IL MECCANISMO PSICHICO DEI FENOMENI ISTERICI(1893) |
Signori, mi presento loro oggi con il proposito di fare una relazione su un'opera la prima parte della quale è già stata pubblicata nello «Zentralblatt für Neurologie» firmata da Josef Breuer e da me. Come possono dedurre dal titolo del lavoro esso tratta della patogenesi dei sintomi isterici ed avanza l'ipotesi che le cause immediate dello sviluppo dei sintomi isterici vadano ricercate nella sfera della vita psichica. Ma prima di addentrarmi ulteriormente nel contenuto di quest'opera, nata dalla collaborazione con Breuer, devo spiegare la posizione che essa occupa e citare l'autore e la scoperta di cui ci siamo serviti, almeno nella sostanza, come punto di partenza, sebbene il nostro contributo abbia poi seguito vie di sviluppo del tutto indipendenti. Come lor signori sanno, tutti i progressi compiuti recentemente nella comprensione e nella conoscenza dell'isteria derivano dall'opera di Charcot. Dal 1880 al 1885 Charcot prese a rivolgere la propria attenzione alla «grande nevrosi», come i francesi chiamano l'isteria. In seguito a tutta una serie di ricerche, egli riuscì a provare l'esistenza di una certa regolarità e di leggi, dove le osservazioni cliniche inadeguate o poco attente di altri avevano visto soltanto simulazione di malattia, oppure una fastidiosa mancanza di conformità alla regola. Si può affermare con sicurezza che tutto ciò che di nuovo è stato scoperto in questi ultimi tempi sull'isteria si rifa, direttamente od indirettamente, alle sue ipotesi. Comunque, nessuna delle numerose opere di Charcot è più importante, a mio avviso, di quella in cui egli ci insegna a comprendere le paralisi traumatiche che compaiono nell'isteria; e poiché il nostro lavoro sembra una continuazione proprio di quest'opera, spero mi permetteranno di sottoporre ancora una volta alla loro attenzione qualche particolare di questo argomento. Prenderemo il caso di una persona che subisce un trauma senza essere stata mai malata prima, e forse senza aver neppure una tara ereditaria. Il trauma deve soddisfare determinate condizioni. Deve essere grave - vale a dire, deve avere in sé l'idea di un pericolo mortale, di una minaccia per la vita. Ma non deve essere tanto grave da interrompere definitivamente l'attività psichica, altrimenti non produrrà il risultato che ci aspettiamo. Così, per esempio, non deve comportare una commozione cerebrale o qualunque altro danno realmente grave. Inoltre il trauma deve avere una relazione particolare con qualche parte del corpo. Supponiamo che un pesante ceppo di legno cada sulla spalla di un operaio. Il colpo lo getta a terra, ma subito egli capisce che non è successo nulla e va a casa con una leggera contusione. Un mattino, dopo poche settimane o dopo qualche mese, si sveglia e si accorge che il braccio che ha subito il trauma pende inerte e paralizzato, sebbene egli se ne sia servito perfettamente nel frattempo, in quello che potrebbe essere definito il periodo di incubazione. Se si tratta di un caso tipico, può accadere che sopraggiungano i caratteristici attacchi - che, dopo un'aura, il soggetto improvvisamente cada a terra, vaneggi e si metta a delirare; se parla nel delirio, ciò che dice può dimostrare che la scena dell'incidente si sta ripetendo in lui, arricchita, forse, da qualche visione immaginaria. Che cosa sta accadendo? Come si può spiegare questo fenomeno? Charcot spiega il processo riproducendolo, creando artificialmente la paralisi in un paziente. Per ottenere questo risultato ha bisogno di un paziente che si trovi già in uno stato isterico; richiede inoltre la condizione dell'ipnosi ed il metodo della suggestione. Mette un paziente di questo tipo in uno stato di ipnosi profonda e gli dà un leggero colpo sul braccio. Il braccio ricade; è paralizzato e presenta esattamente gli stessi sintomi che intervengono nella paralisi traumatica spontanea. Il colpo può anche essere sostituito da una suggestione verbale diretta: «Guarda, il tuo braccio è paralizzato!». Anche in questo caso la paralisi ha le stesse caratteristiche. Cerchiamo di fare un confronto tra i due casi: da un lato un trauma, dall'altro una suggestione traumatica. Il risultato finale, la paralisi, è esattamente lo stesso in entrambi i casi. Se il trauma di un caso può essere sostituito, nell'altro, da una suggestione verbale, si può supporre, a ragione, che un'idea di questo tipo sia egualmente alla base dello sviluppo della paralisi nel caso della paralisi traumatica spontanea. Infatti molti pazienti riferiscono di aver realmente avuto l'impressione, nel momento del trauma, che il loro braccio si fosse rotto. Se le cose stessero così, il trauma potrebbe realmente essere paragonato in tutto e per tutto alla suggestione verbale. Ma ci vuole un terzo fattore per completare l'analogia. Affinché l'idea «il tuo braccio è paralizzato» riuscisse a provocare una paralisi nel paziente, era necessario che questi fosse in stato di ipnosi. Ma l'operaio non era in stato di ipnosi. Cionondimeno possiamo supporre che egli si trovasse in un particolare stato mentale durante il trauma; e Charcot è incline a paragonare questo stato con quello di ipnosi che è stato prodotto artificialmente. Con questo la paralisi spontanea traumatica è completamente spiegata e può essere posta a fianco della paralisi prodotta dalla suggestione; e chiaramente la genesi del sintomo viene determinata dalle circostanze del trauma. Inoltre Charcot ha ripetuto lo stesso esperimento per spiegare le contratture ed i dolori che compaiono nella isteria traumatica; secondo me è difficile trovare un altro punto in cui egli abbia approfondito, come in questo, la comprensione dell'isteria. Ma la sua analisi non procede oltre: non sappiamo come nascano gli altri sintomi, e soprattutto non sappiamo che cosa determini l'insorgere dei sintomi isterici nell'isteria comune, non traumatica. All'incirca nello stesso periodo in cui Charcot cercava, in questo modo, di far luce sulla paralisi istero-traumatica, il Dott. Breuer, tra il 1880 ed il 1882, intraprese la cura medica di una giovane donna che - con etiologia non traumatica - fu colpita da isteria grave e complessa (accompagnata da paralisi, da contratture, da disturbi della parola e della vista, e da peculiarità psichiche di ogni tipo), mentre curava il padre malato. Questo caso conserverà un posto importante nella storia dell'isteria, poiché è stato il primo in cui un medico sia riuscito a spiegare tutti i sintomi dello stato isterico, a comprendere l'origine di ogni sintomo e contemporaneamente a trovare il modo di farlo scomparire. Possiamo dire che fu il primo caso di isteria reso intelligibile. Il Dott. Breuer tenne per sé le conclusioni derivate dallo studio di questo caso finché non fu sicuro che non sarebbe rimasto l'unico. Quando ritornai, nel 1886, da un corso tenuto da Charcot, cominciai, con la costante cooperazione di Breuer, a compiere osservazioni approfondite su un numero abbastanza grande di pazienti isterici e ad esaminarli da questo punto di vista; rilevai che il comportamento della prima paziente era stato realmente tipico e che le conclusioni che trovavano la loro giustificazione in quel caso potevano essere valide per un numero considerevole di pazienti isterici, se non per tutti. Il nostro materiale era costituito da casi di isteria comune, vale a dire non traumatica. Il nostro procedimento consisteva nel prendere ogni singolo sintomo e nell'indagare sulle circostanze in cui aveva fatto la sua prima apparizione; in questo modo cercavamo di farci un'idea precisa della causa che poteva aver determinato ed affrettato l'insorgere di quel sintomo. Ora, non bisogna pensare che si tratti di un lavoro semplice. Se si rivolgono ai pazienti delle domande a questo proposito, di solito non si riceve alcuna risposta. In un piccolo numero di casi i pazienti hanno un motivo ben preciso per non dire ciò che sanno. Ma in un numero maggiore di casi non hanno idea del contesto in cui si sono presentati i loro sintomi. Il metodo attraverso il quale si può arrivare a sapere qualcosa è molto complesso. E il seguente: il paziente deve essere posto sotto ipnosi, e poi interrogato sull'origine di un determinato sintomo - si chiede al paziente quando è comparso per la prima volta, e che cosa egli ricorda a questo proposito. Mentre i pazienti sono in questo stato, la memoria, che non li aiutava nello stato di veglia, ritorna. In questo modo abbiamo appreso che, in linea di massima, dietro alla maggior parte, se non tutti, i fenomeni di isteria c'è un'esperienza che un affetto ha esagerato. Abbiamo appreso, inoltre, che quest'esperienza è di un genere tale che rende subito intelligibile il sintomo a cui è collegata, e ciò dimostra, ancora una volta, che il sintomo è chiaramente determinato. Se mi sarà permesso di paragonare questa esperienza che l'affetto ha esagerato con la grave esperienza traumatica che è alla base dell'isteria traumatica, potrò formulare immediatamente la prima tesi che abbiamo ricavato. C'è una completa analogia tra la paralisi traumatica e l'isteria comune, non traumatica. L'unica differenza è che nella prima ha agito un trauma grave, mentre nella seconda raramente si può segnalare la presenza di un singolo evento grave; piuttosto di una serie di impressioni affettive - un'intera storia di sofferenza. Ma non vi è nulla di forzato nel confronto tra questa storia, che appare come fattore determinante nei pazienti isterici, e l'incidente che ha luogo nell'isteria traumatica. Infatti oggigiorno nessuno dubita più che, anche nel caso del grave trauma meccanico dell'isteria traumatica, ciò che determina il risultato non è il fattore meccanico, ma il senso di paura, il trauma psichico. Quindi la prima considerazione che si trae da tutto questo è che il modello dell'isteria traumatica, come fu stabilito da Charcot per quel che riguarda la paralisi isterica, si applica, in genere, a tutti i fenomeni isterici, o perlomeno ad una gran parte di essi. Abbiamo sempre a che fare con l'effetto di traumi psichici, che chiaramente determinano la natura del sintomo che si sviluppa. Ora fornirò loro qualche esempio di questo. Ecco, prima di tutto, un esempio di come nascono le contratture. Durante tutto il periodo della malattia la paziente di Breuer, di cui ho già parlato, presentò una contrattura al braccio destro. Sotto ipnosi risultò che, molto tempo prima di ammalarsi, essa aveva subito il seguente trauma. Era seduta, semiaddormentata al fianco del padre malato; il braccio destro, che pendeva sullo schienale della sedia, le si addormentò. In quel momento essa ebbe un'allucinazione terrificante, cercò di scacciarla con il braccio intorpidito, ma non riuscì a farlo. Tutto questo le causò un forte spavento e per quella volta la cosa finì lì. La contrattura del braccio si presentò non prima dell'esplosione dell'isteria. In un'altra paziente ho osservato uno «schiocco» caratteristico della lingua simile al verso del gallo cedrone, che interrompeva continuamente i suoi discorsi. Mi ero occupato di questo sintomo per dei mesi, e lo consideravo un tic. Fu soltanto dopo averla interrogata, mentre era sotto ipnosi, sull'origine di quel sintomo che scoprii che il rumore era apparso inizialmente in due occasioni. In entrambe le occasioni essa aveva deciso fermamente di mantenere il silenzio più assoluto. Accadde una volta mentre stava curando uno dei suoi figli gravemente ammalato (il fatto di curare persone ammalate ha spesso una parte nell'etiologia dell'isteria). Il bambino si era addormentato e lei era ben decisa a non fare alcun rumore che potesse svegliarlo. Ma la paura di poter fare rumore, la portò a farne realmente uno - un esempio di «controvolontà isterica»; strinse le labbra e schioccò la lingua. Molti anni dopo lo stesso sintomo si era presentato per la seconda volta ed anche questa in un'occasione in cui lei aveva deciso di conservare il più assoluto silenzio, ed in seguito era cessato. Un'unica causa determinante non basta spesso a fissare un sintomo; ma se questo stesso sintomo compare diverse volte accompagnato da un particolare affetto, diventa permanente e cronico. Uno dei sintomi più comuni dell'isteria è una combinazione di anoressia e di vomito. Conosco moltissimi casi in cui la presenza di questo sintomo si può spiegare con sufficiente facilità. Così in una paziente il vomito si instaurò dopo che essa aveva letto una lettera umiliante prima di un pasto ed era stata molto male subito dopo. In altri casi il disgusto per il cibo potrebbe, con una certa sicurezza, essere messo in relazione con il fatto che, a causa della «tavola comune», una persona può essere costretta a mangiare con qualcuno che detesta. Allora il disgusto si trasferisce dalla persona al cibo. La paziente del cui tic ho appena parlato, era particolarmente interessante da questo punto di vista. Mangiava straordinariamente poco, e solo se costretta. Seppi da lei, mentre era sotto ipnosi, che tutta una serie di traumi psichici aveva finito per determinare il sintomo del disgusto per il cibo. Quando era ancora bambina, sua madre, che era molto severa, insisteva perché mangiasse due ore dopo qualunque cosa avesse lasciato da parte durante il pasto di mezzogiorno, quando era tutto freddo ed il grasso era rappreso. La paziente obbediva con grande disgusto e conservò in seguito il ricordo di tutto ciò; tanto che più tardi, quando non era più soggetta a questa punizione, provava regolarmente un senso di disgusto all'ora dei pasti. Dieci anni dopo stava molto spesso a tavola con un parente tubercolotico, che durante il pasto continuava a sputare attraverso la tavola nella sputacchiera. Qualche tempo dopo fu costretta a mangiare con un parente che soffriva di una malattia contagiosa, e lei lo sapeva. Anche la paziente di Breuer si comportò per qualche tempo come se soffrisse di idrofobia. Durante l'ipnosi venne fuori che una volta aveva inaspettatamente visto un cane che beveva nel suo bicchiere. Anche l'insonnia o il sonno agitato sono sintomi che generalmente possono essere spiegati in modo molto preciso. Così, per diversi anni di seguito una donna non riuscì a dormire prima delle sei del mattino. Aveva dormito per molto tempo nella camera adiacente a quella del marito malato, che si alzava alle sei. Dopo quell'ora lei poteva dormire tranquilla e si comportò nello stesso modo anche molti anni dopo, durante una malattia isterica. Un altro caso riguarda un uomo, un paziente isterico che aveva dormito molto male negli ultimi venti anni. Tuttavia la sua insonnia era di un tipo abbastanza particolare: durante l'estate egli dormiva benissimo, durante l'inverno, invece, assai male, particolarmente in novembre. Non riusciva a capire a cosa ciò fosse dovuto. Interrogato, rispose che nel novembre di vent'anni prima aveva vegliato per molte notti a fianco del figlio malato di difterite. La paziente di Breuer, al cui caso ho accennato tanto spesso, offriva un esempio di disturbo della parola. Per un lungo periodo della sua malattia parlò soltanto inglese, e non potè parlare né comprendere il tedesco. Questo sintomo risaliva ad un avvenimento che aveva avuto luogo prima dell'esplosione della malattia. Mentre era in uno stato di grande ansietà, aveva cercato di pregare, ma non era riuscita a trovare le parole. Alla fine le vennero in mente poche frasi di una preghiera inglese della sua infanzia. Quando più tardi si ammalò, riuscì a servirsi solo della lingua inglese. Non è sempre facile stabilire da che trauma psichico è stato determinato il sintomo. Spesso esiste soltanto quella che può essere definita una relazione «simbolica» tra la causa determinante ed il sintomo isterico. Questo vale soprattutto per i dolori isterici. Una paziente soffriva di acuti dolori tra le sopracciglia. La ragione era che una volta, da bambina, la nonna le aveva rivolto un «acuto» sguardo indagatore. La stessa paziente soffrì per un po' di tempo di forti dolori al tallone destro, senza riuscire a dare una spiegazione a questo fatto. Risultò che questi dolori erano in relazione con un'idea che venne alla paziente in occasione della sua prima apparizione in società. Era sopraffatta dal timore di «fare un passo falso». Simbolizzazioni di questo tipo sono state usate da molti malati per un gran numero delle cosiddette nevralgie o dei cosiddetti dolori. E come se ci fosse l'intenzione di esprimere lo stato mentale attraverso quello fisico; e l'espressione linguistica rappresenta lo strumento con il quale si può raggiungere questo scopo. Tuttavia non si può dimostrare l'esistenza di un meccanismo psichico di questo tipo nel caso di quelli che, in definitiva, sono i sintomi tipici dell'isteria - l'emianestesia, la restrizione del campo visivo, le convulsioni epilettiformi, ecc., - cosa che si può fare invece molto spesso con le zone isterogene. Questi esempi, che ho scelto tra numerose osservazioni, sembrano provare che i fenomeni dell'isteria comune possono sicuramente essere considerati equivalenti a quelli dell'isteria traumatica ed in base a questo fatto ogni isteria può essere vista come un'isteria traumatica per il fatto che implica un trauma psichico e che ogni fenomeno isterico è determinato dalla natura del trauma. La domanda successiva a cui si dovrebbe rispondere riguarda la natura della relazione causale che collega il fattore determinante che abbiamo scoperto durante l'ipnosi con il fenomeno che permane in seguito sotto forma di sintomo cronico. Questa relazione potrebbe essere di diversi tipi. Potrebbe essere sul tipo di quelli che chiamiamo fattori «scatenanti». Per esempio, se qualcuno che ha una disposizione alla tubercolosi riceve un colpo sul ginocchio ed in seguito a questo fatto si sviluppa un'infiammazione tubercolare della giuntura, il colpo non sarà che un fattore scatenante. Ma questo non è ciò che accade nell'isteria. C'è un altro genere di causalità - cioè la causalità diretta. Possiamo spiegare questo fatto immaginando che esista un corpo estraneo che continui ad operare incessantemente come causa stimolante di malattie, fin tanto che non viene eliminato. Cessante causa cessat effectus. L'osservazione di Breuer ci dimostra che la relazione esistente tra il trauma psichico ed il fenomeno isterico è di quest'ultimo tipo. Infatti Breuer apprese dalla sua prima paziente che il cercare di scoprire la causa determinante di un sintomo era contemporaneamente una misura terapeutica. Il momento in cui il medico scopre in che occasione il sintomo ha fatto la sua prima apparizione, è anche il momento in cui il sintomo svanisce. Quando, per esempio, il sintomo presentato dal paziente consiste in qualche dolore e noi gli domandiamo, mentre è sotto ipnosi, qual è l'origine di esso, egli produce una serie di ricordi che sono in relazione con quel dolore. Se riusciamo a far sì che il ricordo diventi in lui realmente vivido, e che egli si veda di fronte le cose in tutta la loro realtà originaria, osserveremo che è completamente dominato da qualche affetto. Se a questo punto lo costringiamo a tradurre in parole questo affetto, osserveremo che, proprio mentre sta esprimendo questo affetto violento, il fenomeno del suo dolore si presenterà molto chiaramente ancora una volta e che, da allora in poi, il sintomo scomparirà nella sua forma cronica. Questo è ciò che accadde in tutti gli esempi che ho citato. È un fatto interessante che il ricordo di quel particolare avvenimento fosse estremamente più vivido di qualunque altro, e che l'affetto che lo accompagnava fosse altrettanto grande quanto forse lo era stato quando l'avvenimento aveva realmente avuto luogo. Si può soltanto supporre che il trauma psichico continui in realtà ad operare nel soggetto e conservi il fenomeno isterico, e che il trauma venga superato appena il paziente ne ha parlato. Come ho appena detto, se, conformemente al nostro procedimento, si arriva al trauma psichico interrogando il paziente sotto ipnosi, si scopre che il ricordo in questione è eccezionalmente vivido ed ha conservato tutto il suo affetto. A questo punto nasce un nuovo interrogativo: come può un evento occorso tanto tempo prima - forse venti o trenta anni prima, - continuare ad esercitare la sua influenza sul soggetto? Come mai questi ricordi non si sono spenti e non sono stati dimenticati? Allo scopo di rispondere a questo interrogativo vorrei cominciare con qualche osservazione sulle condizioni che regolano il logoramento dei contenuti della nostra vita ideazionale. Cominceremo da una tesi che si può enunciare nel modo seguente. Se una persona esperimenta una impressione psichica, nel suo sistema nervoso aumenta un qualcosa che per il momento chiameremo la somma delle eccitazioni. Ora, in ogni individuo esiste una tendenza a diminuire nuovamente questa somma di eccitazioni, allo scopo di preservare la propria salute. L'aumento della somma delle eccitazioni avviene lungo le vie sensoriali, e la sua diminuzione lungo quelle motorie. Così possiamo dire che se qualcosa viene in urto con qualcuno, questi reagisce per via motoria. Ora possiamo affermare con sicurezza che la misura in cui l'impressione psichica iniziale rimane dipende da questa reazione. Vediamo tutto ciò in rapporto con un determinato esempio. Supponiamo che un uomo venga insultato e riceva un colpo o qualcosa del genere. Il trauma psichico è legato ad un aumento nella somma delle eccitazioni del suo sistema nervoso. A questo punto nasce istintivamente la tendenza a ridurre immediatamente questo aumento dell'eccitazione. Egli restituisce il colpo ed allora si sente più tranquillo; può forse aver reagito in modo adeguato - vale a dire, può aver eliminato tutto il sovrappiù di eccitamento. Ora questa reazione può assumere diversi aspetti. Infatti saranno forse sufficienti delle alterazioni fisiche, il piangere, l'insultare, l'infuriarsi, per degli aumenti nell'eccitazione abbastanza leggeri. Più forte è il trauma, maggiore è la reazione adeguata. La reazione più adeguata, comunque, è sempre un atto. Ma, come ha argutamente osservato uno scrittore inglese, l'uomo che per primo lanciò al suo nemico un insulto invece che una freccia, fu il fondatore della civiltà. Perciò le parole sostituiscono i fatti, ed in certe occasioni (per esempio nella confessione), ne sono l'unico sostituto. Dunque, a fianco della reazione adeguata, ne esiste una che è meno adeguata. Se poi non c'è alcuna reazione al trauma psichico, il ricordo di esso conserva l'affetto che aveva inizialmente. Cosicché, se qualcuno che è stato attaccato, non può vendicarsi restituendo il colpo oppure ingiuriando, nasce la possibilità che il ricordo dell'avvenimento richiami in lui ancora una volta l'affetto che esisteva originariamente. Un insulto che è stato restituito, anche solo a parole, viene ricordato in modo del tutto differente da uno che è stato solo subito; l'uso linguistico definisce significativamente un insulto sofferto in silenzio come una «mortificazione» (Kränkung, letteralmente «che affligge»). Così, se per qualche motivo non può esserci reazione al trauma psichico, esso conserva il suo valore affettivo originale, e quando qualcuno non può liberarsi dell'aumento dello stimolo attraverso la «abreazione», è possibile che l'avvenimento in questione resti per lui un trauma psichico. Incidentalmente, un meccanismo psichico sano ha altri metodi per trattare l'affetto di un trauma psichico anche se gli vengono negate la reazione motoria e la reazione verbale - cioè può lavorare su di esso con delle associazioni, producendo idee contrastanti. La persona che è stata insultata, anche se non restituisce il colpo o non risponde con un insulto, può egualmente ridurre l'affetto dell'offesa richiamando idee contrastanti come quelle del proprio valore, dell'indegnità del nemico e così via. Un uomo sano, che reagisca o no all'insulto, riesce sempre ad ottenere che l'affetto, originariamente molto forte nella sua memoria, perda infine la sua intensità e che in ultimo il ricordo, perduto il suo affetto, cada nell'oblio e si logori. Ora, abbiamo visto che nei pazienti isterici ci sono solo impressioni che non hanno perduto il loro affetto, ed il cui ricordo è rimasto vivido. Ne segue, perciò, che nei pazienti isterici questi ricordi, che sono divenuti patogeni, assumono una posizione eccezionale per quanto riguarda il processo di logoramento; e l'osservazione dimostra che, nel caso di tutti gli eventi che hanno determinato dei fenomeni isterici, abbiamo a che fare con traumi psichici che non sono stati completamente abreati, non sufficientemente trattati. Possiamo quindi asserire che i pazienti isterici soffrono di traumi psichici non completamente sottoposti ad abreazione. Vediamo due gruppi di condizioni in cui i ricordi diventano patogeni. Nel primo gruppo i ricordi a cui si possono far risalire i fenomeni isterici hanno come contenuto delle idee che coinvolgono un trauma talmente grande che il sistema nervoso non aveva avuto forza sufficiente per trattarlo, oppure delle idee per cui la reazione era impossibile a causa di ragioni sociali (questo accade spesso nella vita coniugale) ; o infine, il soggetto può semplicemente rifiutarsi di reagire, può non voler reagire al trauma psichico. Nell'ultimo caso il contenuto del delirio isterico risulta spesso essere l'insieme di idee che il paziente nel suo stato normale ha rifiutato, inibito e represso con tutte le sue forze (per esempio, le idee erotiche e blasfeme che si presentano nel delirio isterico delle suore). In un secondo gruppo, invece, la ragione dell'assenza di una reazione non è nel contenuto del trauma psichico, ma in altre circostanze. Infatti scopriamo molto spesso che il contenuto e le cause determinanti dei fenomeni isterici sono fatti abbastanza insignificanti di per sé, che hanno però acquistato grande importanza perché sono accaduti in momenti particolarmente significativi, quando la predisposizione del paziente era aumentata in modo patologico. Per esempio, il senso di paura può essere nato mentre venivano provate altre sensazioni molto violente e può aver acquistato tanta importanza proprio per questa ragione. Gli stati di questo genere sono di breve durata e sono, per così dire, privi di legami con il resto della vita mentale del soggetto. Mentre si trova in uno stato di autoipnosi di questo tipo il paziente non può liberarsi per associazione dell'idea che gli si presenta, come potrebbe fare in stato di veglia. In base alla notevole esperienza che abbiamo di questi fenomeni, pensiamo che sia probabile che in ogni isteria ciò che entra in causa sia uno stato rudimentale di quella che viene chiamata (in francese) doublé conscience, coscienza sdoppiata e che la tendenza ad una dissociazione di questo tipo sia, insieme all'apparizione improvvisa di stati di coscienza anormali che proponiamo di chiamare ipnoidi, il fenomeno basilare dell'isteria. Prendiamo in considerazione, ora, il modo in cui la nostra terapia agisce. Essa appaga uno dei più grandi desideri umani - il desiderio di rifare qualcosa. Qualcuno ha subito un trauma psichico senza reagirvi in modo sufficiente. Lo portiamo a provarlo una seconda volta, ma sotto ipnosi; ed ora lo costringiamo a completare la sua reazione al trauma. Egli potrà così liberarsi dell'affetto dell'idea, che era stato, per così dire, «bloccato», e porre fine all'azione dell'idea stessa. Così curiamo non l'isteria, ma alcuni dei suoi sintomi, portando il paziente a completare una reazione incompleta. Non bisogna dunque pensare che si sia ottenuto molto, con questo, per la terapeutica dell'isteria. L'isteria, come la nevrosi, ha cause più profonde; e sono queste cause più profonde che stabiliscono le limitazioni, spesso notevoli, del successo del nostro trattamento. |