperto nell'individuo, e, di conseguenza, le resistenze che il medico incontra nel trattamento psicoanalitico. Il linguaggio deve la sua importanza al fatto che rende possibile la comprensione reciproca in seno al gruppo, e l'identificazione degli individui che ne fanno parte sarebbe in buona parte fondata su di esso.

Così come Le Bon ha insistito in particolare modo sulle formazioni collettive transitorie e il McDougall su quelle stabili, il Trotter concentra in generale il proprio interesse sulle associazioni formate dall'uomo, questo ζϖον πολιτικον di cui cerca di chiarire le basi psicologiche.

La sua osservazione che Boris Sidis fa derivare l'istinto gregario dalla suggestionabilità è, fortunatamente per lui. superflua; è una spiegazione dedotta in base ad un modello ignoto, insufficiente, ed il rovesciamento di questa proposizione, cioè che invece la suggestionabilità è un prodotto dell'istinto gregario, mi sembrerebbe molto più naturale.

Ma alla concezione del Trotter, in modo ancora più fondato che ad altre, si può obiettare che essa tiene troppo poco conto della parte svolta nel gruppo dal capo, mentre noi siamo piuttosto portati a pensare che è impossibile capire la natura dei gruppi se si fa astrazione da esso. In linea generale, l'istinto gregario non lascia posto per il capo, che comparirebbe quasi per caso, e, inoltre, non si capisce come questo istinto possa generare il bisogno di un dio; il gregge esiste anche se manca un pastore. Inoltre si può respingere la concezione del Trotter con l'aiuto di argomenti di carattere psicologico, dimostrando, con una certa probabilità almeno, che l'istinto gregario non è primario nello stesso modo e nello stesso senso che l'istinto di conservazione e l'istinto sessuale.

Naturalmente, non è facile seguire l'ontogenesi dell'istinto gregario. La paura che il bambino prova quando resta solo, e che il Trotter considera già come una manifestazione di questo istinto, può essere con maggiore verosimiglianza interpretata altrimenti. Essa è l'espressione di un desiderio insoddisfatto che ha come oggetto la madre, poi altre persone familiari, desiderio di cui il bambino non comprende la causa né la natura e che riesce solo a trasformare in angoscia 60 (V. nell'Introduzione alla psicoanalisi (1916-17) le considerazioni sull'angoscia, lettura XXV.)

Anziché essere tranquillizzato dalla vista di un qualunque uomo «del gruppo», la sua angoscia è anzi provocata dall'apparizione di uno «straniero». Inoltre il bambino è per molto tempo privo di istinto gregario e di sentimento collettivo. Questo istinto e questo sentimento si formano solo poco a poco, nella nursery, come effetto dei rapporti tra genitori e figli e come reazione al sentimento di gelosia con cui il figlio più grande accoglie in un primo tempo l'intrusione del più piccolo. Il primo allontanerebbe volentieri quest'ultimo, per separarlo dai genitori e privarlo di tutti i suoi diritti; ma di fronte all'amore che i genitori manifestano ugualmente nei confronti di tutti i figli, e data l'impossibilità di mantenere a lungo questo atteggiamento ostile senza che proprio quelli che hanno cominciato con l'assumerlo ne abbiano un pregiudizio, tra tutti i bambini finisce per verificarsi un'identificazione, e si forma un senso di comunità che viene ulteriormente sviluppato a scuola. La prima esigenza che nasce da questa reazione è quella della giustizia, di un trattamento uguale per tutti. Si sa con quanta forza e quanta solidarietà queste cose siano rivendicate nella scuola. Giacché non si può essere il preferito, il privilegiato, bisogna che tutti siano posti sullo stesso piano, che nessuno goda di favori speciali e di privilegi particolari. Questa trasformazione della gelosia in un sentimento di solidarietà nei bambini riuniti nella stessa stanza e seduti sui banchi della stessa scuola potrebbe essere considerata assurda, se non si potesse, più tardi ed in circostanze diverse, assistere allo stesso processo. Si pensi alla massa di ragazze e giovani donne romantiche, infatuate di un cantante o di un pianista alla moda e che vanno ad assieparsi intorno a lui dopo la fine del concerto. Indubbiamente tutte hanno delle buone ragioni per essere gelose delle altre, ma dato il loro numero e vista l'impossibilità in cui ciascuna si trova di aver tutto per sé l'oggetto del loro amore comune, vi rinunciano tutte, e anziché accapigliarsi reciprocamente, esse agiscono come una massa solidale, rivolgono i loro omaggi comuni all'idolo e sarebbero felici di spartirsi una ciocca dei suoi capelli. Rivali all'inizio, esse sono giunte infine ad identificarsi le une con le altre, comunicando nello stesso amore per lo stesso oggetto. Quando una situazione istintiva è suscettibile di sbocchi diversi, la soluzione che viene scelta generalmente è quella che implica la possibilità di una certa soddisfazione, mentre molte altre, che pure sembrerebbero più naturali, non sono adottate perché nelle condizioni presentate dalla realtà esse sono incompatibili con la realizzazione dello scopo.

Ciò che più tardi si manifesta nella società sotto forma di Gemeinsgeist, esprit de corps, «spirito di gruppo» etc, deriva senz'altro dalla gelosia. Nessuno deve distinguersi dagli altri, tutti devono fare ed avere la stessa cosa. Giustizia sociale vuol dire che ci si nega molte cose perché gli altri a loro volta vi rinuncino o, il che è lo stesso, non possano rivendicarle. Questa rivendicazione della uguaglianza costituisce appunto la radice della coscienza sociale e del senso del dovere. La si ritrova anche, in modo assolutamente inaspettato, alla base di ciò che la psicoanalisi ci ha rivelato come l'«angoscia d'infezione» dei sifilitici, che corrisponde alla lotta che questi infelici devono sostenere contro l'inconscio desiderio di comunicare ad altri la propria malattia; perché essi soli devono star male e vedersi precluse tante cose, mentre gli altri stanno bene e sono liberi di godere di tutti i piaceri?

L'aneddoto sul giudizio di Salomone ha anch'esso lo stesso significato: dato che il figlio di una delle donne è morto l'altra non deve avere un figlio vivo. Questo desiderio è sufficiente perché il re riconosca quale delle due donne ha perduto suo figlio.

Così, il senso della socialità è fondato sulla trasformazione di un sentimento in un primo tempo ostile in un attaccamento positivo che, in fondo, è solo un'identificazione.

Nella misura in cui noi possiamo seguire questa trasformazione dal suo punto di partenza, essa sembra effettuarsi sotto l'influsso di un attaccamento comune, fatto soprattutto di tenerezza, per una persona esterna al gruppo. Non pensiamo certo che la nostra analisi sia completa, ma ci basta aver messo in risalto quest'aspetto, che consiste nell'esigenza di un'uguaglianza più che possibile completa. Già a proposito di due gruppi, la Chiesa e l'Esercito, abbiamo visto che la loro principale caratteristica consiste nel fatto che i membri dell'una e dell'altra sono tutti amati nello stesso modo da un capo.

Bene, non bisogna dimenticare che la rivendicazione dell'uguaglianza all'interno di un gruppo si applica solo ai membri che lo compongono, e non al capo. Molte persone poste sullo stesso piano, che possono identificarsi le une con le altre, ed un solo superiore: questa è la situazione che si ritrova in ogni gruppo che sia in grado di mantenersi tale.

Così ci permetteremo di rettificare la concezione del Trotter dicendo che, piuttosto che «animale gregario», l'uomo è animale di un'orda, cioè un elemento costitutivo di un'orda guidata da un capo.

10. Il gruppo e l'orda primitiva

Nel 1917 ho fatto mia l'ipotesi di Charles Darwin, secondo la quale la forma primitiva della società umana sarebbe stata rappresentata da un'orda sottomessa alla supremazia di un maschio possente. In quell'occasione ho cercato di dimostrare che le sorti di quest'orda hanno lasciato delle tracce incancellabili nella storia dell'umanità e, soprattutto, che l'evoluzione del totemismo, che congloba i primi inizi della religione, della morale e della differenziazione sociale, è in rapporto con l'eliminazione violenta del capo e con la sostituzione dell'orda paterna con una comunità fraterna61 (V. Totem e tabù). È vero che questa è solo una ipotesi, come tante altre con le quali gli storici dell'umanità primitiva cercano di chiarire la preistoria, una Just-so Story, secondo l'espressione di un mio simpatico critico inglese. Ma io penso che non si debba respingere un'ipotesi che, come questa, si presti alla spiegazione ed alla sintesi di fatti riguardanti campi sempre più vasti.

Bene, nei gruppi umani noi ritroviamo questo quadro che già conosciamo e che non è altro che quello dell'orda primitiva: un individuo dotato di una potenza straordinaria predomina su una moltitudine di persone tra loro uguali. La psicologia di questo gruppo, quale noi la conosciamo in base alle descrizioni di cui abbiamo parlato tanto spesso, caratterizzata, cioè, dal venir meno della personalità cosciente, dall'orientamento delle idee e dei sentimenti di tutti in un'unica ed uguale direzione, il predominio dell'affettività e della vita psichica inconscia, la tendenza all'immediata realizzazione delle intenzioni che possono sorgere, questa psicologia, dicevamo, corrisponde ad una regressione verso un'attività psichica primitiva62 ( La generale caratteristica degli uomini, quale l'abbiamo descritta in precedenza, può essere applicata in particolare modo all'orda primitiva. La volontà dell'individuo era troppo debole per arrischiarsi nell'azione. Allora gli impulsi collettivi erano i soli possibili; non c'era volontà individuale. La rappresentazione non aveva il coraggio di trasformarsi in volontà, se non si sentiva rinforzata dalla percezione della sua generale diffusione. Questa debolezza delle rappresentazioni si spiega con la forza del legame affettivo che univa ciascun individuo a tutti i suoi simili; ma a produrre questo conformismo degli atti psichici hanno contribuito anche l'uniformità delle condizioni di vita e l'assenza della proprietà privata. Anche i bisogni d'escrezione possono permettere, come ancor'oggi si vede nei bambini e nei soldati, una soddisfazione in comune. La sola eccezione è costituita dall'atto sessuale, durante il quale la presenza di una terza persona è quantomeno superflua dato che essa, nei casi estremi, è condannata ad una sgradevole attesa. Per quanto riguarda la reazione del bisogno sessuale (della soddisfazione genitale) al gregarismo, v. più in là.).

Così la massa ci appare come una resurrezione dell'orda primitiva. Come l'uomo primitivo sopravvive virtualmente in ogni individuo, così anche ogni gruppo umano può ricostituire l'orda primitiva. Dobbiamo concludere che la psicologia collettiva è la più antica psicologia umana; gli elementi che, presi isolatamente da tutto ciò che riguarda la moltitudine, ci sono serviti per l'edificazione della psicologia individuale, si sono differenziati dalla vecchia psicologia collettiva solo molto tardi, progressivamente, ed in modo tuttora molto parziale. Cercheremo di mostrare il punto di partenza di questa evoluzione.

Una successiva riflessione che ci viene in mente indica in cosa l'affermazione che abbiamo appena formulata vada rettificata. Evidentemente, noi dobbiamo riconoscere che invece la psicologia individuale è antica quanto quella collettiva, perché, per quanto ne sappiamo, fin dagli inizi debbono esserci state due psicologie, quella degli individui che componevano l'orda e quella del padre, del capo. I vari membri erano legati gli uni agli altri quanto lo sono oggi, ma il padre dell'orda primitiva era libero. Anche isolatamente, i suoi atti intellettuali erano forti e indipendenti, la sua volontà non aveva bisogno di essere rafforzata da quella degli altri. Perciò sembra logico dedurre che il suo Io non fosse troppo limitato da legami libidici, che egli non amasse nessuno al di fuori di se stesso e che non pensasse agli altri se non nella misura in cui servivano alla soddisfazione dei suoi bisogni. Il suo Io non si abbandonava smisuratamente agli affetti.

Ai primordi dell'umanità egli rappresentava quel superuomo la cui venuta Nietzsche attendeva solo in un lontano avvenire. Ancor oggi gli individui che compongono un gruppo hanno bisogno di sapere che il capo li ama di un amore giusto ed uguale, ma il capo stesso non ha bisogno di amare nessuno, il suo narcisismo è assoluto, egli è sicuro di sé ed indipendente. Sappiamo che l'amore pone un freno al narcisismo, e ci sarebbe facile dimostrare che con quest'azione esso contribuisce al progredire della civiltà.

Il padre dell'orda primitiva non era ancora immortale, come è divenuto poi, in seguito alla sua divinizzazione. Quando moriva bisognava sostituirlo, e probabilmente la successione era assunta dal suo figlio più giovane, che fino ad allora era stato un semplice membro del gruppo, come tutti gli altri. Dev'essere possibile trasformare la psicologia collettiva in psicologia individuale, trovare le condizioni in cui si può effettuare questa trasformazione, così com'è possibile, nelle api, che una larva, in caso di bisogno, produca una regina anziché un'operaia. In questo caso si può immaginare la seguente situazione: il padre impediva ai figli di soddisfare le loro esigenze sessuali dirette; imponeva loro l'astinenza, il che ebbe per conseguenza, a titolo derivativo, lo stabilirsi di legami affettivi che li univano a lui, e gli uni agli altri. Egli li ha, per così dire, introdotti di forza nella psicologia collettiva, la quale, in definitiva, è stata creata proprio dalla sua gelosia ed intolleranza63 (Si può anche pensare che i figli, cacciati e separati dal padre, abbiano superato lo stadio dell'identificazione ed, essendosi abbandonati all'amore omosessuale, abbiano conquistato la libertà che ha permesso loro di ucciderlo).

Davanti a quello che diveniva il suo successore si apriva la possibilità della soddisfazione sessuale, il che portava all'affermazione della sua psicologia individuale nei confronti della psicologia collettiva. La fissazione della sua libido su una donna, la possibilità di soddisfare immediatamente e senza attendere i suoi bisogni sessuali, diminuivano l'importanza delle tendenze sviate dallo scopo sessuale, ed aumentavano nella stessa misura il livello del suo narcisismo. D'altronde torneremo, nell'ultimo capitolo di quest'opera, sui rapporti tra l'amore e la formazione del carattere.

Dobbiamo anche mettere in rilievo i rapporti, molto interessanti, tra la costituzione dell'orda primitiva e l'organizzazione che mantiene ed assicura la coesione di un gruppo artificiale.

Abbiamo visto che la Chiesa e l'Esercito si basano sull'illusione, o se si preferisce sulla rappresentazione, di un capo che ama tutti coloro che gli sono sottoposti di un amore giusto ed uguale. Ma questa è solo una trasformazione idealistica delle condizioni che sussistono nell'orda primitiva, in cui i figli sanno di essere perseguitati nello stesso modo dal padre che ispira a tutti loro la stessa paura. Già la successiva forma della società umana, il clan totemico, è basata su questa trasformazione che è il fondamento di tutti i doveri sociali: l'irresistibile forza della famiglia, come formazione collettiva naturale, deriva proprio da questa convinzione giustificata dai fatti, che il padre ami nello stesso modo tutti i suoi figli.

Ma l'accostamento tra il gruppo e l'orda primitiva può fornirci delle indicazioni ancora più interessanti. Da esso si debbono trarre dei chiarimenti su quanto d'incompreso, di misterioso, resta nella formazione collettiva, in breve su tutti i fenomeni che designiamo con i termini enigmatici di ipnotismo e di suggestione. Ricordiamoci che nella ipnosi c'è un qualcosa di inquietante, qualcosa, che le può derivare solo dalla rimozione di sentimenti, desideri e tendenze antiche e familiari64. Teniamo anche presente che l'ipnosi è uno stato indotto. L'ipnotizzatore pretende di essere in possesso di una forza misteriosa, o, il che è lo stesso, è il soggetto ad attribuirgli questa forza che paralizza la sua volontà. Questa forza misteriosa, alla quale comunemente si dà ancora il nome di magnetismo animale, dev'essere quella stessa da cui deriva il tabù per i primitivi; è quella stessa forza che emana dai re e dai capi e che mette in pericolo quelli che li avvicinano (Mana). In che modo l'ipnotizzatore, che possiede questa forza, la manifesta? Ordinando al soggetto di guardarlo negli occhi: egli ipnotizza con lo sguardo. Ma proprio la vista del capo è per il primitivo pericolosa ed insopportabile, così come in seguito l'uomo non sopporta la vista della divinità. Mosè deve fare da intermediario tra Jehova ed il suo popolo, perché questo non può sopportare la vista di Dio; e quand'egli torna dal Sinai, il suo volto risplende perché, come per i mediatori dei primitivi, una parte della Mana si è fissata su di lui65. («Das Unheimliche», in Imago, V, 1919)

Ma si può provocare l'ipnosi in modo diverso, facendo fissare al soggetto un oggetto luccicante e producendo in sua presenza un rumore monotono. Ma è un procedimento dubbio e che ha dato luogo a parecchie teorie fisiologiche insufficienti ed anche errate. In realtà, questo procedimento serve solo a sviare ed a fissare l'attenzione cosciente. È come se l'ipnotizzatore dicesse al soggetto: «Ora si occupi solo di me, il resto del mondo non la interessa». Se queste frasi fossero realmente pronunciate, certamente non produrrebbero alcun effetto, perché riuscirebbero solo a strappare il soggetto dal suo atteggiamento cosciente e a spingerlo alla contraddizione inconscia. Ma mentre l'ipnotizzatore evita di attirare il pensiero cosciente del soggetto sulle sue intenzioni, e questo piomba in uno stato in cui tutto il mondo deve apparirgli privo d'interesse, tutta la sua attenzione, senza che egli se ne renda conto, è concentrata sull'ipnotizzatore, e tra l'uno e l'altro si stabilisce un rapporto, un transfert. Perciò i metodi d'ipnotizzazione indiretta, come tanti sistemi che si usano nelle battute e nei giochi di parole, hanno l'effetto d'impedire certe dissociazioni dell'energia psichica che possono disturbare l'evoluzione del processo inconscio, ed infine portano allo stesso risultato degli influssi diretti esercitati con lo sguardo o con effetti ritmici66 ( Il fatto che l'attenzione del soggetto sia concentrata sull'ipnotizzatore, mentre la sua coscienza è occupata da percezioni indifferenti, trova riscontro nelle constatazioni effettuate nel corso del trattamento psicoanalitico che è opportuno qui ricordare. Almeno una volta, nel corso di un'analisi, capita che il soggetto affermi insistentemente che non gli viene più in mente nessuna idea. Le sue associazioni libere sono bloccate e gli impulsi che in genere le mettono in moto restano inefficaci. Ma se si insiste, il soggetto finisce col confessare che egli pensa al paesaggio che vede attraverso la finestra, al drappo appeso al muro o al lampadario che pende dal soffitto. Si può così constatare che egli comincia a subire il transfert, ed è ancora assorto in pensieri inconsci che si riferiscono al medico, e quando gli si spiega il perché del suo stato il blocco delle idee scompare).

Ferenczi ha ragione di dire che, rivolgendo al soggetto l'ordine di dormire, che serve da introduzione all'ipnosi, l'ipnotizzatore prende, agli occhi di questo, il posto dei genitori. Egli crede di poter distinguere due tipi di ipnosi, quella che deriva da una suggestione tranquillante, e quella indotta da un'ingiunzione minacciosa. La prima sarebbe l'ipnosi materna, la seconda quella paterna67 («Introiection und Übertragung», in Jahrbuch der Psychoanalyse, I, 1909). D'altra parte, l'ingiunzione di dormire, che deve provocare l'ipnosi, non è altro, in definitiva, che l'ordine di distogliere l'interesse dal mondo esterno per concentrarlo tutto sull'ipnotizzatore; è in questo modo che il soggetto stesso lo sente, in quanto questo distoglimento dell'interesse dagli oggetti e dai fatti del mondo esterno costituisce la caratteristica psicologica del sonno, ed è su di esso che si basa l'analogia tra il sonno vero e proprio e lo stato ipnotico.

In questo modo, con i suoi procedimenti, l'ipnotizzatore risveglia nel soggetto una parte della sua eredità arcaica, che si è già manifestata nel suo atteggiamento verso i genitori, e nell'idea che ci si faceva del padre, l'idea di una personalità onnipossente e pericolosa; rispetto a lui si poteva avere solo un comportamento passivo e masochista, di fronte a lui si doveva rinunciare completamente alla propria volontà, e non si poteva affrontare il suo sguardo senza dimostrare una audacia colpevole. Solo in questo modo possiamo immaginare l'atteggiamento dell'individuo dell'orda primitiva nei confronti del padre di questa. Come sappiamo in base ad altre reazioni, la disposizione a rivivere queste situazioni arcaiche varia da un individuo all'altro. Ma il soggetto è in grado di conservare una certa consapevolezza del fatto che in fondo l'ipnosi è solo un gioco, una reviviscenza illusoria di queste antiche impressioni, il che basta a fornirlo di una sufficiente resistenza contro le conseguenze troppo gravi della soppressione ipnotica della sua volontà.

In questo modo, tutto ciò che d'inquietante, di coercitivo, si ritrova nelle formazioni collettive, come ci si rivelano nelle loro manifestazioni suggestive, può essere ragionevolmente spiegato con l'affinità tra il gruppo e l'orda primitiva, dato che quello deriva da questa. Nel capo del gruppo s'incarna sempre il padre tanto temuto, il gruppo vuole essere dominato da una potenza illimitata, è estremamente avido di autorità, o, per servirsi della espressione di Le Bon, ha sete di sottomissione. Il padre primitivo rappresenta, dopo aver preso il posto dell'ideale dell'Io, l'ideale della massa che domina l'individuo. L'ipnosi può giustamente essere designata come un gruppo di due individui; per poter essere applicata alla suggestione, questa definizione va completata: è necessario che in questo gruppo il soggetto che subisce la suggestione sia mosso da un convincimento che non si basa sulla persuasione o sul ragionamento, ma su di un legame erotico68 ( Voglio far notare che le considerazioni svolte in questo capitolo ci autorizzano a risalire dalla concezione dell'ipnosi, quale è stata formulata da Bernheim, alla concezione antica, più autentica. Bernheim pensava di poter dedurre tutti i fenomeni ipnotici dalla suggestione, considerata come irriducibile. Secondo noi, la suggestione sarebbe solo una delle manifestazioni dello stato ipnotico che deriva da una predisposizione cosciente, le cui origini risalgono alla storia primitiva della famiglia umana).

11. Un grado di sviluppo dell'Io

Se, alla luce delle descrizioni, che si completano reciprocamente, che gli autori hanno dato della psicologia collettiva, si considera la vita dell'individuo dei giorni nostri, ci si trova di fronte a complicazioni che scoraggiano qualunque tentativo di sìntesi. Ogni individuo fa parte di tanti gruppi, presenta le più varie identificazioni, è orientato dai suoi rapporti in molte direzioni ed ha edificato il proprio ideale dell'Io secondo i modelli più diversi. Ogni individuo partecipa di parecchie anime collettive: della sua razza, della sua classe, della sua comunità confessionale, del suo Stato, etc, e può sempre più elevarsi ad un certo grado d'indipendenza e di originalità. Queste formazioni collettive stabili e durature producono effetti uniformi che risaltano meno delle manifestazioni dei raggruppamenti transitori che si formano e si disgregano rapidamente e che hanno fornito a Le Bon gli elementi per la sua brillante caratterizzazione dell'anima collettiva; il prodigio della completa, anche se forse passeggera, scomparsa di ogni caratteristica individuale si osserva proprio in questi gruppi effimeri sovrapposti, per così dire, agli altri.

Abbiamo tentato di spiegare questo prodigio supponendo che esso sia dovuto al fatto che l'individuo rinuncia al proprio ideale dell'Io per l'ideale collettivo, incarnato nel capo. Per l'esattezza, dobbiamo aggiungere che questo ideale non è uguale in tutti i casi. Talvolta la scissione tra l'Io e l'ideale dell'Io non è totale, essi possono continuare a coesistere, dato che l'Io ha conservato, almeno in parte, il suo narcisismo. In questo caso la scelta del capo è parecchio facilitata. Basta che egli possegga le caratteristiche tipiche di questi individui allo stato puro e che s'imponga loro per la sua forza e per la sua grande libertà libidica, per essere subito designato come capo e rivestito di un'onnipotenza cui non avrebbe mai potuto aspirare senza l'intervento di questo fattore. Quanto agli altri, coloro, cioè, il cui ideale dell'Io, non troverebbe nel capo un'incarnazione completa, essi sono trascinati «per suggestione», cioè per identificazione.

Si vede bene come il nostro contributo alla spiegazione della struttura libidica di gruppo si riduca alla distinzione tra l'Io e l'ideale dell'Io e, di conseguenza, tra due tipi di legami, uno rappresentato dall'identificazione, l'altro dalla sostituzione di un oggetto libidico esterno all'ideale dell'Io. L'ipotesi che postula questa differenza di livelli nell'Io e che, come tale, costituisce la prima fase dell'analisi dell'Io, deve a poco a poco trovare la propria giustificazione nei più vari campi della psicologia. Nel mio saggio sul narcisismo69 (Jahrbuch der Psychoanalyse, VI, 1914, Sammlung Kleiner Schriften zur Neurosenlhere, IV serie), ho tentato di mettere insieme i dati patologici che depongono in favore di questa distinzione. Ma tutto autorizza a sperare che uno studio psicologico più approfondito delle psicosi farà risaltare in particolar modo la sua importanza. Pensiamo solo al fatto che l'Io stabilisce un rapporto tra un oggetto e l'ideale dell'Io da lui stesso emanato, e potremmo forse assistere alla riproduzione, nel suo interno, delle azioni e reazioni reciproche che, in base a quanto ci ha dimostrato la teoria delle nevrosi, si svolgono tra l'oggetto esterno e l'Io nel suo complesso.

Io mi propongo di prendere in esame qui solo una delle conseguenze possibili da questo punto di vista, ciò che, nello stesso tempo, mi permetterà di chiarire un problema che altrove ho dovuto lasciare insoluto70 («Lutto e melancolia», in Internat. Zeitschr. f. Psychoanal. IV, 1916-18, Sammlung Kleiner Schriften zur Neurosenlehre, IV serie). Tutte le differenziazioni psichiche che noi conosciamo oppongono una difficoltà in più al funzionamento psichico, aumentano la sua labilità e possono divenire il punto di partenza per un arresto nel funzionamento, per una malattia. Così, la nascita rappresenta il passaggio da un narcisismo che basta a se stesso alla percezione di un mutevole mondo esterno ed alla prima scoperta degli oggetti; da questo passaggio troppo brusco deriva che noi non siamo capaci di sopportare molto a lungo il nuovo stato creato dalla nascita, che periodicamente ne evadiamo per ritrovare nel sonno il nostro stato anteriore d'impassibilità e d'isolamento dal mondo esterno. Questo ritorno ad uno stato anteriore risulta anche, d'altra parte, da un adattamento a questo mondo esterno che, grazie alla periodica successione del giorno e della notte, sopprime per un certo tempo la maggior parte delle eccitazioni che noi subiamo nella nostra vita attiva.

Ma, nel corso del nostro sviluppo, noi abbiamo subito una differenziazione psichica, con la formazione di un Io coerente, da una parte, e di un Io rimosso, inconscio, esterno a quello, dall'altra; e sappiamo che la stabilità di questa nuova acquisizione è esposta ad attacchi continui. Nel sogno e nella nevrosi questo Io inconscio, esiliato, cerca in tutti i modi d'insinuarsi, di forzare le porte della coscienza protette da resistenze di tutti i tipi; e negli stati di salute e di veglia abbiamo fatto ricorso a particolari artifici per lasciare entrare provvisoriamente nel nostro Io, girando intorno alle difficoltà, eludendo le resistenze, questa parte rimossa da cui ci aspettiamo un certo piacere. È ponendosi da questo punto di vista che ci si deve spiegare il motto di spirito e l'umorismo, in parte anche la comicità in generale. Tutti coloro che hanno una certa familiarità con la psicologia delle nevrosi troveranno esempi analoghi, forse di minore portata. Non intendo insistere perché ho fretta di giungere alla spiegazione che c'interessa in parti-colar modo.

Bene, noi possiamo senz'altro riconoscere che neanche la separazione avvenuta tra l'Io e l'ideale dell'Io può essere sopportata molto a lungo e che col tempo essa può subire una regressione. Malgrado tutte le privazioni e le restrizioni imposte all'individuo, la violazione periodica delle proibizioni costituisce dappertutto la regola, e ne abbiamo la prova nell'istituzione delle feste che, all'inizio, erano solo periodi in cui gli eccessi erano autorizzati dalla legge: ciò che spiega la gaiezza che le caratterizza71 ( V. Totem e tabù). I Saturnali dei Romani ed il carnevale dei nostri giorni si accostano, sotto questo aspetto essenziale, alle feste dei primitivi, durante le quali ci si abbandonava a dissolutezze che comportavano la violazione dei comandamenti più sacri. Bene, dato che l'ideale dell'Io comprende la somma di tutte le restrizioni alle quali l'individuo deve piegarsi, il rientrare dell'ideale nell'Io, la sua riconciliazione con questo, deve equivalere per l'individuo - che trova così la propria soddisfazione - ad una magnifica festa72 (Il Trotter deduce la rimozione dall'istinto gregario. In definitiva, io dico la stessa cosa, anche se con un diverso modo dì esprimermi nel mio saggio sul narcisismo quando affermo che «per l'Io la formazione di un ideale sarebbe fattore condizionante di rimozione»).

La coincidenza dell'Io con l'ideale dell'Io, genera sempre una sensazione di trionfo. Il senso di coipa (o d'inferiorità) può essere considerato come l'espressione di uno stato di tensione tra l'Io e l'ideale.

È noto che vi sono individui il cui stato affettivo generale oscilla periodicamente, andando da una depressione esagerata ad una forte sensazione di benessere e passando per determinati stati intermedi. D'altronde, queste oscillazioni possono essere molto diverse come ampiezza, dalle più insignificanti, appena percettibili, fino alle più estreme, come nel caso della melancolia e della mania, stati molto dolorosi e fonte di gravi perturbazioni nella vita delle persone che ne sono affette.

Le circostanze esterne non sembrano avere una parte molto rilevante nei casi tipici di questi stati affettivi ciclici; in quanto ad altri motivi, in questi pazienti malati non si trova niente di più né di diverso che in tutti gli altri. Così ci si è abituati a considerare questi casi come se non fossero psicogeni. Ma vi sono altri stati affettivi ciclici, assolutamente analoghi, che possono facilmente essere ricondotti a traumi psichici. Di ciò si parlerà più avanti.

Dunque, i motivi che determinano queste oscillazioni spontanee degli stati affettivi sono sconosciuti. Noi non conosciamo in anticipo il meccanismo per cui una mania si sostituisce ad una melancolia. Così possiamo, in mancanza di un'altra spiegazione, applicare a questi malati l'ipotesi formulata sopra: l'ideale dell'Io, dopo aver esercitato sull'Io un controllo molto rigoroso, si trova momentaneamente assorbito, fuso in esso.

Per evitare ogni oscurità, ricordiamo bene questo: dal punto di vista della nostra analisi dell'Io, è fuor di dubbio che nel maniaco l'Io e l'ideale dell'Io, sono una cosa sola, così che il soggetto, preso da un sentimento di trionfo e di soddisfazione che nessuna critica viene a turbare, si trova lìbero da ogni impaccio, al riparo da ogni rimprovero, da ogni rimorso. Meno evidente, ma assolutamente verosimile, è che l'infelicità del melancolico sia l'espressione di un forte contrasto tra le due istanze dell'Io, contrasto in seguito al quale l'ideale, sensibile a tutti gli eccessi, esprime la sua spietata condanna dell'Io con idee deliranti di inferiorità e di auto-umiliazione. Si tratta soltanto di sapere se la causa di questi rapporti alterati tra l'Io e l'ideale vada ricercata in periodiche ribellioni, la cui possibilità abbiamo ammesso prima, contro questa nuova istanza, ovvero in circostanze diverse.

La trasformazione in mania non costituisce un aspetto indispensabile del quadro morboso della depressione melancolica. Vi sono melancolie semplici, con un solo attacco, o periodiche, che hanno un diverso svolgimento. Ma vi sono, d'altra parte, melancolie nella cui etiologia le circostanze esterne hanno una evidente importanza. Sono quelle che sopravvengono sia in seguito alla morte di una persona amata, sia a circostanze che hanno determinato l'allontanamento della libido da un oggetto amato. Queste melancolie psicogene, come quelle spontanee, possono trasformarsi in manie, con conseguente ritorno alla melancolia, ed il ciclo può ricominciare varie volte. Dunque, la situazione è abbastanza oscura, tanto più che sinora sono stati rari i casi e le forme di melancolia che siano stati sottoposti all'esame psicoanalitico73 (V. Abraham, «Ansätze zur psychoanalytischen Erforschung und Behandlung des manisch-depressiven Irreseins etc», 1912, in Klinische Beiträge zur Psychoanalyse, 1921). I soli casi che al momento attuale comprendiamo bene sono quelli in cui l'oggetto è stato abbandonato perché si è dimostrato indegno di amore. Allora esso viene, per il meccanismo dell'identificazione, ricostituito nell'Io e severamente giudicato dall'ideale dell'Io. Allora i rimproveri e gli attacchi rivolti contro l'oggetto si manifestano sotto forma di rimproveri rivolti a se stesso74. ( O, più esattamente, questi rimproveri sono dissimulati dietro a quelli che vengono rivolti al proprio Io ed imprimono loro la fermezza, la tenacità ed il carattere imperioso e senza appello che caratterizza i rimproveri con cui si tormentano i melan-colici)

Anche una melancolia di questo tipo può trasformarsi in mania, così che questa possibilità appare come una particolarità indipendente da tutte le altre caratteristiche del quadro clinico.

Ma non vedo alcuna difficoltà ad introdurre nella spiegazione dei due tipi di melancolia, quella spontanea e quella psicogena, il fattore che abbiamo definito come la periodica ribellione dell'Io contro l'ideale dell'Io. Per quanto riguarda le melancolie spontanee, si può ammettere che l'ideale manifesti una tendenza ad una particolare severità, ciò che porta automaticamente alla sua momentanea messa in disparte. Nelle melancolie psicogene, la rivolta dell'Io sarebbe provocata dalla rigidezza con cui l'ideale agisce sull'Io, nel caso della sua identificazione con un oggetto riprovato e respinto.

12. Postscriptum

Nel corso della nostra ricerca, che preghiamo il lettore di considerare provvisoriamente terminata, abbiamo visto aprirsi davanti a noi molte prospettive che sollecitavano la nostra attenzione. Non abbiamo potuto rispondere a queste sollecitazioni, nonostante la prospettiva di interessanti scoperte. In questo capitolo finale ci limiteremo a riprendere solo alcuni dei punti che siamo stati costretti a trascurare nei capitoli precedenti.

a. La distinzione tra l'identificazione dell'Io e la sostituzione di un oggetto all'ideale dell'Io trova un'interessante illustrazione nei due grandi gruppi che abbiamo studiato precedentemente, l'Esercito e la Chiesa cattolica.

È evidente che il superiore, cioè il capo dell'esercito, si pone ai soldati come ideale, mentre il legame che li unisce tra di loro è quello dell'identificazione, da cui ciascuno di essi deriva i doveri del cameratismo e dell'assistenza reciproca. Un soldato, invece, si renderebbe ridicolo se volesse identificarsi con il capo. Non è senza ragione che, nel campo di Wallenstein, il soldato prende in giro il sergente dicendogli:

Wie er rauspert und wie er spuckt das habt ihr ihm gliicklich abgeguckt!75 [Voi l'imitate alla perfezione / com'egli s'agita e come grida!]

Nella Chiesa cattolica le cose vanno diversamente. Ogni cristiano ama il Cristo come il proprio ideale ed è legato agli altri dall'identificazione. Ma la Chiesa pretende di più da lui. Egli deve, da una parte, identificarsi con il Cristo, e, dall'altra, amare gli altri cristiani come lui li ha amati. Dunque, la Chiesa esige che la situazione libidica creata dalla formazione collettiva sia completata in due sensi. Da una parte, l'identificazione deve completare l'amore, dall'altra, l'amore deve completare l'identificazione. Evidentemente, questa duplice complementarietà va oltre la costituzione del gruppo. Si può essere un buon cristiano senza aver mai pensato di mettersi al posto di Cristo, ed estendere, come ha fatto lui, il proprio amore a tutti gli uomini. L'uomo debole non può avere la pretesa di elevarsi alla grandezza d'animo ed alla forza del Cristo. Ma proprio sostenendo e favorendo questa pretesa, il cristianesimo cercava di giungere ad una morale più elevata.

b. Abbiamo detto che era possibile determinare, nell'evoluzione psichica dell'umanità, il momento in cui la psicologia individuale si è distaccata da quella collettiva, in cui l'individuo ha raggiunto una certa indipendenza nei confronti del gruppo 76 (Le seguenti considerazioni derivano da uno scambio di idee con Otto Rank).

Ritorniamo rapidamente al mito scientifico relativo al padre dell'orda primitiva. In seguito questo padre è stato innalzato alla dignità di Creatore del mondo e con ragione, giacché è lui che ha generato i figli di cui si componeva il gruppo originario. Egli era, per ciascuno di loro, l'ideale nello stesso tempo amato, temuto ed adorato, la fonte della successiva nozione di tabù. Un giorno i figli si unirono, uccisero il padre e ne dilaniarono il corpo. Nessun membro del gruppo vittorioso potè prendere il suo posto, o, se qualcuno lo fece, vide sorgere la stessa ostilità, seguita da lotte e massacri. Ed infine tutti si resero conto di dover rinunciare a succedere al padre. Allora formarono la comunità fraterna totemica, in cui tutti i membri godevano degli stessi diritti, erano legati dagli stessi tabù totemici, dovevano conservare il ricordo dell'assassinio ed espiare il loro crimine. Ma restò lo scontento per la situazione che si era creata, e da questo derivarono gli ulteriori sviluppi. Poco a poco, i membri della comunità fraterna furono portati al ristabilimento dell'antico ordine, ma su un piano diverso: l'uomo divenne un nuovo capo, ma capo-famiglia, e spezzò i privilegi del regime matriarcale che si era instaurato dopo la soppressione del padre. Allora, come compenso, il padre riconobbe le divinità materne, venerate da sacerdoti che avevano subito la castrazione, secondo l'esempio che aveva dato il padre dell'orda primitiva; ma la nuova famiglia era solo l'ombra di quella antica, i padri erano parecchi, ciascuno limitato nei suoi diritti dai diritti degli altri.

Le privazioni malvolentieri tollerate dovettero allora spingere uno di questi individui a distaccarsi dal gruppo e ad assumere la parte del padre. Chi fece ciò fu il primo poeta epico, ed in un primo momento questo progresso è avvenuto solo nella sua immaginazione. Questo poeta ha trasfigurato la realtà in base ai propri desideri. Ha inventato il mito eroico. Eroe era colui che da solo aveva ucciso il padre, che nel mito appariva ancora come un mostro totemico. Come il padre è stato il primo ideale del bambino, l'eroe, quale è stato creato dall'immaginazione del poeta, è divenuto il primo ideale dell'Io che aspira a soppiantare il padre. Probabilmente, l'idea dell'eroe è collegata al figlio più giovane, a quello preferito dalla madre che lo aveva preservato dalla gelosia del padre cui, all'epoca dell'orda primitiva, egli poi succedeva. Nell'elaborazione poetica dei fatti di quei tempi, la donna, che era stata solo la posta in gioco nell'assassinio, veniva probabilmente trasformata in istigatrice e complice attiva di questo crimine.

Nel mito, l'eroe aveva compiuto da solo quell'azione cui certamente non poteva non aver partecipato tutta l'orda. Tuttavia, in base all'osservazione di Otto Rank, nella leggenda si trovano tracce molto precise della situazione reale che essa trasfigura. Si parla spesso di un eroe, che in genere è il figlio più giovane, sfuggito alla crudeltà del padre grazie alla sua ingenuità che lo fa credere poco pericoloso. Quest'eroe deve adempiere ad un compito gravoso, e può condurlo a termine solo con l'aiuto di una moltitudine di animaletti (api, formiche). Questi animali sarebbero solo la rappresentazione simbolica dei fratelli dell'orda primitiva, così come nel simbolismo dei sogni insetti e parassiti simboleggiano i fratelli e le sorelle (visti, con una sfumatura di disprezzo, come bambini). È facile, inoltre, riconoscere in ciascuna delle funzioni di cui parlano il mito e la leggenda una rappresentazione simbolicamente sostitutiva dell'azione eroica.

Dunque, l'individuo si stacca dalla psicologia collettiva attraverso il mito. Il primo mito, quello dell'eroe, era senz'altro di natura psicologica. Il poeta, che ha fatto questo passo per liberarsi, con l'immaginazione, dalla massa, tuttavia nella vita reale riesce, secondo un'altra osservazione di Otto Rank, ad inserirvisi nuovamente. Infatti egli se ne va a destra e a sinistra per raccontare alla gente le vicende che la sua immaginazione attribuisce all'eroe; egli stesso, in fondo, è questo eroe. In questo modo egli ripiomba nella realtà, per innalzare i suoi ascoltatori all'altezza della sua Immaginazione; e questi, che conoscono il poeta, s'identificano con l'eroe il cui atteggiamento, pieno di desideri non realizzati, essi condividono77 (Cfr. Hanns Sachs, «Gemeinsame Tagsträume». Resoconto di una relazione fatta al VI Congresso Psicoanalitico all'Aja, 1920. Internation. Zeitschr. f. Psychoanal., VI, 1920).

La finzione del mito eroico culmina nella divinizzazione dell'eroe. Può darsi che l'eroe divinizzato sia anteriore al dio-padre, che egli annunci il ritorno del padre primitivo sotto forma di una divinità. Dunque, la successione cronologica sarebbe questa: dea-madre-eroe-dio-padre. Ma solo con l'elevazione del padre primitivo, che non è mai stato dimenticato, alla dignità divina, la divinità acquisisce le caratteristiche che tuttora le conosciamo78 (In questa esposizione riassuntiva abbiamo dovuto rinunciare all'appoggio del materiale fornito dalla leggenda, il mito, la tradizione, la storia del costume, ecc.).

e. In quest'opera abbiamo parlato spesso di tendenze sessuali dirette e di tendenze sessuali deviate dal loro scopo, e speriamo che questa distinzione non abbia sollevato troppe obbiezioni da parte del lettore. Tuttavia riteniamo che non sarebbe inutile tornare sull'argomento con qualche particolare, anche se potremo correre il rischio di ripetere quanto è stato detto altrove.

Il primo ed il più efficace esempio di tendenze sessuali deviate dal loro scopo ci è stato fornito dall'evoluzione della libido nel bambino. Tutti i sentimenti che egli prova per le persone che si prendono cura di lui sussistono per intero nei desideri attraverso i quali si manifestano le sue tendenze sessuali. Il bambino pretende da queste persone tutta la tenerezza possibile; vuole abbracciarle, toccarle, guardarle, è curioso di vedere i loro organi genitali e di assistere al compimento delle loro funzioni più intime, promette di sposare la madre o la cameriera, (qualunque idea si sia fatta del matrimonio), si propone di far mettere al mondo un figlio dal padre, etc. L'osservazione diretta ed il successivo esame analitico dei residui infantili non ci lasciano alcun dubbio sull'intimo rapporto che sussiste tra i sentimenti di tenerezza e di gelosia, da una parte, e le intenzioni sessuali, dall'altra; e ci dimostrano fino a che punto il bambino faccia della persona cara l'oggetto di tutte le sue tendenze sessuali che ancora non hanno un esatto orientamento79 (Cfr. i Tre saggi sulla sessualità).

Sappiamo che questa prima forma dell'amore nel bambino, strettamente collegata al complesso di Edipo, subisce fin dagli inizi una spinta alla rimozione. Ne resta solo un attaccamento affettivo, tutto fatto di tenerezza, per le stesse persone, ma un attaccamento che non si può più definire come «sessuale». La psicoanalisi, che esplora le profondità della vita psichica, non trova difficoltà nel dimostrare che i legami sessuali dei primi anni dell'infanzia restano, ma allo stato rimosso, inconsci. Essa ci permette di affermare che dovunque noi troviamo un sentimento tenero, questo succede ad un attaccamento puramente «sensuale» per le persone di cui si tratta, o piuttosto per la loro immagine (imago).

Naturalmente, è necessario un particolare esame per rendersi conto se, in un determinato caso, questo precedente flusso sessuale sussiste ancora allo stato rimosso, o è del tutto cessato. Oppure, per esprimerci più chiaramente: è assodato che questo esiste ancora, come forma e come possibilità, e che in ogni momento esso è in grado, in seguito ad una regressione, di prendere il sopravvento; si tratta soltanto di sapere, e non sempre è possibile, quale sia la sua efficacia attuale. E, a questo proposito, bisogna difendersi contro due fonti di errore, contro la Scilla della sottovalutazione dell'inconscio rimosso e contro la Cariddi della tendenza a considerare i fenomeni normali col criterio che applichiamo a quelli patologici.

Ma la psicologia che non voglia penetrare nelle profondità di quanto è rimosso considera i legami affettivi teneri come espressione di tendenze che non abbiano carattere sessuale, anche se queste derivano da tendenze che hanno avuto come oggetto la sessualità80 (I sentimenti ostili, che hanno una struttura più complicata, non fanno eccezione a questa regola).

Noi siamo in grado di affermare che queste tendenze sono state deviate dallo scopo sessuale, sebbene non sia facile descrivere questa deviazione secondo le esigenze della metapsicologia. Tuttavia bisogna dire che in queste tendenze si trova sempre un po' di sessualità: l'uomo che ha dei sentimenti teneri, l'amico, l'adoratore, ricerca la vicinanza corporale e la vista della persona amata, ma amata di un amore simile a quello di cui parla l'apostolo Paolo. Noi possiamo, volendo, vedere in questa deviazione dallo scopo un inizio di sublimazione delle tendenze sessuali, oppure restringere ulteriormente i confini di queste. Le tendenze sessuali inibite hanno, dal punto di vista funzionale, un grande vantaggio rispetto a quelle non inibite. Dato che per esse non è possibile una soddisfazione completa, le tendenze sessuali inibite si dimostrano particolarmente efficaci nel creare rapporti durevoli, mentre quelle dirette subiscono, dopo ogni soddisfacimento, un forte abbassamento di livello, e nello spazio di tempo che intercorre tra questo e una nuova accumulazione di libido sessuale l'oggetto al quale prima si era attaccati può essere sostituito da un altro. Le tendenze sessuali inibite possono mischiarsi in tutte le proporzioni possibili con quelle non inibite, e subire una nuova trasformazione in queste, dopo esserne derivate.

Sappiamo bene con quanta facilità i rapporti affettivi di natura amichevole, fondati sulla riconoscenza e sull'ammirazione (Si pensi a Molière: «Come! sa il greco! Lasciate per favore / Che per amor del greco vi si abbracci, signore!»81), si trasformino, soprattutto nelle donne, in desideri erotici; di questo tipo sono i rapporti tra insegnanti ed allieve, tra artisti ed ammiratrici entusiaste.

Anche il sorgere di questi legami affettivi, all'inizio assolutamente non intenzionale, apre direttamente la porta a questi desideri sessuali. Nella Pietà del conte di Zinzendorf (1910), Pfister ha dimostrato con un esempio molto incisivo, e certamente non isolato, con quanta facilità un intenso sentimento religioso si trasformi in un ardente desiderio sessuale. D'altra parte, la trasformazione di tendenze sessuali dirette in legami duraturi, fatti tutti di tenerezza, è un fatto frequentissimo, ed è su questa trasformazione che poggia in gran parte il consolidamento di matrimoni conclusi per un amore appassionato.

Naturalmente non ci stupirebbe sapere che le tendenze sessuali inibite derivano da tendenze sessuali dirette, nei casi in cui ostacoli esterni o interni si oppongono alla realizzazione degli scopi sessuali. Uno di questi ostacoli interni, o divenuti tali, è costituito dalla rimozione che si effettua durante il periodo di latenza. Per quanto riguarda il padre dell'orda primitiva, noi abbiamo riconosciuto che la sua intolleranza condannava tutti i figli all'astinenza sessuale ed imponeva loro dei rapporti inibiti nello scopo, mentre egli riservava solo a se stesso il libero godimento sessuale e l'indipendenza da ogni legame. Tutti i rapporti che sono alla base del gruppo derivano da tendenze inibite. Ma con ciò noi ci accostiamo ad un nuovo argomento, quello relativo al rapporto tra le tendenze sessuali dirette e la formazione collettiva.

d. Queste ultime osservazioni ci permettono già di intuire in cosa le tendenze sessuali dirette siano sfavorevoli alla formazione collettiva. Nel corso dell'evoluzione della famiglia, c'è stata una fase di rapporti sessuali collettivi (matrimoni di gruppo); ma più l'amore acquistava importanza per l'individuo, più questi diveniva capace di amare, e più egli tendeva a quella limitazione dell'amore a due persone - una cum uno - che la natura stessa dello scopo sessuale sembra imporre. Le tendenze poligamiche dovevano accontentarsi della sostituzione successiva di un oggetto con un altro.

Le due persone unite in vista dello scopo sessuale costituiscono, con la loro ricerca della solitudine, una dimostrazione vivente contro l'istinto gregario, contro il sentimento collettivo. Più si amano, più bastano a se stesse. I loro sforzi per sottrarsi all'influenza del gruppo si manifestano sotto la forma di un sentimento di vergogna. Le emozioni estremamente violente, suscitate dalla gelosia, servono a proteggere l'oggetto della scelta sessuale contro il pregiudizio che gli può derivare da un legame collettivo. Solo nel caso in cui la tenerezza, cioè il fattore personale del rapporto amoroso, viene del tutto meno di fronte all'elemento sensuale, divengono possibili rapporti amorosi ostentati in pubblico, o, come nell'orgia, atti sessuali contemporanei in un gruppo. Ma in questo modo si effettua una regressione verso uno stadio anteriore dei rapporti sessuali, in cui l'amore, nel senso proprio della parola, non ha alcuna parte, dato che tutti gli oggetti sessuali sono considerati di ugual valore, più o meno nel senso del maligno aforisma di Bernard Shaw: «Innamorarsi vuol dire esagerare troppo la differenza tra una donna e l'altra».

Parecchi elementi sembrano deporre in favore di un'apparizione molto tarda dell'amore nei rapporti sessuali tra uomo e donna, e da ciò deriverebbe che anche la contrapposizione tra l'amore sessuale ed il legame collettivo sia molto tarda. Bene, a prima vista questa ipotesi sembrerebbe inconciliabile con il nostro mito della famiglia collettiva. Non è stato forse l'amore per la madre e le sorelle a spingere la banda dei fratelli all'uccisione del padre, e non è forse difficile raffigurarsi questo amore diversamente da un amore primitivo, intero, cioè un'intima unione dell'elemento di tenerezza e di quello sensuale? Ma, riflettendoci meglio, si finisce col constatare che questa obbiezione, in fondo, non è che una conferma. Tra le reazioni che seguono all'uccisione del padre c'è l'istituzione dell'esogamia, cioè la proibizione di ogni rapporto sessuale con le donne della famiglia, teneramente amate sin dall'infanzia. Così si è operata una scissione tra l'aspetto tenero e quello sensuale dell'amore maschile, scissione i cui effetti si fanno sentire ancora nei giorni nostri82 (Cfr. «Über die allgemeinste Erniedrigung des Liebeslebens», 1912, Sammlung Kleiner Schriften zur Neurosenslehre, IV serie). In seguito all'istituzione dell'esogamia, l'uomo si è trovato costretto a soddisfare le proprie esigenze sessuali con donne estranee, che non gli ispiravano alcun sentimento di tenerezza e di amore.

Nei grandi gruppi, come la Chiesa e l'Esercito, non vi è alcun posto per la donna in quanto oggetto sessuale. I rapporti amorosi tra uomo e donna restano al di fuori di queste organizzazioni. Anche nei gruppi composti di uomini e di donne le differenze sessuali non hanno alcuna parte. Non è il caso di chiedersi se la libido che mantiene la loro coesione sia di natura omosessuale o eterosessuale, perché i gruppi non sono differenziati in base al sesso e, soprattutto, fanno astrazione dagli scopi che presiedono all'organizzazione genitale.

Le tendenze sessuali dirette conservano, anche nell'individuo assorbito dal gruppo, un certo grado d'individualità. Quando questa individualità va oltre un certo limite, la formazione collettiva corre il rischio di disgregarsi. La Chiesa cattolica ha ottime ragioni per raccomandare la continenza ai suoi fedeli e per imporre il celibato ai sacerdoti, ma spesso l'amore ha spinto anche degli ecclesiastici ad uscire dalla Chiesa. L'amore per la donna spezza i vincoli collettivi creati dalla razza, si eleva al di sopra delle differenze nazionali e delle gerarchie sociali, e, con ciò, contribuisce non poco al progresso della civiltà. Sembra certo che l'amore omosessuale si adatti meglio ai vincoli collettivi, anche nei casi in cui si manifesti come una tendenza sessuale non inibita; è un fatto notevole, ma la cui spiegazione ci porterebbe troppo lontano.

L'esame psicoanalitico delle nevrosi ci ha dimostrato che i loro sintomi derivano da tendenze sessuali dirette, rimosse ma rimaste attive. Si può completare la formula aggiungendo che questi sintomi possono derivare anche da tendenze inibite, ma inibite in modo incompleto o tale da rendere possibile il ritorno allo scopo sessuale rimosso. Questo spiega perché la nevrosi renda asociali, crei un baratro tra l'individuo che ne è affetto e le formazioni sociali collettive di cui abitualmente faceva parte. Si può dire che la nevrosi sia per il gruppo un fattore di disgregazione nella stessa misura dell'amore. In compenso, vediamo che tutte le volte che si manifesta una forte tendenza alle formazioni collettive, le nevrosi si attenuano e possono persino provvisoriamente scomparire. Del resto si è cercato, e con ragione, di servirsi di questa contrapposizione tra la nevrosi e la formazione collettiva per uno scopo terapeutico. Anche chi non rimpiange la scomparsa delle illusioni religiose nel moderno mondo civilizzato, sarà d'accordo nell'ammettere che, finché queste illusioni sono state molto forti, esse costituivano, per coloro che vivevano sotto il loro dominio, la migliore protezione contro le nevrosi. E, nello stesso modo, non è affatto difficile riconoscere in tutte le adesioni a sette o comunità mistico-religiose o filosofico-mistiche l'espressione di una ricerca di un rimedio indiretto contro tutti i tipi di nevrosi. Tutto ciò si collega alla contrapposizione tra tendenze sessuali dirette e tendenze sessuali inibite.

Abbandonato a se stesso, il nevrotico è costretto a sostituire le proprie formazioni sintomatiche alle grandi formazioni collettive dalle quali è escluso. Egli si è creato un proprio mondo immaginario, una propria religione, un proprio sistema chimerico ed in tal modo riproduce le istituzioni dell'umanità in una forma sfigurata che lascia trasparire il potente contributo che a questo lavoro apportano le tendenze sessuali dirette83(V. Totem e tabù, cap. il (fine): «Tabù e ambivalenza»).

e. Prima di terminare, stabiliamo, ponendoci dal punto di vista della libido, un quadro comparativo dei diversi stati di cui ci siamo occupati: stato amoroso, ipnosi, formazione collettiva e nevrosi.

Lo stato amoroso è basato sulla coesistenza di tendenze sessuali deviate dallo scopo, mentre l'oggetto attira su di sé una parte della libido narcisistica dell'Io. Questo stato riguarda solo l'Io e l'oggetto.

L'ipnosi assomiglia allo stato amoroso per il fatto di essere anch'essa limitata all'Io ed all'oggetto, ma è basata soprattutto su tendenze sessuali inibite e pone l'oggetto al posto dell'ideale dell'Io.

Nella formazione collettiva questo processo è più ampio; la massa ricorda lo stato ipnotico per la natura degli istinti che ne assicurano la coesione e per la sostituzione dell'oggetto all'ideale dell'Io; ma, nel gruppo, a questi aspetti caratteristici si aggiunge l'identificazione di ciascun individuo con tutti gli altri, identificazione che, in un primo momento, è stata resa possibile dallo stesso atteggiamento nei confronti dell'oggetto.

Questi ultimi stati, l'ipnosi e la formazione collettiva, rappresentano delle tendenze ereditarie della filogenia della libido umana; l'ipnosi è sopravvissuta come predisposizione, il gruppo come sopravvivenza diretta. La sostituzione delle tendenze sessuali inibite o dirette favorisce in questi due stati la separazione tra l'Io e l'ideale dell'Io, separazione che era già iniziata nello stato amoroso.

La nevrosi si distacca da questa serie. E' anch'essa basata su una caratteristica dell'evoluzione della libido umana, su ciò che si può chiamare la duplice articolazione della funzione sessuale diretta, carattere che in seguito il periodo di latenza interromperà84 (Cfr. Tre saggi sulla sessualità, 1901). Perciò essa partecipa, con l'ipnosi e la formazione collettiva, del carattere regressivo che manca nello stato amoroso. Essa si verifica tutte le volte che la transizione da scopi sessuali diretti a scopi sessuali inibiti non si è potuta effettuare completamente, e corrisponde ad un conflitto tra le tendenze che, assorbite, assimilate dall'Io, hanno effettuato questa evoluzione, e frammenti di queste stesse tendenze che, facendo parte dell'inconscio rimosso, esigono - al pari di altri impulsi individuali rimossi - una soddisfazione diretta. La nevrosi ha un contenuto estremamente ricco, giacché essa comprende, da una parte, tutti i possibili rapporti tra l'Io e l'oggetto, sia quelli nei quali l'oggetto è conservato, sia quelli nei quali questo è abbandonato o introdotto nell'Io e, d'altra parte, tutti i rapporti che derivano dai conflitti tra l'Io e l'ideale dell'Io.