2. LA TECNICA DEL MOTTO DI SPIRITO

1.

Permetteteci di seguire una traccia fornitaci dal caso e di esaminare il primo esempio di motto di spirito che abbiamo incontrato nel capitolo precedente.

Nella parte del suo Reisebilder intitolata Die Bäder von Lucca (I bagni di Lucca), Heine presenta la deliziosa figura del ricevitore del lotto e callista Hirsch-Hyacinth di Amburgo, che si vanta con il poeta dei suoi rapporti con il ricco Barone Rothschild, ed alla fine dice: «E, com'è vero Iddio, Dottore, io mi sedetti a fianco di Salomone Rothschild ed egli mi trattò proprio come un suo pari, - con modi proprio familionari».

Heymans e Lipps hanno usato questo motto di spirito (che, bisogna dirlo, è molto divertente) per spiegare la loro idea che l'effetto comico del motto di spirito derivi dallo «stupore e illuminazione». Tuttavia noi lasceremo da parte la questione, e ci porremo un'altra domanda: «Che cosa trasforma l'osservazione di Hirsch-Hyacinth in un motto di spirito?». Ci sono solo due risposte possibili: o il pensiero espresso nella frase possiede in sé le caratteristiche per essere una arguzia, o il motto di spirito sta nella forma espressiva che il pensiero ha ricevuto nella frase. In qualunque direzione vada ricercata la caratteristica di motto di spirito, noi cercheremo di scoprirlo. Generalmente un pensiero può essere espresso in diverse forme linguistiche - con diverse parole - che possono rappresentarlo con eguale proprietà. L'osservazione di Hirsch-Hyacinth presenta il pensiero in una particolare forma di espressione e, come vediamo, in una forma particolarmente caratteristica e non in quella più facilmente intelligibile. Cerchiamo di esprimere lo stesso pensiero, e con la massima fedeltà, in altre parole. Lipps ha già fatto questo, ed in questo modo ha spiegato fino ad un certo punto l'intenzione del poeta. Egli scrive: (lipps, Komik und Humor, Amburgo e Lipsia, 1898) «Heine, secondo noi, voleva dire che (Hyacinth) veniva trattato familiarmente - è un noto genere di trattamento, che generalmente non acquista simpatia proprio per il fatto di aver addosso profumo di milioni». Non altereremo il significato della cosa se la metteremo in una forma che forse si adatta meglio al discorso di Hirsch-Hyacinth: «Rothschild mi trattava proprio come un suo pari, proprio familiarmente - cioè, per quanto può farlo un milionario». «La condiscendenza da parte d'un uomo ricco», potremmo aggiungere «comporta sempre qualcosa di non esattamente piacevole per chi la esperimenta» (Torneremo su questo motto di spirito più avanti; ed allora avremo modo di apportare una correzione alla traduzione fatta da Lipps che la nostra versione ha preso come punto di partenza. Questa, comunque, non avrà nulla a che fare con il discorso che segue.)

Se adesso osserviamo l'uno o l'altro dei modi egualmente validi in cui è stato esposto il concetto, vediamo che la domanda che ci siamo posti ha già una risposta. In questo esempio la caratteristica di motto di spirito non si trova nel concetto. Quella che Heine ha messo in bocca a Hirsch-Hyacinth è un'osservazione acuta e corretta, una osservazione inequivocabilmente amara, che è comprensibile in un poveruomo messo di fronte ad una così grande ricchezza; tuttavia noi non ci arrischieremmo a definirla un motto di spirito. Se qualcuno di fronte alla parafrasi non riuscisse a liberarsi dalla espressione data al concetto dal poeta, e così considerasse il pensiero spiritoso di per sé, noi possiamo contare su un criterio sicuro per capire che le caratteristiche dell'arguzia sono andate perdute nella trasposizione. L'osservazione di Hirsch-Hyacinth ci ha divertito molto, mentre la sua accurata trasposizione fatta da Lipps o la nostra versione possono anche farci riflettere o piacerci, ma non è possibile che ci facciano ridere. Ma se ciò che fa del nostro esempio un motto di spirito non è nel concetto, dobbiamo cercarlo nella forma, nel modo in cui è espresso. Dobbiamo solo studiare le peculiarità di questa forma per capire in che cosa consiste la tecnica verbale o espressiva di questo motto di spirito, qualcosa che deve essere in stretta relazione con l'essenza dell'arguzia, poiché, se si sostituisce con qualcos'altro, la caratteristica e l'effetto del motto di spirito scompaiono. Inoltre quando attribuiamo una così grande importanza alla forma verbale dei motti di spirito, il nostro atteggiamento coincide con quello degli esperti. Così, per esempio, scrive Fischer (K. Fischer, Űber den Witz, 2* ed., Heidelberg, 1889, p. 72): «Prima di tutto è la semplice forma che fa del giudizio un motto di spirito, e dobbiamo ricordare un detto di Jean Paul che, in un unico aforisma, spiega ed esemplifica questa precisa caratteristica del motto di spirito. " Decide la vittoria la sola posizione più alta, sia tra combattenti che tra parole "».

In che cosa consiste, dunque, la «tecnica» di questo motto di spirito? Che cosa è accaduto al concetto espresso, per esempio, nella nostra versione, per trasformarlo nel motto di spirito che ci diverte tanto? Due cose, come vediamo paragonando la nostra versione con quella del poeta. Primo, è stata fatta un'abbreviazione notevole. Per poter esprimere completamente il concetto contenuto nel motto di spirito, siamo costretti ad aggiungere alle parole «R. mi trattava proprio come un suo pari, proprio familiarmente» un poscritto che, espresso nella sua forma più breve, suona «per quanto può farlo un milionario». Ed anche così sentiamo la necessità di un'ulteriore spiegazione (Questo vale anche per la traduzione di Lipps). Il poeta esprime il concetto molto più brevemente: «R. mi trattava come un suo pari, con modi proprio familionari». Nel motto di spirito è scomparsa l'intera limitazione aggiunta dalla seconda frase alla prima, che descrive il trattamento familiare.

Ma non senza aver lasciato una forma sostitutiva, dalla quale possiamo ricostruirlo. Infatti è stato fatto anche un secondo cambiamento. La parola familiär (familiare) nella forma non scherzosa del concetto, è stata trasformata nel motto di spirito in famillionär; e non c'è dubbio che il carattere scherzoso del motto di spirito e la sua capacità di divertire dipendano proprio da questa struttura verbale. La nuova parola creata coincide nella prima parte con il familiär della prima frase e nelle sue sillabe finali con il millionär (milionario) della seconda frase. Essa implica, per così dire, la parola millionär della seconda frase e quindi tutta la seconda frase, e ci permette dunque di sottintendere la seconda frase che è stata omessa nel testo del motto di spirito. Può essere definita una «struttura composta», formata dalle due componenti familiari e milionari. Ed abbiamo la tentazione di fornire un quadro diagrammatico del modo in cui la parola nuova nasce dalle altre due (Le due parole sono state scritte una in corsivo e l'altra no, e le sillabe comuni ad entrambe sono in grassetto. Si può anche non tener conto della seconda «1 », che si sente poco nella pronuncia. Sembra probabile che il fatto che le due parole abbiano diverse sillabe in comune offra alla tecnica del motto di spirito l'occasione di costruire una parola composta.).

FAMILI    ARI

    MILIONARI

------------------

FAMILIONARI

Il procedimento che ha trasformato il concetto in un motto di spirito può essere rappresentato nel modo seguente, che può apparire strano a prima vista, ma che in fin dei conti riproduce esattamente il risultato che abbiamo di fronte:

R. mi trattava con modi familiari cioè, per quanto può farlo un milionario.

Immaginiamo ora che una certa pressione venga esercitata su queste frasi, e che per qualche ragione la seconda sia meno resistente, per cui finisce per scomparire, mentre la sua componente principale, la parola «milionario», che ha vittoriosamente resistito alla soppressione, viene, per così dire, fatta salire verso la prima fase, e fusa con l'elemento di questa che le somiglia di più, «familiari». E la fortunata possibilità, così ottenuta, di risparmiare la parte essenziale della seconda frase, favorisce la scomparsa delle altre componenti, meno importanti. Il motto di spirito nasce così:

R. mi  trattava con modi famili on ari

                                    (mili)       (ari)

Se prescindiamo dal fatto della pressione, di cui non sappiamo nulla, il procedimento col quale viene creato il motto di spirito - cioè la tecnica del motto di spirito - può essere descritta in questo esempio come «condensazione accompagnata dalla formazione di un sostituto»; ed in questo esempio la formazione del sostituto consiste nella creazione di una   «parola  composta».   La  parola  composta  familionario, che è inintelligibile in sé, ma di immediata comprensione nel suo contesto e piena di significato, diventa il veicolo dell'effetto comico del motto di spirito, il cui meccanismo, tuttavia, non è stato affatto chiarito dall'aver scoperto la tecnica del motto di spirito. In che modo un processo di condensazione linguistica, accompagnato dalla formazione di un sostituto per mezzo di una parola composta, può arrecarci piacere e farci ridere? Evidentemente questo è un problema differente, che tratteremo più avanti, quando avremo trovato il modo di affrontarlo. Per ora ci limiteremo alla tecnica del motto di spirito. Il fatto che noi ci aspettiamo che la tecnica del motto di spirito non sia un fattore privo di importanza nella ricerca della sua essenza, ci porta ad indagare se esistono, cioè se vi sono, altri esempi di motti di spirito costruiti come il familionario di Heine. Non ce ne sono molti di piccolo gruppo, caratterizzato dalla formazione di parole composte. Lo stesso Heine ha tratto un secondo motto di spirito dalla parola «milionario», copiando da se stesso, per così dire là dove (Reisebilder, Idee, cap.  14) parla  di un minchionano, combinazione evidente di minchione e milionario e, proprio come nel primo esempio, porta alla luce un concetto secondario soppresso.

Ecco qualche altro esempio: C'è a Berlino una fontana (Brunnen), la cui costruzione procurò al Borgomastro Forckenbeck la disapprovazione generale. Gli abitanti di Berlino la chiamano Forckenbecken ed in questa descrizione c'è un'arguzia evidente, anche se è stato necessario sostituire la parola Brunnen con il suo antiquato sinonimo Becken per farne un tutto unico con il nome del Borgomastro.

Una volta, in Europa, le malelingue crearono un motto di spirito crudele cambiando il nome di un sovrano da Leopoldo in Cleopoldo, a causa della relazione che egli ebbe con una signora di nome Cleo. Questo risultato indubbio di condensazione crea una allusione piccante per mezzo dell'aggiunta di una sola lettera. I nomi propri sono di solito le vittime di questa tecnica del motto di spirito. A Vienna c'erano due fratelli di nome Salinger, uno dei quali era un Borsensensal (agente di. cambio; Sensal significa «agente»). Questo creò il pretesto per chiamarlo Sensalinger, mentre il fratello, per distinguerlo da lui, fu chiamato con il nome poco lusinghiero di  Scheusalinger.  (Scheusal significa  «creatura  mostruosa»).

Il motto di spirito era riuscito senz'altro bene; non so dire però fino a che punto fosse giustificato. Ma di solito il motto non se ne cura affatto.

Mi è stato riferito il seguente motto di spirito ottenuto da una condensazione. Un giovane che aveva sempre condotto una vita allegra all'estero, fece una breve visita, dopo una lunga assenza, ad un amico suo concittadino. Quest'ultimo fu sorpreso di vedere sulla mano del visitatore un Ehering (fede nuziale). «Come?» esclamò, «sei sposato?». «Sì », fu la risposta, «Trauring ma vero» [Trauring significa «triste». Trauring è un sinonimo di Ehering].. L'arguzia è eccellente. La parola Trauring unisce le due componenti: Ehering cambiato in Trauring e la frase «traurig aber wahr (triste, ma vero)». L'effetto dell'arguzia non è sminuito dal fatto che in questo caso la parola composta non è, come nel caso di familionario, inintelligibile e non ha una struttura inesistente, ma è invece una parola che coincide interamente con uno dei due elementi presenti.

Una volta anch'io, chiacchierando, senza averne l'intenzione, ho fornito il materiale per un motto di spirito che è ancora una volta analogo a familionario. Stavo parlando con una signora dei grandi servigi resi alla scienza da uno studioso che pensavo fosse stato ingiustamente trascurato. «Diamine», disse lei, « quell'uomo merita un monumento». «Forse ne avrà uno un giorno», risposi, « ma momentaneo: infatti ha molto poco successo». «Monumento» e «momentaneo» sono termini antitetici. La signora li unì: «Bene, auguriamogli un successo monumentaneo» (Parola inesistente. Ci si sarebbe potuti aspettare Monumentale (come  in  italiano)..

Devo alcuni esempi in lingue straniere, che seguono lo stesso meccanismo di condensazione del nostro famillionär, ad un'eccellente studio sullo stesso argomento in lingua inglese (a a. brill, Freud's Theory of Wit, «J. abnorm. Psychol.», vol. 6, p. 279, 1911). Questo autore ci dice che lo scrittore inglese De Quincey rileva da qualche parte che i vecchi cadono facilmente nell’anecdotage. Questa parola risulta dalla fusione e dalla parziale sovrapposizione delle parole Anecdote (aneddoto) e Dotage (rimbambimento), che in parte coincidono.

Una volta Brill trovò in una storiella anonima la descrizione del periodo natalizio come alcoholidays, fusione simile di

Alcohol (alcool)

 Holidays (vacanze).

Quando Flaubert pubblicò il suo celebre romanzo Salambo, che ha come scenario l'antica Cartagine, Sainte-Beuve fece dello spirito sulla sua pignoleria dei particolari dicendo che era una Carthaginoiserie;

Carthaginois (Cartaginese)

Chinoiserie (cineseria).

Ma l'esempio migliore di questo tipo di motto di spirito, fu creato da un leader austriaco che, dopo essersi occupato di importanti affari pubblici e scientifici, ricopre ora uno degli incarichi più elevati dello Stato.

Mi sono permesso di servirmi dei motti di spirito che gli vengono attribuiti, e che infatti portano tutti lo stesso marchio, come materiale di ricerca (Ho il diritto di farlo? Per lo meno non sono arrivato a conoscere questi motti di spirito attraverso un'indiscrezione. Generalmente essi sono noti in questa città  -Vienna - e si possono sentire sulla bocca di tutti. Molti di essi sono stati resi pubblici da Eduard Hanslick, il famoso critico musicale, nel Neue Freie Presse e nella sua autobiografia. Per quanto riguarda gli altri, faccio le mie scuse per ogni possibile distorsione, che, nel caso della tradizione orale, sono difficilmente evitabili., soprattutto perché sarebbe stato molto difficile trovarne di migliori.

Un giorno l'attenzione del signor N. fu attratta dalla figura di uno scrittore che era divenuto famoso per una serie di articoli innegabilmente noiosi che erano apparsi sul quotidiano di Vienna. Tutti questi saggi avevano a che fare con i rapporti tra Napoleone I e l'Austria. L'autore aveva i capelli rossi. Quando il signor N. sentì fare il suo nome chiese: «Non è il roter Fadian [Roter significa «rosso», «scarlatto ». «Fadian» significa «individuo stupido». La terminazione «-ian» è eccezionalmente aggiunta ad un aggettivo, e dà un certo senso sprezzante alla parola «individuo». Così «grob» significa «rozzo», «volgare» e «grobian» significa «individuo volgare»: «dumm» significa «stupido» e «Dummian» significa «individuo stupido». L'aggettivo «fade» o «fad» significa, come l'equivalente francese, «insipido», «sciocco». Infine «Faden» significa «filo». Se si tiene presente tutto questo, ciò che segue sarà comprensibile.]che corre lungo la storia dei Napoleonidi?». Per rintracciare la tecnica di questo motto di spirito dobbiamo applicare ad esso un processo di riduzione che elimina la battuta cambiandone l'espressione e reintroduce al suo posto il significato originale completo, che si può sempre indovinare con certezza quando la facezia è valida.

Il motto di spirito del signor N. sul «roter Fadian» deriva da due componenti, un giudizio sprezzante sullo scrittore ed il ricordo della famosa similitudine con cui Goethe presenta i brani intitolati «Dal Diario di Ottilia » nel Wahlver-wandtschaften («Siamo al corrente di un uso caratteristico nella marina inglese. Ogni fune nella flotta del re, dalla più resistente alla più sottile, è tessuta in modo tale, che un roter Faden (filo rosso) corre per tutta la sua lunghezza. Esso non può essere tolto se non si disfa tutta la fune, e prova che anche la più piccola parte di essa è proprietà della corona. Proprio nello stesso modo un filo continuo di affetto e di fiducia corre nelle pagine del Diario di Ottilia, collegando le varie parti e caratterizzando l'insieme»). Una critica di cattivo gusto sarebbe stata. «Così, questa è la persona che non fa altro che scrivere e riscrivere storie noiose su Napoleone in Austria!». Ma un'osservazione simile non è affatto un motto di spirito. E neppure la graziosa analogia di Goethe è un motto di spirito, e certamente non è stata studiata allo scopo di far ridere. Solo quando i due elementi vengono connessi l'uno con l'altro e sottoposti al processo di condensazione e fusione, nasce il motto di spirito, ed un motto di spirito di prim'ordine (È appena necessario sottolineare come questa piccola osservazione, che può essere sempre fatta, concordi ben poco con l'asserzione che un motto di  spirito sia un  giudizio scherzoso.). Il legame tra il giudizio sprezzante sullo storico noioso e la fine analogia del Wahlverwandtschaften deve essere nato in un modo meno semplice che in molti casi simili.

Cercherò di spiegare come si svolsero effettivamente le cose nella sua costruzione. Primo, l'elemento della costante ricorrenza dello stesso tema risveglia nel signor N. il vago ricordo del noto passaggio del Wahlverwandtschaften, che di solito è riportato in modo sbagliato: «Corre come un roter Faden (filo rosso)». II roter Faden ha esercitato un'influenza che ha modificato il significato della prima frase, grazie alla circostanza fortunata che anche la persona attaccata era rot (rossa), vale a dire aveva i capelli rossi. Si deve dunque intendere: «Così è quella persona rossa che scrive storie noiose su Napoleone!». Ed ora comincia il processo che attua la condensazione delle due parti. Sotto la sua pressione, che ha trovato il fulcro principale nell'identità dell'elemento rot, il «noioso» è stato assimilato dal Faden (filo) e cambiato in Fad (sciocco); dopodiché le due componenti si sono potute fondere insieme nel testo reale del motto di spirito, nel quale, in questo caso, la citazione ha quasi una parte maggiore del giudizio denigratorio, che era indubbiamente presente da solo all'inizio.

È dunque quest'individuo rosso che scrive quelle sciocchezze (fade) su Napoleone?

Corre dappertutto il           rosso                             filo             (Faden)

Non è il                           rosso                            idiota           (Fadian)

che corre lungo la storia dei Napoleonidi?

In uno dei capitoli seguenti dove analizzerò questo motto secondo criteri diversi da quello puramente formale, darò di questa interpretazione una giustificazione, ma anche una correzione; quali che siano i dubbi che possono sorgere al riguardo, è tuttavia indiscutibile che sia avvenuta una condensazione. Il risultato della condensazione è, da un lato, ancora una volta, una notevole abbreviazione, ma da un altro, al posto di una sorprendente parola composta, c'è una compenetrazione degli elementi delle due componenti. È vero che roter Fadian potrebbe esistere anche come semplice ingiuria; ma nel nostro esempio è senz'altro il risultato di una condensazione.

Se a questo punto un lettore si indignasse per il modo in cui trattiamo il motto di spirito, metodo che minaccia di rovinare il piacere che trova in esso senza gettare alcuna luce sulla sorgente di questo piacere, lo pregherei di pazientare un momento. Per ora stiamo trattando solo della tecnica del motto di spirito; ed anche la chiarificazione di questo lato promette interessanti risultati, se la condurremo avanti sino al punto necessario.

L'analisi dell'ultimo esempio ci ha preparato a scoprire che, se avremo a che fare con il processo di condensazione in altri esempi, ciò che sostituisce quello che viene soppresso può essere non solo una struttura composta, ma anche una diversa alterazione della forma espressiva. Vediamo che può esistere questo diverso tipo di sostituzione da un altro esempio del signor N.

« Camminavo con lui tète-à-bète». Non c'è nulla di più facile della riduzione di questo motto di spirito. Chiaramente può significare solo: « Camminavo con lui tète-à-tète, e X è una stupida bestia».

Non c'è nulla di divertente in questa frase. Si potrebbe mettere insieme: « Camminavo con quella stupida bestia tète-à-tète», e neppure questo è un motto di spirito. Il motto di spirito nasce solo se si elimina la «stupida bestia», e, per sostituirla si cambia la «t» di una «tète» in una «b». Con questa leggera modifica anche il termine «bestia», soppresso, ha trovato modo di esprimersi. La tecnica di questo tipo di motto di spinto può essere definita « condensazione accompagnata da una leggera modifica», e nasce il sospetto che più sarà leggera la modifica (sostitutiva), migliore sarà il motto di spirito.

La tecnica di un altro motto di spirito è simile, sebbene non priva di qualche complicazione. Parlando di qualcuno degno di molte lodi, ma sul conto del quale si poteva trovare molto da ridire, il signor N. osservò: «Sì, la vanità è uno dei suoi quattro talloni di Achille» (Questo gioco di parole è stato coniato da Heine con riferimento al poeta Alfred de Musset.). In questo caso la leggera modifica consiste nel fatto che, invece dell'unico tallone d'Achille che deve aver posseduto l'eroe, qui si tratta di quattro. Quattro talloni? Ma solo un animale ha quattro talloni! Così i due concetti che sono riuniti nel motto di spirito sono i seguenti: «A parte la sua vanità, Y è un uomo notevole; comunque a me non piace, - è più una bestia che un uomo» (Uno dei punti difficili nella tecnica di questo motto di spirito sta nel fatto che la modifica grazie alla quale l'insulto omesso viene sostituito, deve essere considerata come un'allusione a quest'ultimo, poiché conduce ad esso, attraverso un processo deduttivo. Quanto a un altro fattore che viene qui a complicare tale tecnica, si veda più oltre a pag.  110.).

Mi capitò di sentire un altro motto di spirito (simile, ma molto più semplice) in statu nascedii in un circolo familiare. Di due fratelli che andavano a scuola, uno era un eccellente scolaro, l'altro niente affatto. Ora, una volta accadde che anche il ragazzo esemplare facesse fiasco nelle sue lezioni. La madre parlò del fatto manifestando il suo timore che questo fosse l'inizio di un definitivo cambiamento; allora, il ragazzo, che fino a quel momento era stato eclissato dal fratello, prese l'occasione al volo: «Sì -, disse, - Karl sta per tornare indietro a quattro zampe».

In questo caso la modifica sta in una breve aggiunta all'affermazione che anche lui pensava che l'altro ragazzo stesse tornando indietro. Ma questa modifica ha rappresentato e sostituito un'appassionata difesa del proprio interesse: «Non dovete pensare che egli sia tanto più intelligente di me solo perché va meglio a scuola. Dopo tutto è solo uno stupido asino, vale a dire, molto più stupido di me».

Un altro esempio molto noto del signor N. offre un chiaro esempio di condensazione con leggera modifica. Egli osservò a proposito di un personaggio della vita pubblica: «Ha un grande futuro dietro di sé». L'uomo al quale era diretta l'arguzia era abbastanza giovane, e sembrava destinato per nascita, educazione e qualità personali, ad avere un grande successo in futuro alla guida di un importante partito fino, forse, ad arrivare a capo del governo. Ma i tempi cambiarono; non fu più possibile ammettere il partito al governo, e naturalmente si poteva prevedere che l'uomo che sembrava predestinato ad esserne il leader sarebbe finito male. La versione più breve con la quale si potrebbe sostituire il motto di spirito suona, ridotta: «L'uomo ha avuto di fronte a sé un grande futuro, ma non l'ha avuto a lungo». Al posto di «avuto» e della seconda proposizione, c'è stato semplicemente il piccolo cambiamento compiuto nella proposizione principale sostituendo «di fronte» con il suo contrario «dietro» (C'è un altro fattore che agisce nella tecnica di questo motto di spirito di cui rimando la discussione. Riguarda la natura reale della modifica - rappresentazione attraverso l'opposto oppure attraverso qualcosa che è assurdo. Non c'è nulla che impedisce alla tecnica del motto di spirito di usare simultaneamente diversi metodi; ma qui dobbiamo affrontarli uno alla volta.).

Il signor N. usa una modifica quasi eguale nel caso di un gentiluomo che diventò Ministro dell'Agricoltura senza alcun altro merito se non quello di essere egli stesso un agricoltore. L'opinione pubblica ebbe modo di riconoscere che era la persona meno qualificata per occupare quel posto. Quando ebbe dato le dimissioni e si fu ritirato nella sua fattoria, il signor N. disse di lui: « Come Cincinnato, è tornato al suo posto davanti all'aratro». Però il Romano, che era stato chiamato anch'egli ad un alto incarico provenendo dall'aratro, ritornò al suo posto dietro all'aratro. Chi cammina davanti all'aratro, oggi come allora, è solo il bue.

Karl Kraus fu l'autore di un'altra ben riuscita condensazione con una leggera modifica. Egli scrisse di un certo giornalista di una rivista scandalistica che si era recato in uno Stato balcanico con l’Orienterpresszug. Non c'è dubbio che questa parola ne riunisca altre due: «Orientexpresszug (Orient Express)» e «Erpressung (ricatto)». Nel contesto, l'elemento «Erpressung» emerge solo come una modifica di «Orientexpresszug» - parola richiesta dal verbo (si era recato). Questo motto di spirito, che si presenta come un errore di stampa, ha anche un altro punto di interesse per noi.

Sarebbe facile ampliare ancora tale serie di esempi, ma non penso ne servano altri per permettermi di cogliere chiaramente le caratteristiche della tecnica in questo secondo gruppo della condensazione con modifica. Se paragoniamo il secondo gruppo con il primo, la cui tecnica consisteva nella condensazione con formazione di parole composte, ci accorgeremo facilmente che la differenza sussistente tra loro non è essenziale, e che i limiti sono incerti. Sia la formazione di parole composte che le modifiche sono subordinate al concetto di sostituzione; e, se facciamo attenzione, possiamo anche considerare la formazione di una parola composta come la modifica di una parola base attuata a opera di un secondo elemento.

2.

A questo punto possiamo fermarci un momento e chiederci con quale fattore rivelato dalla letteratura sull'argomento coincida interamente od in parte la prima scoperta che abbiamo fatto. Evidentemente con il fattore della brevità, che Jean Paul descrive come «l'anima dell'arguzia». Ma la brevità non è un'arguzia in sé, altrimenti ogni osservazione laconica sarebbe un motto di spirito. La brevità del motto di spirito deve essere di un genere particolare. Bisogna ricordare che Lipps ha cercato di descrivere questa particolare brevità dei motti di spirito con maggior precisione. La nostra ricerca aggiunge qualcosa e dimostra che la brevità dei motti di spirito è spesso il risultato di un particolare processo che ha lasciato dietro di sé, nell'enunciare la battuta, una seconda traccia, cioè la formazione sostitutiva. Usando il sistema della riduzione, che mira ad annullare il caratteristico processo di condensazione, scopriamo anche, però, che il motto di spirito dipende interamente dall'espressione verbale che si è creata con il processo di condensazione. Adesso naturalmente tutto il nostro interesse si volge a questo singolare processo, che fino ad ora è stato studiato molto poco. E non possiamo ancora capire come tutto il valore d'un motto di spirito, la quantità di piacere che esso ci offre, possa nascere da quel processo.

Processi simili a quelli descritti qui come tecnica dei motti di spirito sono già noti in altri campi dell'attività mentale? Esistono in un campo solo ed apparentemente molto lontano. Nel 1900 ho pubblicato un libro che, come dice il suo titolo (L'Interpretazione dei Sogni), cercava di chiarire tutto ciò che vi è di confuso nei sogni e di dimostrare che essi derivano dall'attività psichica normale. Ebbi modo in quell'opera di mettere in evidenza il contrasto esistente tra il contenuto onirico manifesto, che è spesso strano, ed i pensieri onirici latenti, ma perfettamente logici, dai quali il sogno deriva; e cominciai ad interessarmi dei processi che fanno nascere il sogno dai pensieri onirici latenti, come pure delle forze psichiche che intervengono in questa trasformazione. Ho definito come meccanismo del sogno l'insieme dei processi che collaborano a questa trasformazione; ed ho descritto come facente parte di questo meccanismo del sogno un processo di condensazione che mostra una grande somiglianza con quello che si incontra nella tecnica dei motti di spirito - che, come l'altro, porta ad un'abbreviazione, e crea delle strutture sostitutive dello stesso tipo. Tutti, ripensando ai propri sogni, ricorderanno immagini miste, nelle quali si fondono le persone e le cose che emergono in essi; anzi, il sogno costruisce anche formazioni miste di parole che l'analisi riesce a scomporre. (Per esempio, Autodidasker — Autodidakt + Lasker). In altre occasioni, molto più spesso, in effetti, ad essere create dal meccanismo della condensazione nei sogni non sono delle strutture composte, ma delle immagini che somigliano perfettamente ad una cosa o ad una persona, a parte un'aggiunta o un'alterazione derivate da un'altra sorgente - cioè modificazioni, proprio come nel caso del motto di spirito del signor N. Non c'è dubbio che in entrambi i casi ci troviamo di fronte allo stesso processo psichico, che possiamo riconoscere dall'identità dei risultati. Un'analogia cosi completa tra la tecnica del motto di spirito e il lavoro onirico accrescerà indubbiamente il nostro interesse per la prima e farà sorgere in noi l'aspettativa che il loro paragone ci possa aiutare a gettare una luce sul mondo del motto di spirito. Ma ci tratterremo dall'occuparci di questo, perché dobbiamo tenere presente  che  abbiamo  studiato la  tecnica  di  pochissimi   motti  di spirito, di modo che non possiamo dire se l'analogia, alla quale vorremmo affidarci, si manterrà. Perciò ci allontaneremo dal paragone con il sogno e torneremo alla tecnica del motto di spirito, lasciando quindi in sospeso per il momento la conclusione della nostra inchiesta, che forse riprenderemo nuovamente più avanti.

3.

Il primo compito che ora ci spetta è quello di sapere se il processo di condensazione con la formazione sostitutiva avviene in ogni motto di spirito, e deve quindi essere considerato una caratteristica generale del motto di spirito.

A questo punto riferirò un motto di spirito che mi è rimasto in mente a causa delle circostanze particolari nelle quali l'ho ascoltato. Uno degli insegnanti più importanti della mia gioventù, che avevamo sempre considerato incapace di apprezzare un motto di spirito ed al quale non avevamo mai sentito dire una battuta, entrò un giorno in Istituto ridendo, e, meglio disposto del solito, ci spiegò che cosa lo aveva messo così di buon umore. «Ho appena letto un eccellente motto di spirito», disse. «Un giovane che era parente del grande Jean-Jacques Rousseau, e ne portava anche il cognome, fu presentato in un salotto di Parigi. Aveva, inoltre, i capelli rossi. Egli si comportò così goffamente, che la sua ospite si rivolse con espressione critica al signore che l'aveva presentato: " Vous m'avez fait connaitre un jeune homme roux et sot, mais non pas un Rousseau" [«Mi avete presentato un  uomo rosso (di capelli) e sciocco non un Rousseau». Dove Roux-sot si pronuncia esattamente come Rousseau]. E rise di nuovo.»

Questo motto di spirito sarebbe stato classificato dagli esperti tra i «motti fonici» e come un «motto fonico» della peggior specie, perché basato su un gioco di parole fatto su un nome proprio, simile, per esempio, al motto di spirito che si trova nella predica del monaco Cappuccino in L'accampamento di Wallenstein, che, come si sa, è creato sullo stile di Abraham da Santa Chiara  [Il   frate   cappuccino,   che   ha   una   lunga   battuta   all'inizio   della scena ottava del  dramma  sopra  citato,  si  esprime con citazioni  latine tratte dalla Vulgata e con altre frasi prese dalle Prediche dì Abraham da Santa Chiara. Le opere di questo curioso scrittore austriaco (1644-1709) erano state inviate a Schiller da Goethe nell'agosto del 1797. Lo stesso personaggio e la stessa battuta si ritrovano, pressoché identici, anche nel libretto dell'opera verdiana La forza del destino (1862), tratto da F. M. Piave dal dramma Don Alvaro, di Angel de Saavedra, duca di Rivas (1791-1865).]

Lasst sich kennen den Wallenstein  (Soltanto più avanti potremo vedere che questo motto [quello su Rousseau]  merita  maggiore apprezzamento a causa d'un  altro fattore)

 ja freilich ist er uns alien cin Stein

   des Anstosses und Argernisses.

[«Si fa chiamare la pietra del Vallo:

    certo per tutti noi è una "pietra"

   ma dello scandalo e di tutti gli oltraggi.»

Qual è la tecnica di questo motto di spirito? Vediamo subito che la caratteristica che speravamo di poter determinare come universale è assente in questo nuovo esempio. In questo caso non c'è omissione, ed a mala pena abbreviazione. La signora stessa dice chiaro e tondo nel motto di spirito, quasi tutto quello che ci si potrebbe aspettare dal suo pensiero. «Avete fatto nascere in me la speranza di conoscere un parente di Jean-Jacques Rousseau - forse potevo pensare a una parentela spirituale - ed eccolo: un giovanotto con i capelli rossi e sciocco, un roux sot». È vero che ho potuto compiere un'interpolazione; ma questo tentativo di riduzione non ha eliminato il motto di spirito. Esso resta, e dipende dall'identità di suono tra le parole rousseau-roux sot. È così provato che la condensazione con formazione sostitutiva non ha nulla a che fare con la realizzazione di questo motto di spirito.

Che cos'altro c'è? Nuovi tentativi di riduzione mi insegnano che il motto di spirito resiste fintantoché il nome Rousseau non viene sostituito con un altro. Se, per esempio, metto Racine al suo posto, la critica della signora, che può restare valida come prima, perde ogni aspetto di arguzia. Adesso so dove debbo cercare per trovare la tecnica di questo motto di spirito, sebbene esiti ancora a formularla. Farò una prova: la tecnica di questo motto di spirito sta nel fatto che una parola, sempre la stessa, appare in esso usata in due modi diversi; una volta intera, e poi ancora divisa in sillabe come una sciarada.

Posso fare alcuni esempi che seguono una tecnica identica.

Si dice che una signora si vendicò di un'osservazione poco gentile di Napoleone I con un'arguzia basata sulla stessa tecnica del doppio uso di una parola. Ad un ballo di corte, egli le disse, puntando sul fatto che il suo cavaliere aveva aspetto e modi di un uomo di campagna: «Tutti gli italiani danzano così male?». La risposta pronta ed arguta di lei fu: «Non tutti, ma buona parte».

Una volta, quando l'Antigone  veniva ancora rappresentata a Berlino, i critici si lamentarono che alla messa in scena mancava un vero carattere di antichità. L'arguzia berlinese fece sua la critica nelle seguenti parole:   «Antik? oh, nee»  [«Antico? Oh, no». Le parole, in dialetto berlinese, hanno la stessa   pronuncia   di   Antigone.].

Un motto di spirito analogo è di casa nei circoli medici. Se uno chiede ad un giovane paziente se ha mai avuto a che fare con la masturbazione, la risposta sarà di sicuro: «O na, nie!»  [«Oh, no, mai!». Onanie (onanismo), è la parola comune in Germania per «masturbazione».].

In tutti questi esempi, che dovrebbero bastare per questa specie, notiamo la stessa tecnica: in ognuno di essi un nome è usato due volte, una volta intero e l'altra scomposto in sillabe, che, separate a questo modo, hanno un altro significato. (La buona qualità di questi motti di spirito dipende dall'impiego contemporaneo di un altro mezzo tecnico d'ordine assai superiore. A questo punto vorrei richiamare l'attenzione sul legame che esiste tra motti di spirito ed indovinelli. Il filosofo Brentano creòun tipo di gioco enigmistico in cui di un piccolo numero di sillabe, bisognava indovinare quali, riunite in parole, avevano un significato differente a seconda del modo con cui venivano raggruppate. Per esempio: [... liess mich das Platanenblatt ahnen [La foglia di un platano (platanenblatt) mi fa pensare (ahnen)], dove Platanen e blatt ahnen si pronunciano nello stesso modo e costituivano nell'indovinello la parte che doveva essere risolta e che era indicata solamente da lettere simboliche, che sottolineavano un vuoto da riempire: «..Hess mich das daldaldal-dal daldal. Oppure: wie du dem Inder hast verschrieben, in der Hast verschrieben? (quando scrivi una ricetta per un Indiano, nella fretta fai un errore di penna?), dove Inder hast (per un Indiano) e in der hast (nella fretta) si pronunciano allo stesso modo. [Anche qui] le sillabe che dovevano essere indovinate erano sostituite dal monosillabo riempitivo dal ripetuto tante volte quante sono le sillabe da indovinare. Un collega del filosofo si prese una simpatica rivincita su di lui quando venne a conoscenza del suo fidanzamento in età matura. Chiese:   «Daldaldal daldaldal?» - «Brentano bennt-a-no?». («Brentano - brucia ancora?»). Qual è la differenza tra questi enigmi [detti «frase doppia»] ed i motti di spirito che troviamo più sopra? Nei primi la tecnica è fornita anticipatamente e bisogna scoprire le parole; mentre nei motti il testo è comunicato e la tecnica resta da scoprire.)

L'uso molteplice della stessa parola, una volta impiegata intera ed un'altra in sillabe, è il primo esempio che abbiamo incontrato di una tecnica diversa da quella della condensazione. Ma la profusione di esempi che abbiamo incontrato deve bastare a convincerci, dopo una breve riflessione, che la tecnica appena scoperta non si limita ad usare questo metodo. Ci sono molti modi - è quasi impossibile stabilire quanti -per usare la stessa parola o lo stesso materiale linguistico in diversi sensi nella stessa frase. Tutte queste possibilità vanno considerate come strumenti tecnici di costruzione di un motto di spirito? Sembra che sia così. E gli esempi di motti di spirito che seguono sembrano provarlo.

Per prima cosa, si può prendere lo stesso materiale verbale ed alterare semplicemente la sua disposizione. Più leggera è l'alterazione - se è troppo forte si ha l'impressione che qualcosa di diverso sia detto con le stesse parole - e migliore è il motto di spirito.

Daniel Spitzer cita quest'esempio (D. Spitzer, Wiener Spaziergänge I, in Gesammelte Werke, I, Monaco, 1912, p. 280)

«Il signore e la signora X vivono in un lusso evidente. Qualcuno pensa che il marito abbia guadagnato molto e abbia quindi potuto adagiarsi un poco; altri pensano che la moglie si sia " adagiata " un poco e quindi abbia potuto guadagnare molto».

Arguzia ingegnosa e realmente diabolica! Ed ottenuta con una tale economia di mezzi! Guadagnare molto, adagiarsi un poco, "adagiarsi" un poco, guadagnare molto. Solo l'inversione di queste due frasi distingue ciò che viene detto del marito  da  ciò  che viene  insinuato  sul  conto  della  moglie.

Anche in questo caso però questa non è tutta la tecnica del motto di spirito.

Un vasto campo d'azione è lasciato alla tecnica dei motti di spirito se facciamo rientrare nella categoria «di impiego molteplice dello stesso materiale» anche i casi nei quali la parola (o le parole) in cui consiste l'arguzia viene usata, la prima volta inalterata e la seconda con una leggera modifica.

A  questo  proposito esiste  un  altro  motto  di  spirito  del signor N.: egli sentì un signore, anche lui ebreo, fare un'osservazione antipatica sul carattere degli ebrei. «Signor Hofrat», disse, «conoscevo bene il vostro antesemitismo; ma mi giunge nuovo il vostro antisemitismo».

In questo caso è alterata una sola lettera, e, questa modifica si noterebbe ben poco se si pronunciasse la frase senza marcare l'intenzione polemica. Questo esempio ci ricorda altre modifiche con cui il signor N. realizza i suor motti di spirito, ma la differenza è che in questo caso non c'è condensazione; ogni cosa che va detta è detta nel motto di spirito: «So che prima anche voi eravate un Ebreo; quindi sono sorpreso che voi parliate male degli Ebrei ».

Un esempio ammirevole di motto di spirito con una modifica di questo genere è la ormai nota affermazione: «Traduttore-traditore!». La somiglianza, che raggiunge quasi l'identità, descrive in modo stupefacente la necessità che spinge il traduttore al crimine contro l'originale (Una modificazione analoga è citata da Brill: Amantes, amentes (gli  amanti sono dementi)).

La varietà delle leggere modifiche in arguzie di questo tipo è tale, che nessuna di esse somiglia esattamente ad un'altra.

Ed ecco un motto di spirito che pare sia nato durante un esame di giurisprudenza. Il candidato doveva tradurre un passaggio nel Corpus Juris: «Labeo ait... Io cado egli dice». «Tu cadi (Tu sbagli), io dico», rispose l'esaminatore e l'esame finì. Chiunque confonda il nome del grande giurista con una forma verbale, e per di più sbagliata, non è degno di miglior sorte ([Il candidato avrebbe dovuto tradurre: «Labeo dice...», poiché Labeo è un noto giurista romano (50 a.C. - 18 d.C), e non andava confuso con labeor, che significa appunto «Io cado».]). Ma l'arguzia sta nel fatto che quasi le stesse parole che hanno provato l'ignoranza del candidato sono state usate dall'esaminatore per pronunciare la condanna. Inoltre questo motto di spirito è un esempio di «risposta pronta ed arguta», la cui tecnica, come vedremo, non differisce molto da quella che stiamo illustrando.

Le parole sono un materiale plastico con cui si può fare ogni genere di cose. Ci sono parole che hanno perso il loro significato originale perché sono state usate in un modo particolare e che lo riacquistano se vengono usate in un altro contesto. Un motto di spirito di Lichtenberg sceglie accuratamente le circostanze nelle quali delle parole, il cui significato è generalmente attenuato, sono costrette ad assumere nuovamente il loro vero senso.

«" Come vai? [Letteralmente:   «Come cammini»] chiede il cieco allo zoppo. " Come vedi ", risponde lo zoppo al cieco».

In tedesco ci sono anche delle parole che possono essere usate in diversi sensi a seconda che siano prese in accezione «piena» o «vuota». Infatti ci possono essere due differenti derivati dalla stessa radice, uno dei quali è stato sviluppato in una parola con un significato completo e l'altro in una sillaba finale o suffisso approssimato. Tuttavia entrambi vengono pronunciati allo stesso modo. L'omofonia tra una parola completa ed una sillaba può anche essere una circostanza fortunata. In entrambi i casi la tecnica del motto di spirito può sfruttare questi apporti del materiale linguistico.

Per esempio un motto di spirito attribuito a Schleiermacher è molto importante per noi in quanto è un esempio perfetto di questi strumenti tecnici: «La Eifersucht (gelosia) è una Leidenschaft (passione) che mit Eifer sucht (cerca con ardore) ciò che Leiden schafft (fa soffrire)».

Ritroviamo senz'altro in questo esempio la natura del motto di spirito, sebbene non si tratti di un'arguzia particolarmente d'effetto. In questo caso sono assenti moltissimi fattori, che potevano sviarci nell'analisi degli altri motti di spirito, fintantoché abbiamo esaminato ognuno di questi fattori separatamente. Il concetto espresso nella frase è senza valore; la definizione che dà della gelosia è decisamente insoddisfacente. Non c'è traccia di «senso nell'assurdo », di «significato nascosto» o di «stupore ed illuminazione». Anche con la migliore buona volontà non si riuscirà a trovarvi un «contrasto di rappresentazione»: è anche molto difficile trovare un contrasto tra le parole ed il loro reale significato. Non c'è segno di abbreviazioni; al contrario, l'enunciazione dà un'impressione di prolissità. E tuttavia si tratta di un motto di spirito, e per di più perfetto. Insomma, la sola caratteristica che colpisce è quella in assenza della quale il motto di spirito scompare: il fatto che qui le stesse parole sono usate in modi diversi. Perciò possiamo scegliere se includere questo motto di spirito nella sottoclasse di quelli in cui le parole vengono impiegate prima complete e poi spezzate (es. Rousseau o Antigone), o nella sottoclasse in cui la molteplicità dei significati è data dal senso pieno o approssimativo delle componenti verbali. A parte questo, bisogna notare soltanto unaltro fatto degno di interesse dal punto di vista della tecnica del motto di spirito. Troviamo che qui si è stabilito un insolito stato di cose: si è creata una specie di «unificazione» in quanto «Eifersucht» (gelosia) è definita dal suo stesso nome - per mezzo di se stessa, si può dire. Anche questa, come vedremo, è una tecnica del motto di spirito. Questi due fattori, comunque, devono bastare di per se stessi per dare ad un'osservazione il carattere di motto di spirito.

Se poi ci inoltriamo sempre più nella varietà di forme del «molteplice impiego» della stessa parola, ci accorgiamo subito di avere di fronte a noi degli esempi di « doppiosenso» o di «giochi di parole» - forme che per molto tempo sono state considerate dai più come tecniche del motto di spirito. Perché ci siamo presi il disturbo di scoprire di nuovo quello che avremmo potuto dedurre dalla più superficiale trattazione sui motti di spirito? Tanto per cominciare, possiamo dire per giustificarci che siamo riusciti a portare alla luce un altro aspetto dello stesso fenomeno di espressione linguistica. Quello che secondo altri autorevoli studiosi fa del carattere dei motti di spirito una specie di «gioco », è stato classificato da noi sotto la categoria di «molteplice impiego».

I seguenti casi di impiego molteplice, che possono anche essere riuniti sotto il nome di « doppiosenso», formando un nuovo gruppo, possono venire facilmente divisi in sottoclassi, che non possono essere separate l'una dall'altra da distinzioni essenziali più di quanto possa esserlo questo terzo gruppo nel suo insieme dal secondo.

Troviamo anzi tutto:

a. Casi di doppiosenso di un nome o di una cosa da esso designata. Per esempio: «Scarica della tua presenza la compagnia, Pistola! ».

« Più Holf (corteggiamento) che Freiung (matrimonio) » disse un arguto viennese di alcune graziose ragazze che erano state ammirate per diversi anni ma non avevano mai trovato un marito. Holf e Freiung sono i nomi di due quartieri vicini al centro di Vienna.

« Non è il vile Macbeth che regna qui ad Amburgo; il sovrano è Banco».

Quando non si può far uso del nome (potremmo forse dire «abuso») lasciandolo inalterato, gli si può dare un doppio senso compiendo una delle leggere modifiche che ci sono familiari.

«Perché», fu chiesto in tempi ormai passati, «i Francesi hanno rifiutato il Lohengrin?». «A causa di Elsa». (Elsa's wegen si pronuncia esattamente come Elsass wegen, che significa «A causa dell'Alsazia»).

b. Doppio senso derivante dal significato letterale e metaforico di una parola. Questa è una delle sorgenti più ricche per la tecnica del motto di spirito. Citerò un solo esempio: un amico medico molto noto per le sue battute disse un giorno al drammaturgo Arthur Schnitzler: «Non sono sorpreso che tu sia diventato un grande scrittore. Dopo tutto anche tuo padre metteva i suoi contemporanei di fronte allo specchio». Lo specchio tenuto in mano dal padre del drammaturgo, il famoso Dr. Schnitzler, era un laringoscopio. [Lo strumento (in tedesco Kehlkopf-spiegel, specchio della laringe) era stato inventato proprio da Schnitzler padre.]

Una notissima battuta di Amleto ci dice che lo scopo di una commedia e quindi anche di chi la crea è «di possedere l'essenza della natura come in uno specchio; di mostrare alla virtù il suo vero volto, di disprezzarne l'idea immaginifica, e di rendere la vera età ed il corpo del tempo nella loro reale consistenza».

c. Reale doppiosenso, o gioco di parole. Questo può essere considerato il caso ideale di «impiego molteplice». In questo caso non si fa violenza alla parola; essa non viene divisa in sillabe separate, non viene sottoposta ad alcuna modifica, non deve essere trasferita dalla sfera a cui appartiene (la sfera dei nomi propri, per esempio) ad un'altra. Soltanto grazie a quello che è, ed alla posizione che ha nella frase, è capace, in base a determinate circostanze, di esprimere due significati differenti. Abbiamo a nostra disposizione molti esempi di questo tipo.

Uno dei primi provvedimenti presi da Napoleone III quando ottenne il potere fu di impadronirsi dei beni degli Orleans. In quel periodo era di moda il seguente eccellente gioco di parole: «C'est le premier voi de l'aigle». (È il primo volo dell'aquila): voi significa «volo» ma anche «furto» ( FISCHER,   Op.   Cit.,   p.   80)

Luigi XV volle mettere alla prova lo spirito di un suo cortigiano, del cui talento gli avevano parlato. Alla prima occasione ordinò al gentiluomo di creare un motto di spirito che avesse come «sujet» (soggetto) lui, il re. Il cortigiano diede subito l'intelligente risposta: «Le roi n'est pas sujet». (Il re non è suddito). Sujet significa infatti soggetto e suddito( FISCHER,   Op.   Cit.,   p.   80).

Un dottore, allontanandosi dal capezzale di una signora disse al marito, con una stretta di mano: «Il suo aspetto non mi piace». «A me il suo aspetto non piace da molto tempo», si affrettò a convenire il marito. Naturalmente il medico si riferiva alle condizioni della signora; ma espresse la sua preoccupazione per la paziente con delle parole che il marito poteva interpretare come una conferma della propria avversione coniugale.

Heine disse di una commedia satirica: «La satira non sarebbe stata così mordente, se l'autore avesse avuto più spesso qualcosa da mettere sotto i denti». Questo è più un esempio di doppiosenso letterale e metaforico che un vero e proprio gioco di parole. Ma che cosa ci si guadagna a fare una netta distinzione in questo caso?

Un altro bell'esempio di gioco di parole è riferito da Hey-mans e Lipps in una forma che lo rende però inintelligibile. (Scrive lipps, op. cit., p. 97: «A Saphir», così ci riferisce Hey-mans, «fu chiesto da un ricco creditore dal quale era andato: "Sie kommen wohl um die 300 Guide»? (Senza dubbio è venuto per i 300 fiorini?)"; ed egli rispose: " Nein, sie kommen um die 300 Gulden (No, lei sta per perdere i 300 fiorini)". Nel dare questa risposta egli esprimeva quello che voleva dire in una forma perfettamente corretta e niente affatto insolita. Così stanno le cose, infatti. La risposta di Saphir, in sé, è perfettamente a posto. Capiamo anche quello che egli ha intenzione di dire — cioè che non ha intenzione di pagare il suo debito. Ma Saphir usa le stesse parole che sono state usate precedentemente dal suo creditore. D'altra parte non possiamo fare a meno di prenderle anche ne! senso in cui sono state usate da quest'ultimo. Ed in .quésto senso la risposta di Saphir finisce in fretta di avere un qualsiasi significato. Il creditore non sta " venendo " affatto. Né può essere venuto " per i 300 fiorini " — vale a dire non può essere venuto a portare i 300 fiorini. Inoltre, in qualità di creditore, non sta a lui portare, ma domandare. Se si arriva così a stabilire che le parole di Saphir contemporaneamente hanno un senso e ne sono prive, ne deriva una situazione comica». La versione che riporterò per intero nel testo, per amore di chiarezza, dimostra che la tecnica del motto di spirito è molto più semplice di quanto pensi Lipps. Saphir non è venuto a portare i 300 fiorini, ma a cercarli dal ricco signore. Stando a questo, la discussione sul «senso e assurdo» è irrilevante.)

Non molto tempo fa scoprii la versione corretta dell'aneddoto in una antologia di motti di spirito che per il resto è di scarsa utilità.

«Un giorno Saphir e Rothschild si incontrarono. Dopo aver chiacchierato per un po', Saphir disse: " Senta, Rothschild, i miei fondi si sono esauriti, potrebbe prestarmi un centinaio di ducati? ". " Benissimo! ", disse Rothschild, " Per me va bene, ma solo a condizione che lei inventi un motto di spirito ". " Va bene anche per me ", rispose Saphir. " D'accordo, allora, venga in ufficio da me domani ". Saphir apparve puntualmente. "Ah!", disse Rothschild vedendolo entrare, " Sie kommen um Ihre 100 Dukaten (È venuto per prendere a prestito i 100 ducati)". "No", rispose Saphir, " Sie kommen um Ihre 100 Dukaten (Lei sta per perdere 100 ducati) perché io non penso di restituirglieli neanche prima del Giorno del Giudizio"»  [Si ricorda che sie kommen um significa «è venuto per...», ma anche  «sta per perdere...».]

« Che cosa vorstellen (rappresentano o mettono avanti) queste statue?» chiese uno straniero a Berlino ad un nativo della città guardando una fila di monumenti in una piazza. «Oh, bene», fu la risposta, «la gamba destra o la sinistra».

Dice Heine in Viaggio nel Harz:

«In questo momento non ricordo tutti i nomi degli studenti, e tra i professori ce ne sono parecchi che ancora non hanno alcun nome».

Forse potremo dare a noi stessi una regola per la diagnosi di questa differenziazione se a questo punto inseriamo un altro motto di spirito molto noto che si riferisce alla classe dei professori. «La differenza tra Professori Ordinari (ordentlich) e Professori Straordinari (ausserordentlich) è che gli Ordinari non fanno niente di straordinario e gli Straordinari non fanno niente di buono (ordentlich)». Naturalmente questo è un gioco di parole basato sul doppio senso delle parole ordentlich e ausserordentlich: cioè da un lato «all'interno» ed «all'esterno» dell'«or do» (personale insegnante) e dall'altro «efficiente» e «fuori del comune». Ma le somiglianze tra questo motto di spirito ed altri esaminati in precedenza ci riportano al fatto che qui è molto più evidente «l'Impiego molteplice» che il «doppio senso». In tutta la frase non sentiamo altro che la ripetizione costante di ordentlich, a volte

in questa forma ed a volte modificato in senso negativo. Inoltre qui si ottiene anche il risultato di definire un concetto per mezzo della sua stessa espressione (cfr., per esempio, con Eifersucht [gelosia]), o, più precisamente, di definire (anche se solo in senso negativo) due concetti correlativi l'uno per mezzo dell'altro, il che dà origine ad un ingegnoso intreccio. Infine si può sottolineare qui anche l'aspetto di «unificazione» - la scoperta di un rapporto, tra gli elementi della frase, più stretto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare dalla loro natura.

Dice ancora Heine in Viaggio nel Harz: «Il sorvegliante (funzionario dell'università incaricato di mantenere la disciplina tra gli studenti) Sch(afer) mi trattava proprio come un collega, perché è anche lui uno scrittore, ed ha parlato spesso di me nei suoi scritti mensili; ed a parte questo egli mi ha "citato" spesso, e se non mi trovava a casa era tanto gentile da scrivere una citazione col gesso sulla porta del mio studio».

Daniel Spitzer creò nelle sue Passeggiate per Vienna una laconica descrizione biografica, che certamente è anche un ottimo motto di spirito, ed appartiene a quella categoria di motti di spirito di tipo sociale che fiorì al tempo dell'esplosione della speculazione (in seguito alla guerra franco-prussiana): « Faccia di ferro, cassaforte di ferro, corona di ferro» (quest'ultima era una onorificenza che veniva riservata ai nobili o che conferiva ipso facto titolo di nobiltà). Notevole esempio di unificazione: era tutto di ferro! I significati diversi, ma non contrastanti in modo evidente, della parola «ferro», rendono possibile l'impiego molteplice.

Un altro esempio di gioco di parole può facilitare il passaggio ad una nuova sottospecie della tecnica del doppio senso. Lo spiritoso medico di cui abbiamo parlato più sopra fu l'autore di questo motto di spirito risalente al tempo del caso Dreyfus: «Questa ragazza è come Dreyfus: l'esercito non crede nella sua innocenza».

La parola «innocenza», sul cui doppio senso è costruito il motto di spirito, ha il suo significato usuale in un contesto in cui significa l'opposto di «colpa » o «crimine»; ma nell'altro contesto ha un significato sessuale, il cui opposto è « esperienza sessuale». Vi sono numerosi esempi di doppio senso simili a questo ed in tutti l'effetto del motto di spirito dipende in particolare dal significato sessuale. Possiamo dare a questo gruppo la designazione di « sottintesi equivoci» (Zweideu-tigheit).

Un esempio eccellente di «sottinteso equivoco» di questo tipo è il motto di spirito di Spitzer che è stato già riportato: «Secondo alcuni il marito ha guadagnato molto e ha quindi potuto adagiarsi un po'; secondo altri la moglie si è adagiata un po' e quindi ha potuto guadagnare molto».

Ma se noi paragoniamo questo esempio di doppio significato accompagnato da « sottinteso equivoco» con altri esempi, diverrà evidente una distinzione che ha il suo interesse da un punto di vista tecnico. Nel motto di spirito sull’«innocenza», ciascun significato della parola è ovvio quanto l'altro; infatti sarebbe difficile stabilire se sia più corrente e familiare il suo significato sessuale o quello non sessuale. Ma la cosa è diversa nell'esempio di Spitzer. In questo il significato più immediato delle parole sich ettvas zurückgelegt è di gran lunga preminente nel suo senso comune che non nel suo riferimento sessuale, celato e nascosto al punto che potrebbe persino sfuggire completamente all'ingenuo lettore. Per meglio capire prendiamo un altro esempio di doppio senso, nel quale non si fa alcun tentativo per nascondere il significato sessuale: per esempio, la descrizione di Heine del carattere della donna compiacente: «Ella potrebbe " rifiutare " solo la propria urina» [Si ricordi che abscblagen significa «rifiutare », ma anche «orinare».]. Sembrerebbe più un'oscenità che un motto di spirito. (Vedi sull'argomento Fischer, op. cit., p. 86. Egli dà il nome di Zweideutigkeit, che io ho usato differentemente nel testo, a battute di spirito con un doppio significato, nelle quali i due significati non sono egualmente evidenti, poiché l'uno è nascosto dall'altro. Una nomenclatura di questo tipo è meramente convenzionale; l'uso linguistico non ha ancora raggiunto un punto fermo in tali definizioni). Comunque, quando in un caso di doppio senso i due significati non sono ugualmente ovvi, questa peculiarità può essere presente anche nei motti di spirito che non hanno riferimenti sessuali - o perché un significato è più corrente dell'altro, o perché è messo in evidenza dalla connessione con le altre parti dell'espressione, (cfr., per esempio, «C'est le premier voi. de l'aigle»). Io proporrei di definirli tutti «doppi sensi con allusione».

4.

Abbiamo già fatto la conoscenza di un tal numero di tecniche di motti di spirito differenti che temo ci sia pericolo di perderne   l'esatta   cognizione.   Cerchiamo,   perciò,   di   riassumerle:

I. Condensazione:

(a)  con formazione di parole composte;

(b)  con modificazione.

II. Molteplice impiego dello stesso materiale:

(c) parole intere e loro componenti;

(d)  in un ordine differente;

(e)  con leggera modificazione;

(f)  stesse parole in accezione piena e vuota.

III. Doppio senso:

(g)  nome proprio e significato materiale;

(h) significato metaforico e letterale;

(i) doppio senso vero e proprio (gioco di parole);

(j) «sottinteso equivoco»;

(k) doppio senso con allusione.

Una tale varietà e numero di tecniche potrebbe confondere. L'aver dedicato così lungamente la nostra attenzione alla metodica tecnica del motto di spirito potrebbe farci provare un senso di fastidio, e ci potrebbe far sospettare che dopo tutto abbiamo esagerato la sua importanza come strada per scoprirne l'intima natura. Se soltanto questo legittimo sospetto non fosse contraddetto dal solo incontestabile fatto che il gioco di parole invariabilmente decade non appena facciamo a meno dell'impiego di tali tecniche nella sua forma espressiva! Così, nonostante tutto, siamo portati a cercare l'unità in questa molteplicità. Dovrebbe essere possibile ricondurre tutte queste tecniche a un comune accordo. Come abbiamo già detto, non è difficile unire il secondo ed il terzo gruppo. Il doppio senso (gioco di parole) si ha, in verità, soltanto nel caso ideale del molteplice uso dello stesso materiale. Di questi concetti, evidentemente, l'ultimo è quello che ne comprende di più. Gli esempi del dividere in più parti, del ricostruire e del riavvalersi dello stesso materiale e del suo molteplice impiego con un leggero cambiamento nel significato (c, d, e), - sebbene con qualche difficoltà - potrebbero essere riuniti nell'idea di doppio senso. Ma che cosa hanno in comune la tecnica che si riferisce al primo gruppo (condensazione con formazione di espressioni sostitutive) e quella degli altri due (molteplice impiego dello stesso materiale)?

Ebbene, avrei pensato ad un'affinità semplicissima quanto ovvia. Il molteplice impiego dello stesso materiale, dopo tutto, è soltanto uno speciale caso di condensazione; giocare sulle parole non è altro che una condensazione senza formazione di espressioni sostitutive; la condensazione è la categoria più vasta. Tutte queste tecniche sono dominate da una tendenza a comprimere o, almeno, a risparmiare le parole. Sembrerebbe soltanto una questione di economia, come dice il principe Amleto: «Brevità, brevità, Orazio!».

Osserviamo questo risparmio nei diversi esempi: «C'est le premier voi de l'aigle». (È il primo volo dell'aquila). Sì, ma è un volo ingannevole. Fortunatamente per l'esistenza di questo motto di spirito, voi non significa solo «volo» ma anche «furto». Non si è dunque avuta condensazione ed risparmio? Sicuramente. È stato risparmiato il secondo concetto nel suo insieme e lo si è lasciato cadere senza sostituzione. Il doppio senso della parola voi ha reso superflua una tale sostituzione; sarebbe stato egualmente giusto dire che la parola voi contiene in sé la sostituzione del concetto soppresso, senza che si siano resi necessari aggiunte o cambiamenti. Questo è il vantaggio dei doppi sensi.

Un altro esempio è: «Faccia di ferro, cassaforte di ferro, corona di ferro». Quale straordinario risparmio se si paragona a una formulazione dello stesso concetto nel quale la parola «ferro» non trova posto: «Con l'ausilio della necessaria audacia e con la mancanza di scrupoli non è difficile accumulare una grande fortuna, e come premio per tali favori non mancherà, naturalmente, anche un titolo nobiliare».

Condensazione, e perciò il risparmio, sono dunque evidentemente presenti in questi esempi. Ma dovrebbero essere presenti in ogni esempio. Dove si nasconde il risparmio in motti di spirito quali « Rousseau - roux et sot» oppure «Antigone -antik? oh nee», in cui notiamo per prima cosa l'assenza di condensazione e che ci hanno indotto per primi a individuare la tecnica dell'impiego molteplice del medesimo materiale?. È ben vero che in questa occasione non troveremmo che la condensazione sia adeguata al caso; ma se invece di questo noi considerassimo il concetto più alto di «risparmio» lo troveremmo senza difficoltà. È facile porre in rilievo quanto abbiamo economizzato nel caso di Rousseau, di Antigone, ecc. Dovendo esprimere una critica o dare forma ad un giudizio noi risparmiamo; entrambi, infatti, sono già contenuti nello stesso nome. Nell'esempio «Leidenschaft - Eifersucht (passione - gelosia)» noi ci risparmiamo la fatica di costruire laboriosamente una definizione: «Eifersucht, Leidenschaft -Eifer sucht (cerca con ardore), Leiden schafft (fa soffrire)». Dobbiamo soltanto incatenare le parole e così abbiamo la definizione già pronta. Il caso è simile in tutti gli altri esempi che, fin qui, sono stati analizzati. Dove il risparmio è minore, come nel gioco di parole di Saphir «Sie kommen um ìhre 100 Dukaten», ci si risparmia in ogni caso la necessità di comporre una nuova espressione per la risposta. Il risparmio non è molto, ma il motto di spirito poggia su questo. Il molteplice impiego delle stesse parole per domandare e per rispondere è certamente un «risparmio». Come nella battuta in cui Amleto descrive il rapido succedersi della morte di suo padre ed il matrimonio della madre:

.....I pasticci dei funerali

guarnirono, freddi, le tavole nuziali.

Ma prima di accettare la «tendenza al risparmio» come la caratteristica più generale della tecnica del motto di spirito e di chiederci da dove provenga, che cosa significhi ed in qual modo provochi piacere, dobbiamo dar spazio ad una obiezione che ha ogni diritto di essere ascoltata. Può darsi che ogni tecnica di arguzia presenti la tendenza a risparmiare qualcosa nell'espressione; ma l'obiezione non è reversibile. Infatti non tutti i risparmi di espressione, non tutte le abbreviazioni, sono per questo stesso motivo anche motti di spirito. Abbiamo già raggiunto questa conclusione un'altra volta, precedentemente, quando speravamo ancora di trovare il procedimento di condensazione in ogni motto di spirito e sorse la legittima obiezione che un appunto laconico non bastava a costituire un'arguzia. Ci deve essere perciò una qualche forma peculiare di risparmio dalla quale dipende l'essenza caratteristica del motto di spirito; e finché non avremo scoperto la natura di questa peculiarità, il fatto di aver individuato l'elemento comune alle tecniche del motto di spirito non ci avvicinerà alla soluzione del nostro problema. Abbiamo dunque il coraggio di ammettere che i risparmi compiuti dalla tecnica del motto non ci impressionano molto! Ci ricordano, forse, il modo in cui alcune donne di casa economizzano quando spendono tempo e denaro per andare ad un mercato più lontano per acquistare verdure che lì si possono comperare a poche lire di meno. Che cosa guadagna l'arguzia nella sua tecnica? Il porre insieme poche parole nuove, che, per la maggior parte, sarebbero emerse senza alcuna fatica. Invece, ci dobbiamo sobbarcare alla fatica di individuare quell'antica parola che nasconde i due pensieri. In verità, spesso dobbiamo trasformare uno dei pensieri in una forma insolita che servirà di base per la sua combinazione con il secondo pensiero. Non sarebbe stato più semplice, più facile, e realmente più economico, l'aver espresso i due pensieri allo stesso modo in cui si presentavano, persino nel caso in cui ciò avrebbe comportato una forma di espressione non comune? E il risparmio nelle parole non è forse più che bilanciata dal dispendio di energie nello sforzo intellettuale? E chi risparmia? Chi guadagna?

Per il momento possiamo eludere queste obiezioni se le trasferiamo altrove. Abbiamo realmente già scoperto tutti i tipi di tecniche di arguzia? Sarà certamente più prudente raccogliere nuovi esempi e sottoporli ad analisi.

5.

In effetti non abbiamo ancora considerato un vasto gruppo di motti di spirito - forse il più numeroso - influenzati, probabilmente, dal disprezzo con cui sono guardati. Sono di quella specie generalmente chiamata Kalauer (calembours), putts (giochi di parole) e che viene considerata l'infima forma di scherzo verbale, probabilmente perché è la più «a buon mercato» e può essere fatta con la minima fatica.

Infatti essi richiedono pochissimo alla tecnica espressiva, proprio come il gioco di parole esige il massimo. Mentre in quest'ultimo i due significati verrebbero espressi nella stessa identica parola, che viene perciò detta una volta sola, per il putì è sufficiente che le due parole che esprimono i diversi significati si richiamino a vicenda per una vaga somiglianza, sia che si tratti di una somiglianza generale della struttura, o di un'assonanza ritmica o del fatto che hanno in comune le prime lettere e così via. Moltissimi esempi di questo genere, che vengono erroneamente definiti Klangwitze, compaiono nella predica del monaco cappuccino nell’ Accampamento di Wallenstein :

Kummert sich mehr um den Krug als den Krieg,

Wetzt lieber den Schnabel als den Sabel

……………….

Frisst den Ochsen lieber als den Oxenstirn,

………………

Der Rheinstrom ost worden zu einem Peistrom,

Die Klöster sind ausgenommene Nester,

Die Bistümer sind  verwandelt  in   Wosttümer

……………..

Und alle die gesgneten deutschen Länder

Sind verkehrt worden in Elender.

 [«(...) più di bottiglie che di battaglie si cura, inumidisce il becco e non lo stocco,

…………….

e invece di pensare ad Owenstierna

preferisce colmare la giberna.

Fiume di pene, s'è fatto il fiume Reno,

i conventi son covi di serpenti,

i vescovadi veri nidi di masnade

……………..

e le terre benedette della patria tedesca

son   sconfinata   landa   di   miseria   e   di   tresca.»]

Una particolare capacità dei motti di spirito è quella di cambiare una vocale in una parola. Così Hevesi (l.   hevesi,   Almanaccando:   Bilder  aus   Italien,   Stoccarda,   1887, p. 87) scrive di un poeta italiano ostile all'impero che, nonostante questo, fu costretto in seguito ad elogiare un imperatore tedesco in esametri: «Sebbene non sia riuscito a sterminare i Cäsaren (Cesari), almeno eliminò le Cäsuren (Cesure)».

Al di fuori del largo numero di puns che sono a nostra disposizione, potrà forse essere interessante riportare un esempio decisamente brutto, di cui Heine è responsabile. Dopo aver finto per molto tempo con la sua donna di essere un principe indiano, egli getta la maschera e confessa: «Signora, vi ho ingannata ... non sono stato a Kalkutta (Calcutta) più di quanto lo sia stato il Kalkuttenbraten (pollo arrosto di Calcutta) che ho mangiato ieri a pranzo». L'errore in questo motto di spirito sta chiaramente nel fatto che le due parole simili non sono soltanto simili, ma realmente identiche. Il volatile che è stato mangiato arrosto è chiamato così perché proviene, o si suppone che provenga, da Calcutta.

Fischer (op. cit., p. 78) ha osservato con grande attenzione questo tipo di motto di spirito, e tende a distinguerlo nettamente dal gioco di parole. «Un pun è un gioco di parole scadente, nel senso che gioca sulla parola non in quanto tale, ma in quanto suono». Mentre il gioco di parole «passa dal suono della parola alla parola stessa».

D'altronde egli classifica i motti di spirito del tipo di famillionär, Antigone = antik? oh nee, ecc., tra i Klangwitze, «motti di spirito basati sul suono». Non vedo la necessità di seguirlo su questa strada.

Secondo noi in un gioco di parole anche la parola è solo l'immagine del suono, alla quale si attribuisce un significato od un altro. Ma anche qui l'uso linguistico non fa una netta distinzione; e se tratta i puns con disprezzo ed i giochi di parole con un certo rispetto, queste valutazioni sembrano determinate da considerazioni diverse da quelle tecniche. Vale la pena di prestare attenzione alla specie di motti di spirito che sono detti appunto puns. C'è gente che, quando si trova in certi stati d'animo, può, per considerevoli periodi di tempo, rispondere ad ogni appunto fattogli con un pun. Uno dei miei amici, che è un modello di discrezione per quanto riguarda i suoi severi compiti scientifici, è capace di gloriarsi per questa abilità. Una volta, mentre stava conducendo la compagnia senza fiato su questa strada e gli fu espressa ammirazione per la sua capacità: «Sì», rispose «Io mi trovo qui auf der Ka-Lauer» (bisticcio tra auf der Lauer = in attesa e Kalauer = calembour). E quando gli fu chiesto di smettere egli aderì a condizione di essere chiamato Poeta Ka-Laurea-tus. Entrambi questi motti di spirito sono esempi eccellenti di condensazione con formazione di parole composte. («Mi trovo qui auf der lauer (in attesa) di creare Kalauer (calembour)».

Ad ogni modo possiamo già dedurre dalle dispute sulle differenze tra puns e giochi di parole che i primi non potranno aiutarci a scoprire una tecnica dei motti di spirito completamente nuova. Se, nel caso dei puns, smettiamo di lamentare l'uso dello stesso materiale in più sensi, cionondimeno l'accento cade sulla riscoperta di ciò che è familiare, sulla corrispondenza tra le due parole che creano il pun; e per conseguenza i puns sono semplicemente una sottospecie del gruppo che raggiunge il suo scopo nel gioco di parole vero e proprio.

6.

Ma ci sono realmente dei motti di spirito la cui tecnica resiste praticamente ad ogni tentativo di riunirla a quella dei gruppi  che  sono  stati  presi in  considerazione fino  ad  ora.

«Si racconta che una volta Heine fosse seduto in un salotto di Parigi conversando con il drammaturgo Soulié, quando entrò nella stanza uno di quei re della finanza parigini che il popolo paragona a Mida e non soltanto a causa della loro ricchezza. Presto, egli fu circondato da una corte che lo trattava con la massima deferenza. "Guarda!" disse Soulié ad Heine. "Guarda in che modo il diciannovesimo secolo venera il Vitello d'oro!". Con uno sguardo all'oggetto di tanta ammirazione, Heine rispose, come per correggere: "Oh, [per me] deve essere più vecchio!"» (Fischer, Op. Cit., pp. 82 S.)

Dove cercheremo la tecnica di questa eccellente battuta? In un gioco di parole, pensa Fischer: «In questo modo, per esempio, le parole "Vitello d'oro" possono significare sia Mammone che Idolatria. Nell'un caso l'oro è la cosa principale e nell'altro questa è rappresentata dalla statua dell'animale; può anche servire a caratterizzare, in termini non precisamente lusinghieri, chi ha grande abbondanza di denaro e poco cervello». Se facciamo l'esperimento di togliere l'espressione «Vitello d'oro», viene meno nello stesso tempo, anche il motto di spirito. Immaginiamo che Soulié dica: «Guarda lì! Guarda il modo in cui la gente si affolla intorno ad uno stupido soltanto perché è ricco!». Non c'è più alcun motto di spirito e la risposta di Heine diventa impossibile.

Ma dobbiamo ricordarci che quel che ci riguarda non è la similitudine di Soulié - peraltro non priva di arguzia - ma la risposta di Heine, che è certamente ancora più spiritosa. Stando così le cose, non abbiamo diritto di toccare la frase sul Vitello d'oro: essa rimane come presupposto del motto di Heine e la nostra riduzione deve essere diretta soltanto alla seconda parte. Se noi sviluppiamo le parole «Oh, deve essere più vecchio!» possiamo sostituirle con qualcosa come: «Oh, non è più un vitello; è un bue adulto!». In tal modo ciò che era necessario per il gioco di parole di Heine era che «il Vitello d'oro» non fosse considerato in senso metaforico ma in senso personale e dovesse significare l'uomo ricco in carne e ossa. Si potrebbe perfino pensare che questo doppio senso fosse già presente nell'espressione di Soulié.

Ma, un momento! Sembra che questa riduzione abbia abolito completamente il gioco di parole di Heine, lasciando però intatta la sua essenza. Il fatto è che Soulié dice: «Guarda in che modo il diciannovesimo secolo venera il Vitello d'oro!» ed Heine risponde: «Oh, non è più un vitello; è un bue adulto, ormai!». E in questa versione ridotta è ancor sempre un motto di spirito. Ma non è possibile alcun'altra riduzione del motto di Heine.

È un peccato che un così bell'esempio comporti condizioni tecniche così complesse. Non possiamo arrivare ad alcuna chiarificazione dell'esempio. Così è meglio abbandonarlo e cercarne un altro nel quale ci pare di scoprire un'intima relazione con quello precedente.

Prendiamo una di quelle «battute sul bagno» che hanno per argomento gli ebrei di Galizia e la loro avversione per i bagni. È chiaro che noi non pretendiamo alcuna patente di nobiltà per i nostri esempi. Non facciamo alcuna ricerca intorno alle loro origini, ma soltanto intorno alla loro efficacia. C'interessa soltanto se sono capaci di farci ridere e se attirano il nostro interesse teorico. Queste due domande trovano la migliore risposta nei motti di spirito sugli ebrei.

Due ebrei si incontrarono nelle vicinanze delle terme. «Hai preso un bagno?» domanda il primo. «Perché? Ne hanno perso uno?» replica l'altro di rimando.

Se qualcuno ride realmente e di cuore per un motto di spirito, costui non è precisamente nella migliore condizione per ricercarne la tecnica. Per cui nascono difficoltà nell'aprirci una strada in queste analisi. «È stato un equivoco comico», siamo inclini a dire. Sì, ma qual è la tecnica di questa battuta? Chiaramente l'uso della parola «prendere» in due significati. Per uno degli interlocutori prendere rappresentava un semplice verbo ausiliare; per l'altro era il verbo nel suo significato inalterato. Qui abbiamo un caso in cui la stessa parola viene usata insieme in accezione piena e vuota (gruppo secondo, f) Se noi sostituiamo all'espressione «preso un bagno», quella equivalente e più semplice «fatto un bagno» ecco che l'arguzia del gioco svanisce. La risposta non ha più alcun senso.

Dunque il motto di spirito dipende esclusivamente dall'espressione «preso un bagno».

Ed è così. Ma ciò non di meno sembra che anche in questo caso la riduzione sia stata applicata in modo errato. L'arguzia non sta nella domanda ma nella risposta - la seconda domanda: «Ne hanno perso uno?». E questa risposta non può essere defraudata della sua natura di arguzia da nessuna estensione o modificazione finché non se ne altera il significato. Abbiamo persino l'impressione che nella risposta del secondo ebreo il non tener conto del bagno sia più importante dell'equivoco sulla parola «prendere». Ma qui, ancora una volta, non riusciamo a vedere chiaramente la nostra via, e perciò sarà meglio cercare un terzo esempio.

Ancora una volta si tratta di un motto di spirito sugli ebrei; ma questa volta soltanto l'ambiente è ebreo, poiché il nucleo è valido per tutti gli uomini in generale. Non c'è dubbio che anche questo esempio abbia le sue involontarie complicazioni, ma fortunatamente non sono le stesse che ci hanno impedito fin qui di vedere con chiarezza.

Un individuo divenuto povero prese a prestito da un conoscente 25 fiorini, dichiarandosi in stato di estrema necessità. Proprio lo stesso giorno, il suo creditore lo incontrò di nuovo in un ristorante, di fronte ad un piatto di salmone con maionese. Il creditore lo interpellò: «Ma come? Mi hai chiesto del denaro in prestito e poi ordini del salmone alla maionese per te? È per quello che hai usato il mio denaro?». «Io non ti capisco» rispose il debitore in difetto «se non ho il denaro non posso mangiare salmone con maionese, e se ho un po' di soldi non debbo mangiarne. Quando, dunque, potrò mangiare salmone con maionese?».

Qui finalmente non si trova alcuna traccia di doppio significato. Né la ripetizione di «salmone con maionese» contiene o racchiude il nucleo tecnico del motto di spirito, fonte del quale non è «l'impiego molteplice» dello stesso materiale, ma una reale ripetizione dell'identico materiale richiesto per il contenuto dell'aneddoto. Dopo questa analisi potremmo rimanere dubbiosi e perplessi e potremmo essere tentati persino a negare la natura di motto di spirito all'aneddoto, sebbene ci abbia fatto sorridere.

E quale commento ancora merita la risposta dell'ebreo impoverito? Essa è stata data in modo preciso e sotto forma di argomentazione logica. Ma direi ingiustificabile, poiché difatti era illogica. L'uomo si scusa per aver speso il denaro datogli a prestito in una ghiottoneria e chiede, con una apparenza di ragione, quando potrà mangiare il salmone. Ma questa non è la risposta giusta. Il suo creditore non gli rimprovera di pasteggiare a salmone proprio il giorno in cui gli ha prestato il denaro; gli ricorda che, nello stato in cui si trova, non ha nessun diritto di pensare a ghiottonerie del genere. Il bon vivant impoverito trascura questo, che è il solo significato possibile del rimprovero, e risponde con un'altra domanda come se non avesse capito il rimprovero.

Può essere che la tecnica di questo motto di spirito stia proprio nel fatto che la risposta si allontana dal significato del rimprovero? Se è così, un simile cambiamento di posizione, un tale spostamento dell'accento psichico può forse essere rintracciabile nei due esempi precedenti, che come abbiamo visto, sono molto vicini a questo.

E, guarda un po'!, quest'idea ottiene un facile successo: infatti chiarisce la tecnica degli esempi sopra riportati. Soulié fa notare a Heine che la società del diciannovesimo secolo venera il «Vitello d'oro» proprio come fecero gli ebrei nel deserto. Una risposta appropriata da parte di Heine avrebbe potuto essere: «Sì, la natura umana è fatta così; migliaia di anni non l'hanno cambiata», oppure qualcosa di simile ad un assenso. Ma Heine lasciò che la sua risposta si allontanasse dal pensiero suggeritogli e non vi rispose affatto. Egli si servì, invece, del doppio senso contenuto nell'espressione «Vitello d'oro» per allontanarsi in altra direzione, afferrando solo una delle componenti della frase, «Vitello», e rispose, come se l'accento dell'osservazione di Soulié fosse stato posto proprio su quello: «Non è più un vitello ... ecc.» (La risposta di Heine combina due tecniche di motti di spirito: una divisione combinata con un'allusione. Egli non dice immediatamente: «È un bue».)

La diversione del motto di spirito sul bagno è persino più evidente. Questo esempio richiede una prestazione grafica: il primo ebreo chiede: «Hai preso un bagno?». L'accento cade sull'elemento bagno.

Il secondo risponde come se la domanda fosse stata: «Hai preso un bagno? ». Questo spostamento dell'accento è reso possibile soltanto dalle parole « preso un bagno». Se avesse detto  « fatto  un  bagno»  nessun  spostamento  sarebbe  stato possibile. La risposta non scherzosa sarebbe stata: «Fatto un bagno? Che vuoi dire? Non so che cosa sia». Ma la tecnica del motto di spirito sta nello spostamento dell'accento da bagno a preso. )La parola «prendere» (nehmen) è molto adatta per formare l'elemento essenziale d'una battuta, e questo è dovuto alla varietà dei modi in cui può essere usata. Desidero dare un esempio semplice, come contrasto rispetto al motto di spirito con spostamento riportato sopra: Un noto speculatore di borsa e direttore di banca sta camminando con un amico lungo la Ringstrasse. Arrivando vicino ad un caffè dice: «Entriamo e prendiamo qualcosa!». L'amico gli risponde, trattenendolo:   «Ma caro Hofrat, il posto è pieno di gente!».)

E torniamo al «Salmone con Maionese», giacché è l'esempio più chiaro e preciso. Quanto in questo troviamo di nuovo merita la nostra attenzione in svariate direzioni. Per prima cosa dobbiamo dare un nome alla tecnica portata alla luce con questo esempio. Propongo di definirla «spostamento», poiché la sua essenza sta nella diversione della direzione del pensiero, lo spostamento dell'enfasi psichica su un elemento anziché sull'intera idea. Il nostro successivo compito è di studiare e scoprire la relazione tra la tecnica dello spostamento e la forma dell'espressione del motto di spirito. Il nostro esempio («Salmone con Maionese») ci dimostra che un motto di spirito con spostamento è in larga misura indipendente dall'espressione verbale. Esso non dipende dalle parole ma dalla direzione del pensiero. Nessuno spostamento di parole ci permetterà di sbarazzarci del pensiero finché rimarrà in noi il senso della risposta. Una riduzione è possibile soltanto se cambiamo la direzione del pensiero e facciamo rispondere il buongustaio direttamente al rimprovero che egli ha evitato nella versione esposta nel motto di spirito. Così la versione con riduzione sarebbe: «Non posso negarmi ciò che mi piace e mi è completamente indifferente dove posso trovare il denaro per pagare. Questa è la spiegazione del perché io stia mangiando salmone con maionese proprio il giorno in cui mi hai prestato il denaro». Ma non sarebbe un motto di spirito; sarebbe solo un'espressione di cinismo.

È istruttivo paragonare questo motto di spirito con un altro che gli è molto vicino come significato.

Un uomo che aveva preso a bere si guadagnava da vivere facendo il precettore in una piccola città. A poco a poco si venne a sapere del suo vizio e, come risultato, egli perse la maggior parte  dei  suoi  allievi.  Ad un  suo  amico fu dato l'incarico di spingerlo a ritornare sulla retta via. «Guarda, potresti essere il miglior precettore della città se solo smettessi di bere. Quindi, smetti!». «Cosa credi?» fu l'indignata risposta «Io faccio l'istitutore per poter bere. Debbo smettere di bere per diventare istitutore?».

In questo motto di spirito troviamo la stessa apparenza di logicità che vediamo in quello del «salmone con maionese»; ma non è un motto di spirito con spostamento. La risposta è stata diretta. Il cinismo che nel primo motto di spirito era nascosto, viene ammesso apertamente in questo: «Il bere è la cosa più importante per me». Infine la tecnica di questo motto di spirito è estremamente povera e non può giustificare la sua efficacia. Consiste semplicemente nella ristrutturazione dello stesso materiale, o, più precisamente, nel capovolgimento della relazione del mezzo e del fine tra il bere ed il fare o diventare istitutore. Appena la mia riduzione cessa di mettere in risalto questo fattore nella sua forma di espressione, il motto di spirito scompare; per esempio: «Che sciocco suggerimento! La cosa importante per me è il bere, non fare il precettore. Dopo tutto fare il precettore è solo un mezzo che mi dà la possibilità di continuare a bere». Perciò il motto di spirito dipende effettivamente dalla sua forma espressiva. Nel motto di spirito sul bagno la dipendenza dell'arguzia dalle parole con cui è espressa («Hai preso un bagno?») è indubbia, ed un cambiamento di esse provoca la scomparsa dell'arguzia. Infatti, in questo caso la tecnica è più complessa: una. stessa parola in accezione piena e vuota (gruppo II f). Le parole con cui la domanda è espressa contengono un doppio senso, ed il motto di spirito viene prodotto dal fatto che la risposta trascura il significato sottinteso da chi pone la domanda e si attacca al significato secondario. Quindi il nostro scopo è di trovare una riduzione che ammetta la sopravvivenza del doppio senso, e tuttavia distrugga il motto di spirito. Per far questo basta eliminare lo spostamento: «Hai preso un bagno?» «Che cosa pensi che io abbia preso? Un bagno? Che cosa significa?». Ma questo non è più un motto di spirito: è un'esagerazione astiosa o maliziosa.

Il ruolo svolto dal doppio senso nel motto di spirito di Heine sul «Vitello d'oro » è proprio lo stesso. Esso consente alla risposta di deviare dal corso di idee suggerite (nel motto sul «salmone con maionese» la deviazione avviene invece  senza calcare  sulla  dizione letterale). Nella  riduzione l'osservazione di Soulié e la risposta di Heine suonerebbero più o meno così: «Il modo in cui la gente sta attorno a quell'uomo solo perché è ricco, ricorda molto da vicino l'adorazione del " Vitello d'oro "». Ed Heine: «Il fatto ch'egli debba essere onorato in questo modo perché è ricco, non mi tocca quanto ciò che vi è in lui di ancora peggiore. In quello che dite non sottolineate abbastanza il fatto che, a causa della sua ricchezza, la gente gli perdona la sua stupidità».

In questo, modo si conserva il doppio senso ma si distrugge il motto di spirito con spostamento.

A questo punto dobbiamo, però, prepararci ad incontrare l'obiezione che queste sottili distinzioni cercano di separare ciò che è strettamente collegato. Non è forse vero che ogni doppio senso crea i presupposti per uno spostamento, per mezzo di una diversione del corso dei pensieri da un significato ad un altro? Ed allora ci sentiamo di concedere che il doppio senso e lo spostamento siano assunti come i rappresentanti di due diversi tipi di tecnica dei motti di spirito? Bene, è verissimo che questa relazione tra doppio senso e spostamento esiste, ma non ha nulla a che fare con la differenziazione che noi creiamo tra le diverse tecniche dei motti di spirito.

Nel caso del doppio senso, un motto di spirito non contiene nient'altro che una parola suscettibile di molteplici interpretazioni, che permette a chi ascolta di passare da un pensiero ad un altro, transazione che, allargando il concetto, può essere paragonata ad uno spostamento. Tuttavia, nei casi di motti di spirito con spostamento, il motto di spirito stesso contiene un tipo di pensiero in cui è stato compiuto uno spostamento di questo genere. In questo caso lo spostamento è parte integrante dell'azione che ha creato il motto di spirito; non è parte dell'azione che si compie per comprenderlo. Se questa distinzione non è chiara, abbiamo un metodo infallibile per renderla evidente ai nostri occhi nel corso dei nostri tentativi di riduzione. Ma questa obiezione ha un merito innegabile. Sposta la nostra attenzione sulla necessità di non confondere i processi psichici coinvolti nella costruzione del motto di spirito (il meccanismo del motto di spirito) con i processi psichici coinvolti nella ricezione del motto di spirito (il meccanismo della comprensione). La nostra ricerca attuale riguarda soltanto i primi. (Per i secondi vedi i capitoli successivi. A questo proposito sono sufficienti poche parole ancora di spiegazione. Generalmente lo sposta-mento avviene tra un'osservazione ed una risposta che indirizza il corso del pensiero in una direzione diversa da quella stabilita dall'osservazione originale. La giustificazione per la distinzione fatta tra spostamento e doppio senso, è dimostrata in modo più convincente dagli esempi nei quali i due sono riuniti — cioè dove le parole con cui è espressa l'osservazione contengono un doppio senso che non è nell'intenzione di chi parla ma che indica il modo in cui effettuare lo spostamento  nella  risposta.)

Ci sono altri esempi di tecnica dello spostamento. Non è facile trovarli. Un chiaro esempio ci è dato dal seguente motto di spirito che, oltretutto, non è caratterizzato da quell'apparenza di logica su cui abbiamo insistito troppo parlando del nostro caso-tipo.

Un commerciante di cavalli stava vantando un cavallo per invogliare un acquirente. «Se acquistate questo cavallo e montate in sella alle quattro del mattino, alle sei e mezza sarete a Pressburg». «E che cosa dovrei fare a Pressburg alle sei e mezza del mattino? ».

Qui lo spostamento salta agli occhi. Il commerciante ovviamente parla dell'arrivo nella città di provincia alle prime luci dell'alba semplicemente per dimostrare con un esempio le qualità del cavallo. L'acquirente non tiene conto delle qualità dell'animale, sulle quali non fa questione, e discute solo sull'orario che è stato scelto per l'esempio. La riduzione di questo motto di spirito è perciò facile a farsi.

Più gravi difficoltà si presentano con un altro esempio, la tecnica del quale è quanto mai oscura, ma che tuttavia può essere risolto come doppio senso con spostamento. Il motto di spirito descrive la prevaricazione di uno Schadchen (un mediatore di matrimoni ebreo), ed appartiene ad un gruppo su cui torneremo spesso.

Lo Schadchen aveva assicurato al corteggiatore che il padre della ragazza non era più in vita. Dopo il fidanzamento venne fuori che questi era ancora vivo e stava scontando in prigione una condanna. Il fidanzato protestò presso lo Schadchen, il quale rispose: «Ebbene, che cosa ti ho detto? Certamente non puoi chiamare " vita ", quella lì!».

Il doppio senso sta nella parola «vita», e lo spostamento consiste nel cambiamento di significato della parola che lo Schadchen opera distaccandolo dal suo senso ordinario, come opposto della parola «morte», nel senso che ha nella frase «quello non è vivere». Nel far ciò egli spiega la sua precedente dichiarazione retrospettivamente, come se avesse voluto darle fin da allora un doppio senso, sebbene un significato così diverso fosse estremamente remoto in questo caso particolare. Così alla lontana la tecnica sembrerebbe simile a quella usata nei motti di spirito sul « Vitello d'oro» e sul « bagno». Ma qui bisogna considerare un altro fattore che per il suo risalto interferisce con la nostra comprensione della tecnica. Potrebbe essere definito una «caratterizzazione » del motto di spirito: si cerca con un esempio di illustrare la mescolanza, caratteristica in un mediatore di matrimoni, di impudenza menzognera e prontezza nella replica arguta. Noi potremmo trovare che questa è soltanto la scorza esterna, la facciata, del motto di spirito; il suo significato - vale a dire il suo scopo - è qualcosa di diverso. Dobbiamo perciò rimandare il tentativo di farne una riduzione. (Vedi oltre, al capitolo terzo).

Dopo questi complessi esempi, la cui analisi è stata tanto difficile, sarà con grande soddisfazione che torneremo a considerare un esempio che si può definire come un modello perfettamente chiaro e limpido di motto di spirito con spostamento:

Un mendicante ebreo si avvicinò ad un ricco barone per chiedergli aiuto in vista del suo viaggio ad Ostenda. I dottori, egli disse, gli avevano raccomandato bagni di mare per ristabilire la sua salute. «Molto bene», disse il ricco signore, «ti darò qualcosa per questo. Ma devi andare proprio ad Ostenda, che è il posto più caro per i bagni di mare?». «Signor barone», fu la risposta, «nulla è troppo caro per la mia salute».

Un criterio più che giusto, senza dubbio, per chiunque, tranne per chi deve chiedere un prestito a tale scopo. La risposta è data, invece, dal punto di vista d'un uomo ricco. Il mendicante si comporta come se si trattasse del proprio denaro ch'egli sacrifica per la salute, come se denaro e salute appartenessero alla stessa persona.

7.

Cominciamo ancora una volta dall'esempio altamente istruttivo del «salmone con maionese ». Anche questo ci si è presentato con una facciata, nella quale si faceva sfoggio di una sorprendente logicità; e noi abbiamo imparato, analizzandolo, che questa logica veniva usata per nascondere una parte di un ragionamento errato, e cioè uno spostamento della direzione del pensiero. Potrebbe servire a ricordarci, anche soltanto per mezzo di una contrastante concatenazione, altri motti di spirito che, in modo completamente diverso, mostrano apertamente che una parte della frase è senza senso o stupida. Saremmo curiosi di capire quale possa essere la tecnica di simili motti di spirito. Voglio cominciare con l'esempio più significativo ed evidente di tutto il gruppo. Ancora una volta si tratta di un motto di spirito sugli ebrei.

Itzig era stato dichiarato abile per il servizio militare in artiglieria. Egli era chiaramente un giovane intelligente, ma intrattabile e senza alcun interesse per il servizio militare. Uno degli ufficiali suoi superiori, che era ben disposto nei suoi confronti, lo prese da parte e gli disse: «Itzig, tu qui non ci sei utile. Ti voglio dare un suggerimento: comprati un cannone e mettiti in proprio!». Questo suggerimento, che potrebbe suscitare una risata di cuore, è ovviamente assurdo. I cannoni non sono comunemente in vendita ed un individuo non può mettersi in proprio come unità militare autonoma. Eppure, anche se è impossibile dubitare, neanche per un momento, che il suggerimento non sia assurdo, ma d'una assurdità scherzosa, sia cioè un eccellente motto di spirito, come si trasforma, dunque, l'assurdo in un motto di spirito?

Non c'è bisogno di riflettere troppo. Noi possiamo dedurre dai commenti delle persone autorevoli, indicate nell'introduzione, che c'è un senso anche dietro ad uno scherzoso assurdo come questo, e che è questo senso che crea l'assurdo nel motto di spirito. Il significato nel nostro esempio è facile a trovarsi. L'ufficiale che dà all'artigliere Itzig il suggerimento privo di senso, lo fa soltanto per rendersi stupido e mostrare così più facilmente ad Itzig quanto scioccamente si comporti. Sta copiando Itzig: «Ti darò un avvertimento stupido come te». Egli penetra nella stupidità di Itzig e la rende evidente ai suoi occhi, ponendola alla base di un suggerimento che andrebbe d'accordo con i desideri di Itzig: se Itzig possedesse un cannone e affrontasse i suoi doveri militari da solo, come gli sarebbero utili la sua intelligenza e la sua ambizione! Come terrebbe in ordine il suo cannone e come imparerebbe a farlo funzionare se si trattasse di competere con altri possessori di cannoni!

Interromperò l'analisi di questo esempio per far rilevare la stessa contemporanea  presenza di senso e di assurdo in un caso di motto di spirito, più breve e più semplice, anche se non altrettanto d'effetto.

La cosa migliore per un mortale sarebbe di non essere mai nato. «Ma», continua il commento filosofico nel Fliegende Blätter, «questo capita sì e no a una persona su centomila».

Quest'aggiunta moderna ad un antico detto è una assurdità evidente, resa più sciocca dal prudente «sì e no». Ma l'aggiunta viene posta accanto alla frase originale come una limitazione indubbiamente corretta, ed in questo modo ci apre gli occhi sul fatto che una frase solenne, accettata come un esempio di saggezza, non vale di per sé molto di più di una assurdità. Chiunque non sia nato non è per nulla un mortale, e per lui non esistono il bene ed il meglio. Così in questo motto di spirito l'assurdo serve a scoprire ed a dimostrare un altro assurdo, proprio come nell'esempio dell'artigliere Itzig.

Ed a questo punto posso portare un altro esempio che, per il suo contenuto, meriterebbe appena la lunga spiegazione che richiede, ma che rappresenta ancora una volta un esempio particolarmente chiaro di come l'uso dell'assurdo in un motto di spirito metta in evidenza un altro assurdo.

Un uomo, costretto a partire per un viaggio, affidò la figlia ad un amico, raccomandandogli di vegliare sulla sua virtù durante la propria assenza. Qualche mese più tardi tornò, e venne a sapere che [la fanciulla] era incinta. Com'era naturale, egli rimproverò l'amico che, tuttavia, sembrò incapace di dare una spiegazione della disgrazia. «Bene», domandò il padre alla fine, « dove ha dormito?». « Nella stanza con mio figlio». «Ma come hai potuto permettere che dormisse nella stessa stanza con tuo figlio, se ti avevo chiesto di aver cura di lei?». «Dopo tutto c'era un paravento fra loro! Il letto di tua figlia era da un lato e quello di mio figlio dall'altro, con il paravento in mezzo». «E se lui avesse fatto un giro attorno al paravento?». «Sì» rispose l'altro, pensieroso, «così sarebbe certo stato possibile».

Noi possiamo giungere con la massima facilità alla riduzione di questo motto di spirito, le cui qualità sono altrimenti poche per raccomandarcelo. Ovviamente dovrebbe essere espressa così: «Non hai alcun diritto di rimproverarmi. Come puoi essere stato così stupido da lasciare tua figlia in una casa dov'è costretta a vivere in costante compagnia di un giovane? Come sarebbe possibile per un estraneo rispondere della virtù di una ragazza in circostanze simili?». Qui l'evidente stupidità dell'amico è solo il riflesso della stupidità del padre. La riduzione ha eliminato la stupidità del motto di spirito e contemporaneamente il motto di spirito stesso. Lo stesso elemento « stupidità» non è stato abolito: esso può essere ritrovato in un altro punto del contesto dopo che la frase è stata riportata al suo significato originale.

Ora possiamo tentare la riduzione del motto di spirito sul cannone. L'ufficiale avrebbe dovuto dire: «Itzig, so che tu sei un intelligente uomo d'affari. Ma ti assicuro che è molto stupido da parte tua non capire che non è possibile comportarsi nell'esercito come ci si comporta nella vita d'affari, dove ogni persona agisce nel proprio interesse e contro gli altri. Nella vita militare, la subordinazione e la cooperazione sono la regola».

La tecnica dei motti di spirito assurdi, che sono stati presi in considerazione fino ad ora, consiste in realtà nel presentare qualcosa che è stupido e assurdo, il cui senso consiste nella chiarificazione e nella dimostrazione.

Questo impiego dell'assurdità nella tecnica del motto di spirito ha sempre lo stesso significato? Qui di seguito abbiamo un altro esempio che ci riconduce ad una risposta affermativa:

Una volta, mentre veniva applaudito dopo un discorso, Focione si girò verso i suoi amici e chiese: «Ma allora, che cosa ho detto di stupido?».

La domanda sembra assurda. Ma di colpo ne scopriamo il significato: «Ma allora, che cosa ho detto che può essere piaciuto a della gente così stupida? Dovrei vergognarmi di questi applausi. Se ciò che ho detto è piaciuto a degli stupidi, non poteva essere molto intelligente di per sé».

Tuttavia altri esempi ci insegnano che l'assurdità viene usata molto spesso nella tecnica dei motti di spirito senza che il suo scopo sia di dimostrare l'esistenza  di  un altro assurdo.

Un notissimo professore universitario, che aveva l'abitudine di colorire la sua materia particolarmente poco attraente con numerosi motti di spirito, ricevette delle congratulazioni in occasione della nascita del figlio più piccolo, nato quando egli era già in età avanzata. «Sì», rispose a colui che si congratulava, «è straordinario davvero quanto possono fare le mani umane». Questa risposta sembra particolarmente assurda e fuori posto. I bambini, dopo tutto, sono considerati una benedizione di Dio, in contrasto con il lavoro manuale degli uomini. Ma ci accade spesso che, dopo tutto, la risposta abbia un significato, e, in questo caso, un significato osceno. Non si tratta qui del padre felice che fa lo stupido per dimostrare che qualcos'altro o qualcun altro è stupido. La risposta apparentemente assurda ci fa un'impressione sorprendente, e ci confonde, come direbbero gli studiosi. Come abbiamo visto, essi attribuiscono l'intero effetto di un motto di spirito come questo all'alternarsi di «stupore e di illuminazione». Cercheremo più oltre di formarci un opinione su questo; per il momento dobbiamo contentarci di sottolineare il fatto che la tecnica di questo motto di spirito sta nel fatto che mostra qualcosa di confuso e senza senso.

Un motto di spirito di Lichtenberg occupa un posto particolare fra questi « stupidi» motti di spirito:

«Si chiedeva come mai i gatti abbiano due tagli nella pelle, proprio in corrispondenza degli occhi». Porsi una domanda su qualcosa che in effetti è solo una dichiarazione di identità, è indubbiamente una stupidaggine. Questo ricorda un'esclamazione di Micheles (La femme, 1860) che (cito a memoria) si esprime all'incirca così: «Quale meravigliosa previdenza ha seguito la Natura per ordinare le cose in modo tale che appena un bambino viene al mondo trova una madre pronta ad occuparsi di lui!». L'asserzione di Michelet è decisamente una stupidaggine, ma quella di Lichtenberg è un motto di spirito che si serve della stupidità per uno scopo, e dietro alla sua frase esiste qualcosa. Ma cosa? Per il momento, dobbiamo ammetterlo, non si può dare una risposta.

8.

Abbiamo ormai potuto rilevare in due gruppi di esempi che il meccanismo del motto di spirito si serve delle deviazioni dal modo di pensare normale - dello spostamento e dell'assurdità - come di metodi tecnici per la creazione di una forma espressiva spiritosa. Senza dubbio è legittimo aspettarsi che altri tipi di ragionamenti erronei possano servire ad uno scopo simile. Ed infatti è possibile offrire alcuni esempi di questa specie:

Un signore entrò in una pasticceria e ordinò una torta; ma la riportò subito indietro e chiese al suo posto un bicchiere di liquore. Lo bevve e fece per andarsene senza pagare. Il proprietario lo trattenne. «Che cosa vuole?» chiese il cliente.   «Lei  non  ha  pagato  il   liquore».   «Ma  le  ho  dato  la torta in cambio». «Già, ma la torta lei non l'ha mica pagata!». «Già, ma io non l'ho mica mangiata!».

Anche questa storiella ha un'apparenza di logicità che, come già sappiamo, rappresenta la facciata adatta per un ragionamento erroneo. Evidentemente l'errore sta nell'astuzia del cliente, il quale ha creato un rapporto che non esisteva tra il gesto di restituire la torta ed il fatto di aver ricevuto un liquore al suo posto. Infatti l'episodio consta di due procedimenti, indipendenti l'uno dall'altro per quel che riguardava il venditore e che erano sostitutivi l'uno dell'altro solo dal punto di vista dell'intenzione dell'acquirente. Prima egli prese la torta e la restituì, e quindi non doveva niente per essa; poi prese il liquore, e avrebbe dovuto pagarlo. Potremmo dire che il cliente ha usato un doppio senso applicandolo al termine di relazione « in cambio di'». Ma sarebbe più giusto dire che, attraverso un doppio senso, egli ha costruito un legame che non era realmente valido. (Una simile tecnica dell'assurdo compare se un motto di spirito cerca di mantenere un rapporto che sembra venire escluso dalle particolari condizioni implicite nel contenuto. È il caso, per esempio, del coltello di Lichtenberg, senza lama e senza manico. Lo stesso vale anche per il motto di spirito riportato da von Falke: «È questo il posto in cui il duca di Wellington disse quelle parole?». «Si, è questo; ma non ha mai detto quelle parole».)

Tutto questo ci fornisce l'opportunità di rilevare una cosa importante: siamo impegnati nella ricerca della tecnica dei motti di spirito come essa appare in vari esempi e perciò dovremmo essere sicuri che tali esempi da noi scelti sono realmente dei motti di spirito genuini. Capita, comunque, che in un vasto numero di esempi ci si chieda se un particolare caso possa essere chiamato motto di spirito oppure no. Non abbiamo a nostra disposizione un criterio fintanto che la nostra ricerca non ce ne avrà fornito uno. L'uso linguistico è poco attendibile e ha esso stesso bisogno di essere esaminato per avere la sua giustificazione. Nel giungere ad una decisione possiamo basarci soltanto su una certa «sensazione» che possiamo interpretare come significativa del fatto che la decisione è presa nel nostro giudizio in accordo con particolari criteri ai quali la nostra conoscenza non è ancora arrivata. Nel caso dell'ultimo esempio dovremmo ammettere di non sapere se ci si presenti più come motto di spirito, come un motto di spirito sofistico, o semplicemente come un sofisma puro e semplice? Il fatto è che non sappiamo ancora in che cosa consista il carattere essenziale del motto di spirito.

Invece, l'esempio seguente, che mostra un tipo di ragionamento erroneo che potrebbe considerarsi complementare al precedente, è senz'altro un motto di spirito. Si tratta ancora una  volta di  una storiella  su  un  mediatore  di  matrimoni:

Lo Schadchen stava difendendo la ragazza che aveva proposto, dalle proteste del giovanotto. «Non mi piace quella suocera», disse quest'ultimo, «È una persona stupida ed antipatica». «Ma, dopo tutto, non vi sposate con la suocera. Ciò che volete è sua figlia». «Sì, ma ella non è più giovane e non è precisamente una bellezza». «Non importa. Se non è né giovane né bella, vi sarà sempre più fedele». «E non ha molto denaro». «E chi sta parlando di denaro? Vi state sposando il denaro forse? Dopo tutto, è una moglie che cercate». «Ma ha anche la gobba». «Ebbene, che cosa pretendete? Non deve avere neppure un difetto?».

Ciò di cui realmente si trattava, dunque, era di una ragazza non bella, non giovane, con una scarsa dote e con una madre fastidiosa, che, in più, era vittima di una seria deformità: condizioni, queste, non molto invitanti per contrarre un matrimonio. Il mediatore di matrimoni fu capace di controbattere annullando l'importanza di questi difetti mano a mano che si presentavano. Egli potè dunque affermare che la gobba, imperdonabile, era il solo difetto della ragazza, e tutti ne hanno uno.

Una volta di più, c'è un'apparenza di logica che è la caratteristica d'ogni sofisma e che è intesa a nascondere il ragionamento errato. Chiaramente la ragazza aveva un certo numero di difetti, su alcuni dei quali si poteva sorvolare, ma uno non era assolutamente accettabile. Insomma, non era sposabile. Il mediatore si comportò come se ciascun difetto potesse essere eliminato dalle sue risposte, anche se in effetti ciascuno di essi andava sminuendo sempre di più il valore della ragazza. Egli insistette intenzionalmente nel trattare ciascun difetto isolatamente, rifiutando di riunirli in un tutto.

La stessa omissione è il fulcro di un altro sofisma sul quale si è riso molto, ma sulla cui natura di motto di spirito è lecito dubitare:

A. prese a prestito una pentola di rame da B. e, dopo averla restituita, fu citato in giudizio da B. perché la pentola aveva un grosso buco ed era perciò inservibile. La sua difesa fu:    «Per   prima   cosa  non   ho   mai   avuto   in   prestito  una pentola da B.; in secondo luogo, la pentola aveva già un buco quando la presi da lui; e terzo, io gli ho restituito la pentola sana».

Ciascuna di queste difese è valida per se stessa, ma, prese insieme, ciascuna esclude l'altra. A. stava trattando isolatamente quanto doveva essere trattato come un tutto unico, proprio come il mediatore di matrimoni trattava i difetti della ragazza. Potremmo anche dire: A. ha messo una «e» dov'era possibile mettere soltanto un «o - o».

Troviamo un altro sofisma nella seguente storiella sul solito mediatore di matrimoni:

L'aspirante marito si lamentava che la sposa aveva una gamba più corta dell'altra e zoppicava. Lo Schadchen obietta: «Vi sbagliate. Supponete di sposare una donna piena di salute, con le gambe sane! Che ci guadagnereste? Non avreste più un giorno di tranquillità nel timore che cada, si rompa una gamba e poi sia zoppa per tutta la vita. E pensate anche alle sofferenze, all'agitazione ed al conto del dottore! Ma se sposate costei, tutto ciò non vi può accadere. Ormai è cosa fatta».

L'apparenza di logica è molto vaga in questo caso e nessuno è disposto a preferire una sfortuna verificatasi di già ad una che è soltanto possibile. L'errore di un simile modo di ragionare può essere dimostrato più facilmente con un altro esempio, una storia che non voglio privare completamente del sapore dialettale.

Nel tempio di Cracovia il Gran Rabbino N. era seduto e pregava con i suoi discepoli. Improvvisamente gettò un grido e, in risposta alle ansiose domande dei discepoli, esclamò: «Proprio in questo momento il Gran Rabbino L. è morto a Leopoli». La comunità si mise in lutto per il morto. Nel corso dei giorni immediatamente successivi fu chiesto a tutta la gente che veniva da Leopoli come fosse morto il Rabbino e che cosa avesse avuto; ma tutti rispondevano di non saperne niente e che lo avevano lasciato in ottima salute. Finalmente fu stabilito con certezza che il Rabbino L. a Leopoli non era morto nel momento in cui, telepaticamente, il Rabbino N. ne aveva percepita la morte, giacché egli era ancora vivo. Uno straniero prese l'occasione per canzonare uno dei discepoli del Rabbino di Cracovia sull'accaduto: «Il vostro Rabbino ha fatto una figuraccia quella volta che vide morire a Leopoli il Rabbino L. che sta benissimo ancora oggi». «Questo  non   ha   alcuna   importanza»,   replicò   il  discepolo.   «Si può comunque dire che il fatto di aver visto da Cracovia a Leopoli è stata in ogni caso una " guardata " fantastica». [Dalla parola Kück del gergo yiddisch, che Freud spiega in nota nel modo seguente: 1 Kück, dal tedesco gucken. [Gucken equivale a « guardare di  sottecchi».]

L'erroneità del ragionamento comune agli ultimi due esempi è qui apertamente ammessa. Il valore della fantasia è esaltato eccessivamente in confronto alla realtà; una possibilità vien quasi considerata uguale ad un evento accaduto. Superare con lo sguardo la distanza che separa Cracovia e Leopoli sarebbe stata un'impresa telepatica impressionante se il risultato fosse stato qualcosa di vero. Ma il discepolo non era interessato a questo. Sarebbe potuto accadere, dopo tutto, che il Rabbino di Leopoli fosse morto nel momento in cui il Rabbino di Cracovia ne annunciava la morte; ed il discepolo ha spostato l'attenzione dal fatto per il quale l'impresa del maestro meritava ammirazione ad un'ammirazione incondizionata per l'impresa stessa. In magnis rebus voluisse satis est (nelle cose grandi è sufficiente la intenzione) esprime un simile punto di vista. Proprio come in questo esempio, la realtà è trascurata a favore della possibilità, così in quello precedente il ruffiano suggerisce all'aspirante sposo che la possibilità di una donna resa zoppa da un incidente dovrebbe essere considerata come una cosa molto più importante del fatto che essa lo sia attualmente o meno.

Questo gruppo di ragionamenti erronei sofìstici è collegato ad un altro interessante gruppo nel quale il ragionamento erroneo può essere definito come automatico. Può essere dovuto al caso che tutti gli esempi che darò sono ancora una volta storielle sullo Schadchen.

Uno Schadchen andato a discutere di una ragazza proposta come sposa, aveva portato con sé un assistente con il compito di appoggiare quanto egli doveva dire. «Essa è dritta come un albero di pino», disse lo Schadchen. «Come un pino», ripetè l'eco. «E dovreste vedere che occhi!». «Che occhi!» confermò l'eco. «E ha un'educazione migliore di chiunque altro!». «Che educazione!». «C'è un solo difetto per la verità», ammise il mediatore, «ha una piccola gobba». «E che gobba!» confermò l'eco ancora una volta.

Le altre [due] storie sono analoghe ma hanno più sapore.

1. Lo   sposo   fu   sorpreso   molto   sgradevolmente   quando gli fu presentata la sposa, e preso da una parte il mediatore, bisbigliando, gli fece le sue rimostranze: «Perché mi avete portato qui?» egli domandò con aria di rimprovero. «È brutta e vecchia, è strabica e ha brutti denti e occhi cisposi ...». - «Non c'è bisogno che abbassiate la voce», lo interruppe il mediatore, «è anche sorda».

2. Lo sposo stava facendo la sua prima visita alla casa della sposa in compagnia del mediatore, e mentre .stavano aspettando nel salotto che la famiglia si facesse vedere, il mediatore rivolse l'attenzione ad un armadio con ante a vetri nel quale era disposto un bellissimo servizio di piatti d'argento. «Ehi! Guardate là! Potete vedere da queste cose quanto sia ricca questa gente». «Ma », chiese sospettoso il giovanotto, «non potrebbe essere possibile che tutte queste belle cose siano state prese a prestito per dare un'impressione di ricchezza?». «No! Che idea!» rispose protestando il mediatore. «Chi credete che si possa fidare a dare qualcosa in prestito a questa gente?».

La stessa cosa accade in tutti e tre i casi. Una persona che ha reagito alla stessa maniera per diverse volte successivamente ripete lo stesso genere di commento alla seguente occasione, quando è inopportuno e contrasta con le sue stesse intenzioni. Quella persona non pensa ad adattare se stessa alle esigenze della situazione, lasciandosi andare all'automaticità dell'azione abitudinaria. Cosi nella prima storiella il «compare» dimentica che è stato portato lì per indurre il promesso sposo ad accettare la sposa proposta. Fin dall'inizio egli ha adempiuto al suo compito e ha sottolineato i pregi della sposa ripetendoli uno ad uno così come venivano presentati e nello stesso modo va avanti sottolineando la gobba di lei che era stata solo timidamente ammessa, che avrebbe dovuto invece minimizzare. Il mediatore, nella seconda storia, è così frastornato dall'enumerazione dei difetti della sposa e dalle sue infermità che completa la lista con un altro elemento di cui è a conoscenza, sebbene questo non sia affatto il suo scopo e non vada a suo vantaggio. Nel terzo episodio, infine, si lascia trasportare talmente dal suo ardore di convincere il giovanotto della ricchezza della famiglia, che, nel tentativo di trovarne una conferma, gli scappa detto qualcosa capace di rendere vani tutti gli altri argomenti. In tutti i casi l'automatismo sconfigge l'artificiosa modificazione del pensiero e dell'espressione.

E  questo  è  facile a   vedersi;   ma  allo  stesso  tempo  può sorgere una certa confusione quando notiamo che queste tre storielle hanno diritto ad essere definite «comiche» quanto ad esser citate quali «motti di spirito». La rivelazione dell'automatismo psichico è una delle tecniche del «comico», come avviene in ogni tipo di rivelazione o di autotradimento. Ci troviamo improvvisamente, a questo punto, di fronte al problema della relazione del motto di spirito con il comico che noi intendevamo evitare (vedi l'introduzione). Non può darsi che queste storielle siano soltanto comiche, e non anche spiritose? E la comicità opera qui con gli stessi metodi del motto di spirito? E, ancora una volta, che cos'è che costituisce la caratteristica peculiare del motto di spirito?

Dobbiamo tener presente che la tecnica di quest'ultimo gruppo di motti di spirito che abbiamo esaminato sta tutta nell'esprimere «un ragionamento errato». Ma dobbiamo ammettere che il loro esame ci porta più verso la confusione che verso la loro comprensione. Cionondimeno non deve essere abbandonata la nostra convinzione che una più completa conoscenza delle tecniche dei motti di spirito ci condurrà ad un risultato tale che possa servire come punto di partenza per ulteriori scoperte.

9

I prossimi esempi di motti di spirito, con i quali proseguiremo la nostra ricerca, ci offrono un compito più facile. Le loro tecniche, in particolare, ci ricordano quanto già sappiamo.

Per prima cosa, un motto di spirito di Lichtenberg:

«Gennaio è il mese nel quale presentiamo gli auguri ai nostri amici e gli altri sono i mesi nei quali gli auguri non si avverano».

Poiché questi motti di spirito si distinguono per la loro finezza più che per la loro forza comica, e ricorrono a mezzi poco vistosi, cominceremo con il presentarne un certo numero con lo scopo di intensificare il loro effetto:

«La vita umana è divisa in due parti. Nella prima desideriamo che arrivi la seconda; e nella seconda vorremmo tornare alla prima».

« L'esperienza consiste nello sperimentare ciò che non vorremmo sperimentare». (I due ultimi esempi sono tratti da Fischer, op. cit., pp. 59 e ss.)

Questi esempi ci ricordano un gruppo del quale abbiamo già trattato e che si distingue per «l'impiego molteplice dello stesso materiale». L'ultimo esempio in particolare ci induce a chiederci perché non lo abbiamo inserito in quel gruppo piuttosto che introdurlo qui in un quadro diverso. «L'esperienza» è ancora una volta descritta con la parola stessa che la denomina, proprio come è avvenuto precedentemente per «la gelosia». Io non sarei incline a discutere molto seriamente questa diversa classificazione. Ma per ciò che concerne gli altri due esempi (che hanno una natura simile), credo che ci sia un altro fattore più significativo e più importante dell'impiego molteplice delle stesse parole ed in essi, in questo caso, non c'è nulla che sfidi il doppio senso. Vorrei in particolare porre l'accento sul fatto che qui troviamo nuove e insospettate unità, relazioni di idee fra l'uno e l'altro, definizioni ricavate reciprocamente o riferentisi ad un terzo elemento comune. Vorrei definire questo processo col termine di «unificazione». Chiaramente, esso è analogo alla condensazione con compressione nelle stesse parole. Così le due parti della vita umana sono descritte dalla scambievole relazione che scopriamo esistere fra loro: nella prima desideriamo che arrivi la seconda e nella seconda desideriamo tornare alla prima. Per essere più precisi, due scambievoli relazioni, davvero simili, sono state scelte per la rappresentazione. Alla somiglianza delle relazioni corrisponde qui una somiglianza di parole, che ci possono davvero ricordare il reinterato impiego dello stesso materiale: «desideriamo ... arrivare» - «desideriamo ... tornare indietro». Nel motto di spirito di Lichtenberg, Gennaio e i mesi in contrasto con esso sono caratterizzati da una relazione (ancora una volta modificata) con un terzo elemento: gli auguri, che vengono fatti nel primo mese (e solo in quello) e che non si avverano negli altri mesi, Qui è assai chiara la differenza dal molteplice impiego dello stesso materiale (che si avvicina al doppio senso). (Per poter dare una definizione migliore di unificazione, mi servirò di qualcosa di cui ho già parlato — cioè la caratteristica relazione negativa che esiste tra motti di spirito ed indovinelli, secondo la quale gli uni nascondono ciò che gli altri rivelano. Molti degli indovinelli creati dal filosofo G. T. Fechner quando era ormai cieco, sono caratterizzati  da  un  alto grado  di   unificazione,  che  li   rende  particolar mente affascinanti.  Prendiamo, per esempio, la sciarada n. 203 (Dott. Mises,  Rätsebuchlein, 4°  ed.,  ampliata,  Lipsia  s.d.): Die beiden ersten finden ihre Ruhestätte Im Paar der andern, und das Gasze macht ihr Bette. [I   miei  primi   (Toten,  i  morti)  trovarono  il  luogo del  riposo  nei miei   ultimi  (Gräber,  tombe),   ed   il   mio  totale  (Totengräber,  becchino) fece il  loro, letto.]

Non ci viene detto nulla delle due paia di sillabe che devono essere indovinate, eccetto la relazione che le unisce, e per quel che riguarda il tutto, ci viene fornita soltanto la relazione che esso ha con le prime due paia.

Quelli che seguono sono due esempi di descrizione effettuata attraverso la relazione con lo stesso terzo elemento, oppure con uno leggermente modificato:

Die erste Silb hat «Zähne» und Haare.

Die zweite Zähne in den Haaren,

Wer auf den Zähnen nicht hat Haare.

Vom Ganzen kaufe keine Waren.                                 N.  170

[La prima sillaba ha denti e crine (Ross, cavallo), la seconda ha i denti nel crine (Kamm, pettine). Chi non ha il crine sui denti (non sa badare ai suoi interessi) non dovrebbe comprare merce dal tutto (Rosskamm, commerciante di  cavalli).]

Die erste Silbe frisst,

Die andere Silbe isst,

Die dritte wird gefressen,

Das Ganze wird gegessen.                                               N. 168

[La prima sillaba grufola (Sau, scrofa), la seconda sillaba mangia (Er, egli) la terza è trangugiata (Kraut, erbaccia), il totale è mangiato (Sauerkraut). N.B. In tedesco si usano due verbi differenti ma simili per «mangiare» a seconda che l'azione sia compiuta da animali ò da esseri umani.]

L'esempio più perfetto di unificazione si può trovare in una sciarada di Schleiermacher alla quale non si possono negare le caratteristiche del motto di spirito:

Von der letzten umschlungen

Schwebt das vollendete Ganze

Zu den Zwei ersten empor. [Intrecciato  dall'ultima   (strick,  corda),  il   mio  totale  (Galgenstrick, furfante) ondeggia in cima alle mie prime due (Galgen, forca).]

La grande maggioranza delle sciarade di questo genere non ha il pregio della unificazione. Vale a dire, l'indizio attraverso il quale si deve indovinare una sillaba è quasi indipendente da quello che mira alla seconda o alla terza, come pure dall'indicazione che deve condurre alla scoperta del totale.)

Ed ecco un preciso esempio di unificazione che necessità di una spiegazione.

Il poeta francese J. B. Rousseau scrisse un'Ode alla Posterità. Voltaire non era dell'idea che il poema meritasse di sopravvivere, ed osservò scherzosamente: «Questo poema non arriverà a destinazione». (Fischer, Op. Cit., p. 123.)

Quest'ultimo esempio sposta l'attenzione sul fatto che in assoluto è soprattutto l'unificazione quella che troviamo alla base della risposta arguta. Infatti la risposta arguta consiste nel passare prontamente dalla difesa all'attacco, nel «ripagare uno con la stessa moneta» o nel «fare botta e risposta» - il che significa stabilire un'inattesa unità tra attacco e contrattacco. Per esempio:

«Un oste aveva un patereccio sul dito ed il fornaio gli disse: "Deve esserti venuto perché hai messo il dito nella birra ". " Non è stato questo ", rispose l'oste, " mi è entrato un pezzetto del tuo pane sotto l'unghia"».  (K. Überhorst, Das Komische, vol. 2°, Lipsia, 1900.)

«S. A. Serenissima [il duca Carlo di Wurttemberg] stava compiendo un viaggio attraverso le province e tra la folla notò un uomo che presentava una sorprendente somiglianza con la sua augusta persona. Gli si avvicinò e chiese: " Vostra madre è mai stata a servizio a palazzo?". "No Altezza, ci fu mio padre"».

Il duca Carlo di Wurttemberg durante una passeggiata a cavallo incontrò per caso un tintore impegnato nel suo lavoro. Indicando il cavallo grigio che stava cavalcando, il duca chiese: "Potete tingerlo di azzurro?". "Sì, certo Altezza", fu la risposta, "se può resistere alla bollitura"» (Fischer, op. cit., p.  107).

In questa eccellente botta e risposta, in cui una domanda assurda incontra nella risposta una condizione ugualmente priva di senso, entra in azione un altro fattore tecnico che sarebbe mancato se il tintore avesse risposto: «No, Altezza, temo che il cavallo non resisterebbe alla bollitura».

L'unificazione ha a sua disposizione un altro strumento tecnico di particolare interesse: il legare insieme parti diverse con la congiunzione «e». Se le parti sono unite insieme in questo modo, questo significa che sono in stretta connessione: non possiamo evitare di capire questo. Per esempio, quando Heine, parlando della città di Göttingen nel Harzreise, osserva: «Parlando in generale, gli abitanti di Gòttingen si dividono in studenti, professori, filistei ed asini», noi prendiamo questa classificazione proprio nel senso indicato da Heine in un'aggiunta alla frase: «E queste quattro classi sono tut-t'altro che rigorosamente divise». O, ancora, quando egli parla della scuola in cui dovette imparare «tanto latino, bastone e geografia», questa serie, che è resa persino più chiara dalla posizione della parola «bastone» posta fra le due materia di studio, ci dice che l'inequivocabile punto di vista degli scolari sul bastone si estendeva certamente anche al latino e alla geografia. Fra gli esempi portati da Lipps di enumerazione scherzosa {coordinazione), troviamo i seguenti versi citati perché molto vicini alla frase di Heine «studenti, professori, filistei ed asini»:

Mit einer Gabel und mit Müh

Zog ihn die Mutter aus der Brüh .

[«Con una forchetta e con molta fatica

sua madre lo tirò fuori dallo stufato».  (Lipps, op. cit., p.  177.)

È come se (commenta Lipps), la Müh [fatica] fosse uno strumento come la forchetta. Noi sentiamo, comunque, che questi versi, sebbene siano molto comici, sono lontani dall'essere un motto di spirito. Potremo riprendere questi esempi più tardi, quando non avremo più bisogno di risolvere il problema della relazione tra la comicità ed il motto di spirito,

Abbiamo osservato nell'esempio del duca e del tintore che sarebbe risultato un motto di spirito mediante unificazione se il tintore avesse risposto: «No, temo che il cavallo non resisterebbe alla bollitura». Ma la sua risposta fu: «Sì, Altezza, se può resistere alla bollitura». La sostituzione dell'appropriato « no» con un «sì» costituisce un nuovo metodo tecnico di motto di spirito, l'uso del quale può essere ritrovato in alcuni altri esempi.

Un motto di spirito simile a quello che abbiamo già menzionato  (Fischer, op. cit., pp. 107 ss) è più semplice:

«Federico il Grande sentì parlare di un predicatore in Slesia che aveva fama di essere in contatto con gli spiriti. Lo mandò a chiamare e Io ricevette con questa domanda: "Puoi evocare gli spiriti?". La risposta fu: "Ai vostri ordini, Maestà. Ma non vengono"». È ovvio qui, che il metodo usato nel motto di spirito sta tutto nel fatto di sostituire la sola risposta possibile «no» con il suo contrario. Per effettuare questa sostituzione è stato necessario aggiungere un «ma» ad un «sì»; così «sì» e «ma» hanno un significato equivalente a «no». Questa rappresentazione per opposti, come noi la chiameremo, serve in vario modo al meccanismo del motto di spirito. Nei due esempi che seguono ciò apparirà ancora più chiaro:

«Questa signora rassomiglia alla Venere di Milo per molti aspetti: anche lei è straordinariamente vecchia, come quella non ha denti, ed ha chiazze bianche sulla superficie giallastra del corpo», scrive Heine.

Qui abbiamo la rappresentazione della bruttezza attraverso un paragone con qualcosa che è bellissimo. È ben vero che questi paragoni sono possibili soltanto quando si tratta di qualità espresse in termini che hanno un doppio senso o in importanti dettagli. Quest'ultima caratteristica si riferisce al nostro secondo esempio, Il Grande Spirito, di Lichtenberg:

«Riuniva in sé le caratteristiche dei grandi uomini. Teneva la testa di traverso come Alessandro; doveva sempre portare un parrucchino come Cesare; poteva bere litri di caffè come Leibniz; e una volta che si era accomodato nella sua poltrona, si dimenticava di mangiare e di bere come Newton, e, come lui, occorreva svegliarlo; portava la parrucca come il Dr. Johnson e lasciava sempre sbottonato l'ultimo bottone dei calzoni, proprio come Cervantes».

Von Falke riportò da un viaggio in Irlanda un esempio particolarmente brillante di rappresentazione per opposti, un esempio nel quale non si fa alcun uso di parole con doppio senso. La scena era una mostra di opere di cera (come potrebbe essere il museo di Madame Tussaud). Una guida stava accompagnando una compagnia di visitatori composta da persone giovani e anziane e, passando da una figura all'altra spiegava: «Questo è il Duca di Wellington ed il suo cavallo». Allora una giovane donna domandò: «Qual è il Duca di Wellington e quale il suo cavallo? ». «Quello che vuoi tu, piccola», fu la risposta. «Tu hai pagato il biglietto e hai il diritto di scegliere».

La riduzione di questo motto di spirito irlandese sarebbe: «Che vergogna! Con quale coraggio osano esporre in pubblico queste statue di cera! Uno non può neanche distinguere chi sia il cavallo e chi il cavaliere! (Esagerazione faceta). Ma guarda un po' per che cosa si deve buttare il denaro!». Questa esclamazione indignata, nata da un piccolo incidente, viene ulteriormente drammatizzata. Al posto del pubblico in generale, compare una giovane signora, e alla figura del cavaliere si attribuisce una identità precisa: deve essere il Duca di   Wellington,   tanto  popolare  in   Irlanda    Ma  l'impudenza del proprietario o della guida, che spilla denaro alla gente e non offre nulla in cambio, è rappresentata dall'opposto - da un discorso in cui egli si vanta di essere un eccellente uomo d'affari, che non ha nessuna preoccupazione maggiore di quella di salvaguardare i diritti che il pubblico ha acquistato con il pagamento. Ed ora possiamo vedere che la tecnica di questo motto di spirito non è delle più semplici. Per quanto riguarda il fatto che permette all'imbroglione di insistere sulla sua coscienziosità, si può parlare di un caso di rappresentazione per opposti; ma per il fatto che egli ottiene questo scopo quando gli viene richiesto qualcosa di molto diverso - tanto da rispondere con la rispettabilità dei suoi affari quando ci si aspettava da lui l'identificazione di una figura - si tratta di un esempio di spostamento. La tecnica del motto di spirito sta nella combinazione dei due mezzi.

Non c'è una grande differenza tra quest'esempio ed un piccolo gruppo che comprende quelli che possono essere definiti motti di spirito «esagerati». In essi il « sì» che andrebbe bene nella riduzione è sostituito da un «no», che, tuttavia, a causa del suo contenuto, ha la forza di un «sì» rafforzato, e viceversa. Una negazione è il sostituto di un'affermazione esagerata. Questo succede, ad esempio, nell'epigramma di Lessing (Si tratta dell'imitazione d'un epigramma della Antologia Palatina.) :

Die gute Galathee! Man sagt, sie schwörz ihr Haar;

Da dodi ihr Haar schon schwarz, als sie es kaufte, war.

[«La buona Galatea tinge di nero i suoi capelli, si è pensato; ma no!

I suoi capelli erano già neri quando se li è comprati».]

Oppure la maliziosa pseudo-difesa della filosofia fatta da Lichtenberg: «Ci sono più cose in cielo ed in terra di quanto non si sogni nella vostra filosofia», aveva detto sprezzantemente il Principe Amleto. Lichtenberg sapeva che questa condanna non era abbastanza severa, perché non teneva conto di tutte le obiezioni che si possono fare alla filosofia. Perciò aggiunse ciò che era stato tralasciato: «Ma nella filosofia c'è anche molto che non si può trovare né in cielo né in terra». La sua aggiunta, è vero, rende più evidente il modo in cui la filosofia ci compensa per le insufficienze di cui l'accusa Amleto. Ma questa compensazione implica un'altra e più grave accusa.

Due motti di spirito ebrei, anche se piuttosto volgari, sono anche più chiari, in quanto privi di qualunque traccia di spostamento.

«Due ebrei parlavano di bagni. "Io faccio il bagno ogni anno ", disse uno di loro, "che ne abbia bisogno o meno "». È ovvio che il fatto di insistere con vanagloria sulla sua pulizia serve solo a rivelare che è molto sporco.

«Un ebreo notò i resti di un po' di cibo nella barba di un altro. "Posso dirvi che cosa avete mangiato ieri". "Bene, ditemelo". "Allora, lenticchie". "Sbagliato: le ho mangiate l'altro ieri! "».

L'esempio seguente è un eccellente motto di spirito con esagerazione, che si può facilmente far risalire alla rappresentazione per opposti:

Il re accettò di visitare una clinica chirurgica ed andò dal professore mentre questi stava amputando una gamba. Egli accompagnò tutte le fasi dell'operazione con alte espressioni della sua regale soddisfazione: «Bravo! bravo! mio caro professore!». Finita l'operazione il professore gli si avvicinò e gli chiese con un profondo inchino: «Vostra Maestà ordina che io amputi anche l'altra gamba?».

Certamente i pensieri del professore durante l'ascolto delle frasi entusiaste del re non avrebbero potuto essere espressi nella loro forma reale: «Sembra che io tagli la gamba malata del poveretto per ordine regale e solo per la soddisfazione del re. Dopotutto io ho effettivamente altre ragioni per operare». Ma poi egli va dal re e dice: «Non ho altre ragioni per effettuare una seconda operazione, tranne un ordine di Vostra Maestà. L'approvazione di cui mi avete onorato mi ha reso così felice che aspetto soltanto un cenno di Vostra Maestà per amputare anche la gamba sana». In questo modo egli riesce a farsi capire dicendo esattamente il contrario di ciò che pensa sia meglio tenersi per sé. Questo contrario è un'esagerazione cui nessuno può credere.

Come dimostra quest'esempio, la rappresentazione attraverso un opposto è uno strumento della tecnica del motto di spirito, che viene frequentemente usato ed ha un effetto notevole. Ma c'è qualcos'altro che non dobbiamo tralasciare: vale a dire che questa tecnica non è una tecnica peculiare del motto di spirito. Quando Marc'Antonio, dopo aver parlato a lungo nel foro ed aver rovesciato l'atteggiamento emozionale degli ascoltatori raccolti attorno al corpo di Cesare, esclama ancora una volta:

Perché Bruto è un uomo d'onore ...*

egli sa che ora la gente reagirà gridando il vero significato delle parole:

Erano traditori:   altro che uomini d'onore!

Ora, quando Simplicissimus  descrive una collezione di incredibili atti di brutalità e di cinismo come espressione del «sentimento umano», siamo di fronte ancora una volta ad una rappresentazione attraverso l'opposto. Ma noi chiamiamo questo ironia e non più motto di spirito. La sola tecnica che caratterizza l'ironia è la rappresentazione per opposti. Per di più noi leggiamo e sentiamo citati i «motti di spirito ironici». Dunque, non si può dubitare più a lungo: la sola tecnica non è sufficiente a caratterizzare la natura del motto di spirito. Si richiede qualcosa di più che non abbiamo ancora scoperto. Ma, d'altra parte, rimane ancora un fatto certo e cioè che, se noi distruggiamo la tecnica del motto di spirito, questo scompare. Per ora possiamo trovare qualche difficoltà nel capire come si possano conciliare questi due punti fissi a cui siamo arrivati nello spiegare i motti di spirito.

Se la rappresentazione per opposti è uno degli strumento tecnici dei motti di spirito, ci possiamo aspettare che i motti di spirito si possano avvalere anche della tecnica contraria - la rappresentazione attraverso qualcosa di simile o di analogo. Un'ulteriore ricerca della nostra inchiesta ci mostrerà infatti che questa è la tecnica di un nuovo, ampio gruppo di motti di spirito concettuali. Definiremo molto più appropriamente questa tecnica se, al posto di rappresentazione attraverso qualcosa di analogo, diremo piuttosto attraverso qualcosa di «o-mogeneo» o «connesso». Cominciamo, dunque, da quest'ultima  caratteristica  ed  illustriamola  subito con  un  esempio.

Ecco un aneddoto americano.

Due uomini d'affari non molto scrupolosi, a forza di imprese rischiosissime, erano riusciti ad accumulare una grossa fortuna e stavano quindi facendo grandi sforzi per entrare nella buona società. Un metodo che sembrò loro eccellente fu di farsi fare il proprio ritratto dal più celebre e caro artista della città, i cui dipinti venivano tenuti in altissima considerazione. Le preziose tele furono esposte per la prima volta ad un gran ricevimento, ed i due anfitrioni portarono il più influente conoscitore e critico d'arte vicino al muro sul quale i ritratti erano appesi, l'uno a fianco all'altro, per strappargli un giudizio ammirato. Egli studiò a lungo i lavori, quindi, scuotendo la testa come se ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, indicò lo spazio tra i dipinti e chiese tranquillamente:   «Ma dov'è il Redentore?».

Il significato di questa osservazione è chiaro. Si tratta ancora una volta della rappresentazione di qualcosa che non può essere espressa direttamente. Come avviene questa rappresentazione indiretta} Partendo dalla rappresentazione nel motto di spirito, noi ripercorriamo il sentiero all'indietro attraverso una serie di associazioni e deduzioni facilmente stabilite. Possiamo indovinare dalla domanda «ma dov'è il Redentore?» che l'immagine dei due quadri ne ha ricordato all'interlocutore una analoga, familiare a lui come a noi, che comunque, includeva un elemento che qui mancava - il dipinto del Salvatore fra altre figure. C'è una sola simile situazione: Cristo fra i due ladroni. L'elemento che manca è evocato dal motto di spirito. L'analogia sta nei quadri, appesi alla destra e alla sinistra del Redentore, che il motto di spirito sfiora; e consiste soltanto nel fatto che i quadri appesi alle pareti sono quadri di ladroni. Ciò che il critico voleva dire ma non ha potuto dire era: «Siete una coppia di furfanti»; o, più chiaramente: «Che me ne importa dei vostri quadri? Voi siete una coppia di furfanti - lo so bene!». E finì con il dirlo servendosi di qualche associazione di idea e di qualche deduzione, nella maniera che noi abbiamo definita come allusione. Ricordiamo subito dove abbiamo già incontrato l'allusione: connessa con il doppio senso. Quando due significati sono insiti in una parola ed uno di essi è tanto più frequente e normale che ci viene subito in mente, mentre l'altro è meno usato e perciò meno evidente, abbiamo stabilito di parlare di doppio senso con allusione. Nel complesso degli esempi che abbiamo già esaminato, abbiamo notato che la tecnica non è semplice, ed ora capiamo che l'allusione è il fattore che li complica. (Vedi per esempio il motto di spirito con inversione sulla moglie che si era adagiata un po' e così aveva potuto guadagnare molto, o il motto di spirito per controsenso sull'uomo che replica alle congratulazioni per la nascita del suo ultimo figlio dicendo che è incredibile quante cose possano fare le «mani» umane).

Nell'aneddoto americano ci troviamo davanti ad un'allusione senza alcun doppio senso, e vediamo che la sua caratteristica consiste nel sostituire una cosa con un'altra, che sia collegata con la prima in connessione concettuale. È facile intuire che la connessione utilizzabile è di diversi tipi. Per non perderci in una massa di dettagli discuteremo soltanto delle varianti più importanti, e servendoci solo di pochi esempi. La connessione usata per la sostituzione potrebbe essere soltanto una omofonia, così che questa sottospecie diventa analoga ai puns fra i motti di spiritò verbali. Qui, comunque, non c'è omofonia tra due -parole, ma fra due frasi, fra due espressioni caratteristiche, e così di seguito.

Per esempio, Lichtenberg ha coniato la frase: «Nuove sorgenti curano bene», che subito ci ricorda il proverbio: «Nuove ramazze puliscono meglio». Le due frasi hanno in comune la prima parola e mezza e l'ultima, come pure l'intera struttura della frase.  [In tedesco le prime sillabe di «sorgenti» (Bäder) e di «ramazze» (Besen) hanno un suono simile; e nel proverbio tedesco l'ultima parola è «bene» (gut).]

E non v'è dubbio che l'espressione sia venuta in mente all'arguto filosofo come un'imitazione del familiare proverbio. Dunque la frase di Lichtenberg diventa un'allusione al proverbio. Per mezzo di quest'allusione viene suggerito qualcosa che non è detto esplicitamente - in questo caso, che qualcos'altro sia responsabile degli effetti prodotti dalle sorgenti oltre alle invariabili caratteristiche delle sorgenti termali.

Una soluzione tecnica analoga si applica ad un'altra arguzia (Scherz) o motto di spirito (Witz) di Lichtenberg: «Una ragazza di appena dodici Moden (mode) di età». Che richiama per assonanza «dodici Monden (lune) », mesi, ed originariamente potrebbe essere stato un lapsus della penna al posto di quest'ultima, che è un'espressione permessa in poesia. Ma ha anche senso usare come metodo per determinare l'età della, donna i cambiamenti della moda, invece di quelli della luna.

Il legame può anche consistere nella somiglianza, eccezion fatta per una «leggera modifica». Così anche questa tecnica è parallela alla tecnica verbale. Entrambi i tipi di motti di spirito causano presso a poco lo stesso effetto, ma è più facile distinguerli l'uno dall'altro se si prende in considerazione il meccanismo del motto di spirito. Ed ecco un esempio di motto di spirito o di pun di questo tipo.

Marie Wilt era una grande cantante, famosa per l'estensione ...non soltanto della sua voce. Conobbe l'umiliazione di veder applicato alla sua figura deforme un gioco di parole basato sul noto romanzo di Giulio Verne «il giro della Wilt (in tedesco «mondo» si dice Welt) in 80 giorni».

Oppure: Every fathom a queen - in ogni bracciata del suo corpo una regina - modifica della nota frase di Shakespeare Every inch a king - per ogni pollice del suo corpo era un re - re in ogni pollice del suo corpo, (re da capo a piedi). L'allusione a questa citazione fu fatta a proposito di una aristocratica grassa fuori misura. Non si potrebbero fare obiezioni se qualcuno preferisse includere questo motto di spirito  tra   quelli  con   «condensazione  con   modificazione».

Un amico disse di qualcuno che aveva dei propositi elevati ma si ostinava a voler raggiungere la sua meta: «Er hat ein Ideal vor dem Kopf» [ «Ha un ideale davanti agli occhi» ]. La frase corrente è: Ein Brett von dem Kopf haben (lettera-mente, «avere un asse davanti alla testa, avere i paraocchi, essere ottuso»). La modifica allude a questa frase e si serve del suo significato per i propri scopi. In questo caso ancora una volta, la tecnica può essere definita come condensazione con modifica.

È quasi impossibile fare una distinzione tra «allusione per mezzo della modifica » e «condensazione con sostituzione», se la modifica è limitata al cambiamento delle lettere. Per esempio: «Dichteritis» (parola inesistente, che può essere tradotta «autorite» - da «Dichters » [un autore]). L'allusione al funesto contagio della «Diphteritis (difterite)» prospetta come un altro pericolo pubblico anche la mania di scrivere dei dilettanti.

Le particelle negative creano delle allusioni molto chiare, rese possibili grazie ad una leggera modifica:

«Mio caro co/rreligionario Spinoza», dice Heine. «Noi, per disgrazia di Dio, braccianti a giornata, servi, negri, contadini...» è il modo in cui Lichtenberg inizia un manifesto (con il quale non va molto più in là) fatto tutto di questi sfortunati - che certamente hanno più diritto a questo titolo di quanto non ne abbiano re e principi alla formula immodificata.

Infine, un altro tipo di allusione è l'omissione, che può essere paragonata alla condensazione senza formazione di un sostituto. In realtà, in ogni allusione qualcosa viene omesso, cioè il corso del pensiero che porta all'allusione. Il che dipende soltanto dal fatto se la cosa più ovvia sia il vuoto nelle parole dell'allusione o il sostituto che riempie parzialmente il vuoto. Così una serie di esempi ci riporterebbe da un'evidente omissione ad un'allusione vera e propria. Un'omissione senza una sostituzione è evidente nel seguente esempio.

Un giornalista arguto e combattivo vive a Vienna; le sue pungenti critiche lo avevano portato più d'una volta ad essere fisicamente maltrattato da chi era oggetto delle sue invettive. Una volta, mentre veniva discusso un nuovo misfatto di uno dei suoi abituali nemici; qualcuno esclamò: «Se X. lo viene a sapere, si prenderà di nuovo qualche ceffone». [X.  indica  qui  Karl  Kraus]

 La tecnica di questo motto di spirito, per prima cosa, si fonda sullo stupore per la sua apparente assurdità, giacché non riusciamo a capire come qualche ceffone possa essere l'immediata conseguenza dell'aver udito qualcosa. L'assurdità scompare se noi inseriamo nel vuoto: « Egli scriverà un articolo talmente sarcastico su quell'uomo che ... ecc.». Un'allusione per mezzo di un'omissione, combinata con un controsenso, sono perciò gli strumenti tecnici usati in questo motto di spirito.

Heine dice: «Quel tizio si loda tanto da far salire il prezzo dei deodoranti». Qui la lacuna è abbastanza facilmente colmata. La parte omessa viene sostituita da una deduzione, la quale riporta all'omissione, con un riferimento allusivo ad un noto detto tedesco:  «La lode di se stesso puzza».

E adesso, ancora una volta, due Ebrei fuori dai bagni pubblici. Uno dei due rileva: «Ecco. Un altro anno se ne è andato!».

Questi esempi ci tolgono ogni dubbio sul fatto che qui l'omissione è parte integrante dell'allusione.

C'è ancora una notevole lacuna nel nostro prossimo esempio, sebbene si tratti di un genuino e corretto motto di spirito con allusione. Dopo un carnevale d'artisti, a Vienna, fu fatto circolare un libello scherzoso nel quale, tra gli altri, era anche il seguente epigramma:

Una moglie è come un ombrello. Prima o poi si prende il taxi.

Un ombrello non protegge abbastanza dalla pioggia. Quel «prima o poi» può significare soltanto «se piove molto», e il taxi è un veicolo pubblico. Ma giacché qui si parla soltanto della forma della similitudine, noi rimanderemo l'esame più dettagliato del motto di spirito a più tardi. Il Bäder von Lucca di Heine  contiene un vero vespaio di pungenti allusioni e fa uso in modo magistrale di questa forma di motto di spirito con scopi polemici (contro il conte Platen). Molto presto il lettore può arguire di che cosa si tratta, vi sono accenti di un particolare tema, del tutto inadatti alla rappresentazione diretta, tramite delle allusioni al materiale della più varia specie, - per esempio, nelle trasformazioni verbali di Hirsch-Hyacinth: «Tu sei troppo grosso ed io troppo sottile; tu hai molta immaginazione ed io ho maggior senso degli affari; io sono un pratico e tu sei un diarretico; in breve, siamo completamente agli antipodi». - «Venere Urinia» - «La grossa Gudel (allusione a una ricca dama amburghese con questo nome) von Dreckwall(Dreck = escremento)» di Amburgo e così via. Poi gli eventi descritti dall'autore si presentano in un modo che a prima vista sembrerebbero testimoniare solo la sua petulanza maliziosa ma che presto rivelano la loro relazione con uno scopo polemico ed allo stesso tempo ci si presentano come allusioni. Alla fine esplode l'attacco contro Platen, e di qui in poi le allusioni al tema dell'amore del conte per gli uomini (con il quale ci siamo già familiarizzati) sgorga e si spande in ogni frase dell'attacco di Heine sul talento ed il carattere del suo antagonista. Per esempio:

Anche se le Muse non gli sono benevole, egli tiene il Genio della Parola in suo potere, o, comunque, sa come usargli violenza. Infatti non gode dell'amore spontaneo di quel Genio, e perciò deve inseguirlo incessantemente: inoltre sa catturare solo le forme esteriori, che, nonostante la loro adorabile rotondità, non parlano mai con nobili suoni...

[...] È come lo struzzo che crede di essere ben nascosto se infila la testa nella sabbia, in modo che si possa vedere solo il suo culo. Il nostro uccello esaltato avrebbe fatto meglio a nascondere il deretano nella sabbia ed a mostrarci la testa.

Forse l'allusione è il metodo più comune e duttile per la creazione dei motti di spirito, ed è alla base della maggior parte dei motti di spirito di breve durata, con i quali siamo abituati ad intessere le nostre conversazioni, e che non avrebbero senso, una volta estirpati dal loro suolo naturale e presi isolatamente. Ma questo ci ricorda proprio, una volta di più, il fatto che ci ha confuso le idee nel nostro studio della tecnica del motto di spirito. Un'allusione, di per sé, non costituisce un motto di spirito. Ci sono allusioni costruite in modo corretto che non contengono quel carattere. Solo le allusioni che Io posseggono possono essere definite dei motti di spirito. Di modo che il criterio del motto di spirito, che abbiamo cercato di scoprire attraverso la loro tecnica, ci sfugge ancora una volta.

Ho definito occasionalmente l'allusione come una rappresentazione indiretta; ed ora possiamo osservare che i vari tipi di allusioni, insieme alla rappresentazione per opposti ed alle altre tecniche che abbiamo citato, possono essere riuniti in un grande, unico gruppo, per il quale il termine più completo sarebbe quello di rappresentazione indiretta. Ragionamento errato, unificazione - questi sono anche i titoli sotto i quali possiamo classificare quelle tecniche dei motti di spirito concettuali di cui siamo venuti a conoscenza.

Se esaminiamo più a fondo il nostro materiale, ci sembra di individuare una nuova sotto-specie di rappresentazione indiretta, che ha delle caratteristiche ben precise, ma di cui sono stati forniti pochi esempi. Si tratta della rappresentazione attraverso qualcosa di piccolo o di molto piccolo, che risponde al compito di dare piena espressione ad un'intera caratteristica per mezzo di un piccolo dettaglio. Questo gruppo può essere classificato come allusione, se pensiamo che questa piccolezza è in relazione a quanto deve essere rappresentato, e può essere visto come sua derivazione. Per esempio:

Un Ebreo della Galizia stava viaggiando su un treno. Si era sistemato comodamente, si era sbottonato la giacca e aveva poggiato i piedi sopra il sedile. Proprio in quel momento un signore vestito modernamente entrò nello scompartimento. L'Ebreo si tirò su e prese una posizione più corretta. L'estraneo prese a sfogliare le pagine di un'agenda, fece qualche calcolo, rifletté per un momento e poi improvvisamente chiese all'Ebreo: «Mi scusi, quando è Yom Kippur (il Giorno della Espiazione)?». «Oh», disse l'Ebreo e mise di nuovo i piedi sul sedile prima di rispondere.

Non si può negare che questa rappresentazione attraverso qualcosa di piccolo sia in relazione con la tendenza al risparmio che dobbiamo considerare, in seguito alla nostra ricerca, il fondo comune della tecnica verbale.

Ecco un esempio molto simile:

Un dottore a cui era stato chiesto di assistere una baronessa durante il parto, annunciò che il momento non era ancora giunto e propose al barone di fare nell'attesa una partita a carte nella stanza vicina. Dopo un po' un grido di dolore della baronessa giunse alle orecchie dei due uomini: «Ah, mon Dieu, que je souffre». Il maritò balzò in piedi, ma il dottore gli fece segno di sedersi: «Non è niente. Andiamo avanti con il gioco!». Popò dopo giunsero altre grida da parte della donna incinta: «Mein Gott, mein Gott, che terribili dolori!» «Non andate professore?», chiese il barone. «No, no. Non è ancora tempo». Alla fine dalla porta vicina venne un inconfondibile grido «Aa-ee, Aa-ee, Aa-ee!». Il dottore gettò le carte ed esclamò:  «Adesso è ora».

Questa divertente storiella mostra due cose: come il dolore faccia anche trapelare la sua natura primitiva attraverso tutte le stratificazioni dell'educazione, e come una decisione importante possa essere presa nel modo giusto sulla base di un elemento apparentemente insignificante.

12.

C'è un altro tipo di rappresentazione indiretta usata nei motti di spirito, vale a dire la similitudine. L'abbiamo tenuta da parte tanto a lungo perché il fatto di prenderla in considerazione ci mette di fronte a nuove difficoltà, o rende particolarmente evidenti difficoltà che abbiamo già incontrato in altri contesti. Abbiamo già ammesso che in taluni degli esempi esaminati non siamo stati capaci di eliminare il dubbio sul fatto se essi dovessero venire considerati dei motti di spirito o meno; ed in questa incertezza abbiamo trovato che i fondamenti della nostra ricerca sono stati seriamente messi in dubbio. Mi rendo conto di questa incertezza molto più profondamente e frequentemente nei motti di spirito fondati su una similitudine. Esiste una sensazione - e probabilmente questo vale per molte altre persone nelle mie stesse condizioni - che mi dice «questo è un motto di spirito, posso definirlo un motto di spirito», anche prima che la natura essenziale e nascosta del motto di spirito sia stata scoperta. Questa sensazione mi lascia incerto molto spesso, nel caso dei paragoni spiritosi. Se, tanto per cominciare, io affermo con sicurezza che una similitudine è un motto di spirito, dopo un momento mi sembra di notare che il piacere che esso mi dà è di una qualità diversa da quella che generalmente mi viene da un motto di spirito. Ed il fatto che le analogie scherzose provochino molto  spesso  l'esplodere  delle  risate che  segnala  un buon motto di spirito, non mi permette di risolvere il dubbio nel solito modo - limitandomi agli esempi migliori e più efficaci della specie.

È facile dimostrare che ci sono esempi decisamente graziosi ed efficaci di paragoni che al limite non ci colpiscono come motti di spirito. La bella similitudine tra la tenerezza del diario di Ottilia ed il filo rosso della marina inglese è una di questi. E non posso trattenermi dal citarne un'altra che non mi stanco mai di ammirare e dal cui effetto sono sempre colpito. Si tratta della similitudine con cui il Lassalle chiuse una celebre arringa (La Scienza ed i Lavoratori):

Il fatto di venire imprigionato, se questa fosse la sua fine, non avrebbe un effetto maggiore su un uomo come quello che vi ho descritto, il quale ha preso come perenne monito per la propria vita le parole La Scienza ed i Lavoratori, di quello che avrebbe su un chimico preparato lo scoppio di una storta durante i suoi esperimenti scientifici. Appena l'interruzione si è esaurita, dopo un breve sguardo accigliato alla ribellione del materiale, egli riprenderà tranquillamente le sue ricerche e le sue fatiche.

Una ricca antologia di similitudini scherzose può essere ritrovata negli scritti di Lichtenberg (il secondo volume dell'edizione di Gottingen del 1853) e da queste io trarrò il materiale per la nostra ricerca.

È quasi impossibile portare la fiaccola della verità attraverso la folla senza bruciare la barba di qualcuno.

Senza dubbio questo sembra un motto di spirito; ma ad un esame più attento notiamo che l'effetto scherzoso non nasce dal paragone in sé, ma dai suoi caratteri secondari. La «fiaccola della verità» non è un'immagine nuova, ma è stata usata invece spesso, tanto da trasformarsi in un cliché -cosa che accade sempre quando un'immagine ha fortuna e viene accettata nell'uso linguistico.

Sebbene non si noti più il paragone nella frase «la fiaccola della, verità», Lichtenberg le restituisce improvvisamente la sua forza originaria completa. Infatti, viene fatta un'aggiunta alla similitudine e da essa deriva una conseguenza. Ma noi siamo già abituati ad un processo simile a questo che consiste nel dare il vero significato ad un'espressione attenuata, come tecnica del motto di spirito. Esso trova un posto nell'impiego molteplice dello stesso materiale. Può anche essere che l'impressione divertente originata dalla osservazione di Lichtenberg, nasca soltanto dalla dipendenza di questa dalla tecnica del motto di spirito.

Lo stesso giudizio si può applicare con egual diritto ad un'altro paragone scherzoso dello stesso autore:

Per essere esatti, l'uomo non fu una grande luce (Licbt) ma fu un grande candelabro (Leuchter)... era un professore di filosofia.

Descrivere uno studioso come una grande luce, un lumen mundi, è un paragone che da tempo ha perso ogni efficacia, sia che in origine avesse l'effetto di un motto di spirito o no. Ma la similitudine viene rinfrescata e le viene restituita la sua forza primitiva, se si fa nascere da essa una modifica e si ottiene in questo modo, da essa, un nuovo paragone. Sembra che il modo in cui nasce questa seconda analogia sia ciò che determina il motto di spirito. Questo sarebbe un esempio della stessa tecnica del motto di spirito usata nell'esempio della fiaccola.

Sembra che l'esempio seguente abbia le caratteristiche del motto di spirito per una ragione diversa, ma che può essere considerata simile:

Mi sembra che le recensioni siano una specie di malattia infantile da cui i libri appena nati sono più o meno affetti. Ci sono esempi di elementi sanissimi che muoiono per questo; mentre i più deboli sopravvivono. Alcuni restano completamente immuni. Si sono fatti spesso tentativi di salvaguardarsi dalle recensioni mediante gli amuleti delle dediche, od anche di immunizzarsi contro tale pericolo con il proprio giudizio personale. Ma questo non serve sempre.

Il paragone delle recensioni con le malattie infantili è basato nel primo esempio sul fatto di venire esposti ad esse subito dopo essere arrivati alla luce del sole. Non mi arrischio a stabilire se a questo punto il paragone ha già le caratteristiche di un motto di spirito. Ma esso viene portato avanti: ne deriva che il destino dei nuovi libri può essere rappresentato nell'ambito della stessa similitudine o attraverso una similitudine in relazione con questa. Indubbiamente una continuazione come quésta di un confronto è nella natura del motto di spirito, ma sappiamo già qual è la tecnica a cui si deve questo - è un caso di unificazione, la creazione di un legame inatteso. Il carattere dell'unificazione non viene alterato dal fatto che in questo caso esso consiste in un'aggiunta ad una similitudine preesistente.

In un altro gruppo di comparazioni si è tentati di sostituire ciò che è indubbiamente un'impressione che ha il carattere di motto di spirito con un altro fattore, che ancora una volta non ha niente  a  che  fare,  di  per  sé, con la natura della similitudine. Queste sono delle similitudini che contengono un accostamento sorprendente, spesso una combinazione che suona assurda, oppure esse sono sostituite da qualcosa che ha lo stesso effetto del paragone. La maggior parte degli esempi di Lichtenberg appartiene a questo gruppo.

È un peccato che uno non possa guardare nelle sapienti viscere degli autori in modo da scoprire che cosa hanno mangiato.

Le viscere «sapienti» è indubbiamente un epiteto assurdo e sconcertante che si spiega soltanto con la similitudine. E che dire se la sua natura di motto di spirito fosse dovuta al suo sconcertante carattere di combinazione? Se così fosse, ci sarebbe una corrispondenza, un metodo di creazione del motto di spirito con il quale ci siamo già familiarizzati - «la rappresentazione per assurdo».

Lichtenberg ha usato lo stesso confronto tra l'assimilazione di letture e materie istruttive e l'assimilazione di nutrimenti fisici per uri altro motto di spirito:

Egli teneva in grandissima considerazione lo studio a casa, ed era perciò  largamente  favorevole  all'imparare mangiando.

Altre similitudini dello stesso autore mostrano la stessa assurda, o perlomento sorprendente attribuzione di epiteti che come incominciamo a notare costituiscono il nucleo centrale del motto di spirito:

Ognuno ha il suo rovescio morale (backside) [in  inglese,   deretano] che non mostra se non in caso di necessità e che tiene nascosto quanto più a lungo è possibile nelle brache della rispettabilità.

« Rovescio della morale» - l'assegnazione di questo attributo è sorprendente ed è il risultato di una comparazione. Ma in più, il paragone viene portato oltre con un gioco di parole - «necessità» - e con un ancor più insolito accostamento («le brache della rispettabilità»), che è forse un motto di spirito di per sé; poiché le brache, dacché sono le brache della rispettabilità, diventano, per così dire, un motto di spirito. Non dobbiamo dunque sorprenderci se il tutto ci dà l'impressione di essere un paragone che costituisce anche un ottimo motto di spirito. Noi cominciamo a notare che siamo inclini, generalmente, quando una caratteristica si riferisce soltanto ad una parte del tutto, ad estenderla, nel nostro giudizio, al tutto stesso. Le « brache della rispettabilità», incidentalmente, ci richiamano qualche  sorprendente verso di Heine:

... Bis mir endlich,

endlich alle Knopfe rissen

an der Hose der Geduld.

 [«... Finché alla fine, alla fine ogni bottone salta dalle brache della mia pazienza».]

Non vi può essere dubbio alcuno che queste due ultime comparazioni abbiano una caratteristica che noi non troviamo in ogni buona similitudine (come dire, in ogni paragone calzante). Di esse infatti potremmo dire che raggiungono un alto grado di degradazione. Esse accostano qualcosa che appartiene ad un'alta categoria, qualcosa di astratto (in questi esempi, «rispettabilità» e «pazienza»), con qualcosa di molto concreto ed anche un po' spregevole («brache»). In un altro esempio considereremo il fatto che questa peculiarità abbia o meno qualcosa a che fare con. il motto di spirito. Adesso cercheremo di analizzare un altro esempio in cui questa caratteristica dispregiativa è particolarmente chiara. Weinberl, l'impiegato nella farsa di Nestroy Vuole fare bisboccia, immagina come un giorno, quando sarà un rispettabile uomo d'affari, ricorderà il tempo della sua giovinezza:

Quando il ghiaccio di fronte al magazzino della memoria si è sciolto cosi in un discorso amichevole, quando la porta ad arco dei vecchi tempi è stata aperta di nuovo e la vetrina dell'immaginazione è piena di ricordi del passato ...

Certamente queste sono delle similitudini tra cose astratte e cose molto comuni; ma il motto di spirito dipende - in parte o interamente - dal fatto che un commesso si serva di paragoni tratti dal campo delle sue attività quotidiane. Il trasportare queste astrazioni e il porle in connessione con le cose ordinarie delle quali si compone la sua vita è purtutta-via un atto di unificazione.

Ma torniamo alle analogie di Lichtenberg:

I moventi che ci conducono a fare qualsiasi cosa potrebbero essere espressi come i trentadue venti (punti della bussola) e potrebbero essere chiamati alla stessa maniera: per esempio, «pane / pane - fama» o «fama / fama - pane».

Come accade spesso con i motti di spirito di Lichtenberg, l'impressione di qualcosa di idoneo, arguto e pungente è così evidente che il nostro giudizio sulla natura di ciò che costituisce il motto di spirito ne resta ingannato. Quando una qualche arguzia si fonde con ricchezza di significati in un'osservazione di questo genere probabilmente saremo portati a dichiarare che il tutto è un eccellente motto di spirito. Mi piacerebbe, piuttosto, azzardare e dire che ogni cosa che sia veramente nella natura di un motto di spirito nasce dalla sorpresa di una strana combinazione come «pane / pane - fama». Come motto di spirito, perciò sarebbe una rappresentazione per assurdo.

Uno strano accostamento o l'attribuzione di un epiteto assurdo possono dare lo stesso risultato di una similitudine.

« Una donna zweischläfrige una donna a due piazze» (letto sul quale si può dormire in due). «Un banco di chiesa einschläfriger» (soporifero e anche «sul quale si può dormire da soli»). (Entrambe le citazioni sono tratte da Lichtenberg.) Dietro queste due frasi c'è una similitudine con il letto; in entrambe, accanto allo stupore opera il fattore tecnico della allusione - un'allusione nell'un caso ai soporifici effetti di un sermone e nell'altro all'inesauribile tema delle relazioni sessuali.

Fin qui abbiamo trovato che per quanto un confronto possa sembrarci spirilogia ci colpisce come parte della natura di un motto di spirito, ciò è dovuto al fatto che riconosciamo una delle tecniche dei motti di spirito a noi familiare. Ma pochi altri esempi ci daranno finalmente l'opportunità di mettere in evidenza una similitudine può essere essa stessa un motto dì spirito. Ecco come Lichtenberg descrive certe odi:

Sono in poesia quel che gli immortali lavori di Jakob Bohme sono in prosa — una specie di picnic nel quale l'autore provvede alle parole ed il lettore al senso.

Quando egli filosofeggia, dà una traccia, un gradevole chiarore lunare sulle cose, che in generale ci fa piacere ma che non ci mostra chiaramente neanche una sola cosa.

O Heine:

Il suo volto somiglia ad un palinsesto, sul quale sotto la più recente nera scrittura con la quale il monaco ha copiato il testo di un Padre della Chiesa, si nascondono le rime semidimenticate di un antico poema d'amore greco. (Harzreise).

Oppure prendiamo il lungo confronto, che è nel Bäder von Lucca (Reisebilder III) con uno scopo molto avvilente:

Un ecclesiastico cattolico si comporta piuttosto come un impiegato di un grosso ufficio. La Chiesa, la grande azienda, della quale il Papa è il capo, gli dà un lavoro sicuro e, in cambio, un salario sicuro. Egli lavora pigramente, come tutti coloro che non lavorano per se stessi, hanno numerosi colleghi e possono facilmente passare inosservati in mezzo al grande trambusto della ditta. La sola cosa che gli sta a cuore è la fiducia dell'azienda e ancor di più il non essere licenziato, poiché se fallisce perderebbe i suoi mezzi di sussistenza. Un ecclesiastico protestante, invece, è in ogni caso solo il principale di se stesso e svolge i suoi affari religiosi per il proprio esclusivo interesse. Egli, al contrario del suo collega mercante cattolico, non tratta affari all'ingrosso ma solo al dettaglio. E finché si dovrà arrangiare da solo, non potrà essere pigro. Dovrà pubblicizzare i suoi articoli di fede, dovrà battere la concorrenza degli altri e, vero dettagliante qual è, starà nel suo negozio di vendita al dettaglio, pieno di lavoro ed invidioso di tutte le grosse aziende e particolarmente della grande impresa di Roma, che paga i salari di tante migliaia di contabili e di imballatori  ed  ha le sue  fabbriche  in  tutto il   mondo.

Di fronte a questo ed a molti altri esempi, non possiamo più discutere il fatto che un paragone possa di per sé possedere la caratteristica del motto di spirito, senza che quest'impressione sia giustificata dall'entrata in gioco di una delle sue note tecniche tipiche. Ma, stando così le cose, noi rimaniamo completamente confusi nella ricerca di ciò che determina la caratteristica arguta della similitudine poiché certamente quella caratteristica non risiede in esse come forma di espressione di pensiero o nella meccanica di un paragone. Tutto ciò che possiamo fare è di includere la similitudine tra i tipi di rappresentazione indiretta, usata dalla tecnica del motto di spirito, e di lasciare insoluto il problema che abbiamo incontrato molto più chiaramente nel caso di similitudini che nelle forme del motto di spirito in precedenza esaminate. Non sarà certo senza motivo per cui nel caso della similitudine ci riesce più difficile che nel caso delle altre forme di espressione decidere se un certo motto è spiritoso oppure no.

Neanche questa lacuna tra le cose che siamo riusciti a capire ci autorizza a lamentarci se da una prima ricerca non sono scaturiti risultati. In vista dell'intima connessione che dobbiamo essere preparati ad attribuire alle differenti caratteristiche del motto di spirito, sarebbe imprudente cercare di spiegare completamente un lato del problema prima di aver dato una occhiata agli altri.

Possiamo essere certi che nessuna delle possibili tecniche del motto di spirito sia sfuggita alla nostra indagine? Certamente no. Ma un continuo esame di nuovo materiale ci può. convincere che abbiamo avvicinato i più comuni e i più importanti strumenti tecnici del meccanismo del motto di spirito -e in ogni caso tutto quanto si richiede per formarsi un giudizio sulla natura di quel processo psichico. Fin qui non siamo ancora giunti ad un simile giudizio; ma d'altro canto, adesso siamo in possesso di un'indicazione importante sulla direzione dalla quale ci si può aspettare di ricevere maggiori chiarimenti. Gli interessanti processi di condensazione, accompagnati da una formazione sostitutiva, che abbiamo riconosciuto come il fulcro della tecnica del motto di spirito verbale riguardano anche la formazione dei sogni, nel meccanismo dei quali sono stati scoperti gli stessi processi psichici. Ciò è ugualmente vero, comunque, per le tecniche del motto di spirito concettuale - spostamento, ragionamento erroneo, assurdità, rappresentazione indiretta, rappresentazione mediante il contrario - che riappaiono uno e tutti nella tecnica del meccanismo del sogno. Lo spostamento dà luogo all'apparenza sconcertante dei sogni, che ci impedisce di capire che sono una continuazione della nostra vita da svegli. L'uso dell'assurdità e del controsenso nel sogno gli è costata il riconoscimento della sua dignità d'essere considerato un prodotto psichico ed ha portato gli studiosi a supporre che una disintegrazione delle attività mentali ed una cessazione di. quella critica, morale e logica, siano condizioni necessarie per la formazione del sogno. La rappresentazione per opposti è una caratteristica onirica così diffusa che persino i libri popolari sull'interpretazione dei sogni, che sono su una strada completamente sbagliata, hanno l'abitudine di prenderla in considerazione. La rappresentazione indiretta - la sostituzione del pensiero onirico con un'allusione, con qualcosa di piccolo, un simbolismo simile alla similitudine - è precisamente ciò che distingue il modo di esprimersi dei sogni da quello della vita attiva 78. Fin qui non abbiamo grandi possibilità di raggiungere l'accordo tra i metodi del meccanismo del motto di spirito e quelli del meccanismo dei sogni. Dimostrare questa concordanza nel dettaglio ed esaminare il suo fondamento sarà, in seguito, il nostro compito.