3. GLI SCOPI DEL MOTTO DI SPIRITO

Alla fine dell'altro capitolo, quando ho riportato il paragone di Heine sul sacerdote cattolico raffigurato come impiegato di un'azienda all'ingrosso e sul pastore protestante come mercante al minuto, ero in preda ad un'inibizione che cercava di indurmi a non far uso di questa similitudine. Mi sono detto che probabilmente tra i lettori avrebbe potuto esserci chi provava rispetto non soltanto per la religione ma anche per i suoi ministri ed assistenti. Un tal genere di lettori avrebbe potuto indignarsi per la similitudine e sarebbe potuto cadere in un tale stato emozionale da essere completamente privato dell'interesse per la decisione se la similitudine apparisse come motto di spirito per se stessa o a causa dell'aggiunta di qualcos'altro. Con differenti paragoni - per esempio quello fatto poco fa sulla piacevole luce lunare che una certa filosofia getta sulle cose - sembrava non ci fosse alcuna necessità di preoccuparsi di un qualche effetto che potesse disturbare una parte dei miei lettori. L'uomo più pio rimarrebbe in uno stato mentale tale da potersi formare un giudizio sul nostro problema. È facile indovinare la caratteristica del motto di spirito da cui dipenda la differenza delle reazioni degli ascoltatori. Nell'un caso il motto di spirito è fine a se stesso e non serve a particolari scopi, nell'altro caso serve ad uno scopo - diventa tendenzioso. Soltanto i motti di spirito che hanno uno scopo corrono il rischio di incontrarsi con gente che non li vuole ascoltare. I motti di spirito non tendenziosi sono chiamati dal Vischer «astratti». Io preferisco chiamarli «innocenti».

Dacché abbiamo diviso i motti di spirito in verbali e concettuali a seconda del materiale che sorregge la loro tecnica, dobbiamo adesso esaminare la relazione fra quella classificazione e la nuova che abbiamo introdotto. La relazione tra motti di spirito verbali e concettuali da un lato e motti di spirito astratti e tendenziosi dall'altro, non è una relazione di scambievole influenza; sono due classificazioni di motti di spirito completamente differenti. Qualcuno potrebbe aver ricevuto l'impressione che i motti di spirito innocenti siano principalmente motti di spirito verbali ma che la tecnica più complessa dei motti di spirito concettuali venga usata per lo più a scopi ben determinati. Ma vi sono motti di spirito innocenti che si articolano sul gioco di parole e sulla omofonia, ed altri ugualmente innocenti che impiegano tutti i metodi dei motti di spirito concettuali. Ed è altrettanto facile mostrare che un motto di spirito tendenzioso non deve essere nient'altro che un motto di spirito verbale dal punto di vista della tecnica. Per esempio, i motti di spirito che ironizzano su nomi propri hanno spesso lo scopo di insultare e ferire, sebbene, e non ci sarebbe bisogno di dirlo, essi siano motti di spirito verbali. Ma quelli verbali sono, ancora una volta, i motti di spirito più innocenti.

Per esempio, le Schüttelreime (rime mischiate), che recentemente sono divenute così popolari e la cui tecnica è costituita dal molteplice uso dello stesso materiale con una peculiarissima modificazione:

Und  weil  er Geld  in  Afenge  hatte

lag stets er in der Hängematte.

[«E poiché egli aveva molto danaro

era sempre disteso su un'amaca.»]

C'è da sperare che nessuno voglia negare che il compiacimento che deriva da queste rime senza pretese sia lo stesso attraverso il quale riconosciamo il motto di spirito.

Buoni esempi di motti di spirito concettuali astratti o innocenti si possono trovare in gran numero fra le similitudini di Lichtenberg, e noi ne abbiamo già incontrata qualcuna. Ne aggiungo poche altre:

Hanno mandato a Göttingen un piccolo volume in ottavo, ed hanno ritirato qualcosa che era un quarto in corpo ed in spirito.

Per costruire bene questo edificio è necessario, soprattutto, porre delle buone fondamenta; e io non conosco costruttore che non trovi prontamente un contro per ogni pro di un'opera in muratura.

Una persona genera un pensiero, una seconda lo porta ad essere battezzato, una terza genera dei figli da quello, una quarta lo visita sul suo letto di morte ed una quinta lo brucia. (Analogia con unificazione). Non soltanto egli non credeva nei fantasmi; ma non ne era neanche impaurito.

Qui il motto di spirito sta tutto nella forma di rappresentazione   assurda,  che   mette   a  confronto   ed  usa   il   termine positivo per quanto è considerato più importante al posto di quanto è considerato meno. Se rimuoviamo ciò che avviluppa questo motto di spirito, abbiamo: «è molto più facile liberarsi intellettualmente della paura dei fantasmi che evitarla quando essa si presenta ». Questo non è più affatto un motto dì spirito, sebbene sia una scoperta psicologica corretta ed ancor troppo poco apprezzata, la stessa che Lessing espresse nella ben nota frase:

Non tutti coloro che deridono le loro catene sono liberi.

Posso approfittare dell'opportunità offerta da questo argomento per sbarazzarmi di un malinteso. Infatti dire che un motto di spirito è «innocente» o «astratto» non significa affatto che esso sia futile, ma vuole soltanto precisare che esso è l'opposto dei motti di spirito « tendenziosi» di cui parleremo ora. Come l'ultimo esempio ci dimostra un motto di spirito innocente - che è quindi non tendenzioso - può anche possedere una grande sostanza, e può significare qualcosa di valido. Ma la sostanza di un motto di spirito è indipendente dall'arguzia ed è la sostanza del pensiero, che qui viene espressa come un motto di spirito per mezzo di speciali strumenti. Nessun dubbio che proprio come l'orologio pone un meccanismo particolarmente buono in una cassa di eguale valore, lo stesso accada con i motti di spirito, tanto che i migliori risultati nel campo dei motti di spirito sono usati come gli involucri per pensieri di maggior sostanza.

Se adesso introduciamo una netta distinzione nella casistica dei motti di spirito concettuali tra la sostanza del pensiero e la veste spiritosa, faremo una scoperta che getterà luce su molte delle nostre incertezze di giudizio relative al motto di spirito. Infatti salta fuori - e questo è il sorprendente -che il nostro compiacimento per un motto di spirito si basa su un'impressione composta dalla sua sostanza e dal suo effetto come motto di spirito e che noi ci lasciamo ingannare da uno dei due fattori sul valore dell'altro. Soltanto dopo che il motto di spirito è stato ridotto ci rendiamo conto di questo falso giudizio. La stessa cosa è vera anche per il motto di spirito verbale. Quando ci dicono che «l'esperienza consiste nello sperimentare ciò che non si vorrebbe sperimentare», rimaniamo stupiti e crediamo di apprendere una nuova verità. Passerà un po' di tempo prima che noi riconosciamo sotto questa maschera un detto assolutamente ovvio come « sbagliando s'impara». L'arguzia sottile per cui in quel motto di spirito si riesce a definire « l'esperienza» il più chiaramente possibile attraverso l'uso della parola « sperimentare» ci porta a sopravvalutare la sostanza della asserzione. Lo stesso vale per il motto di spirito di unificazione sul mese di gennaio di Lichtenberg, che non ha da dirci nulla di più di quanto sapevamo già da tempo - che gli auguri per il nuovo anno si avverano molto raramente, come accade, del resto, anche per molti- altri nostri desideri. Potremmo citare altri casi analoghi. Il caso contrario si presenta, invece, in altri motti di spirito, nei quali il pensiero è così calzante e così vero che ci induce a definire l'intera frase un brillante motto di spirito - anche se soltanto il pensiero è brillante ed il risultato del motto di spirito è spesso fiacco. Nel motto di spirito di Lichtenberg, precisamente, il fulcro del pensiero è spesso molto più valido dell'involucro dell'arguzia al quale noi estendiamo senza giustificazione il nostro apprezzamento. Così, per esempio, l'osservazione sulla fiaccola della verità, è un paragone che ha poco a che fare con il motto di spirito, ma è così idonea che ci induce a restare dell'avviso che la frase sia un motto di spirito particolarmente buono.

I motti di spirito di Lichtenberg si elevano sopra tutti grazie al loro contenuto intellettuale ed alla sicurezza con la quale essi centrano la loro osservazione. Goethe aveva ragione nel dire di quell'autore che in effetti il suo modo di creare motti di spirito e scherzare sulle idee nascondeva i problemi; sarebbe stato persino più corretto dire che essi toccano la soluzione dei problemi. Quando per esempio egli osserva, in un motto di spirito, « aveva letto tanto Omero che leggeva sempre " Agamemnon " invece di " angenomnen " (supposto)», la tecnica usata è «stupidità + omofonia», ed egli scopre in tal modo nientemeno che il segreto dei lapsus di lettura. (Vedi la mia Psicopatologia della vita quotidiana)

Lo stesso vale per un motto di spirito la cui tecnica ci colpisce sfavorevolmente: «Si domandava perché i gatti avessero due tagli sulla pelle proprio dove sono gli occhi». La stupidità che ci si mostra qui è solo apparente. Infatti, dietro questa semplice osservazione, si annida il grande problema teleologico della struttura degli animali. Non era affatto materia di ordinaria amministrazione che le fessure delle palpebre si aprissero nel punto in cui la cornea si mostra, prima che la teoria dell'evoluzione avesse fatto luce sulla coincidenza.

Dovremo tenere presente il fatto che riceviamo dalle osservazioni argute un'impressione complessiva nella quale non possiamo separare le idee prese dal contenuto del pensiero da quelle ricevute dal meccanismo del motto di spirito. Può essere che in futuro ci capiti di trovare un parallelo ancor più significativo di questo.

2.

Dal punto di vista della possibilità di gettare una iuce teoretica sulla natura dei motti di spirito, quelli innocenti sono destinati ad avere più valore per noi di quelli tendenziosi, e quelli triviali ad avere più valore di quelli profondi. I motti di spirito innocenti e triviali sono adatti a porre il problema» dei motti di spirito di fronte a noi nella sua forma più pura, poiché con essi evitiamo il pericolo di essere confusi dal loro scopo o di lasciare che il nostro giudizio sia deviato dal loro senso corretto. Sulla base di un materiale di questo tipo le nostre scoperte possono compiere un nuovo passo avanti.

Scelgo l'esempio di motto di spirito verbale più innocente possibile:

Una ragazza alla quale fu annunciato un visitatore mentre era occupata nella sua toeletta si lamentò: «Oh, che peccato che una non possa farsi vedere che quando è del tutto anziehend». (R. Kleinpaul, Die Rat sei der Sprache, Vienna, 1890). [La parola tedesca può significare sia «vestita» che «attraente».]

Tuttavia, finché nutro, nonostante tutto, dei dubbi sul diritto di considerare questo motto di spirito come non tendenzioso, io preferisco sostituirlo con un altro che è estremamente semplice e che non potrebbe essere in alcun modo suscettibile di un'obiezione di questo tipo. Alla fine del pasto, in una casa in cui ero stato invitato, fu servito un budino di quelli noti come Roulard 5. Esso richiede una grande attenzione da parte del cuoco che lo prepara; perciò uno degli ospiti chiese:   «Fatto  in  casa?».  Al  che  il  padrone  di  casa  rispose: «Sì, certo. È " Home Roulard "» (Confronta  con Home-Rule)  [Governo Autonomo].

Questa volta non esamineremo la tecnica del motto di spirito; ci proponiamo di fissare la nostra attenzione su un altro fattore che adesso è il più importante. Noi presenti - lo ricordo molto bene -all'udire questa battuta estemporanea del padrone di casa la trovammo divertente e scoppiammo a ridere. In questo esempio, come in molti altri, la sensazione di piacere dell'uditorio non può essere nata dallo scopo del motto di spirito o dal suo contenuto intellettuale; non ci resta quindi che metterla in relazione con la tecnica del motto di spirito. I metodi tecnici di fare dello spirito, descritti precedentemente - condensazione, spostamento, rappresentazione indiretta e così via - sono perciò capaci di provocare un senso di piacere in chi ascolta, sebbene noi non riusciamo a scoprire in che modo abbiano raggiunto questa capacità. In questo semplice modo arriviamo al secondo punto della nostra chiarificazione del problema del motto di spirito; il primo asseriva che la caratteristica dei motti di spirito sta nella loro forma espressiva. Diciamo pure che questa seconda tesi non ci ha insegnato nulla di nuovo. Essa isola semplicemente ciò che era già implicito in un'osservazione fatta precedentemente. Va ricordato che quando siamo riusciti a ridurre con successo un motto di spirito (vale a dire, a sostituire la sua forma espressiva con un'altra, facendo attenzione a conservarne il senso), esso non ha perso soltanto la sua caratteristica di motto di spirito, ma anche la capacità di farci ridere - da cui dipende il piacere che esso procura.

Non possiamo procedere oltre su questa strada senza aver prima preso posizione nei confronti delle nostre autorità filosofiche. I filosofi, che considerano il motto di spirito come facente parte del genere comico e che parlano di questo come di una forma dell'estetica, definiscono un'idea estetica con la condizione che non si cerchi di ottenere nulla dalle cose o di non fare alcunché con esse, e che noi non le desideriamo per poter soddisfare uno dei nostri maggiori bisogni vitali; ma che ci accontentiamo di contemplarle, godendo dell'idea in sé. Secondo il Fischer: «Questo godimento, questo tipo d'astrazione, è quello puramente estetico, che ha in sé la propria ragione di essere, che ha solo in sé il proprio scopo e che non soddisfa nessun altro scopo della vita» .

Potremo a fatica contraddire questa definizione di Fischer - forse non faremo altro che tradurre i suoi concetti in un'espressione nostra personale - se insisteremo a sostenere che l'attività scherzosa non dovrebbe, dopo tutto, essere descritta come priva di scopo o inutile, fintanto che essa ha l'indubbio scopo di creare il piacere degli ascoltatori. Dubito che si sia nella posizione di intraprendere qualcosa senza avere un'intenzione o una meta. Se non ci rivolgiamo al nostro apparato mentale quando si tratta di soddisfare una delle nostre necessità più impellenti, gli permettiamo di lavorare in direzione del piacere e cerchiamo di trarre piacere dalla sua stessa attività. Ho il sospetto che questa sia la condizione generale che governa tutte le astrazioni estetiche, ma mi intendo troppo poco di estetica per cercare di ampliare questo giudizio. Tuttavia per quel che riguarda il motto di spirito posso asserire, sulla base delle due scoperte che ho appena fatto, che si tratta di un'attività che ha lo scopo di derivare il piacere da alcuni processi mentali, intellettuali o di altro tipo. Non c'è dubbio che vi siano altre attività che hanno lo stesso scopo. Esse sono differenziate a seconda del campo dell'attività mentale dal quale cercano di derivare piacere o forse a seconda degli strumenti impiegati. Non possiamo, per il momento, prendere una posizione ben definita riguardo a questo argomento; ma riteniamo fermamente che la tecnica del motto di spirito e la tendenza al risparmio, dalla quale è parzialmente regolata, hanno acquisito una relazione con la produzione del piacere.

Ma prima dobbiamo analizzare il modo in cui gli strumenti tecnici del meccanismo del motto di spirito possano suscitare piacere in chi lo ascolta; dobbiamo ricordare, infatti, che in vista di una semplificazione e di una maggiore chiarezza, abbiamo lasciato da parte completamente i motti di spirito tendenziosi. Dobbiamo, infine, cercare di fare luce su quali siano gli scopi del motto di spirito, e come esso serva quegli scopi.

Prima di ogni altra cosa, c'è da fare un'osservazione che ci invita a non lasciare da parte i motti di spirito tendenziosi nella ricerca delle origini del piacere che ricaviamo dai motti di spirito. Il piacevole effetto di un motto di spirito innocente è, di regola, moderato; un chiaro senso di soddisfazione, un leggero sorriso è, di solito, tutto quel che può provare l'ascoltatore. E può accadere che persino una parte di questo effetto sia dovuta al contenuto del motto di spirito intellettuale, come abbiamo dimostrato con esempi appropriati. Un motto di spirito non tendenzioso non provoca quasi mai uno scoppio di risa pari a quello che, provocato da quelli tendenziosi, li rende così irresistibili. Dato che la tecnica può essere la stessa per entrambi, può nascere in noi il sospetto che i metti di spirito tendenziosi, a causa del loro scopo, abbiano a disposizione delle sorgenti di piacere che sono precluse a quelli innocenti. Gli scopi del motto di spirito possono essere espressi facilmente.

Quando un motto di spirito non è fine a se stesso - vale a dire, quando non è un motto di spirito innocente - può servire a due soli scopi, e questi due possono essere visti come unitari. Può trattarsi o di un motto di spirito ostile (che sottostà ad un'intenzione di aggressività, satira, o difesa) o di un motto di spirito osceno al servizio della denudazione. Bisogna ripetere in anticipo che le forme tecniche del motto di spirito - che si tratti di un motto di spirito verbale o concettuale - non hanno una relazione con questi due scopi.

È un discorso molto più complicato spiegare in che modo i motti di spirito servano a questi due scopi. In questa ricerca preferirei occuparmi inizialmente non dei motti di spirito ostili, ma di quelli di denudazione. È vero che questi sono stati ritenuti molto di rado più meritevoli di considerazione degli altri, come se un'avversione per la cosa stessa fosse stata qui trasferita sull'azione del discuterla. Ma noi non ci lasceremo sconcertare da questo fatto, e quindi ci occuperemo immediatamente di un caso marginale di motto di spirito, che promette di darci una chiarificazione su diversi punti oscuri.

Sappiamo che cosa si intende per discorso osceno: il fatto di mettere intenzionalmente in evidenza i fatti sessuali e le loro relazioni per mezzo della parola. Questa definizione, comunque, non è più valida delle altre e non ne deriva che una lezione sull'anatomia degli organi sessuali o sulla fisiologia della procreazione abbiano necessariamente dei punti di contatto con un discorso osceno. È un fatto molto più rilevante che un discorso osceno sia diretto ad una particolare persona dalla quale si sia sessualmente eccitati, e da cui ci si può aspettare che, ascoltandolo, si renda conto dell'eccitazione di chi lo racconta e, di conseguenza, diventi di rimando sessualmente eccitata. In luogo d'essere eccitata, un'altra persona potrebbe provare vergogna o imbarazzo, ma queste sono soltanto reazioni contro l'eccitamento e, in senso più lato, sono un'ammissione dell'eccitamento stesso. Un discorso osceno è dunque diretto, originariamente, a donne, e potrebbe essere paragonato a tentativi di seduzione. Se un uomo, in una compagnia di uomini, si diverte a dire o ad ascoltare discorsi osceni, la situazione originale, che a causa delle inibizioni sociali non può essere realizzata, è allo stesso tempo immaginata. Una persona che ride ascoltando un discorso osceno, ride come se fosse lo spettatore di un atto di aggressione sessuale.

Il materiale sessuale che forma il contenuto di un discorso osceno include più di quanto sia peculiare a ciascun sesso; include anche ciò che è comune ad entrambi i sessi ed a cui si estende il senso di vergogna - come dire, quanto c'è di escrementizio nel senso più ampio. Comunque questo è il senso nascosto dalla sessualità nella fanciullezza, un'età nella quale c'è, per così dire, una cloaca nella quale ciò che è sessuale e ciò che è escrementizio sono raramente o niente affatto distinti. (Vedi il mio Tre saggi sulla sessualità (1905), che viene pubblicato contemporaneamente a questo libro). In tutto il campo della psicologia delle nevrosi, ciò che è sessuale include ciò che è escrementizio, e viene inteso nel vecchio significato, infantile.

Il discorso osceno è come un'esposizione della persona sessualmente differente alla quale esso è diretto. Con l'espressione delle parole oscene si spinge la persona che è aggredita ad immaginare la parte del corpo o l'atto in questione e si mostra che anche chi assale lo sta immaginando. Non c'è dubbio che il desiderio di vedere denudato ciò che fa parte del sesso sia il motivo di base del discorso osceno.

A questo punto torniamo ai fatti fondamentali, il che può aiutare a chiarire le cose. Un desiderio di vedere esposti gli organi peculiari a ciascun sesso è una delle componenti originali della nostra libido. Esso potrebbe essere una sostituzione di qualcosa di antecedente e risalire all'ipotetico desiderio primitivo di toccare le parti sessuali proprio come spesso la vista ha sostituito il tatto. (Cfr. la pulsione della «contrectazione » di Moll, 1898). La libido della vista e del tatto è presente in ognuno sotto due forme, attiva e passiva, maschile e femminile; e, a seconda della preponderanza del carattere sessuale, l'una o l'altra forma predominano. È facile osservare l'inclinazione all'autoesposizione nei bambini piccoli. Nei casi in cui il germe di questa inclinazione sfugge alla sorte naturale d'esser soppresso,  si  sviluppa negli  uomini, dando luogo alla familiare perversione conosciuta col nome di esibizionismo. Nelle donne l'inclinazione all'esibizionismo passivo è quasi sempre distrutta per il fatto che la funzione di reazione del pudore sessuale si va imponendo; non senza lasciar loro, però, una scappatoia in relazione agli abiti. Desidero solamente accennare all'elasticità e alla variabilità nell'importanza dell'esibizionismo che le donne possono permettersi di avere a  seconda delle differenti convenzioni e circostanze.

Negli uomini persiste un alto grado di questo orientamento come parte della libido, ed esso serve ad introdurre l'atto sessuale. Quando questa urgenza si fa sentire al primo approccio con una donna, bisogna fare uso di parole, per due ragioni; prima di tutto per annunciarsi a lei, e secondariamente perché, se l'idea è risvegliata dal discorso, potrebbe far sorgere un corrispondente eccitamento nella donna e dunque risvegliare in lei un'inclinazione alla sopportazione dell'esibizione. Un discorso sollecitatorio come questo non è ancora un discorso osceno, ma si trasforma in quello. Se la prontezza della donna emerge subitanea, il discorso osceno ha vita breve; esso cede d'improvviso all'azione sessuale. Avviene diversamente se non si può contare sulla rapida condiscendenza della donna, e se appaiono invece reazioni difensive. In quel caso l'eccitazione del discorso sessuale diventa fine a se stessa, assumendo la forma del discorso osceno; poiché l'aggressività sessuale è frenata nella sua progressione verso l'atto, si arresta all'evocazione dell'eccitamento e ricava piacere dai segni di esso sulla donna. Così facendo, non v'è dubbio che l'aggressività alteri anche il suo carattere allo stesso modo di ogni moto libidico se si incontra con un ostacolo. Esso diventa realmente ostile e crudele, e dunque chiama in aiuto contro l'ostacolo le componenti  sadiche della pulsione sessuale.

L'inflessibilità della donna è perciò la prima condizione per lo sviluppo del discorso osceno, ma deve essere tale, per essere esatti, da implicare semplicemente un rinvio e non da indicare che sforzi successivi non saranno vani. Il caso ideale di una resistenza di questo tipo da parte della donna capita se è presente un altro uomo - una terza persona - poiché in questo caso una resa immediata della donna è senz'altro impossibile. Presto questa terza persona acquista grandissima importanza per lo sviluppo del discorso osceno; comunque, per cominciare, la presenza della donna non deve essere sottovalutata. Fra la gente di campagna o nelle osterie di infima specie, si può notare che l'oscenità non nasce prima dell'entrata della cameriera o della moglie dell'oste. Soltanto in livelli sociali più alti avviene il contrario, e la presenza di una donna fa cessare il discorso osceno. Gli uomini conservano questo genere di divertimento, che originariamente presupponeva la presenza di una donna che provasse vergogna, per il momento in cui torneranno ad essere «soli insieme». Così che, gradualmente, al posto della donna, lo spettatore, ora ascoltatore, diventa la persona alla quale è diretto il discorso osceno, ed in conseguenza di questa trasformazione si è già vicini all'assunzione della forma del motto di spirito.

Da questo punto in poi la nostra attenzione sarà diretta su due fattori: il ruolo della terza persona, l'ascoltatore, e le condizioni che regolano il contenuto dello stesso discorso osceno.

Generalmente, un motto di spirito tendenzioso richiede tre persone: oltre a quella che fa il motto di spirito, ci deve essere una seconda persona che è l'oggetto dell'aggressione ostile o sessuale, ed una terza persona attraverso la quale viene soddisfatto lo scopo del motto di spirito di procurare piacere. Più avanti dovremo esaminare le ragioni più profonde di questo stato di cose; per il momento atteniamoci ai fatti da questo testimoniati - e cioè che non è la persona che fa il motto di spirito che ride per esso e che perciò gode del suo piacevole effetto, ma l'ascoltatore inattivo. Nel caso di un discorso osceno le tre persone sono nella stessa relazione. Il corso degli eventi potrebbe essere descritto così: quando la prima persona trova il suo impulso libidico impedito da una donna, sviluppa una tendenza ostile contro quella seconda persona e si cerca un alleato nella terza persona, che inizialmente era un elemento di disturbo. Attraverso il discorso osceno della prima persona la donna è denudata davanti alla terza che, come ascoltatrice, viene sedotta dalla soddisfazione senza sforzo alcuno della propria libido.

È interessante notare come sia universalmente bene accetto uno scambio osceno di questo genere fra la gente del popolo e come produca buon umore. Ma è anche importante notare che in questa complicata procedura, che implica tante caratteristiche del motto di spirito tendenzioso, nessuno dei requisiti formali che caratterizzano il motto di spirito sono usati per il discorso osceno stesso. L'enunciazione di un'oscenità evidente dà piacere alla prima persona e fa ridere la terza.

Solo quando prendiamo in considerazione una società di più raffinata educazione entrano in gioco le condizioni formali per i motti di spirito. Il discorso osceno diventa un motto di spirito ed è tollerato soltanto in quanto tale. Lo strumento tecnico che viene usato normalmente è l'allusione - vale a dire, la sostituzione di qualcosa di piccolo con qualcosa di remotamente connesso, che l'ascoltatore ricostruisce nella sua immaginazione in un'oscenità completa e assolutamente differente. Quanto più c'è discrepanza fra ciò che è detto direttamente sotto forma di discorso osceno e ciò che necessariamente richiama alla mente dell'ascoltatore, tanto più raffinato diventa il motto di spirito e più avrà la possibilità di entrare nella buona società. Come può essere facilmente dimostrato dagli esempi, il discorso osceno che ha le caratteristiche di un motto di spirito, ha a disposizione, a parte l'allusione sia grossolana che raffinata, tutti gli altri strumenti del motto di spirito verbale o concettuale.

Ed ora finalmente possiamo capire come accada che i motti di spirito raggiungano il loro scopo. Essi rendono possibile la soddisfazione di una pulsione (libidica o ostile) di fronte ad un ostacolo che vi si frappone. Aggirano quell'ostacolo ed in questo modo fanno derivare il piacere da una sorgente che l'ostacolo rendeva inaccessibile. L'ostacolo esistente non è in realtà nient'altro che l'incapacità della donna di sopportare la sessualità non mascherata, un'incapacità che viene accresciuta dal fatto di essere stata allevata in un determinato ambiente culturale e sociale. La donna che, come si è detto, era pensata come presente all'inizio, continua ancora ad essere ritenuta tale anche dopo, oppure, non essendo presente, la sua influenza si fa tuttavia sentire sull'uomo. Possiamo osservare come gli uomini di una classe sociale piuttosto elevata siano portati, in compagnia di ragazze di classe inferiore, a trasformare i loro motti di spirito volgari in semplici discorsi osceni. Noi chiamiamo «rimozione» la forza che rende impossibile o difficile alle donne, ed in misura minore anche agli uomini, di godere delle oscenità non mascherate; e ritroviamo in questo lo stesso processo psichico che, in caso di malattie gravi, allontana dalla coscienza tutto l'insieme degli impulsi coi loro derivati e che finisce per diventare il fattore principale di quelle che comunemente vengono chiamate psiconevrosi. Noi ammettiamo che la civiltà e l'educazione abbiano un gran peso nello sviluppo della rimozione e supponiamo che, in condizioni di questo genere, l'organizzazione psichica subisca un'alterazione (che può emergere anche da una disposizione ereditaria) il cui risultato è che ciò che all'inizio sembrava gradevole sembra ora inaccettabile, e viene respinto con l'impiego di tutta la forza psichica possibile. L'attività repressiva della civiltà fa sì che le possibilità di godimento primarie, che ora sono state ripudiate dalla censura che è in noi, vadano perdute. Ma ogni rinuncia è terribilmente difficile per la psiche umana, e così vediamo che i motti di spirito tendenziosi forniscono un mezzo per eliminare la rinuncia e per recuperare quanto si era perduto. Quando ridiamo di un raffinato motto di spiriro osceno, ridiamo delle stesse cose che fanno ridere un contadino durante un discorso osceno. In entrambi i casi il riso nasce dalla stessa sorgente. Tuttavia noi non rideremmo affatto, ascoltando un discorso osceno; ci vergogneremmo, oppure ci sentiremmo disgustati. Possiamo ridere solo quando un motto di spirito ci è venuto in aiuto.

In questo modo sembra confermato ciò che avevamo sospettato all'inizio: vale a dire che i motti di spirito tendenziosi hanno a loro disposizione delle sorgenti di piacere maggiori di quelle aperte ai motti di spirito innocenti, in cui tutto il piacere è in qualche modo collegato alla loro tecnica. E possiamo anche ripetere una volta di più che, con i motti di spirito tendenziosi, noi non siamo in grado di distinguere, basandoci sulle nostre sensazioni, quanta parte del piacere derivi dalla sorgente della loro tecnica, e quanta dal loro scopo. Quindi, a rigor di termini, non sappiamo di che cosa stiamo ridendo. Con tutti i motti di spirito osceni noi corriamo il pericolo di incappare in errori madornali, nel dare un giudizio sulla «bontà» del motto di spirito, nella misura in cui questa dipende da cause determinanti formali; la tecnica dei motti di spirito di questo tipo è spesso molto modesta, ma essi riescono a far ridere moltissimo.

3.

Adesso cercheremo di chiarire se i motti di spirito hanno lo stesso ruolo quando servono ad uno scopo ostile.

Anche qui, fin dall'inizio, ci troviamo di fronte alla stessa situazione. Fin dall'infanzia, e, similmente, fin dall'infanzia della civiltà, gli impulsi ostili contro gli altri uomini sono stati sottoposti alle stesse restrizioni, alla stessa repressione progressiva, a cui sono state sottoposte le nostre necessità sessuali. Non siamo ancora arrivati così avanti da essere capaci di amare il nostro nemico o di offrire la guancia sinistra dopo essere stati schiaffeggiati sulla destra. Inoltre, tutte le regole morali per la repressione dell'odio reattivo mostrano chiaramente, ai giorni nostri, di essere state formate per una piccola comunità sul tipo del clan. Fintantoché siamo in grado di sentirci membri di un popolo, permettiamo a noi stessi di trascurare la maggior parte di queste restrizioni in relazione con i popoli stranieri. Comunque abbiamo fatto dei passi avanti nel controllo dei nostri impulsi ostili, all'interno del nostro circolo. Lichtenberg esprime tutto questo in termini drastici: «Quando adesso diciamo " Mi scusi " prima eravamo soliti prendere a pugni». L'ostilità brutale, proibita per legge, è stata sostituita dall'invettiva verbale; ed una conoscenza più approfondita della concatenazione degli impulsi umani ci priva - per la sua consistenza di Tout comprendre c'est tout pardonner - della capacità di provare rabbia nei confronti di un nostro simile che ci traversa la strada. Anche se da bambini noi siamo ancora dotati di una disposizione ereditaria all'ostilità, più tardi apprendiamo, da una più alta civiltà personale, che è una cosa indegna usare un linguaggio ingiurioso, e persino quando la lotta è rimasta possibile di per sé, il numero delle cose che non dovrebbero essere usate come strumenti di lotta è aumentato straordinariamente. Fin da quando siamo stati obbligati a rinunciare all'espressione dell'ostilità attraverso i fatti - trattenuti da una terza persona priva di passione, nell'interesse della quale è necessario preservare la sicurezza personale - noi abbiamo, proprio come nel caso dell'aggressività sessuale, sviluppato una nuova tecnica di invettiva che mira ad impegnare questa terza persona contro il nostro nemico. Minimizzando quest'ultimo, considerandolo inferiore, rendendolo spregevole o ridicolo, noi raggiungiamo per vie traverse lo scopo di sopraffarlo - della qual cosa la terza persona, che non ha fatto alcuno sforzo, diviene testimone con le sue risa.

A questo punto siamo preparati a capire il ruolo del motto di spirito nell'aggressività ostile. Un motto di spirito ci permetterà di rendere evidente qualcosa di ridicolo nei nostri nemici, qualcosa che noi non potremmo portare allo scoperto o a livello cosciente, a causa degli ostacoli che si frapponevano; ancora una volta, dunque, il motto di spirito aggirerà le limitazioni e aprirà sorgenti di piacere che sono divenute inaccessibili. In seguito il motto di spirito indurrà l'ascoltatore, con il piacere che gli procura, a prender partito per noi senza compiere un esame più approfondito, proprio come in altre occasioni noi stessi siamo stati indotti da un motto di spirito innocente a sopravalutare la sostanza di un concetto espresso in modo scherzoso. Questo si nota facilmente nel modo di dire comune Die Lacker auf seine Sette ziehen (portare quelli che ridono dalla nostra parte).

Consideriamo, per esempio, i motti di spirito del signorN.., scelti nell'altro capitolo, che sono tutti frammenti di invettive. È come se il signor N. volesse esclamare ad alta voce: - Il  Ministro  dell'agricoltura  è  un  bue!»;   « Non  parlarmi di ...! Brucia dalla vanità!»; «Non ho mai letto in vita mia nulla di più noioso di questi saggi storici su Napoleone in Austria!». Ma la posizione importante che egli occupa gli rende impossibile esternare i suoi giudizi in una forma simile. Perciò essi ricercano l'aiuto del motto di spirito, e questo garantisce loro di essere colti da un ascoltatore che non avrebbero mai trovato se espressi in forma non scherzosa, malgrado la verità che potrebbero contenere. Uno di questi motti di spirito è particolarmente istruttivo. È quello che riguarda il Fadian rosso, che è anche, forse, il più centrato di tutti. Cosa c'è in esso che ci fa ridere e che distoglie completamente il nostro interesse dal problema se sia stata commessa o meno un'ingiustizia ai danni del povero autore? Naturalmente, la forma scherzosa - vale a dire, il motto di spirito. Ma cosa c'è da ridere? Senza dubbio si ride della persona che ci viene presentata come il «rosso Fadian», ed in particolare del fatto che abbia i capelli rossi. Le persone educate hanno preso l'abitudine di ridere dei difetti fisici, e per di più non includono il fatto di avere i capelli rossi tra i difetti fisici di cui si ride. Ma non c'è dubbio che essi siano considerati tali dagli scolari e dalla gente del popolo - e questo vale anche il livello di educazione di certi rappresentanti municipali e parlamentari. Ed ora il signor N. ha reso possibile nel modo migliore per noi, gente colta e sensibile, di ridere come ragazzi del fatto che X. abbia i capelli rossi. Questa non era certol 'intenzione del signor N.; ma è dubbio che una persona chec rea un motto di spirito sia perfettamente cosciente della propria intenzione.

Se in questi casi l'ostacolo all'aggressione che i  motti  di spirito hanno aiutato ad eliminare era di ordine interno - un rifiuto estetico all'invettiva - in altri casi esso può essere puramente esterno. Accadde così nel caso di Sua Altezza Serenissima che chiese ad uno straniero dalla cui somiglianza con la propria persona era stato colpito: «Vostra madre è mai stata a palazzo?» e si sentì rispondere prontamente: «No, ma c'è stato mio padre». La persona alla quale venne fatta la domanda avrebbe certamente preso a pugni volentieri o perlomeno insultato l'individuo impertinente che con quell'allusione aveva osato gettare una macchia sulla memoria della madre tanto amata. Ma l'individuo impertinente era Sua Altezza Serenissima che uno non può prendere a pugni o insultare, a meno di non essere disposto a pagare questa vendetta con la propria vita. Perciò l'insulto deve essere mandato giù in silenzio, almeno così sembra. Ma, fortunatamente, il motto di spirito mostra il modo in cui l'insulto può essere restituito - usando lo strumento tecnico dell'unificazione in modo da cogliere l'allusione e da voltarla contro l'aggressore. In questo caso l'impressione d'arguzia è determinata in modo tale dal suo scopo, che di fronte al carattere scherzoso della replica, ci sentiamo disposti a dimenticare che la domanda fatta dall'aggressore aveva anch'essa il carattere di un motto di spirito con la tecnica dell'allusione.

Il fatto che l'invettiva o la risposta ingiuriosa siano prevenute dalle circostanze esterne è un caso così comune, che si ricorre al motto tendenzioso proprio per il fatto che rende possibile l'aggressività o la critica, in particolare, nei confronti di persone che occupano una posizione importante ed aspirano ad esercitare la propria autorità. Allora il motto di spirito rappresenta una ribellione all'autorità, una liberazione dalla sua pressione. Il fascino della caricatura deriva dallo stesso fattore: si ride di essa anche se non è ben riuscita semplicemente perché consideriamo un merito la ribellione contro le autorità.

Se teniamo presente che il motto di spirito tendenzioso si adatta ad attaccare ciò che sta in alto, ciò che è degno e ciò che è potente, cose queste che sono protette dalle inibizioni interiori e dalle circostanze esterne da un attacco diretto, saremo obbligati a considerare separatemente un determinato gruppo di motti di spirito che sembrano riguardare la gente inferiore od indifesa. Sto pensando agli aneddoti sul mediatore di matrimoni, alcuni dei quali sono venuti fuori nel corso del nostro studio sulle varie tecniche del motto concettuale. In alcuni di essi, per esempio in quello «È anche sorda» e «Chi presterebbe qualcosa a questa gente?» il mediatore è deriso per la sua imprevidenza e la sua sventatezza e diventa comico perché la verità gli scappa quasi automaticamente. Ma ciò che abbiamo imparato sulla natura dei motti di spirito tendenziosi ed il grande piacere che proviamo nell'ascolta-re queste storie, vanno d'accordo con la meschinità della gente di cui si prendono gioco questi motti di spirito? Si tratta di avversari degni di nota per i motti di spirito? Non può essere piuttosto che i motti di spirito mettano avanti il mediatore di matrimoni per poter colpire qualcosa di più importante? Non si tratta di uno di quei casi in cui si dice una cosa e se ne intende un'altra? In verità non è possibile scartare questo punto di vista.

Quest'interpretazione degli aneddoti sul mediatore può essere ancora approfondita. È senz'altro vero che non v'è alcuna necessità per me di addentrarmi nella loro trattazione, giacché mi posso accontentare di trattare questi aneddoti come storie buffe e negare che essi abbiano il carattere di motti di spirito, i quali, dunque, possono anche avere una causa determinante soggettiva di questo tipo. Adesso la nostra attenzione è stata spostata su questa possibilità e più avanti dovremo esaminarla. Essa afferma che solo quello a cui io permetto di essere un motto di spirito è un motto di spirito. Quello che è un motto di spirito per me, può essere semplicemente una storia comica per altri. Ma se un motto xli spirito lascia adito a questo dubbio, la ragione può essere soltanto che esso ha una facciata - in questi casi una facciata comica - nella cui contemplazione una persona si sazia mentre un'altra può cercare di scrutare dietro di essa. Inoltre può nascere il sospettò che questa facciata voglia ingannare chi osserva e indaga e che perciò queste storie abbiano qualcosa da nascondere.

Ad ogni modo, se i nostri aneddoti sul mediatore di matrimoni sono dei motti di spirito, sono i motti di spirito migliori perché, grazie alla loro facciata, sono in grado di nascondere non soltanto ciò che hanno da dire, ma anche il fatto che hanno da dire qualcosa di proibito. Continuando nell'interpretazione - che scopre il significato e definisce questi aneddoti con una facciata comica come motti di spirito tendenziosi -si troverà quanto segue: chiunque in un momento di disattenzione si lascia sfuggire la verità, in realtà è contento di porre termine alla finzione. Questo è un esempio corretto e profondo di penetrazione psicologica. Senza questa accettazione interiore nessuno permette a se stesso di essere guidato dall'automatismo, che in questi casi porta alla luce la verità!  (Questo è lo stesso meccanismo che regola i lapsus linguae e gli altri fenomeni di autotradimento. Vedi la Psicopatologia della vita quotidiana, cap. V.)

Ma questo trasforma la figura ridicola dello Schadchen in una figura simpatica, degna di pietà. Come deve essere felice l'uomo di essere capace alla fine di gettare il fardello delle false apparenze, se usa la prima occasione adatta per gridare proprio all'ultimo un brandello di verità! Appena vede che la causa è perduta, che la fidanzata non piace al giovane, egli tradisce con gioia un altro difetto nascosto che non è stato notato, oppure approfitta dell'opportunità di addurre un argomento risolutivo in un dettaglio per esprimere il suo disprezzo per la gente per cui lavora: «Vi chiedo - chi darebbe in prestito qualcosa a questa gente?» Tutto il ridicolo dell'aneddoto adesso cade sui genitori, appena sfiorati nel motto di spirito, che pensano che questo raggiro sia giustificato dalla necessità di dare un marito alla loro figlia, sulla miseranda posizione delle ragazze che accettano di essere sposate in questi termini e sulla disgrazia di matrimoni contratti su simili basi. Il mediatore di matrimoni è l'uomo giusto per esprimere una simile critica, poiché conosce la maggior parte di questi abusi: ma egli non può parlarne ad alta voce, poiché è un pover'uomo, la cui esistenza dipende dal poterli sfruttare. Il sentimento popolare, che ha creato queste storie ed altre come queste, è diviso da un conflitto simile; infatti sa che il carattere sacro dei matrimoni dopo che sono stati contratti è seriamente compromesso dall'accenno a ciò che accadeva quando essi venivano combinati.

Ricordiamo anche ciò che abbiamo osservato quando stavamo studiando la tecnica del motto di spirito: che in esso l'assurdo spesso sostituisce il ridicolo e la critica impliciti nei pensieri che vi sono dissimulati. (Sotto questo profilo, incidentalmente, il meccanismo del motto di spirito funziona allo stesso modo del meccanismo del sogno). Qui troviamo il fatto confermato ancora una volta. Che il ridicolo e la critica non siano diretti contro la figura del mediatore, il quale appare negli esempi che abbiamo considerato soltanto come un capro espiatorio, è dimostrato da un'altra categoria di motti di spirito, nella quale il mediatore di matrimoni è rappresentato,  al contrario, come  una persona  superiore,  i  cui  poteri dialettici si dimostrano sufficienti ad affrontare ogni difficoltà. Sono aneddoti con una facciata logica, piuttosto che comica - motti di spirito sofistico-concettuali. In uno di questi, il mediatore riesce a minimizzare il difetto della fidanzata che è zoppa. Se non altro, «è cosa fatta». Un'altra moglie, con le gambe sane, correrebbe al contrario il pericolo costante di cadere e di rompersi una gamba e questo sarebbe seguito da malattia, pene e spese per la cura, cose che potrebbero essere risparmiate nel caso di una donna già zoppa. C'è anche un altro aneddoto, nel quale egli riesce a respingere tutta una serie di proteste fatte dal promesso sposo a proposito della sposa, ed affronta ciascuna di esse con buoni argomenti, finché all'ultima risponde, non potendola aggirare: «Che cosa volete? Non deve avere neppure un difettuccio?», come se non ci fosse stato nulla da eccepire in base alle precedenti osservazioni. Non c'è alcuna difficoltà nel dimostrare i punti deboli nella discussione di questi due esempi, e noi l'abbiamo fatto esaminando la loro tecnica. Ma ciò che ci interessa è ora qualcosa di diverso. Se il discorso del mediatore ha una così notevole parvenza di logica, che solo ad un attento esame si riconosce essere appunto come una semplice parvenza, il fatto è che il motto di spirito afferma che il mediatore ha ragione; il pensiero non osa operare in questo modo seriamente, ma sostituisce la serietà con quella parvenza della serietà che il motto di spirito presenta. Qui, come accade spesso, l'arguzia tradisce qualcosa di serio. Non ci allontaneremo molto dal vero sostenendo che tutti questi aneddoti con una facciata logica significhino realmente quanto asseriscono, sia pure con argomenti intenzionalmente falsi. È soltanto il ricorso al sofisma, per mascherare una rappresentazione della verità, che le dà il carattere di motto di spirito, essenzialmente dipendente dal suo scopo. L'allusione contenuta nelle due storielle è infatti questa: il promesso sposo si rende ridicolo col menzionare con tanta cura i diversi pregi della sposa, sebbene siano tutti caduchi, mentre dimentica, nel farlo, che deve essere preparato a prendere in moglie un essere umano con i suoi inevitabili difetti, e tralascia, d'altra parte, per tutto il discorso, la sola caratteristica che renderebbe tollerabile il matrimonio con una donna dal personale più o meno imperfetto - l'attrazione reciproca e la facilità all'adattamento affettivo.

La presa in giro del promesso sposo compiuta in questi esempi, in cui il mediatore ha. in modo molto appropriato la parte dell'uomo superiore, è espressa in modo molto più completo in altri aneddoti. Più semplici sono queste storie, e meno posseggono le caratteristiche tecniche del motto di spirito; sono, per così dire, soltanto dei casi marginali di motti di spirito, con la tecnica dei quali non hanno più nulla a che fare, ma con cui hanno in comune la costruzione della facciata. Ma grazie al fatto che hanno lo stesso scopo e che sono celate dietro una facciata, esse ottengono lo stesso effetto del motto di spirito. Inoltre, la povertà dei loro metodi tecnici spiega la ragione per cui molti di questi motti di spirito non possono, senza essere danneggiati, fare a meno dell'elemento dialettale, che ha un effetto simile a quello della tecnica del motto di spirito.

Una storia di questo tipo che, sebbene possegga tutta la forza di un motto di spirito tendenzioso, non ne segue la tecnica, è la seguente:

Il mediatore di matrimoni: «Che cosa chiedete alla vostra sposa?». Risposta: « Deve essere bella, de»e essere ricca ed educata». «Molto bene», ribatté il mediatore, «Ma per me è come se fossero tre matrimoni».

In questo caso il rimprovero è fatto apertamente, e non è più mascherato dal motto di spirito.

Negli esempi presi in considerazione fino ad ora, l'aggressività nascosta è stata diretta contro la gente - nei motti di spirito sul mediatore contro chiunque sia coinvolto nel tentativo di combinare un matrimonio: la sposa, lo sposo ed i loro genitori. Ma oggetto dell'attacco del motto di spirito possono essere anche le istituzioni, le persone in quanto rappresentanti delle istituzioni, i dogmi della moralità o della religione, le visioni della vita le quali godono di tanto rispetto che le obiezioni fatte a questo proposito possono esistere solo sotto la maschera del motto di spirito e per di più di un motto di spirito dissimulato dalla sua facciata. Anche se i temi ai quali i motti di spirito tendenziosi si riferiscono possono essere pochi, le loro forme ed involucri sono molti e vari. Penso che faremo bene a definire questa classe di motti di spirito tendenziosi con un nome particolare. Il nome adatto risulterà dopo che avremo -interpretato alcuni esempi di questa categoria.

Posso ricordare le due storie - una del buongustaio caduto in povertà che fu costretto a mangiare «salmone con maionese» e l'altra del tutore dipsomaniaco - che ci sono note come motti di spirito sofìstici con spostamento. Adesso procederò oltre nella loro interpretazione. Abbiamo appena detto che, se un'apparenza di logica viene aggiunta alla facciata di una storia, il concetto vorrebbe significare seriamente «l'uomo ha ragione», ma, a causa di una contraddizione opposta, non ha il coraggio di affermare che l'uomo ha ragione salvo che in un solo punto, nel quale si può dimostrare chiaramente che ha torto. Il «punto» scelto è il giusto compromesso tra la sua ragione ed il suo torto; il che, lungi dall'essere una decisione, corrisponde al nostro conflitto interiore. I due aneddoti sono semplicemente epicurei. Essi dicono: «Sì. L'uomo ha ragione. Non c'è niente di più importante del divertimento ed è abbastanza indifferente il modo in cui uno l'ottiene». Questa affermazione sembra sorprendentemente immorale e niente di più. Ma in fin dei conti non si tratta di null'altro che del Carpe diem del poeta, che fa appello all'insicurezza della vita ed alla sterilità della rinuncia virtuosa. Se l'idea che l'uomo nel motto di spirito del «salmone con maionése» avesse ragione ha su di noi un effetto così ripugnante, è soltanto perché la verità è illustrata da un piacere della più bassa specie, di cui ci sembra di poter fare facilmente a meno. In realtà ciascuno di noi ha avuto ore e periodi in cui ha ammesso la verità di questa filosofia di vita ed ha rimproverato la dottrina morale, pensando che chiedesse senza offrire alcun compenso. Da quando non crediamo più nella promessa di un m'ondo futuro in cui ogni rinuncia sarà ripagata con una soddisfazione - incidentalmente, ci sono pochissime persone pie, se consideriamo la rinuncia un segno di fede - il Carpe diem è diventato un serio ammonimento. Posso anche rimandare la soddisfazione: ma che ne so se domani sarò ancora qui? «Di domati non c'è certezza» n. Posso rinunciare facilmente ai metodi di soddisfazione non accetti alla società, ma sono sicuro che la società mi ripagherà di questa rinuncia offrendomene una permessa, anche dopo una certa attesa? Quello che questi motti di spirito sussurrano può essere detto ad alta voce: che i voti ed i desideri degli uomini hanno il diritto di essere accettati da una moralità crudele ed esigente. E ai giorni nostri è stato detto con frasi piene di vigore e commoventi che questa moralità è solo un ordine egoistico creato dai pochi che sono ricchi e potenti e che possono soddisfare i loro desideri in ogni momento, senza doverli rimandare. Fintantoché l'arte della medicina non sarà andata oltre nel rendere sicura la nostra vita e fintantoché le strutture sociali non faranno di più per renderla maggiormente piacevole, fino ad allora, sarà impossibile soffocare la voce che si ribella contro la richiesta di moralità. Ogni uomo onesto finirà per accettare questo fatto, almeno per se stesso. Si può prendere una risoluzione a questo proposito attraverso una via indiretta di nuova comprensione. Ognuno deve legare la propria vita a quella degli altri così strettamente ed essere capace di identificarsi con essi così intimamente che la brevità della propria vita possa essere superata: e nessuno deve soddisfare in modo illegittimo le richieste dei propri bisogni, ma ciascuno deve lasciarle insoddisfatte, perché soltanto la continuità di tante richieste insoddisfatte può far nascere una forza che cambi l'ordine sociale. Ma non tutti i bisogni personali possono essere rimandati in questo modo e trasferiti sugli altri, e non c'è una soluzione generale e finale del conflitto.

Adesso sappiamo il nome che deve essere dato ai motti di spirito simili agli ultimi che abbiamo interpretato. Sono motti  di spirito cinici, e  quello che  nascondono  è  il cinismo.

Tra le situazioni che i motti di spirito cinici sono soliti aggredire, nessuna è più importante o più strettamente salvaguardata dalle regole morali e contemporaneamente più invitante all'attacco del matrimonio, contro ir quale la maggior parte dei motti di spirito cinici sono d'accordo nel puntare. Non c'è richiesta personale maggiore di quella della libertà sessuale e la civiltà non ha cercato di esercitare su nessun altro punto una repressione più severa di quella che riguarda la sfera della sessualità. Un solo esempio basterà al nostro scopo - quello menzionato a pag. 86, «L'annotazione nell'Album del Principe Carnevale»:

Una moglie è come un ombrello.  Prima o  poi  si  prende un  taxi.

Abbiamo già discusso la tecnica complicata di quest'esempio: una confusione ed una similitudine apparentemente assurda, che tuttavia, come vedremo ora, non è un motto di spirito di per sé; inoltre un'allusione (il taxi è un veicolo pubblico); e, come forza tecnica principale, un'omissione, che aumenta l'intelligibilità. La similitudine può essere sviscerata come segue. Uno si sposa per difendersi dalle tentazioni della sessualità,  ma  salta  fuori  che  il  matrimonio  non porta  alla soddisfazione dei desideri che sono un po' fuori dall'ordinario. Allo stesso modo uno prende un ombrello per proteggersi dalla pioggia, ma si bagna lo stesso. In entrambi i casi è necessario guardarsi attorno per trovare una migliore protezione: nel secondo caso si deve prendere una vettura pubblica, e nel primo una donna che sia accessibile in cambio di denaro. Adesso il motto di spirito è stato sostituito quasi completamente da un esempio di cinismo. Nessuno ha il coraggio di dichiarare ad alta voce che il matrimonio non è un affare combinato per soddisfare la sessualità dell'uomo, a meno che qualcuno non sia portato a farlo per amore della verità o per ardore della riforma di Christian von Ehrenfels (Si vedano i suoi saggi nella « Politisch-anthropologischen Revue», I T,  1905). La forza di questo motto di spirito sta nel fatto che, nonostante tutto, seguendo ogni tipo di perifrasi - ha dichiarato questo. Un'occasione particolarmente favorevole per i motti di spirito tendenziosi si presenta quando la intenzionale critica ribelle è diretta contro il soggetto stesso, oppure, per dirlo in modo più cauto, contro qualcuno con cui il soggetto ha a che fare - un'entità collettiva (la nazione del soggetto stesso, r esempio). Questa determinante esigenza di auto-critica può spiegare come succeda che parte dei motti di spirito più riusciti (di cui abbiamo fornito numerosi esempi) siano germogliati sul terreno della vita popolare ebrea. Sono storie create a ebrei e dirette contro le caratteristiche degli ebrei. I motti di spirito creati sugli ebrei dagli stranieri sono per lo più storie ridicole e brutali nelle quali un motto di spirito si rende inutile per il fatto che gli ebrei sono considerati dagli stranieri delle figure comiche. Anche i motti di spirito ebraici creati da ebrei ammettono questo; ma essi conoscono sia le loro mancanze come pure il legame tra queste e le loro buone qualità, e ciò che il soggetto ha in comune con la persona che si trova in errore, crea la causa determinante soggettiva generalmente tanto difficile, da trovare), del meccanismo del motto di spirito. Tra l'altro e per inciso, io non so se cis ono molti altri casi d'un popolo che faccia dello spirito sulle proprie caratteristiche a questo livello. Come esempio di ciò, potrei prendere l'aneddoto, considerato a pag. 42, di un Ebreo su un treno che abbandona prontamente ogni norma di educazione quando scopre che il nuovo arrivato nello scompartimento è un correligionario. Facciamo la conoscenza in questo aneddoto dell'evidenza di qualcosa che viene dimostrata da un dettaglio, di una rappresentazione attraverso qualcosa di molto piccolo. S'intende ritrarre il modo di pensare democratico degli Ebrei, che non fanno distinzioni tra signori e servi, ma che purtroppo sconvolgono anche la disciplina e la cooperazione.

Un altro gruppo di motti di spirito particolarmente interessante riguarda i rapporti tra l'Ebreo povero e quello ricco. Ne sono protagonisti lo Schnorrer (mendicante) ed il padrone di casa caritatevole o il Barone.

Uno Schnorrer, che veniva invitato nella stessa casa ogni domenica, apparve un giorno in compagnia di un giovane sconosciuto che fece per sedersi a tavola. «Chi è costui? » chiese il padrone di casa. «È mio genero», fu la risposta, «dalla settimana scorsa; gli ho promesso il vitto per il primo anno».

Lo scopo di queste storie è sempre lo stesso; esso emerge più chiaramente nella seguente:

Lo Schnorerr chiese al Barone del denaro per un viaggio ad Ostenda; il suo dottore aveva raccomandato dei bagni di mare per i suoi disturbi. Il Barone osservò che Ostenda era un luogo di cura particolarmente caro; uno più economico sarebbe andato ugualmente bene. Tuttavia lo Schnorrer rifiutò la proposta con queste parole: «Signor Barone, nulla è troppo caro per la mia salute».

Si tratta d'un eccellente motto di spirito con spostamento che potremmo prendere come modello di questa categoria. Evidentemente il Barone vuole risparmiare il proprio denaro, ma lo Schnorrer risponde come se il denaro del Barone fosse suo, e come se, quindi, egli potesse dargli un valore minore di quello dato alla propria salute. In questo caso, ci si aspetta che si rida dell'impertinenza della richiesta; ma succede raramente che questi motti di spirito non siano forniti di una facciata che rende difficile la comprensione. La verità nascosta è che lo Schnorrer, che pensa di poter trattare il denaro del ricco signore come il proprio, ha realmente, secondo i precetti sacri degli Ebrei, una parte di ragione nel fare questa confusione. L'indignazione nata da questo motto di spirito è diretta naturalmente contro la Legge che è estremamente oppressiva anche nei confronti della gente pia.

Ecco un altro aneddoto:

Uno Schnorrer, mentre saliva le scale della casa di un ricco signore, incontrò un individuo della sua stessa categoria, il quale lo avvisò di non andare oltre. «Non andare su, oggi», disse, «il Barone è di cattivo umore;  non dà a nessuno più di un fiorino». « Andrò su lo stesso», disse il primo. «Perché gli devo regalare quel fiorino? Forse che regala qualcosa a me?».

Il motto di spirito usa la tecnica dell'assurdità, poiché fa asserire allo Schnorrer che il Barone non gli dà nulla proprio quando si prepara a chiedergli un regalo. Ma l'assurdità è solo apparente. È abbastanza vero che il ricco signore non gli dà nulla, poiché è obbligato dalla Legge a fargli l'elemosina e, a rigor di termini, dovrebbe essergli grato per il fatto che gli fornisce l'opportunità di fare della beneficenza. In questo caso la visione comune della carità nella classe media è in conflitto con quella religiosa; è in aperta ribellione contro quella religiosa nell'altra storia, quella del Barone, che, profondamente commosso dal racconto delle sventure dello Schnorrer, chiamò i servitori: « Gettatelo fuori! Mi sta spezzando il cuore!». Questa aperta rivelazione del proprio scopo costituisce ancora una volta un caso marginale di motto di spirito. Queste storie sono differenti dalla protesta che non è più un motto di spirito solo per il fatto che presentano il problema applicato a casi individuali:

Non c'è in realtà alcun vantaggio ad essere un uomo ricco se si è un ebreo. La miseria degli altri fa sì che sia impossibile godere della propria fortuna.

Altre storie, che sono ancora una volta casi limite dal punto di vista della tecnica del motto di spirito, mettono in evidenza un cinismo profondamente pessimistico. Per esempio.

Un uomo sordo consultò un dottore, il quale diagnosticò correttamente che con molta probabilità il paziente beveva troppo brandy ed era sordo per questo. Lo mise dunque in guardia, ed il sordo promise di tenere presente l'avvertimento. Dopo un po' il dottore lo incontrò per la strada e gli chiese ad alta voce come stava. «Grazie», fu la risposta, «Non c'è bisogno che lei parli così forte, dottore. Ho smesso di bere e sento di nuovo decisamente bene». Poco tempo dopo s'incontrarono di nuovo. Il dottore gli chiese come stava con voce normale, ma notò che la sua domanda non era stata capita. «Eh? Che cosa ha detto?». «Mi sembra che lei abbia ripreso a bere brandy» gli gridò il dottore nelle orecchie, «ed ecco il motivo per cui è di nuovo sordo». «Può essere che lei abbia ragione», rispose il sordo, « io ho ripreso a bere brandy e le dirò perché. Fintantoché rimasi senza bere fui in grado di sentire. Ma niente di ciò che sentii era buono come il brandy».

Tecnicamente questo motto di spirito non è che una dimostrazione: il dialetto o l'arguzia sono necessari nella narrazione per far nascere il riso,  ma sullo sfondo resta la  triste domanda: è mai possibile che quell'uomo abbia ragione nel fare la sua scelta?

I molteplici aspetti della sconsolata miseria degli ebrei, cui queste storielle pessimistiche alludono, mi persuadono a classificarli come motti di spirito tendenziosi.

Altri motti di spirito, che sono egualmente cinici e che non sono soltanto aneddoti ebrei, attaccano i dogmi della religione ed anche la fede in Dio. La storia sulla Kück (chiaroveggenza) del Rabbino, la cui tecnica risiede nel modo di pensare errato che mette sullo stesso piano la fantasia e la realtà (un altro modo possibile di considerarla è il pensare che si tratti di uno spostamento), è un motto di spirito cinico o critico di questo tipo, diretto contro gli inventori di miracoli e certo anche contro la fede nei miracoli. Si dice che Heine abbia creato l'ultimo motto di spirito blasfermo sul suo letto di morte. Quando un amico prete gli ricordò la misericordia divina e gli diede la speranza che Dio gli avrebbe perdonato le sue colpe, si dice che egli abbia risposto: Bìen sur qu'il me pardonnera: e'est son métier [«Certo che mi perdonerà: è il suo mestiere»]. Questo è un paragone sprezzante (che forse dal punto di vista tecnico ha il valore di un'allusione), dato che un métter, mestiere o professione, è ciò che ha un operaio o un dottore: questi ha un unico métier. Ma la forza del motto di spirito è nel suo scopo. Ciò che vuole significare non è nient'altro che: «Certo che mi perdonerà. È lì per quello e questa è la sola ragione per cui l'ho assunto (come si assume un dottore o un avvocato)». Così nel morente, che giace là senza forza, nasce la coscienza di aver creato Dio e di avergli attribuito una forza in modo da servirsi di Lui quando capita l'occasione. Quello che si supponeva fosse l'essere creato si è rivelato egli stesso proprio prima del suo annientamento come il creatore.

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Le classi di motti di spirito tendenziosi che abbiamo preso in considerazione fino ad ora sono:

a.   Motti di spirito di denudazione o osceni.

b.   Motti di spirito aggressivi (ostili).

c. Motti di spirito cinici (critici, blasfemi). Posso aggiungerne un'altra, la quarta e la più rara, la cui natura può essere chiarita da un ottimo esempio:IL

Due Ebrei si incontrarono in un vagone ferroviario in una stazione della Galizia. « Dove stai andando?» chiese uno. «A Cracovia», fu la risposta. «Che bugiardo che sei!» proruppe l'altro. «Se dici di andare a Cracovia vuol dire che vuoi farmi credere che stai andando a Leopoli. Ma io so che in realtà stai andando a Cracovia. Perciò perché  menti?».

Questa divertente storiella, che dà un'impressione di estrema sottigliezza, segue, evidentemente, la tecnica dell'assurdità. Al secondo ebreo viene rimproverato di mentire perché dice che sta andando a Cracovia, che è veramente la sua destinazione! Ma in questo caso il potente mezzo tecnico dell'assurdità è collegato ad un'altra tecnica, la rappresentazione per opposti, poiché, secondo l'asserzione non contraddetta del primo ebreo, il secondo mente quando dice la verità e dice la verità per mezzo della menzogna. Ma la sostanza più seria del motto di spirito è il problema di ciò che determina la verità. Ancora una volta il motto di spirito mette in risalto un problema e si serve dell'incertezza di uno dei concetti per noi più comuni. C'è verità se noi descriviamo le cose come sono senza preoccuparci di considerare quello che l'ascoltatore capirà di ciò che diciamo? Oppure questa è una verità ipocrita, e la verità genuina consiste nel tener conto dell'ascoltatore e nel fornirgli una descrizione fedele di ciò che sappiamo? Io penso che motti di spirito di questo tipo siano abbastanza differenti dagli altri da occupare una posizione particolare. Ciò che essi attaccano non è una persona od una istituzione, ma la certezza della nostra conoscenza stessa, una delle nostre possibilità speculative. Il nome giusto per essi sarebbe dunque quello di motti di spirito «scettici».

5.

Nel corso delle nostre discussioni sugli scopi del motto di spirito abbiamo forse gettato luce su alcuni problemi ed abbiamo certamente trovato molti spunti per ulteriori ricerche. Ma ciò che abbiamo scoperto in questo capitolo, unito a ciò che abbiamo trovato nel precedente, ci pone di fronte ad un grave problema: se è giusto dire che il piacere causato dai motti di spirito dipende da un lato dalla loro tecnica e dall'altro dal loro scopo, da quale punto di vista comune possono essere unite delle sorgenti di piacere tanto diverse?