Una nevrosi demoniaca nel secolo decimo settimo

1922

Studiando le nevrosi dell'età infantile abbiamo appreso che in esse sono ravvisabili senza fatica e a occhio nudo cose che in età più tarda solo un'approfondita ricerca permette di individuare. Possiamo aspettarci che lo stesso fenomeno si verifichi per le affezioni nevrotiche dei secoli passati, a patto di esser disposti a riconoscerle sotto denominazioni diverse da quelle delle nostre attuali nevrosi. Non dobbiamo stupirci se le nevrosi di queste epoche passate si presentano sotto vesti demoniache, mentre quelle della nostra apsicologica età assumono sembianze ipocondriache travestendosi da malattie organiche. Com'è noto, nelle rappresentazioni della possessione demoniaca e dell'estasi mistica che l'arte ci ha tramandato, parecchi autori, e primo fra tutti Charcot, hanno riconosciuto le forme in cui si manifesta l'isteria; se a quell'epoca fossero state considerate con più attenzione le storie di quel tipo di malati, non sarebbe stato difficile rintracciare in esse i contenuti tipici della nevrosi.

La teoria demonologica di quei tempi oscuri ha tenuto testa a tutte le interpretazioni somatiche proprie dell'era della scienza "esatta". Gli stati di possessione demoniaca corrispondono alle nostre nevrosi, per la spiegazione delle quali noi facciamo ricorso ancora una volta a forze psichiche. I demoni sono, a nostro avviso, desideri cattivi, ripudiati, che derivano da moti pulsionali che sono stati respinti e rimossi.

Noi non facciamo nulla di più che eliminare la proiezione nel mondo esterno ipotizzata dal Medioevo a proposito di tali entità psichiche; noi riteniamo che esse abbiano avuto origine nella vita intima dei malati dove in effetti dimorano.

1.  LA   STORIA DEL  PITTORE  CHRISTOPH  HAIZMANN

Ho avuto l'opportunità di studiare uno di questi casi di nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo grazie all'amichevole interessamento del Consigliere di Corte dottor Payer-Thurn, direttore dell'ex "Fideikommissbibliothek" regio-imperiale di Vienna. Payer-Thurn aveva scoperto in questa biblioteca un manoscritto che proveniva dal santuario di Mariazell2 nel quale era dettagliatamente esposta la storia di una miracolosa liberazione da un patto col diavolo avvenuta per grazia della santa Vergine Maria. Il suo interesse, che era stato destato dalla somiglianza di questa storia con la leggenda di Faust, lo indurrà a lavorare su questo materiale e a curarne la pubblicazione integrale. Ma poiché ha trovato che la persona di cui è descritta la redenzione soffriva di convulsioni e visioni, si è rivolto a me per avere un parere medico sul caso. Abbiamo deciso di comune accordo di pubblicare i nostri lavori separatamente e indipendentemente uno dall'altro. Colgo L'occasione per ringraziare Payer-Thurn per il suo suggerimento e anche per l'aiuto che mi ha più volte prestato durante il mio studio del manoscritto.

Questo caso clinico demonologico consente di fare scoperte davvero pregevoli, che possono esser messe in luce senza bisogno di un gran lavoro interpretativo, cosi come accade talora di trovare da qualche parte una vena di puro metallo che altrimenti bisognerebbe estrarre faticosamente dal minerale grezzo.

Il manoscritto, di cui ho davanti a me una trascrizione scrupolosa, si divide in due parti completamente diverse: una relazione in latino del monaco amanuense o compilatore, e una parte del diario che il malato scrisse in tedesco. La prima parte contiene una prefazione e la descrizione di come avvenne in effetti la miracolosa guarigione; la seconda parte, che non poteva rivestire grande interesse per le autorità ecclesiastiche, a maggior ragione ha invece per noi un valore grandissimo. Essa contribuisce in larga misura a confermare il nostro giudizio, che altrimenti sarebbe stato vacillante, su questo caso patologico; abbiamo pertanto buoni motivi per essere grati ai religiosi che hanno conservato questo documento sebbene esso non potesse aggiungere nulla in favore della loro tesi, che anzi caso mai ne risulta incrinata.

Tuttavia, prima di esaminare ulteriormente la struttura dell'opusco-letto manoscritto, che porta il titolo Trophaeum Mariano-Cellense, devo esporre, traendola dalla prefazione, una parte del suo contenuto.

Il 5 settembre 1677 il pittore bavarese Christoph Haizmann venne portato a Mariazell con una lettera di presentazione del parroco della vicina Pottenbrunn (nella bassa Austria). (L'età del pittore non è indicata da nessuna parte. Dal contesto si direbbe che egli fosse un uomo fra i trenta e i quarant'anni, forse più vicino al limite inferiore. Come vedremo mori nel 1700.) Aveva soggiornato a Pot-tenbrunn parecchi mesi, dedicandosi alla sua professione di pittore; il 29 agosto, mentre era in chiesa, era stato colto da terribili convulsioni, e poiché le convulsioni si erano ripetute nei giorni successivi, il Praefetectus Dominii Pottenbrunnensis lo aveva esaminato allo scopo di scoprire quale fosse il male che lo opprimeva e se per caso non avesse intrecciato un illecito rapporto con lo Spirito Maligno. (Accenneremo solo di sfuggita all'eventualità che questo modo di essere interrogato abbia potuto ispirare a quest'uomo sofferente — "suggerirgli" — la fantasia del suo patto col diavolo.)

L'uomo aveva ammesso che effettivamente nove anni prima, in un periodo in cui era avvilito a causa della sua arte e perché temeva di non riuscire a provvedere a sé stesso, aveva ceduto al diavolo che lo aveva tentato ben nove volte e si era impegnato con lui per iscritto ad appartenergli con il corpo e con l'anima quando fossero trascorsi nove anni. Questo periodo scadeva appunto il 24 del corrente mese. L'infelice era pentito, e convinto che soltanto la grazia della Madre di Dio di Mariazell avrebbe potuto salvarlo costringendo il maligno a liberarlo dal patto, che era stato scritto col sangue. Per questo motivo il parroco si permetteva di raccomandare miserimi hunc hominem omni auxilio destitutum alla benevolenza dei padri di Mariazell.

Questo il racconto di Leopoldus Braun, parroco di Pottenbrunn, datato il 1° settembre 1677.

Possiamo ora procedere all'analisi del manoscritto. Esso è composto di tre parti:

1.  Un frontespizio a colori, in cui è raffigurata la scena del patto e quella della liberazione nella cappella di Mariazell. Sulla pagina seguente compaiono otto illustrazioni, anch'esse a colori, che rappresentano le successive apparizioni del diavolo e sono accompagnate da brevi didascalie in tedesco. Queste immagini non sono quelle originali, bensì copie — copie fedeli, come ci è solennemente assicurato — dei dipinti originali di Christoph Haizmann.

2.  Il vero e proprio Trophaeum Mariano-Cellense (in latino), che è stato compilato da un monaco il quale si firma in fondo "P.A.E."; a queste iniziali seguono quattro versi che contengono la sua biografia. Il Trophaeum si conclude con una testimonianza dell'abate Kilian di San Lambert, datata 9 settembre 1729 e scritta con una grafia diversa da quella del compilatore; essa attesta la precisa corrispondenza del manoscritto e delle illustrazioni con gli originali conservati nell'archivio. Non si dice in che anno sia stato compilato il Trophaeum. Siamo liberi di supporre che ciò sia accaduto nello stesso anno in cui l'abate Kilian ha prodotto la sua testimonianza, e cioè nel 1729, oppure, dal momento che il 1714 è l'ultimo anno di cui si parla nel testo, possiamo situare l'opera del compilatore in un'epoca qualsiasi tra il 1714 e il 1729. Il miracolo che questo manoscritto doveva preservare dall'oblio si è verificato nel 1677, e cioè da 37 a 52 anni prima.

3.  Il diario del pittore, che è scritto in tedesco e si riferisce al periodo che va dalla sua liberazione nella cappella fino al 13 gennaio dell'anno successivo (1678). È inserito, nel testo del Trophaeum, poco prima della fine.

Il nucleo del Trophaeum vero e proprio è costituito da due scritti: la già menzionata lettera di presentazione del parroco Leopold Braun di Pottenbrunn, datata 1° settembre 1677, e il resoconto dell'abate Franciscus di Mariazell e San Lambert, che descrive la miracolosa guarigione datandola 12 settembre 1677, dunque solo pochi giorni dopo. Per opera del redattore o compilatore P.A.E. è stata fornita un'introduzione, che in un certo senso fonde insieme i due documenti, aggiunge alcuni passi scarsamente rilevanti con funzione di collegamento, e, alla fine, un resoconto sulle successive vicissitudini del pittore, basato su informazioni ricevute nel 1714.

La precedente storia del pittore è dunque raccontata nel Trophaeum tre volte: 1) nella lettera di presentazione del parroco di Pottenbrunn; 2) nella solenne relazione dell'abate Franciscus; 3) nell'introduzione del redattore. Se si confrontano tra loro queste tre fonti si riscontrano alcune divergenze che varrà la pena di esaminare.

Possiamo ora continuare la storia del pittore. Dopo che egli ebbe trascorso un lungo periodo di penitenza e preghiera a Mariazell, verso la mezzanotte dell'8 settembre (il giorno della Natività di Maria), il diavolo, apparsogli sotto forma di drago alato, gli restituì il patto che era stato scritto col sangue. In seguito apprenderemo con sorpresa che nella storia del pittore Christoph Haizmann compaiono due patti còl diavolo: un primo patto scritto con l'inchiostro nero e un secondo patto scritto col sangue. Nella descrizione della scena dell'esorcismo si parla soltanto del patto scritto col sangue, e cioè dell'ultimo, come si vede anche dall'illustrazione che compare sul frontespizio.

A questo punto un dubbio circa l'attendibilità dei monaci che hanno scritto le relazioni potrebbe insinuarsi in noi, ed esortarci a non sprecare le nostre energie con un prodotto della superstizione religiosa. Si racconta che parecchi religiosi, indicati per nome, assistettero all'esorcismo e furono presenti nella cappella quando il diavolo fece la sua apparizione. Se si affermasse che anch'essi videro il diavolo apparire sotto forma di drago, e porgere al pittore il biglietto scritto in rosso (Schedam sibi ponigentem conspexisset), ci troveremmo di fronte a parecchie possibilità sgradevoli, delle quali quella di un'allucinazione collettiva sarebbe ancora la meno grave. Ma il testo della testimonianza dell'abate Franciscus dissipa questo dubbio. Egli non afferma affatto che anche i religiosi che erano presenti videro il diavolo, ma dice al contrario, con sincerità e sobrietà, che il pittore si staccò violentemente dai padri che lo sorreggevano, si precipitò nell'angolo della cappella dove aveva visto l'apparizione, e poi ritornò col biglietto in mano.

Il miracolo era grande, la vittoria della santa Madre di Dio su Satana fuori discussione; purtroppo, però, la guarigione non fu duratura. Dobbiamo sottolineare, e ancora una volta ciò torna a onore dei reverendi padri, che questa circostanza non è sottaciuta. Dopo breve tempo il pittore lasciò Mariazell in ottime condizioni di salute e si recò a Vienna, dove andò ad abitare presso una sorella sposata. L'11 ottobre ricominciarono gli attacchi, alcuni dei quali gravissimi, come riferisce il diario tenuto fino al 13 gennaio [del 1678]. Si trattava di visioni, di assenze durante le quali egli vedeva e provava ogni sorta di cose, di stati convulsivi accompagnati da sensazioni dolorosissime, una volta di una paralisi alle gambe, e cosi via. Ma questa volta non era il diavolo a tormentarlo, lo visitavano invece personaggi sacri, il Cristo, e perfino la Santa Vergine. È singolare il fatto che per queste celestiali apparizioni e per le punizioni che da esse gli venivano inflitte egli non soffrisse meno di quanto aveva sofferto prima, a causa dei suoi rapporti col diavolo. A quanto risulta dal suo diario, Haizmann considerò anche queste nuove esperienze come opera del diavolo, e quando ritornò a Mariazell, nel maggio 1678, si lamentò appunto delle maligni Spiritus manifesiationes.

Ai reverendi padri egli disse che il motivo per cui ritornava era che doveva chiedere al diavolo di restituirgli anche un altro patto, stipulato precedentemente e scritto con l'inchiostro. Anche questa volta la Santa Vergine e i pii monaci lo aiutarono a far si che la sua preghiera fosse esaudita. Ma il resoconto non dice come ciò avvenne, limitandosi ad affermare brevemente: qua iuxta votum reddita. Egli pregò una seconda volta, e ricevette indietro il patto. Dopo di che si senti completamente libero, ed entrò nell'Ordine dei fratelli della misericordia.

Abbiamo ancora una volta occasione di riconoscere che nonostante l'evidente finalità delle sue fatiche, il compilatore non si lasciò indurre ad allontanarsi dalla veridicità che è richiesta dal racconto di un caso clinico; non è sottaciuto, infatti, l'esito dell'inchiesta condotta nel 1714 dal superiore del convento dei fratelli della misericordia [di Vienna]; tale inchiesta era intesa a stabilire come si fosse conclusa la storia del pittore. Il reverendo Padre provinciale riferisce che frate Chrysostomus era stato ancora più volte tentato dallo Spirito Maligno, che voleva indurlo a stringere un nuovo patto, e che ciò accadeva solo "quando aveva bevuto un bicchiere di troppo"; ma che la grazia di Dio gli aveva sempre permesso di respingere queste tentazioni. Frate Chrysostomus era morto di tisi nel 1700 nel convento dell'Ordine a Neustatt sulla Moldava, "in dolcezza e serenità".

2.  IL   MOTIVO   DEL   PATTO   COL  DIAVOLO

Se consideriamo questo patto col diavolo come la storia di una nevrosi, il primo problema che suscita il nostro interesse è quello della sua motivazione, che naturalmente è strettamente connessa con l'occasione che lo ha determinato. Qual è la ragione che induce a stringere un patto col diavolo? È vero che Faust chiede con disprezzo: "E che vuoi darmi, povero Diavolo?" Ma ha torto; in cambio dell'anima immortale il diavolo può offrire molte cose che gli uomini tengono in gran conto: ricchezza, immunità dai pericoli, potere sugli uomini e sulle forze della natura, arti magiche persino, ma soprattutto piacere, piacere con le belle donne. Questi servizi che il diavolo si impegna a rendere sono di solito esplicitamente indicati nei contratti con lui. Ora, qual è stata la ragione che ha indotto Christoph Haizmann a stipulare il suo patto?

Stranamente, non si tratta di nessuno di questi desideri cosi naturali. Per dissipare ogni dubbio in proposito, basta dare un'occhiata alle brevi osservazioni con cui il pittore accompagna i suoi dipinti delle apparizioni del diavolo. Per esempio, il commento della terza visione suona: "La terza volta nel giro di un anno e mezzo mi è apparso in questa forma spaventevole, con in mano un libro che era pieno di incantesimi e magia nera..." Ma dalla didascalia che accompagna un'apparizione successiva apprendiamo che il diavolo gli rivolge violenti rimproveri perché egli ha "bruciato il libro di cui si è detto prima", e lo minaccia di farlo a pezzi se non fa in modo di restituirglielo.

Nella quarta apparizione il diavolo gli mostra una grossa borsa gialla e un grande ducato, e gli promette di dargli sempre tutto il denaro che vuole; ma il pittore può vantarsi di "non avere preso nulla di simile".

Un'altra volta il diavolo pretende da lui che se la goda e si diverta. Ma il pittore osserva: "Ebbene, ciò è effettivamente accaduto, secondo il suo desiderio; ma non ho continuato per più di tre giorni, dopo di che ne fui subito liberato."

Ora, dal momento che il pittore rifiuta sia le arti magiche, sia il denaro, sia il piacere che il diavolo gli ha offerto, e ancor meno ha posto queste cose tra le condizioni del patto, sorge in noi l'esigenza imprescindibile di sapere che cosa egli volesse propriamente dal diavolo quando firmò il patto con lui. Qualche motivo il pittore doveva pur averlo, per decidere di legarsi al diavolo.

Su questo punto il Trophaeum ci dà invero informazioni precise. Il pittore era diventato melanconico, non poteva o non voleva lavorare bene e temeva per la sua stessa sopravvivenza; diremo dunque che soffriva di depressione melanconica, accompagnata da un'inibizione della capacità lavorativa e da una (legittima) preoccupazione per il proprio futuro. Ci rendiamo conto che abbiamo davvero a che fare con un caso clinico, apprendiamo perfino quale fu il motivo che scatenò questa malattia, chiamata dal pittore stesso "melanconia" nelle osservazioni che accompagnano i suoi dipinti sul diavolo ("cosi avrei dovuto divertirmi e scacciare la melanconia"). È vero che la prima delle nostre tre fonti, la lettera di presentazione del parroco, nomina solo lo stato di depressione ("dum aitis suae progressum emolumentumque secuturum pusilhnimis perpenderet"), ma la seconda, la relazione dell'abate Franciscus, è anche in grado di indicarci la causa di questo avvilimento o scoramento; in essa infatti è detto: "accepta aliqua pusillanimitate ex morte parentis". Le stesse parole compaiono anche, solo in ordine inverso, nella prefazione del compilatore: "ex morte parentis accepta aliqua pusillanimitate". Era dunque morto suo padre, e in seguito a questo evento il pittore era caduto in uno stato di melanconia; a questo punto gli si era avvicinato il diavolo, gli aveva chiesto perché fosse cosi triste e sgomento, e gli aveva promesso "di aiutarlo in tutti i modi e di sostenerlo".

Ci troviamo dunque di fronte al caso di una persona che stringe un patto col diavolo al fine di liberarsi da uno stato di depressione psichica. Indubitabilmente un ottimo motivo, come può testimoniare chiunque si immedesimi nei tormenti di un simile stato e sappia inoltre che la medicina può fare ben poco per alleviare questa sofferenza. Ma nessuno di coloro che hanno seguito la storia fino a questo punto potrebbe indovinare il testo del patto col diavolo (o meglio dei due patti) (Ce n'erano in effetti due, il primo scritto con l'inchiostro e il secondo scritto circa un anno dopo col sangue; a quanto si dice entrambi facevano ancora parte del tesoro di Mariazell ed erano stati trascritti nel Trophaeum.

Questi patti ci procurano due grosse sorprese. In primo luogo non indicano un impegno del diavolo in cambio del quale il pittore cede la propria beatitudine eterna, ma sólo una richiesta del diavolo che il pittore è tenuto a soddisfare. Ci colpisce per il suo carattere del tutto illogico, assurdo, il fatto che quest'uomo impegni la propria anima non già per qualcosa che otterrà dal diavolo, ma per un servizio che egli stesso dovrà rendergli. E ancor più peregrino suona l'impegno che il pittore si assume. La prima "syngrapha" [patto], scritta con l'inchiostro suona:

"Ich Christoph Haizmann vndterschreibe mich disen Herrn sein leibeigener Sohn auff 9. Jahr. 1669 Jahr." [Io, Christoph Haizmann, firmo un patto con questo Signore, impegnandomi a essere suo figlio e servo per nove anni. Anno 1669.]

Il testo del secondo patto, scritto col sangue, è il seguente:

"Anno 1669.

Christoph Haizmann. Ich verschreibe mich disen Satan ich sein leibeigner Sohn zu sein, und in 9. Jahr ihm mein Leib und Seel zuzugeheren" ["Anno 1669. Christoph Haizmann. Con questo patto mi dichiaro impegnato a essere figlio e servo di questo Satana e in capo a nove anni ad appartenergli nel corpo e nell'anima."]

Ma ogni senso di stupore scompare se entriamo nell'ordine di idee che ciò che in ciascuno di questi patti è rappresentato come una richiesta del diavolo è al contrario un servizio che costui dovrà rendere al pittore, e cioè una richiesta di quest'ultimo. In questo caso l'incomprensibile patto acquisterebbe un significato del tutto plausibile, e potrebbe essere interpretato nel modo seguente: per nove anni il diavolo si impegna a sostituire il padre che il pittore ha perduto. Allo scadere di questo periodo il pittore si dà al diavolo, nel corpo e nell'anima, secondo la consuetudine in uso in tali contratti. Il ragionamento che ha indotto il pittore a stringere il suo patto sembra in effetti essere il seguente: con la morte del padre egli ha perso il buonumore e la capacità di lavorare; se riuscisse a ottenere un sostituto del padre, potrebbe sperare di recuperare ciò che ha perduto.

Un uomo che è diventato melanconico a causa della morte del padre, certo questo padre deve averlo amato. Ma allora è molto strano che a un individuo simile possa venire in mente di prendere il diavolo come sostituto dell'amato padre.

3.   IL   DIAVOLO   COME   SOSTITUTO   DEL   PADRE

Temo che una critica spassionata non potrà ammettere che con questa nostra reinterpretazione abbiamo davvero messo a nudo il significato del patto col diavolo. Due ordini di obiezioni possono essere sollevate. Si dirà in primo luogo che il patto non dev'essere necessariamente considerato come un contratto nel quale siano stati esplicitamente indicati gli impegni di entrambe le parti. In questo patto sarebbe contenuto l'impegno del pittore, mentre quello del diavolo non sarebbe enunciato, essendo per cosi dire sottinteso. Ma il pittore contrae due obblighi: primo, quello di essere per nove anni figlio del diavolo, secondo, quello di appartenergli interamente dopo la morte. In questo modo una delle premesse su cui si fondano le nostre deduzioni verrebbe meno.

In secondo luogo si obietterà che non è lecito attribuire un particolare peso all'espressione "figlio e servo del diavolo" trattandosi di una locuzione corrente, che tutti possono intendere nel senso in cui l'hanno probabilmente intesa i reverendi padri. Nelle loro traduzioni latine non si nomina infatti l'impegno, indicato nei patti, di diventare figlio del diavolo, ma ci si limita a dire che il pittore si "mancipavit" al Maligno, si rese suo schiavo, impegnandosi a condurre una vita peccaminosa e a rinnegare Dio e la Santa Trinità. Perché mai dovremmo allontanarci da questa interpretazione ovvia e naturale?(In effetti in seguito considereremo quando e per chi furono stipulati questi patti, e allora comprenderemo che il loro enunciato doveva risultare poco appariscente e universalmente comprensibile. Per noi è comunque sufficiente che esso contenga un'ambiguità cui poterci riallacciare nelle nostre considerazioni.) In questo caso la situazione del pittore sarebbe semplicemente quella di chi, essendo in preda alle sofferenze e al disorientamento di una depressione melanconica, stringe un patto col diavolo al quale attribuisce poteri terapeutici immensi. Il fatto che questa depressione sia stata provocata dalla morte del padre non avrebbe più alcuna importanza, l'occasione avrebbe potuto anche essere un'altra.

Questi argomenti paiono convincenti e ragionevoli. La psicoanalisi è ancora una volta accusata di complicare caviliosamente le cose più semplici, di vedere misteri e problemi dove non ce ne sono, e di farlo perché attribuisce un peso del tutto sproporzionato a particolari irrilevanti e secondari (che si possono incontrare ovunque) in base ai quali trae conclusioni quanto mai peregrine e di vasta portata. Inutilmente replicheremmo a nostra volta che tale rifiuto della nostra interpretazione non tiene conto di molte convincenti analogie e spezza connessioni sottili di cui in questo caso possiamo dimostrare l'esistenza. I nostri avversari direbbero che queste analogie e connessioni per l'appunto non esistono, e vengono introdotte nel caso da noi, con uno sfoggio di inutile sottigliezza.

Ora io non introdurrò la mia replica con le parole "siamo onesti" o "siamo sinceri", poiché dobbiamo essere sempre disposti all'onestà e alla sincerità, senza bisogno di particolari preamboli. Dirò invece semplicemente che so benissimo che se il lettore non crede già nella legittimità del modo di pensare psicoanalitico, non acquisterà certo tale convincimento in base al caso secentesco del pittore Christoph Haizmann. Neppure è mia intenzione servirmi di questo caso come di un argomento per dimostrare la validità della psicoanalisi; al contrario, presuppongo la validità di questa scienza, di cui mi avvalgo per far luce sulla nevrosi demoniaca del pittore. Posso giustificare questo mio comportamento appellandomi al successo delle nostre ricerche sulla natura delle nevrosi in generale. Con tutta modestia possiamo affermare che oggi persino i più ottusi tra i nostri contemporanei e colleghi cominciano a rendersi conto che gli stati nevrotici non possono essere compresi senza l'aiuto della psicoanalisi.

"Queste frecce possono conquistare Troia, queste soltanto"

come ammette Odisseo nel Filottete di Sofocle.

Se è giusto considerare il patto col diavolo del nostro pittore alla stregua di una fantasia nevrotica, non c'è bisogno di ulteriori giustificazioni per darne una valutazione psicoanalitica. Anche i piccoli indizi hanno il loro significato e il loro valore, in particolar modo quando sono in rapporto con le condizioni di insorgenza di una nevrosi. È ovvio che essi possono essere sopravvalutati o sottovalutati, e la misura e il modo in cui li utilizziamo restano affidati alla nostra discrezione. Comunque, se uno non crede né alla psicoanalisi né al diavolo, dobbiamo lasciare che faccia quel che vuole del caso del pittore, sia che sia capace di darne una spiegazione con argomenti suoi, sia che non vi trovi nulla che abbia bisogno di esser spiegato.

Ritorniamo dunque alla nostra ipotesi secondo la quale il diavolo con cui il nostro pittore stringe il patto è un diretto sostituto paterno. Con essa si accorda anche la forma in cui il diavolo gli appare la prima volta, come un rispettabile signore di una certa età, con una grande barba bruna, un mantello rosso, il cappello nero, la mano destra appoggiata sul bastone, e un cane nero accanto. (In Goethe un cane nero come questo si trasforma nello stesso diavolo.)

In seguito la sua apparizione diventa sempre più terribile, si potrebbe quasi definirla mitologica: il diavolo viene provvisto di corna, di artigli d'aquila, di ali da pipistrello. Alla fine gli appare nella cappella sotto le spoglie di un drago alato. Più avanti dovremo ritornare su un certo dettaglio della sua figura fisica.

Che il diavolo sia scelto come sostituto di un padre amato suona veramente strano, ma solo in un primo momento, poiché sappiamo parecchie cose che possono attenuare la nostra sorpresa. Sappiamo innanzitutto che Dio è un sostituto del padre, o più precisamente è un padre che è stato innalzato, oppure, ancora, è una copia del padre, cosi come il padre è stato visto e vissuto nell'infanzia, dal singolo nella sua infanzia personale, e dal genere umano, nella sua preistoria, come padre dell'orda primordiale. In seguito il singolo vide suo padre in un modo diverso, lo ridimensionò; eppure l'immagine ideativa che di lui si era fatta da bambino rimase, e, fondendosi con la traccia mnestica del padre primordiale trasmessagli per eredità, diede luogo alla rappresentazione individuale di Dio. La storia segreta del singolo che l'analisi ha scoperto ci ha anche insegnato che questo rapporto col padre fu forse ambivalente fin dall'inizio, o comunque lo divenne ben presto; in esso erano cioè implicite due spinte emotive antagoniste, non solo un impulso all'affettuosa sottomissione, ma anche una tendenza all'ostilità e alla sfida. A nostro giudizio questa ambivalenza caratterizza anche il rapporto della specie umana con la sua divinità. Il non risolto conflitto tra la nostalgia del padre da un lato, e la paura e la sfida filiale nei suoi confronti dall'altro, ci ha permesso di spiegare importanti caratteristiche e decisive vicissitudini delle religioni. (Vedi il mio libro Totem e tabù, 1912-15.)

Quanto al demone malvagio, sappiamo che esso è considerato come l'antitesi di Dio, pur essendo, per sua natura, molto affine a Dio. È vero che la sua storia non è stata indagata cosi bene come quella di Dio, che non tutte le religioni hanno accolto la figura dello Spirito Maligno, dell'avversario di Dio, e che il suo prototipo nella vita individuale resta a tutta prima oscuro. Ma una cosa è certa: gli dèi possono diventare demoni malvagi quando nuove divinità li soppiantano. Quando un popolo è stato vinto da un altro, accade non di rado che le abbattute divinità dei vinti si trasformino per il popolo dei vincitori in demoni. Il demone malvagio della fede cristiana, il diavolo del Medioevo, era secondo la stessa mitologia cristiana un angelo decaduto che aveva una natura simile a quella di Dio. Non occorre una grande perspicacia psicoanalitica per arguire che Dio e il diavolo furono originariamente identici, un'unica figura che in seguito fu scissa in due figure dotate di attributi opposti. Quando le religioni erano agli inizi lo stesso Dio possedeva ancora tutte le terrificanti caratteristiche che in seguito si assommarono fino a convergere in un personaggio ad esso opposto.

È questo un esempio del ben noto processo per cui una rappresentazione che ha un contenuto contraddittorio (ambivalente) si scompone in due termini opposti in netto contrasto tra loro. Comunque le contraddizioni specifiche attinenti alla natura originaria di Dio rispecchiano l'ambivalenza che caratterizza il rapporto del singolo col proprio padre personale. Se il Dio giusto e misericordioso è un sostituto del padre, non c'è da stupirsi che anche l'atteggiamento ostile nei confronti del padre, per cui il figlio lo odia e lo teme e si lamenta di lui, abbia trovato espressione nella creazione di Satana. Il padre sarebbe dunque l'archetipo individuale sia di Dio sia del diavolo. Tuttavia le religioni recherebbero l'impronta indelebile del fatto che il padre primordiale era un essere di illimitata malvagità, meno simile a Dio che al diavolo.

Naturalmente non è facilissimo indicare ciò che nella vita psichica dell'individuo rappresenta un residuo di questa concezione satanica del padre. Quando un ragazzo disegna facce grottesche e caricaturali non è impossibile dimostrare che con queste immagini egli si fa beffe del padre, e quando una persona dell'uno o dell'altro sesso nottetempo ha paura di rapinatori e scassinatori non è difficile ravvisare in costoro una delle parti in cui si è scissa la figura paterna. (Anche nella celebre fiaba del Lupo e i sette capretti il padre lupo compare nelle vesti di uno scassinatore.) Anche gli animali che compaiono nelle zoofobie infantili sono perlopiù sostituti del padre, come lo era nei tempi primordiali l'animale totemico. Ma che il diavolo possa essere una copia del padre e fungere da suo sostituto, questo non era mai apparso con tanta evidenza come nel caso del nostro pittore nevrotico del secolo decimosettimo. È perciò che all'inizio di questo lavoro ho detto che mi aspettavo che questa storia di una nevrosi demoniaca ci mostrasse sotto forma di puro metallo ciò che nelle nevrosi di un'epoca posteriore (non più superstiziosa, ma in compenso ipocondriaca) deve essere estratto, con paziente lavoro analitico, dal minerale grezzo delle associazioni e dei sintomi. (II fatto che nelle nostre analisi riusciamo cosi raramente a trovare il diavolo come sostituto del padre potrebbe forse significare che per coloro i quali si sottopongono alla nostra analisi questa figura della mitologia medievale ha perso da tempo la sua funzione. Per il cristiano devoto dei secoli passati la fede nel Diavolo non era meno doverosa della fede in Dio. In realtà egli aveva bisogno del Diavolo per credere fermamente in Dio. In seguito, per diversi motivi, il decrescere della fede ha colpito innanzitutto e soprattutto la persona del Diavolo.

Se si ha il coraggio di applicare l'idea del diavolo come sostituto paterno alla storia della civiltà, anche i processi delle streghe in uso nel Medioevo possono essere visti in una luce nuova [come è stato già dimostrato da Ernest Jones nel capitolo sulle streghe del suo libro sugli incubi.)

La nostra convinzione sarà probabilmente rafforzata quando penetreremo più profondamente nell'analisi della malattia del nostro pittore. Non è un fatto inconsueto che la morte del proprio padre determini in un individuo uno stato di depressione melanconica e un'inibizione delle capacità lavorative. Quando ciò accade, ne deduciamo che costui era legato al padre da un amore particolarmente intenso, e ci ricordiamo quanto spesso accada che perfino un'affezione melanconica grave si presenti come una forma nevrotica di lutto.

Se in ciò abbiamo certamente ragione, non sarebbe tuttavia lecito andare oltre, e concludere che questo rapporto è stato esclusivamente un rapporto d'amore. Al contrario, un lutto derivante dalla perdita del padre tanto più facilmente si trasformerà in una melanconia quanto pili il rapporto con il padre stava sotto il segno dell'ambivalenza. Tuttavia, la sottolineatura di tale ambivalenza ci prepara alla possibilità che il padre venga svilito, cosi come si rileva nella nevrosi demoniaca del nostro pittore. Se potessimo apprendere sulla vita di Christoph Haizmann tutte le cose che apprendiamo sui pazienti che si sottopongono al nostro trattamento analitico, sarebbe facile seguire gli sviluppi di questa ambivalenza, indurre il pittore a ricordare quando e in quali occasioni egli ebbe motivo di temere e odiare suo padre, ma soprattutto potremmo scoprire quali fattori accidentali si sono aggiunti ai motivi tipici dell'odio per il padre, motivi che inevitabilmente si radicano nello stesso rapporto naturale figlio-padre. In questo caso, forse, potremmo scoprire una motivazione specifica per l'inibizione delle sue capacità lavorative. È possibile che il padre si fosse opposto al desiderio del figlio di diventare pittore; in questo caso l'incapacità a esercitare la sua arte dopo la morte del padre sarebbe da un lato un'espressione della ben nota "obbedienza differita", e d'altra parte, dato che renderebbe il figlio incapace di provvedere a sé stesso, accentuerebbe il rimpianto del padre come di colui che protegge dalle preoccupazioni della vita. In quanto obbedienza differita sarebbe anche un modo di esprimersi del rimorso e fungerebbe da efficace autopunizione.

Ma poiché non possiamo condurre una siffatta analisi di Christoph Haizmann, che mori nel 1700, dobbiamo limitarci a sottolineare quelle caratteristiche della sua storia clinica che possono essere ricondotte alle motivazioni tipiche di un atteggiamento negativo verso il padre. Questi tratti caratteristici sono pochi, non molto appariscenti, ma veramente interessanti.

Consideriamo anzitutto la parte svolta dal numero nove. Il patto col Maligno viene stretto per nove anni. Su questo punto la testimonianza del parroco di Pottenbrunn è chiara e insospettabile: prò novem annis Syngraphen scriptam tradidit.2 Questa lettera di presentazione, che porta la data del i° settembre 1677, ci sa anche dire che il periodo sarebbe scaduto di li a pochi giorni: quorum et finis 24 mensis hujus futmus appropinquai.3 Il patto sarebbe stato dunque sottoscritto il 24 settembre 1668. (Ci occuperemo più avanti del fatto contraddittorio che i patti trascritti siano entrambi datati 1669.) Anzi, in questa stessa relazione il numero nove è usato anche una seconda volta. Il pittore afferma che nove volte ("nonies") ha resistito alle tentazioni del diavolo prima di cedergli. Nelle relazioni successive quest'ultimo particolare non è più menzionato; anche nella testimonianza dell'abate appare la frase "post annos novem", e nel suo riassunto il compilatore ripete "ad novem annos", a riprova del fatto che questo numero non era considerato irrilevante.

Il numero nove ci è ben noto dalle fantasie nevrotiche. È il numero dei mesi della gravidanza, e, dovunque compaia, fa si che la nostra attenzione si orienti su una fantasia di gravidanza. È vero che nel caso del nostro pittore si tratta di nove anni e non di nove mesi, e si potrà obiettare che il nove è un numero significativo anche per altri versi. Ma chi sa che il nove, in generale, non debba buona parte della sua sacralità proprio alla funzione che svolge nella gravidanza? Comunque la trasformazione dei nove mesi in nove anni non ci deve fuorviare. Il sogno ci ha insegnato quali libertà si prenda con i numeri l'"attività psichica inconscia". Per esempio, se nel sogno compare il numero cinque dobbiamo sempre ricondurlo a un cinque che è importante nella vita reale; ma se nella realtà si trattava di cinque anni di differenza o di un gruppo di cinque persone, nel sogno compaiono magari cinque banconote o cinque frutti. Ciò significa che il numero viene mantenuto, ma il suo denominatore cambia a volontà in base alle esigenze della condensazione e dello spostamento. Nove anni, nel sogno, possono dunque corrispondere senza alcuna difficoltà a nove mesi di vita reale. Il lavoro onirico gioca con i numeri della veglia anche in un altro modo, in quanto, con sovrana indifferenza, non si preoccupa degli zeri e non li tratta affatto come numeri. Cinque dollari nel sogno possono rappresentare cinquanta, cinquecento, cinquemila dollari della realtà.

Nelle relazioni del pittore col diavolo c'è un altro particolare che pure ci rinvia alla sessualità. Come abbiamo già detto, la prima volta il diavolo gli appare nella forma di un rispettabile signore. Ma già la seconda volta egli è nudo e deforme, e ha due paia di mammelle femminili. Le mammelle, ora una sola coppia, ora due, compaiono in tutte le apparizioni successive. Solo in una di esse il diavolo, oltre alle mammelle, esibisce anche un grosso pene che termina in un serpente. Questa accentuazione del carattere sessuale femminile data dall'introduzione di grandi mammelle pendenti (non c'è mai un'indicazione del genitale femminile) non può non apparirci in contrasto palese con la nostra ipotesi secondo cui per il pittore il diavolo aveva il significato di un sostituto paterno. Tale modo di raffigurare il diavolo è di per sé inconsueto. Quando "diavolo" è un concetto che indica tutta una specie di esseri, quando cioè compaiono più diavoli, anche la rappresentazione di diavoli femminili non ha nulla di sconcertante; ma a quanto ne so non accade mai che il Diavolo, il quale è una grande individualità, il signore dell'inferno e l'avversario di Dio, sia raffigurato altrimenti che come un maschio, anzi come un supermaschio provvisto di corna, di coda e di un grande pene-serpente.

Ed ecco che questi due piccoli segni ci permettono di individuare il fattore tipico che determina l'aspetto negativo del rapporto del pittore col proprio padre. Ciò contro cui Haizmann si ribella è l'atteggiamento femmineo nei confronti del padre, che culmina nella fantasia di generargli un figlio (nove anni). Le nostre analisi ci hanno consentito di conoscere molto da vicino questa resistenza, poiché nella traslazione essa assume forme particolarissime e ci dà un gran da fare. Con il lutto per la perdita del padre, con l'accentuarsi del rimpianto per lui, viene anche riattivata nel nostro pittore la fantasia di gravidanza che era stata da tempo rimossa, e contro cui egli deve difendersi con la nevrosi e denigrando il padre.

Ma perché mai questo padre degradato a diavolo dovrebbe possedere questa caratteristica fisica femminile? Essa pare dapprima difficilmente interpretabile, ma ben presto troviamo due spiegazioni che sono in concorrenza una con l'altra pur senza escludersi a vicenda. L'atteggiamento femmineo verso il padre è soggiaciuto alla rimozione non appena il ragazzino ha compreso che la competizione con la donna per l'amore del padre implicava la rinuncia al proprio genitale maschile, e cioè l'evirazione. Il rifiuto dell'atteggiamento femmineo è dunque la conseguenza del suo ribellarsi contro l'evirazione, e, com'è normale, tale rifiuto trova la sua espressione più pregnante nella fantasia opposta, quella di evirare il padre medesimo per modo che sia lui a trasformarsi in donna. Le mammelle del diavolo corrisponderebbero dunque a una proiezione della propria femminilità sul sostituto paterno. La seconda spiegazione di questo attributo femminile del diavolo non ha più un significato ostile, ma al contrario ne ha uno affettuoso; in questo modo di raffigurare il diavolo ravvisiamo un segno del fatto che la tenerezza infantile si è spostata dalla madre sul padre, e ciò fa pensare che precedentemente vi sia stata una forte fissazione sulla madre, fissazione che per parte sua ha contribuito a determinare l'ostilità del figlio verso il padre. Le grandi mammelle sono l'attributo sessuale positivo della madre, perfino nell'epoca in cui il bambino non conosce ancora la caratteristica negativa della donna, ossia la mancanza del pene.

Se da una parte la riluttanza ad accettare l'evirazione non consente al nostro pittore di liberarsi della sua nostalgia del padre, dall'altra è perfettamente comprensibile che egli si rivolga all'immagine della madre per avere da lei aiuto e salvezza. Per questo egli dichiara che solo la santa Madre di Dio di Mariazell potrà affrancarlo dal patto col diavolo, e per questo riottiene la sua libertà il giorno della Natività di Maria (8 settembre). Com'è ovvio non sapremo mai se il giorno in cui venne concluso il patto, il 24 settembre, non sia anch'esso stato scelto per qualche caratteristica analoga.

Fra le conclusioni che la psicoanalisi ha tratto dalle sue osservazioni riguardanti la vita psichica infantile, difficilmente ne troveremo un'altra che appaia altrettanto ripugnante e incredibile, all'adulto normale, come quella che il maschietto può assumere un atteggiamento femmineo verso suo padre, e sviluppare, per conseguenza, una fantasia di gravidanza. Possiamo parlare dell'argomento senza apprensione e senza bisogno di giustificarci solo da che il Presidente di una sezione della Corte d'Appello di Sassonia, il dottor Daniel Paul Schreber, ha pubblicato la storia della propria affezione psicotica e della sua quasi completa guarigione. Da questa pubblicazione inestimabile apprendiamo che verso i cinquantanni il presidente Schreber si era fermamente convinto che Dio (il quale tra l'altro aveva alcune evidenti caratteristiche di suo padre, il benemerito medico dottor Schreber) aveva deciso di evirarlo, di usarlo come donna e di far si che nascessero "nuovi uomini dallo spirito di Schreber". (Dal suo matrimonio Schreber non aveva avuto figli.) Nel tentativo di contrastare questa intenzione di Dio, che gli sembrava sommamente ingiusta e "contraria all'Ordine del Mondo", egli aveva contratto una malattia con manifestazioni paranoiche, malattia che però nel corso degli anni era regredita fino a ridursi a un piccolo residuo. L'acutissimo autore di questa autobiografia clinica certo non poteva immaginare di aver messo in luce, nella sua opera, un fattore patogeno tipico.

Questo   ribellarsi   all'evirazione,   o   all'atteggiamento   femmineo, Alfred Adler l'ha strappato dal suo contesto organico, l'ha connesso in modo superficiale o falso con la volontà di potenza, e l'ha considerato come un fattore a sé stante cui ha dato il nome di "protesta virile". Poiché una nevrosi può nascere sempre e soltanto dal conflitto tra due tendenze, vedere la causa di "tutte" le nevrosi nella protesta virile è altrettanto legittimo come identificare questa causa nell'atteggiamento femmineo contro cui si protesta. È vero che questa protesta virile svolge invariabilmente un ruolo nella formazione del carattere - e in certi tipi di carattere un ruolo molto importante -, ed è vero che nell'analisi di alcuni nevrotici maschi essa compare come vigorosa resistenza. La psicoanalisi attribuisce il suo giusto valore alla protesta virile nell'ambito del complesso di evirazione, ma non può sostenere la tesi che essa sia onnipotente o onnipresente in tutte le nevrosi. Il caso di protesta virile più spiccato nelle sue reazioni e nei suoi tratti caratteriali manifesti che mai mi sia capitato d'incontrare fu quello di un malato che si era rivolto a me affinché lo curassi da una nevrosi ossessiva, nei cui sintomi veniva chiaramente a espressione il non risolto conflitto tra un atteggiamento maschile e uno femminile (paura dell'evirazione e voglia dell'evirazione). Per di più il paziente aveva elaborato alcune fantasie masochistiche che risalivano senz'altro al desiderio di subire l'evirazione, ed era anche andato oltre, cercando un soddisfacimento reale in situazioni perverse. Tutto il suo stato (come la stessa teoria di Adler) si basava sulla rimozione, sul disconoscimento di fissazioni amorose risalenti all'infanzia.

Il Presidente di Corte d'Appello Schreber trovò la via della guarigione quando decise di non ribellarsi più all'evirazione e di accettare il ruolo femminile che da Dio gli era stato assegnato. Da quel momento in poi fu lucido e tranquillo, ottenne con i propri mezzi di esser dimesso dall'ospedale psichiatrico e condusse una vita normale, con la sola eccezione che dedicava alcune ore al giorno alla cura della propria femminilità, nell'incrollabile persuasione che essa procedesse lentamente verso la meta determinata da Dio.

4.   I   DUE   PATTI

Un particolare sorprendente della storia del nostro pittore è l'affermazione che egli stipulò due diversi patti col diavolo.

L'enunciato del primo patto, scritto con l'inchiostro nero, era il seguente:

"Io, Christoph Haizmann, firmo un patto con questo Signore, impegnandomi a essere suo figlio e servo per nove anni."

Il secondo, scritto col sangue, diceva:

"Christoph Haizmann, con questo patto mi dichiaro impegnato a essere figlio e servo di questo Satana e in capo a nove anni ad appartenergli nel corpo e nell'anima."

Si dice che all'epoca in cui fu composto il Trophaeum gli originali di entrambi i patti si trovassero nell'archivio del convento di Maria-zeli; entrambi recano la stessa data, il 1669.

Ho già parlato più volte dei due patti e mi accingo ora a considerarli in modo più dettagliato, anche se è proprio qui che appare particolarmente grande il pericolo di sopravvalutare le inezie.

Il fatto che una persona firmi due patti col diavolo, per modo che il primo documento viene sostituito dal secondo, senza perdere tuttavia la propria validità, è del tutto inconsueto. Forse coloro che hanno maggiore familiarità con i temi demonologici ne saranno meno sconcertati. Per parte mia, non ho potuto fare a meno di ravvisarvi una caratteristica peculiare di questo caso, e ho cominciato a nutrire dei sospetti quando ho scoperto che proprio su questo punto le relazioni non coincidevano. L'esame di queste contraddizioni ci porterà inopinatamente a una più profonda comprensione di questo caso clinico.

La lettera di accompagnamento del parroco di Pottenbrunn descrive una situazione oltremodo semplice e chiara. Essa parla soltanto di un patto, quello che il pittore aveva stilato nove anni prima col sangue, e che sarebbe scaduto di li a pochi giorni, il 24 settembre [1677]. Il patto sarebbe stato dunque stipulato il 24 settembre 1668; purtroppo questa data non è indicata esplicitamente, anche se può essere dedotta con certezza.

La testimonianza dell'abate Franciscus, che come sappiamo è datata pochi giorni dopo (12 settembre 1677), descrive già una situazione più complicata. È naturale supporre che il pittore avesse fornito nel frattempo informazioni più precise. La testimonianza afferma che il pittore stipulò due patti: uno nell'anno 1668 (è la data che collima con le indicazioni della lettera del parroco), scritto con inchiostro nero, e l'altro "seguenti anno 1669", scritto col sangue. Il patto che egli aveva ricevuto indietro il giorno della Natività di Maria [l'8 settembre] era quello scritto col sangue, dunque l'ultimo, del 1669. Tutto ciò non risulta dalla testimonianza dell'abate, poiché più avanti in essa è detto semplicemente: "schedam redderet" [restituisse il foglio] e "schedam sibi porrigentem conspexisset" [lo vide nell'atto di porgergli il foglio], come se si potesse trattare di un unico documento scritto; tuttavia consegue dall'ulteriore corso della storia come pure dal frontespizio a colori del Trophaeum, dove sul biglietto tenuto dal drago demoniaco è chiaramente visibile una scrittura rossa. Come abbiamo già detto, l'ulteriore corso della vicenda è che nel maggio 1678 il pittore ritorna a Mariazell, dopo aver subito, a Vienna, nuovi attacchi da parte del Maligno, e supplica affinché gli possa essere restituito anche il primo documento scritto con l'inchiostro, per un nuovo atto di grazia della santa Madre di Dio. Il modo in cui ciò accade non è più descritto dettagliatamente come la prima volta. Si dice solo "qua iuxta votum reddita" [quando gli fu restituito, secondo le sue preghiere] e in un altro passo il compilatore narra che proprio questo particolare patto venne scagliato dal diavolo addosso al pittore "arrotolato e strappato in quattro pezzi"1 il 9 maggio 1678, circa alle nove di sera.

Eppure i due patti hanno la stessa data: anno 1669.

Questa contraddizione o non significa assolutamente nullao0 ci porta sulla traccia seguente.

Se prendiamo come punto di partenza la relazione dell'abate, essendo questa la più dettagliata, si presentano alcune difficoltà. Quando Christoph Haizmann confessò al parroco di Pottenbrunn di essere messo alle strette dal diavolo e che il patto sarebbe presto scaduto, poteva soltanto pensare (nel 1677) al patto stipulato nel 1668, e cioè al primo, quello scritto con l'inchiostro (che è l'unico di cui parla la lettera del parroco, dove peraltro si dice che era stato scritto col sangue). Eppure pochi giorni dopo, a Mariazell, Haizmann si preoccupa soltanto di riavere indietro il patto successivo scritto col sangue — che non sta affatto per scadere (1669-1677) — mentre invece lascia scadere il primo, che viene richiesto indietro solo nel 1678, e cioè quando i nove anni sono passati da un pezzo. Inoltre, perché mai i due patti portano la stessa data del 1669, dato che uno di essi viene esplicitamente attribuito all'anno successivo ("anno subsequenti")?

Il compilatore deve essersi reso conto di queste difficoltà, perché fa un tentativo per eliminarle. Nella sua introduzione egli si ricollega alla versione dell'abate, ma la modifica in un punto. Il pittore, egli dice, ha stipulato nel 1669 un patto col diavolo scritto con l'inchiostro, ma poi ("deinde vero") col sangue. Egli non tiene dunque conto dell'esplicita indicazione delle due relazioni secondo cui un patto ebbe luogo nel 1668, e ignora l'osservazione dell'abate, per cui i due patti ebbero luogo in anni diversi: tutto ciò al fine di non discostarsi dalle date dei due documenti restituiti dal diavolo.

Nella testimonianza dell'abate dopo le parole "sequenti vero anno 1669" [invece nell'anno seguente 1669] c'è un passo, tra parentesi, che suona cosi: "sumitur hic alter annus pro nondum completo, uti saepe in loquendo fieri soler, nam eundem annum indicant syngraphae, quarum atramente scripta ante praesentem attestationem nondum habita fuit".  ["È qui assunto l'anno successivo al posto di quello non ancora completamente trascorso, come accade piuttosto spesso (nel manoscritto si legge: "saepius") nella conversazione; infatti in entrambi i patti è indicato il medesimo anno; di essi, prima della presente testimonianza, quello scritto con l'inchiostro non era ancora stato ottenuto indietro."]

 Questo brano è un'evidente interpolazione del compilatore, poiché l'abate, che ha visto solo un patto, non può certo asserire che entrambi i patti recano la stessa data. Anche le parentesi erano intese certamente a mettere in evidenza che si trattava di un'aggiunta al testo della deposizione. Il contenuto del brano rappresentava un ulteriore tentativo del compilatore di conciliare i dati tra loro incompatibili. Egli pensava che effettivamente il primo patto fosse stato stipulato nel 1668, ma che poiché l'anno era già avanzato (era settembre) il pittore lo avesse postdatato di un anno per modo che i due patti potessero esibire lo stesso anno. Che egli invochi il fatto che spesso nella conversazione la gente si comporta nello stesso modo, è una circostanza che a mio avviso riduce tutto questo tentativo di spiegazione a una "scappatoia" poco convincente.

Non so se la mia esposizione ha in qualche modo colpito il lettore, né se Io ha messo in condizione di interessarsi a queste inezie. Pur essendomi trovato nell'impossibilità di accertare con assoluta sicurezza come stavano le cose, studiando questa confusa faccenda sono pervenuto a un'ipotesi che ha il vantaggio di spiegare gli eventi nel modo più naturale, seppure non del tutto coincidente con le testimonianze scritte.

La mia opinione è che quando il pittore giunse per la prima volta a Mariazell parlò solo di un patto scritto regolarmente col sangue e che stava per scadere; il patto era dunque stato firmato nel settembre 1668, proprio come attesta la lettera di accompagnamento del parroco. Questo patto scritto col sangue fu anche quello che il pittore esibì a Mariazell affermando che gli era stato restituito dal diavolo, costrettovi dalla santa Madre di Dio. Sappiamo che cosa accadde in seguito. Di li a breve il pittore lasciò il santuario e andò a Vienna, dove si senti libero fino alla metà di ottobre. Ma poi ricominciarono sofferenze e apparizioni, che egli considerava opera dello Spirito Maligno. Senti nuovamente il bisogno di esserne liberato e si trovò però di fronte alla difficoltà di spiegare perché mai l'esorcismo nella sacra cappella non lo avesse liberato per sempre. Se fosse tornato a Mariazell come un recidivo che non era stato guarito dal suo male non vi avrebbe certo trovato una buona accoglienza. Per superare questa difficoltà inventò di aver stipulato un patto precedente, questo però scritto con l'inchiostro, per modo che il fatto di averlo trascurato a favore di un patto successivo, scritto col sangue, potesse apparire plausibile. Tornato a Mariazell, si fece restituire anche questo preteso primo patto, dopo di che il Maligno lo lasciò in pace, anche se nello stesso tempo egli fece qualcos'altro che ci permette di vedere che cosa sta dietro le quinte di questa nevrosi.

È certo che le illustrazioni furono eseguite solo durante il suo secondo soggiorno a Mariazell; il frontespizio, che è una composizione unica, rappresenta le scene di entrambi i patti. Nel tentativo di mettere d'accordo le sue nuove asserzioni con quelle precedenti il pittore può essersi benissimo trovato in imbarazzo. Per sua sfortuna egli poteva solo inventare un patto precedente, non uno successivo. In questo modo non potè evitare il goffo risultato di essere liberato da un patto (quello scritto col sangue) troppo presto (nell'ottavo anno), e dall'altro (quello scritto con l'inchiostro) troppo tardi (nel decimo anno). Egli tradì la duplice redazione della storia sbagliando la data dei patti, e collocando anche il primo nel 1669. Questo errore ha il significato di un atto di involontaria sincerità: ci permette di arguire che il patto che dovrebbe esser stato stipulato in precedenza fu concluso in realtà in un'epoca successiva. Il compilatore, che si accinse a rielaborare il materiale certamente non prima del 1714, e forse solo nel 1729, fece del suo meglio per eliminarne le non inessenziali contraddizioni. Poiché i due patti che aveva dinanzi a sé portavano la data del 1669, se la cavò ricorrendo all'interpolazione introdotta nella testimonianza dell'abate.

È facile vedere qual è il punto debole di questa costruzione peraltro attraente. Già nella testimonianza dell'abate Franciscus si fa riferimento a due patti, uno scritto in nero e l'altro col sangue. Ho dunque la scelta fra due possibilità: o devo accusare il compilatore di avere alterato in qualche modo anche questa testimonianza, in stretto rapporto con la sua interpolazione, oppure devo dichiararmi incapace di risolvere questo imbroglio. (A mio avviso il compilatore era stretto tra due fuochi. Da un lato sia la lettera di presentazione del parroco sia la deposizione dell'abate attestavano che il patto (quanto meno il primo) era stato stipulato nel 1668; d'altro lato entrambi i patti che erano stati conservati nell'archivio recavano la data del 1669. Poiché aveva davanti a sé due patti era per lui pacifico che i patti conclusi fossero stati appunto due. Se, come credo, nella testimonianza dell'abate era menzionato un patto solo, egli era costretto a inserire in questa deposizione un riferimento all'altro patto e a eliminare poi la contraddizione con l'ipotesi della postdatazione. Il cambiamento del testo da lui arrecato precede immediatamente l'interpolazione di cui egli solo può essere stato l'autore. Fu costretto a congiungere l'interpolazione con l'alterazione mediante le parole "sequenti vero anno 1669", poiché nella didascalia (molto danneggiata) che accompagna l'illustrazione del frontespizio il pittore aveva scritto esplicitamente:

"Nach einem Jahr würdt Er                 ["Un anno dopo egli

...schrökhhliche betrohungen in ab-        ...terribili minacce in

.....gestalt Nr. 2 bezwungen sich,         .....figura N. 2, fu costretto

.........n Bluot zu verschreiben."            .........a firmare un patto scritto col sangue."]

L'errore [Verschreiben] fatto dal pittore nello scrivere le Syngraphae, lapsus che sono stato costretto a supporre nel mio tentativo di spiegazione, non mi pare meno interessante degli stessi patti [Verschreibungen] che egli ha sottoscritto.)

Già da tempo i lettori avranno considerato superflua tutta questa discussione e troppo irrilevanti i dettagli che essa tratta. Ma la faccenda acquista un nuovo interesse se viene seguita in una determinata direzione.

Ho appena detto che a mio giudizio il pittore, sgradevolmente sorpreso dal corso preso dalla sua malattia, inventò un patto precedente (quello scritto con l'inchiostro), per poter sostenere la sua posizione con i reverendi padri di Mariazell. Ora io scrivo per lettori che, se credono nella psicoanalisi, non credono però nel diavolo, ed essi potrebbero obiettarmi che è assurdo rivolgere tale accusa a quel poveruomo del pittore (hunc miserum, lo chiama il parroco nella sua lettera di accompagnamento). Il patto scritto col sangue è stato in definitiva un parto della sua fantasia, né più e né meno di quello che egli pretende di aver scritto precedentemente con l'inchiostro. In realtà non gli è apparso nessun diavolo, e tutta quanta la storia del patto col diavolo è esistita solo nella sua fantasia. Lo riconosco; non si può negare al poveretto il diritto di integrare la sua fantasia originaria con una nuova fantasia, se il cambiamento della situazione sembra richiederlo.

Ma anche qui la storia non è finita. I due patti non sono fantasie come lo sono le visioni del diavolo; stando alle assicurazioni del copista, nonché alla testimonianza dell'abate Kilian, si trattava di documenti che, nell'archivio di Mariazell, tutti potevano vedere e toccare. Ci troviamo dunque di fronte a un dilemma. O dobbiamo supporre che il pittore si sia fabbricato da sé, nel momento in cui ne aveva bisogno, i due biglietti che a suo dire gli erano stati restituiti per grazia divina, oppure dobbiamo supporre che i reverendi padri di Mariazell e San Lambert, nonostante tutte le solenni assicurazioni, autenticazioni, testimonianze sigillate eccetera, non fossero persone attendibili. Devo ammettere che sono poco propenso a dubitare dei monaci. Sono certo pronto a credere che per rendere coerente tutta la vicenda il compilatore abbia falsificato qualche punto della testimonianza del primo abate, ma questa "elaborazione secondaria" non dev'essere andata molto al di là di certe modificazioni analoghe che vengono compiute anche da storici moderni e laici, e in ogni caso fu fatta in buona fede. Da un altro punto di vista i reverendi padri hanno dimostrato di meritare la nostra fiducia. Come abbiamo già detto, nulla avrebbe potuto impedire loro di sopprimere i resoconti sull'incompletezza della guarigione e la persistenza delle tentazioni. E anche la descrizione della scena dell'esorcismo nella cappella, che eravamo autorizzati a considerare con una certa apprensione, è riuscita sobria e convincente. Non resta dunque altra alternativa che incolpare il pittore. Egli aveva certamente con sé il patto scritto in rosso quando si recò nella cappella per espiare e pregare, e lo tirò fuori quando ritornò presso i monaci dopo essersi incontrato col diavolo. Non doveva neanche trattarsi necessariamente dello stesso biglietto che più tardi venne conservato nell'archivio; anzi, secondo la nostra costruzione, presumibilmente esso era datato 1668 (nove anni prima dell'esorcismo).

5. LO SVILUPPO ULTERIORE DELLA NEVROSI

Ma allora si tratterebbe di inganno e non di nevrosi, e il pittore sarebbe un simulatore e un falsificatore, non un malato ossessionato dall'idea di esser posseduto dal diavolo! Ebbene, com'è noto, le frontiere fra la nevrosi e la simulazione sono labili. E non ho alcuna difficoltà a supporre che il pittore abbia scritto e portato con sé questo biglietto, cosi come quelli successivi, in uno stato particolare, paragonabile a quello delle sue visioni. Se voleva realizzare la sua fantasia del patto col diavolo e della liberazione da esso non poteva comunque fare diversamente.

D'altra parte il diario che egli scrisse a Vienna e consegnò ai monaci durante il suo secondo soggiorno a Mariazell ha tutti i segni della veridicità. Esso ci permette di vedere agevolmente la motivazione, o per meglio dire l'utilizzazione della sua nevrosi.

Le annotazioni di questo diario vanno dal riuscito esorcismo fino al 13  gennaio del successivo 1678. Il pittore andò ad abitare a Vienna presso una sorella sposata, e si senti benissimo fino all'11 ottobre; ma poi cominciarono nuovi attacchi, con visioni e convulsioni, perdita della coscienza e sensazioni dolorose, che l'indussero infine a ritornare a Mariazell, nel maggio 1678.

La storia della sua nuova malattia si articola in tre fasi. Dapprima la tentazione si presentò sotto la forma di un cavaliere elegantemente vestito che cercò di convincerlo a gettare via il documento che attestava il suo ingresso nella confraternita del Santo Rosario. Poiché egli resisteva, la visione si ripetè identica il giorno successivo; ma questa volta era ambientata in una sala splendidamente adorna, dove danzavano nobili signori e belle dame. Lo stesso cavaliere che lo aveva già tentato il giorno prima gli propose qualcosa che aveva a che fare con la pittura, e in cambio gli promise un bel po' di denaro. Dopo che il pittore riusci con la preghiera a dissipare questa visione, essa si ripetè alcuni giorni dopo, in una forma anche più pressante. Questa volta il cavaliere mandò da lui una delle dame più belle fra quelle che sedevano al tavolo del banchetto, per convincerlo a unirsi alla loro compagnia; e non gli fu facile difendersi dalla seduttrice. Ma la visione più terrificante di questa fase fu quella che segui di li a breve. In una sala ancora più sontuosa era stato "eretto un trono di monete d'oro"; tutt'intorno c'erano dei cavalieri che attendevano l'arrivo del loro re. La stessa persona che si era cosi spesso occupata di lui anche questa volta gli si avvicinò e lo esortò a salire sul trono, poiché essi "volevano considerarlo loro re e venerarlo per l'eternità". Con questo stravagante prodotto della sua fantasia si conclude la prima fase della storia delle sue tentazioni; ed è una fase assolutamente perspicua.

Ora era necessaria una reazione contro di essa. E la reazione ascetica si verificò puntualmente; il 20 ottobre gli apparve una grande luce splendente dalla quale venne una voce che si fece riconoscere come quella del Cristo e che lo esortò ad abbandonare questo mondo malvagio e servire Dio nel deserto per sei anni. Palesemente queste apparizioni sacre facevano soffrire il pittore più di quelle demoniache del passato; si destò da questa crisi solo dopo due ore e mezzo. Nella visione successiva la sacra figura circonfusa di luce fu molto meno benevola: giacché egli non aveva accettato la proposta divina lo minacciò e lo condusse nell'inferno affinché fosse spaventato dalla sorte delle anime dannate. Ma evidentemente le minacce non ebbero effetto, poiché le apparizioni della figura splendente che affermava di essere Cristo si ripeterono ancora più volte; e ogni volta il pittore cadeva per ore intere in uno stato di assenza e di estasi. Durante la più grandiosa di queste estasi la figura luminosa lo condusse dapprima in una città nelle cui strade gli uomini commettevano ogni sorta di infernali peccati, e poi, per contrasto, in un bel prato popolato di anacoreti che conducevano una vita gradita a Dio, il quale dava loro prove tangibili della Sua grazia e misericordia. Poi, al posto del Cristo apparve la sua santa Madre in persona, che gli ricordò come l'avesse aiutato in passato e gli ordinò di ubbidire al comando del suo amato Figlio. "Poiché egli non poteva veramente risolversi a farlo", il giorno seguente ritornò Cristo, che lo incalzò ben bene con minacce e promesse. A questo punto, finalmente, il pittore cedette, decise di abbandonare questa vita e di fare quello che si pretendeva da lui. Con questa decisione termina la seconda fase. Il pittore asserisce che da questo momento in poi non ebbe più apparizioni né tentazioni.

Tuttavia questa risoluzione o non fu fermissima o comunque la sua attuazione fu rinviata al di là del dovuto, giacché, il 26 dicembre, mentre era intento nelle sue devozioni in Santo Stefano [cattedrale di Vienna], alla vista di un'avvenente giovane donna accompagnata da un gentiluomo elegantemente vestito, Haizmann non potè fare a meno di pensare che egli stesso avrebbe potuto trovarsi al posto di costui. Era un pensiero, questo, che esigeva una punizione, e infatti quella sera stessa fu colpito come da un fulmine, si vide circondato da fiamme luminose e svenne. Si cercò di rianimarlo, ma egli si rotolava nella polvere, finché gli usci sangue dalla bocca e dal naso; si sentiva avvolto da un grande calore e da un tanfo disgustoso, e udì una voce che gli diceva che era stato condannato a questa situazione a causa dei suoi pensieri frivoli e vani. In seguito venne fustigato da spiriti malvagi che gli dissero che avrebbe subito tutti i giorni questi tormenti, fintantoché non si fosse deciso a entrare nell'ordine degli anacoreti. Queste esperienze continuarono fino alla fine del diario (13 gennaio).

Vediamo dunque che le fantasie di tentazione del nostro povero pittore sono seguite da fantasie ascetiche e infine da fantasie di punizione; sappiamo già come si conclude la storia delle sue sofferenze. In maggio si reca a Mariazell, racconta la storia di un patto precedente scritto con l'inchiostro nero, ad esso attribuisce esplicitamente il fatto che il diavolo continui a tormentarlo, riceve indietro anche questo documento ed è guarito.

Durante questo secondo soggiorno dipinge le scene che sono riprodotte nel Trophaeum, ma poi prende una decisione che concorda con l'esigenza espressa nella fase ascetica del suo diario. Non va nel deserto — è vero — per diventare anacoreta, entra però nell'ordine dei fratelli della misericordia: religiosus iactus est.

Leggendo il diario riusciamo a penetrare un'altra parte di questa vicenda. Ricordiamo che il pittore ha firmato un patto col diavolo perché dopo la morte del padre, in uno stato di scoramento e incapacità lavorativa, aveva temuto di non riuscire a mantenersi in vita. Questi fattori — depressione, inibizione della capacità lavorativa e lutto per la morte del padre — sono certamente collegati fra loro in qualche modo, più o meno semplice. Forse la ragione per cui il diavolo gli appariva cosi generosamente dotato di mammelle è che il Maligno doveva diventare il suo padre adottivo. La sua speranza fu delusa, e continuò a trovarsi in cattive condizioni anche in seguito; non riusciva a lavorare per bene, oppure era sfortunato e non aveva abbastanza lavoro. La lettera di accompagnamento del parroco lo definisce "hunc miserum omni auxilio destitutum". Dunque non si trovava solo in cattive condizioni dal punto di vista morale, anche materialmente era in difficoltà. Nel resoconto [del diario] delle sue ultime visioni, si trovano qua e là osservazioni che — come pure i contenuti delle scene descritte — indicano che anche dopo il successo del primo esorcismo la sua situazione non è cambiata affatto. Ci troviamo di fronte a un uomo che non riesce a combinare nulla, e in cui anche per questo nessuno ha fiducia. Nella prima visione il cavaliere gli domanda che cosa abbia intenzione di fare, dal momento che nessuno è disposto ad aiutarlo ("dieweillen ich von iedermann izt verlassen, wass ich anfangen würde"). La prima serie delle visioni viennesi corrisponde perfettamente alle fantasie di desiderio del povero, del disgraziato assetato di godimento: sale sontuose, vita comoda, vasellame d'argento e belle donne; recuperiamo qui ciò che mancava nei rapporti col diavolo. Allora il pittore era in uno stato di melanconia che lo rendeva incapace di godere, che lo costringeva a rifiutare le proposte più allettanti. Dopo l'esorcismo la melanconia appare superata, tutti gli appetiti dell'uomo di mondo si destano a nuova vita.

In una delle sue visioni ascetiche Haizmann si lamenta con la sua guida (Cristo) del fatto che nessuno gli crede, per modo che non è in grado di fare ciò che gli è stato comandato. La risposta che riceve ci è purtroppo oscura: "Anche se non mi credono, so bene che cosa è accaduto, eppure non posso enunciarlo." Particolarmente illuminanti sono invece le esperienze che la sua divina guida gli consente di avere tra gli anacoreti. Giunge in una caverna dove un vecchio si è ritirato ormai da sessant'anni, e in risposta a una sua domanda apprende che costui viene nutrito tutti i giorni dagli angeli di Dio. E poi vede egli stesso un angelo che porta da mangiare al vecchio: "Tre ciotole piene di cibo, un pane, un grosso gnocco e una bevanda." Quando l'anacoreta ha finito di mangiare, l'angelo raccoglie e porta via tutto. Possiamo vedere quale tentazione rappresentino le pie visioni per il pittore: vogliono indurlo a scegliere una forma di vita in cui siano eliminate le preoccupazioni per il proprio sostentamento. Anche i discorsi di Cristo nell'ultima visione sono degni di nota. Dopo aver formulato la minaccia che se egli non ubbidisce capiterà qualcosa che obbligherà lui e la gente a credere [in ciò], Cristo gli dà un avvertimento diretto: "Io non devo tenere conto della gente; se pure mi perseguitassero o non mi dessero alcun aiuto, Dio non mi abbandonerebbe."

Christoph Haizmann era artista e mondano quanto basta per non rinunciare facilmente a questo mondo e ai suoi peccati. Eppure alla fine vi rinunciò, considerando la situazione disperata in cui si trovava. Entrò in un ordine religioso; in questo modo cessarono sia il suo intimo conflitto sia la sua indigenza materiale. Nella sua nevrosi tale esito è rispecchiato dal fatto che attacchi e visioni cessarono con la restituzione di un preteso primo patto. In verità le due parti della sua malattia demoniaca avevano lo stesso significato. Ciò che egli voleva era sempre e soltanto assicurare la propria vita, la prima volta con l'aiuto del diavolo a spese della felicità eterna, e poi, quando questo espediente falli ed egli dovette rinunciarvi, con l'aiuto del clero, a spese della libertà e di quasi tutte le possibilità di piacere che la vita offre. Forse invero Christoph Haizmann era solo un povero diavolo che non aveva fortuna, forse era troppo maldestro o troppo poco dotato per riuscire a guadagnarsi da vivere, forse era uno di quei tipi che sono noti come "eterni lattanti", persone che non riescono a strapparsi dalla felice situazione di attaccamento al seno materno e per tutta la vita continuano a pretendere di essere nutriti da qualcuno. E cosi nella storia della sua nevrosi egli percorse il cammino che da suo padre riconduceva ai reverendi padri, passando per il diavolo come sostituto del padre.

A un'osservazione superficiale la sua nevrosi appare come una buffonata che si sovrappone, in parte, alla seria e pur banale lotta per l'esistenza. Certamente le cose non stanno sempre cosi, ma non di rado la situazione è proprio questa. Spesso gli psicoanalisti costatano quanto sia poco conveniente prendere in trattamento un commerciante che "per il resto sta bene, ma da qualche tempo rivela i sintomi di una nevrosi". La catastrofe economica da cui l'uomo d'affari si sente minacciato produce come effetto secondario questa nevrosi, che gli dà anche il vantaggio di poter celare dietro i suoi sintomi le proprie preoccupazioni reali. Ma a parte questo la nevrosi non è affatto utile, perché impegna delle forze che più vantaggiosamente potrebbero essere impiegate per risolvere con assennatezza la situazione pericolosa.

In un numero molto maggiore di casi la nevrosi è più autonoma e indipendente dagli interessi legati alla sussistenza e all'automanteni-mento. Nel conflitto che crea la nevrosi sono in giuoco solo interessi libidici, oppure interessi libidici strettamente connessi con gli interessi della sussistenza. In tutti e tre i casi il dinamismo della nevrosi è lo stesso. Un ingorgo libidico che non può esser soddisfatto nella realtà si trova una via di sbocco mediante l'inconscio rimosso, con l'aiuto della regressione a vecchie fissazioni. La nevrosi è ammessa se e in quanto l'Io del malato può trarre un tornaconto da questo processo morboso, sebbene non possano esserci dubbi che, sotto il profilo economico, la nevrosi è dannosa.

Anche la sgradevole situazione in cui effettivamente si trovava il nostro pittore non avrebbe provocato una nevrosi demoniaca se le sue difficoltà materiali non fossero andate a rafforzare il rimpianto del padre. Ma dopo che la melanconia e il diavolo furono liquidati, infuriò in lui un'altra lotta, quella fra la gioia di vivere libidica e la consapevolezza che per sopravvivere doveva assolutamente acconciarsi alla rinuncia e all'ascesi. È interessante notare come egli avesse intuito perfettamente che le due parti della sua storia patologica costituivano un tutto unico, dal momento che le riconduceva entrambe ai patti stipulati col diavolo. D'altro lato egli non distingueva nettamente fra gli interventi dello Spirito Maligno e quelli delle potenze divine; definiva gli uni e gli altri manifestazioni del diavolo.