IL PROBLEMA ECONOMICO DEL MASOCHISMO1924 |
Ha ragione chi afferma che l'esistenza di una tendenza masochistica nella vita pulsionale umana rappresenta un enigma dal punto di vista economico. Infatti, se il principio di piacere domina i processi psichici in maniera tale che il loro primo scopo è quello di evitare dispiacere e ottenere piacere, il masochismo è incomprensibile. Se invece il dolore e il dispiacere non sono meri avvertimenti, ma possono essi stessi rappresentare dei fini, il principio di piacere ne risulta paralizzato, e in un certo senso narcotizzato il custode della nostra vita psichica. Il masochismo ci appare dunque nella veste di un grande pericolo, mentre ciò non vale affatto per il suo corrispettivo opposto, il sadismo. Siamo tentati di affermare che il principio di piacere non è solo il custode della nostra vita psichica, ma della nostra vita in genere. In questo caso però siamo indotti a indagare quale sia il rapporto tra il principio di piacere e le due specie di pulsioni che abbiamo distinto, le pulsioni di morte e le pulsioni erotiche (o libidiche) di vita; e non potremo procedere nella nostra disamina del problema del masochismo se prima non avremo assolto questo compito. Come si ricorderà,1 abbiamo considerato il principio che domina tutti i processi psichici come un caso particolare della "tendenza alla stabilità" di Fechner, e quindi abbiamo attribuito all'apparato psichico il proposito di ridurre a zero la quantità di eccitamenti che affluiscono in esso, o almeno di tenere tale quantità più bassa possibile. Barbara Low ha suggerito di dare a questa ipotetica tendenza il nome di "principio del nirvana", che noi abbiamo accettato.2 Tuttavia non abbiamo esitato a identificare il principio di piacere-dispiacere con questo principio del nirvana. Ogni dispiacere dovrebbe perciò coincidere con un innalzamento, e ogni piacere con un abbassamento della tensione psichica provocata dagli stimoli; il principio del nirvana (e il principio di piacere che con esso si identificherebbe) sarebbe interamente al servizio delle pulsioni di morte miranti a ricondurre l'irrequietezza vitale alla stabilità dello stato inorganico e avrebbe la funzione di preservare l'organismo dalle pretese delle pulsioni di vita (o libido), che mirano a disturbare il corso dell'esistenza così com'è. Eppure questa concezione non può essere esatta. Pare che nella serie delle sensazioni di tensione sia avvertibile direttamente l'incremento e la diminuzione degli stimoli, e non c'è alcun dubbio che esistano tensioni piacevoli e rilassamenti spiacevoli. L'eccitamento sessuale è il più lampante, ma non certo l'unico esempio di tale spiacevole incremento dello stimolo. Il piacere e il dispiacere non possono dunque essere ricondotti alla diminuzione o all'incremento di una quantità (che chiamiamo "tensione provocata dallo stimolo"), anche se con questo elemento hanno evidentemente molto a che fare. Pare che non dipendano da questo fattore quantitativo, bensì da una sua caratteristica che non possiamo far altro che definire qualitativa. Se sapessimo dire in cosa consiste questa caratteristica qualitativa, avremmo fatto un grande passo avanti in psicologia. Forse è il ritmo, la sequenza temporale dei cambiamenti, degli aumenti e delle diminuzioni della quantità dello stimolo. Chissà. In ogni caso dobbiamo renderci conto del fatto che il principio del nirvana, che appartiene alla pulsione di morte, nell'organismo vivente ha subito una modificazione per cui è diventato principio di piacere, e d'ora innanzi eviteremo di identificare questi due princìpi. Ammesso che si voglia riflettere su questo punto, non è difficile identificare la forza che ha dato origine a tale modificazione. Non può essere che la pulsione di vita, la libido, la quale in tal modo si è conquistata il suo posto accanto alla pulsione di morte nella regolamentazione dei processi vitali. Siamo giunti così a una piccola ma interessante serie di connessioni: il principio del nirvana esprime la tendenza della pulsione di morte, il principio di piacere rappresenta le pretese della libido, e la modificazione del principio di piacere, ossia il principio di realtà, rappresenta l'influenza del mondo esterno. Nessuno di questi tre princìpi può essere davvero messo fuori giuoco da uno degli altri due. Di regola i tre princìpi riescono a tollerarsi reciprocamente, anche se di tanto in tanto nascono dei conflitti dovuti al fatto che ciascuno di essi si propone uno scopo diverso: da un lato la diminuzione quantitativa della pressione dello stimore, dall'altro una caratteristica qualitativa dello stimolo, e infine una dilazione temporale della scarica dello stimolo e una temporanea tolleranza della tensione spiacevole. La conclusione che dobbiamo trarre da queste considerazioni è che non si può respingere la definizione del principio di piacere come custode della nostra vita. Ritorniamo al masochismo. Esso si presenta alla nostra osservazione in tre forme: come condizione dell'eccitamento sessuale, come un modo di esprimersi della natura femminea e come norma di comportamento nella vita (behaviour). Possiamo quindi distinguere fra un masochismo erogeno, un masochismo femmineo e un masochismo morale. Il primo, il masochismo erogeno — il piacere del dolore — è anche alla base delle altre due forme di masochismo; il suo fondamento va ricercato in fattori di ordine biologico e costituzionale, ed esso ci risulta incomprensibile 6nché non ci decidiamo a formulare alcune ipotesi intorno ad argomenti estremamente oscuri. La terza forma in cui si manifesta il masochismo, che in un certo senso è di tutte la più importante, solo recentemente è stata determinata dalla psicoanalisi come senso di colpa, perlopiù inconscio; eppure tale manifestazione può già essere completamente spiegata e inscritta nel contesto delle nostre conoscenze. Il masochismo femmineo, invece, è quello che meglio e più direttamente risulta accessibile alla nostra osservazione, è la forma meno enigmatica di masochismo e può essere considerata in tutti i suoi aspetti e rapporti. Possiamo cominciare di qui la nostra esposizione. Abbiamo una sufficiente conoscenza di questa specie di masochismo nell'uomo (a cui dovrò limitare le mie osservazioni, dato il materiale di cui dispongo); tale conoscenza è tratta dalle fantasie di soggetti masochistici (spesso perciò impotenti) le quali o si concludono con un atto onanistico o danno luogo di per sé a un soddisfacimento sessuale. Con queste fantasie coincidono perfettamente le operazioni cui sono dediti i pervertiti masochistici, sia che l'esecuzione di esse sia fine a sé stessa, sia che esse servano a vincere l'impotenza e ad avviare l'atto sessuale. In entrambi i casi (poiché dopo tutto tali operazioni rappresentano soltanto l'esecuzione ludica delle fantasie) il contenuto manifesto è il seguente: essere imbavagliati, legati, dolorosamente percossi, frustati, maltrattati in un modo o nell'altro, costretti a un'obbedienza assoluta, insudiciati, umiliati. Molto più raramente, e solo con grandi restrizioni, accade che in questo contenuto siano comprese anche mutilazioni. L'interpretazione più facile e ovvia è che il masochista vuole essere trattato come un povero bambino, piccolo e inerme, ma soprattutto che vuole essere trattato come un bambino cattivo. Non è necessario citare una ricca casistica, il materiale è assolutamente omogeneo e accessibile non soltanto agli psicoanalisti, ma a qualsiasi osservatore. Eppure, se si ha l'opportunità di studiare qualche caso in cui le fantasie masochistiche abbiano subito un'elaborazione particolarmente ricca, facilmente si scopre che esse trasportano il soggetto in una situazione tipicamente femminile; esse significano cioè essere evirati, subire un coito, partorire. In un certo senso a potioii ho perciò dato a questa forma di masochismo l'appellativo di femmineo, anche se molti dei suoi elementi rinviano alla vita infantile. Questa sovrapposizione dei due elementi, l'infantile e il femmineo, troverà più avanti una semplice spiegazione. L'evirazione — o l'accecamento che di essa fa le veci — lascia spesso nelle fantasie la sua traccia negativa nella condizione che proprio ai genitali o agli occhi non dev'essere assolutamente recato alcun danno. (Tra parentesi, accade raramente che i tormenti masochistici facciano un'impressione così seria come le crudeltà — immaginate o realizzate — del sadismo.) Nel contenuto manifesto delle fantasie masochistiche si esprime anche un sentimento di colpa; il soggetto suppone di aver commesso qualche crimine (che resta indeterminato): tale crimine dev'essere espiato con ogni sorta di procedure dolorose o tormentose. Ciò ha l'apparenza di una superficiale razionalizzazione dei contenuti masochistici, dietro la quale si nasconde invece un rapporto con la masturbazione infantile. D'altro lato l'elemento della colpa rinvia alla terza forma di masochismo, al masochismo morale. Il masochismo femmineo che abbiamo descritto si fonda interamente sul masochismo primario, erogeno, sul piacere del dolore; quest'ultimo non può essere spiegato senza risalire molto addietro. Nei miei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), nel paragrafo sulle "Fonti della sessualità infantile", ho affermato che "l'eccitamento sessuale [sorge] come effetto collaterale di tutta una serie di processi interni, non appena l'intensità di questi processi abbia superato certi limiti quantitativi". E addirittura che "è possibile che nell'organismo non avvenga nulla di significativo che non abbia da fornire la sua componente all'eccitamento della pulsione sessuale". Secondo questa ipotesi, anche l'eccitamento dovuto al dolore e al dispiacere dovrebbe avere la medesima conseguenza. Tale eccitamento libidico che accompagnerebbe la tensione dolorosa e spiacevole sarebbe un meccanismo fisiologico infantile, che in seguito cesserebbe di operare. Raggiungerebbe un diverso grado di sviluppo a seconda delle diverse costituzioni sessuali, e rappresenterebbe in ogni caso la base fisiologica su cui più tardi si erigerebbe la struttura psichica del masochismo erogeno. Tuttavia, l'insufficienza di questa spiegazione risulta evidente dal fatto che essa non getta alcuna luce sulle regolari e intime connessioni del masochismo con quello che è il suo corrispettivo antitetico nella vita pulsionale, il sadismo. Se risaliamo un po' più addietro, fino all'ipotesi delle due specie di pulsioni che pensiamo operino nell'organismo vivente, giungiamo a un'altra spiegazione dell'origine del masochismo, che peraltro non contraddice quella precedente. Nell'essere vivente (pluricellulare) la libido si imbatte nella pulsione di morte o di distruzione, che domina quest'organismo cellulare e cerca di disintegrarlo portando tutti i singoli organismi unicellulari [che lo compongono] allo stato della stabilità inorganica (anche se quest'ultima può essere soltanto relativa). La libido ha il compito di mettere questa pulsione distruttiva nell'impossibilità di nuocere, e assolve questo compito dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l'esterno, contro gli oggetti del mondo esterno (ben presto le viene in aiuto un particolare sistema dell'organismo, l'apparato muscolare). La pulsione prende allora il nome di pulsione di distruzione, di pulsione di appropriazione, di volontà di potenza. Una parte di questa pulsione è messa direttamente al servizio della funzione sessuale nel cui ambito ha un ruolo importante da svolgere. È questo il vero e proprio sadismo. Un'altra parte, invece, non viene estroflessa, permane nell'organismo, e con l'aiuto dell'eccitamento sessuale concomitante che abbiamo menzionato sopra viene libidicamente legata. In questa parte dobbiamo riconoscere il masochismo originario, erogeno. Non abbiamo alcuna conoscenza fisiologica delle vie e dei mezzi con cui può effettuarsi questo imbrigliamento della pulsione di morte ad opera della libido. Dal punto di vista psicoanalitico possiamo soltanto supporre che si verifichino un impasto e una mescolanza molto ampi e variabili delle due specie di pulsioni, talché non abbiamo mai a che fare con pulsioni di morte o pulsioni di vita allo stato puro, ma sempre e soltanto con impasti nei quali le due pulsioni anzidette si mescolano in proporzioni variabili. Correlativamente all'impasto delle pulsioni, può verificarsi, sotto l'influenza di determinati fattori, il loro disimpasto. Non siamo in grado di determinare per il momento quanta parte delle pulsioni di morte riesca a sottrarsi a tale imbrigliamento vincolandosi ad apporti supplementari di natura libidica. Se si è disposti a sorvolare su qualche piccola inesattezza, si può dire che la pulsione di morte che opera nell'organismo — il sadismo originario — coincide perfettamente col masochismo. Dopo che la parte maggiore di quest'ultimo è stata estroflessa e portata sugli oggetti, all'interno dell'organismo permane, come suo residuo, il masochismo erogeno vero e proprio, che da un lato è diventato una componente della libido, e dall'altro continua ad assumere come oggetto lo stesso soggetto. Questo masochismo sarebbe dunque una testimonianza e un residuo di quella fase dello sviluppo in cui ha avuto luogo la fusione della pulsione di morte e dell'Eros, che tanta importanza ha per la vita. Non ci sorprenderà di sentire che in determinate circostanze il sadismo (o pulsione distruttiva) che è stato rivolto e proiettato verso l'esterno, può nuovamente essere introiettato, diretto verso l'interno, regredendo in tal modo alla sua situazione precedente. Esso dà luogo allora al masochismo secondario, che viene ad aggiungersi al masochismo originario. Il masochismo erogeno accompagna tutte le fasi evolutive della libido dalle quali deriva i suoi differenti rivestimenti psichici. La paura di essere divorato dall'animale totemico (padre) deriva dalla primitiva organizzazione orale, il desiderio di essere percosso dal padre dalla fase immediatamente successiva sadico-anale; lo stadio fallico di organizzazione3 lascia come suo sedimento l'evirazione, che, seppure in seguito rinnegata,4 entra a far parte del contenuto delle fantasie masochistiche; dalla definitiva organizzazione genitale derivano invece, com'è naturale, le situazioni caratteristiche della femminilità, quelle in cui il soggetto subisce il coito e partorisce. Anche la parte che nel masochismo svolgono le natiche risulta facilmente comprensibile, a prescindere dalla sua evidente base reale. Dal punto di vista erogeno le natiche sono la parte preferita del corpo nella fase sadico-anale, così come le mammelle lo sono nella fase orale e il pene in quella genitale. La terza forma di masochismo, il masochismo morale, è degno di nota soprattutto perché il suo rapporto con ciò a cui attribuiamo il carattere della sessualità è meno saldo. Tutte le altre sofferenze masochistiche sottostanno alla condizione di provenire dalla persona amata, di essere sopportate per suo ordine; questa clausola viene meno nel masochismo morale. Ciò che conta è la sofferenza in sé; che sia imposta da una persona amata o indifferente, è una circostanza che non ha alcun rilievo; può anche essere causata da poteri o situazioni impersonali: sempre, quando esiste la prospettiva di ricevere uno schiaffo, il vero masochista porge la guancia. Parrebbe molto ovvio spiegare questo comportamento senza chiamare in causa la libido e limitandosi a supporre che qui la pulsione distruttiva sia stata nuovamente diretta verso l'interno e ora infierisca contro la propria persona; tuttavia, il fatto che l'uso linguistico non abbia rinunciato alla connessione fra questa norma di comportamento e l'erotismo, e chiami masochisti anche coloro che danneggiano in questo modo sé medesimi, dovrebbe avere un qualche significato. Attenendoci a una nostra abitudine tecnica, ci occuperemo dapprima della forma estrema, inequivocabilmente patologica di questo masochismo. Altrove5 ho spiegato come nel trattamento analitico incontriamo talvolta dei pazienti il cui comportamento verso l'influsso terapeutico ci costringe ad attribuire loro un "inconscio" senso di colpa. Ho indicato l'elemento che ci consente di riconoscere questi soggetti (è "la reazione terapeutica negativa") e ho affermato senza reticenze che la forza di tale impulso costituisce una delle più serie resistenze e il maggior pericolo per l'attuazione dei nostri intenti medici o pedagogici. La soddisfazione di questo inconscio senso di colpa è forse il più potente tra i fattori che costituiscono il tornaconto (solitamente composito) che il soggetto trae dalla propria malattia: quell'insieme di forze che lottano contro la guarigione inducendolo a non rinunciare al suo star male; la sofferenza che la nevrosi comporta è proprio ciò che rende preziosa la malattia per la tendenza masochistica. È anche istruttivo costatare che, contro ogni teorizzazione e aspettativa, una nevrosi che ha sfidato ogni sorta di sforzi terapeutici, può magari scomparire quando il soggetto incappa nella penosa situazione di un matrimonio infelice, o quando perde le proprie sostanze, o contrae una pericolosa malattia organica. In questi casi una forma di sofferenza è stata sostituita da un'altra, e vediamo che al soggetto importava unicamente poter conservare un certo grado di sofferenza. I pazienti non ci credono facilmente, quando attribuiamo loro un senso di colpa inconscio. Sanno talmente bene con quali tormenti (rimorsi di coscienza) si esprime un senso di colpa conscio (la coscienza della propria colpa) che non possono ammettere di ospitare impulsi assolutamente analoghi senza esserne minimamente coscienti. Penso che teniamo conto in certa misura della loro obiezione quando rinunciamo all'espressione "senso di colpa inconscio", comunque psicologicamente scorretta, e usiamo invece il termine "bisogno di punizione", che rispecchia i fatti osservabili con altrettanta precisione. Non possiamo comunque esimerci dal giudicare e localizzare questo senso di colpa inconscio in base al modello di quello conscio. Abbiamo attribuito la funzione della coscienza morale al Super-io, e abbiamo riconosciuto nella coscienza della propria colpa l'espressione di una tensione fra l'Io e il Super-io. L'Io reagisce con sentimenti di angoscia (angoscia morale) alla percezione di non esser riuscito a soddisfare le esigenze del proprio ideale, il Super-io. Ebbene, noi vogliamo sapere come è accaduto che il Super-io si sia assunto questo ambizioso ruolo, e come mai l'Io debba necessariamente intimorirsi quando si accorge di comportarsi in modo difforme rispetto al proprio ideale. Giacché abbiamo detto che la funzione dell'Io è quella di conciliare e rendere fra loro compatibili le pretese delle tre istanze di cui è al servizio, possiamo ora aggiungere che in ciò l'Io può assumere a proprio modello il Super-io. Il Super-io è infatti il rappresentante dell'Es come pure del mondo esterno ed è sorto in seguito all'introiezione nell'Io dei primi oggetti degli impulsi libidici dell'Es: i due genitori; ma nel frattempo la relazione con tali oggetti è stata desessualizzata, deviata dalle sue dirette mete sessuali. Solo in questo modo è stato possibile superare il complesso edipico. Ebbene, il Super-io ha conservato alcune caratteristiche essenziali delle persone introiettate: ne ha conservato il potere, la severità, la tendenza a sorvegliare e punire. Come ho spiegato altrove,6 è facile pensare che a causa del disimpasto pulsionale che accompagna tale introduzione nell'Io, la severità aumenti. Il Super-io — la coscienza morale che agisce nell'Io — può ora diventare duro, crudele, inesorabile contro l'Io di cui è il protettore. L'imperativo categorico di Kant si rivela così il diretto erede del complesso edipico. Ma quegli stessi personaggi che continuano a operare nel Super-io come istanza della coscienza morale dopo aver cessato di essere gli oggetti degli impulsi libidici dell'Es, quegli stessi personaggi, dicevo, appartengono pure al mondo esterno e reale. Da esso anzi sono stati tratti; il loro potere, dietro cui si celano tutte le influenze del passato e della tradizione, è stato un fenomeno reale quanto mai tangibile. In virtù di questa coincidenza, il Super-io, che sostituisce il complesso edipico, diventa altresì il rappresentante del mondo esterno reale, e quindi il modello cui l'Io cerca di conformarsi nei suoi sforzi. In questo modo il complesso edipico dimostra di essere, secondo un'ipotesi già avanzata sul piano storico,7 la fonte della nostra eticità individuale o moralità. Nel corso dello sviluppo infantile, che porta a un progressivo distacco dai genitori, l'importanza personale di questi ultimi passa in secondo piano per il Super-io. Alle imagines che essi si sono lasciati dietro si collegano infine le influenze degli educatori, delle autorità, degli individui che il soggetto reputa esemplari e degli eroi pubblicamente riconosciuti, le cui persone non hanno più bisogno di essere introiettate dall'Io, che nel frattempo è diventato più resistente. L'ultima figura di questa serie che comincia coi genitori è l'oscuro potere del destino, che solo pochissimi di noi sono capaci di intendere in modo impersonale. Se il poeta olandese Multatuli8 sostituisce la Moìra [Destino] dei greci con la divina coppia Lóyos xaì 'Avàkne [Ragione e Necessità], non c'è molto da obiettare; ma tutti coloro che attribuiscono il governo del mondo alla Provvidenza, a Dio, o a Dio e alla Natura, destano il sospetto di considerare ancor sempre queste potenze ultime e remote come una coppia di genitori (in senso mitologico) e di sentirsi ad esse legati da vincoli libidici. In L'Io e l’Es ho fatto il tentativo di derivare da questa concezione parentale del destino anche la paura realistica che gli uomini hanno della morte. Liberarsi da tale concezione mi sembra un'impresa davvero ardua. Ciò premesso, possiamo tornare alla nostra valutazione del masochismo morale. Abbiamo detto che col loro comportamento (durante il trattamento e nella vita) certi soggetti danno l'impressione di essere moralmente inibiti in misura eccessiva, di assoggettarsi al dominio di una coscienza morale particolarmente suscettibile, pur non essendo consapevoli affatto di questa ipermoralità. A un esame più attento ci rendiamo conto della differenza che passa tra una siffatta prosecuzione inconscia della moralità e il masochismo morale. Nel primo caso l'accento cade sull'aumentato sadismo con cui il Super-io infierisce sull'Io, nel secondo invece sul masochismo proprio dell'Io, che vuol essere punito sia dal Super-io sia dai poteri parentali esterni. La confusione in cui siamo incorsi all'inizio può essere scusata se si tien conto del fatto che entrambe le volte si tratta di una relazione fra l'Io e il Super-io, o fra l'Io e poteri equiparabili al Super-io, e che in entrambi i casi è presente un bisogno che viene soddisfatto dalla punizione e dalla sofferenza. Un particolare non irrilevante è allora che il sadismo del Super-io diventa perlopiù vivamente cosciente, mentre invece di regola la tendenza masochistica dell'Io rimane ignota al soggetto e va inferita basandosi sul suo comportamento. La mancata consapevolezza del masochismo morale ci mette su una facile pista. Abbiamo potuto affermare che l'espressione "senso di colpa inconscio" significa un bisogno di punizione ad opera di un potere parentale. Ebbene, noi sappiamo che il desiderio di essere picchiati dal padre, che compare così spesso nelle fantasie, è assai affine al desiderio di avere con lui una relazione sessuale passiva (femminea), non essendo altro che una deformazione regressiva di tale desiderio. Se applichiamo questa spiegazione al contenuto del masochismo morale, il suo significato segreto ci diventa chiaro. La coscienza morale e l'eticità sono sorte con il superamento, la desessualizzazione del complesso edipico; attraverso il masochismo morale la moralità torna a essere sessualizzata, il complesso edipico è riattivato, viene aperta la strada per una regressione dalla moralità al complesso edipico. Ciò non giova né alla moralità né all'individuo. È vero che, accanto al suo masochismo, un soggetto può avere conservato, in tutto o in parte, il suo senso etico; ma è anche vero che il masochismo può invece implicare la perdita di gran parte della sua coscienza morale. D'altro lato il masochismo induce nella tentazione di commettere azioni "peccaminose", che dovranno poi essere espiate o sopportando i rimproveri della coscienza sadica (come in tanti caratteri tipicamente russi) o tollerando i castighi inflitti da quella grande autorità parentale che è il destino. Per provocare la punizione di quest'ultimo rappresentante dei suoi genitori, il masochista deve agire in modo dissennato e contro i propri interessi, deve distruggere le prospettive che gli si aprono nel mondo reale, ed eventualmente deve distruggere la propria reale esistenza. Il sadismo viene regolarmente diretto contro la propria persona nel caso della repressione delle pulsioni ad opera della civiltà, la quale fa sì che il soggetto si astenga dall'esplicare nella vita gran parte delle sue componenti pulsionali distruttive. Si può supporre che questa parte raffrenata della pulsione distruttiva compaia nell'Io sotto forma di un'intensificazione del masochismo. Ma i fenomeni della coscienza morale ci permettono di arguire che la distruttività che ritorna dal mondo esterno viene accolta dal Super-io anche se non si verifica tale trasformazione, intensificando il suo sadismo nei confronti dell'Io. Il sadismo del Super-io e il masochismo dell'Io si integrano reciprocamente e si alleano così da provocare i medesimi effetti. A mio giudizio, solo così si può capire come la repressione di una pulsione determini — spesso o in tutti i casi — un sentimento di colpa, e come la coscienza morale diventi tanto più severa e suscettibile quanto più il soggetto si astiene dall'aggredire altre persone. Ci potremmo aspettare che un individuo che sa di avere la buona abitudine di evitare le azioni aggressive indesiderabili dal punto di vista della civiltà sia per ciò stesso in pace con la propria coscienza e sorvegli con minore diffidenza il proprio Io. Di solito la situazione è presentata come se l'esigenza etica fosse l'elemento primo e originario, e la rinuncia pulsionale la sua conseguenza. Ma in questo modo l'origine dell'eticità resterebbe inesplicata. In realtà pare che accada il contrario: la prima rinuncia pulsionale è stata imposta da forze esterne, essa sola ha potuto creare il senso etico che trova espressione nella coscienza morale ed esige una rinuncia pulsionale ulteriore. Il masochismo morale diventa così una testimonianza lampante dell'esistenza dell'impasto pulsionale. La sua pericolosità deriva dal fatto che esso trae origine dalla pulsione di morte, corrispondendo a quella parte di essa che non è stata estroflessa sotto forma di pulsione distruttiva. Ma poiché d'altra parte esso ha il significato di una componente erotica, perfino l'autodistruzione della persona non può compiersi senza soddisfacimento libidico. Note1 Vedi il mio scritto Al di là del principio di piacere (1920). 2 [In Al di là del principio di piacere (1920). Questo principio Freud l'aveva chiamato precedentemente "principio di costanza".] 3 Vedi il mio scritto L'organizzazione genitale infantile (1923). 4 [Sul concetto di Verleugnung (rinnegamento, disconoscimento) vedi oltre, pp. 65, 72 sgg.] 5 Nel mio scritto L'Io e l'Es (1922). 6 Nello scritto L'Io e l'Es (1922). 7 Vedi il cap. 4 del mio libro Totem e tabù (1912-13). 8 E. Douwes Dekker (1820-1887). [E. D. Dekker, noto con lo pseudonimo "Multatuli" ("sopportai molte cose") fu per molto tempo uno degli scrittori preferiti di Freud.] |