LA PSICOTERAPIA

1905

Signori, sono passati circa otto anni da che ebbi occasione, su invito del loro compianto presidente Professor von Reder, di parlare in questa sede sull'argomento dell'isteria. Poco tempo prima, nel 1895, avevo pubblicato, in collaborazione col dott. Josef Breuer, gli Studi sull'isteria, nei quali illustravo il tentativo, sulla base delle nuove conoscenze dovute alle sue ricerche, di introdurre un nuovo metodo di cura delle nevrosi. Sono lieto di poter affermare che gli sforzi da noi compiuti nei nostri Studi sono stati coronati da successo; le idee in essi contenute sugli effetti provocati da traumi psichici dovuti alla ritenzione di stati emozionali, così come la concezione del sintomo isterico quale risultato di un'eccitazione trasposta dalla sfera psichica a quella fisica — per i quali concetti coniammo i termini «abreazione» e «conversione» — oggi sono conosciute e comprese generalmente. Almeno nei paesi di lingua tedesca, non vi è oggigiorno trattazione dell'isteria che non ne tenga conto in misura più o meno grande, e non vi è alcuno tra i nostri colleghi che non si sia inoltrato, sia pure per breve tratto, per il cammino da noi indicato. Eppure, allorché erano ancora recenti, questi postulati e questa terminologia dovevano sembrare non poco strani.

La stessa cosa non posso dire della tecnica terapeutica, che fu presentata ai nostri colleghi contemporaneamente alla teoria: essa tuttora lotta per ottenere un riconoscimento, e per questo vi possono essere ragioni particolari. In quel tempo la tecnica del metodo era ancora poco avanzata; non mi era possibile dare ai medici, lettori di quel libro, le istruzioni atte a metterli in grado di effettuare integralmente la cura. Però è certo che sono entrate in gioco anche cause di natura generica. Anche oggi, la psicoterapia appare a molti medici come un prodotto del moderno misticismo e, se confrontata con i presidi terapeutici di natura fisico-chimica applicati in base a una conoscenza fisiologica, essa appare nettamente anti-scientifica e indegna dell'interesse di un ricercatore serio. Perciò mi si consenta di difendere dinanzi a loro la causa della psicoterapia e di far rilevare quanto, di questa condanna, può essere definito ingiusto o errato.

Innanzi tutto, mi si consenta di ricordare loro che la psicoterapia non è in alcun modo un metodo di cura moderno. Essa è, invece, la più antica forma di terapia in medicina. Nell'istruttivo volume di Löwenfeld Lehrbuch der gesamten Psychotherapie, sono descritti molti metodi della scienza medica primitiva e antica. La maggior parte di essi può essere classificata nel capitolo della psicoterapia; allo scopo di ottenere la guarigione, si induceva nei malati uno stato di «attesa imbevuta di fede», condizione questa che risponde anche oggi a un analogo scopo. Persino dopo che i medici hanno scoperto altri presidi terapeutici, non sono mai del tutto scomparsi dalla medicina i tentativi psicoterapeutici di questo o quel genere.

In secondo luogo, mi sia concesso di richiamare la loro attenzione sul fatto che noi medici non possiamo respingere la psicoterapia, se non altro perché l'altra parte intimamente interessata al processo della guarigione, il malato, non intende respingerla. Sarà loro noto l'ampliamento delle conoscenze su quest'argomento che dobbiamo alla scuola di Nancy, cioè a Liébeault e a Bernheim. Un fattore dipendente dalla disposizione psichica del paziente interviene, senza alcuna azione da parte nostra, nella riuscita di qualsiasi procedimento terapeutico iniziato dal medico; la maggior parte delle volte esso è favorevole alla guarigione, ma spesso agisce quale inibizione. Noi abbiamo imparato a impiegare, per questo fenomeno, la parola «suggestione» e Möbius ci ha insegnato che la scarsa sicurezza che dobbiamo lamentare in tanti dei nostri procedimenti terapeutici può essere riferita all'influsso disturbatore di questo potentissimo elemento. Tutti i medici, dunque, compresi lor Signori, praticano di continuo la psicoterapia persino quando non hanno l'intenzione di farlo, e non ne sono nemmeno consapevoli. È però uno svantaggio lasciare il fattore psichico della terapia tanto integralmente nelle mani del malato, in quanto non è possibile né tenerlo sotto controllo né somministrarlo in giusta dose o rafforzarlo. Non sarà dunque un debito sforzo da parte del medico cercare di ottenere il controllo di questo fattore, di avvalersene secondo un determinato fine, di dirigerlo e rafforzarlo? Questo, e questo soltanto, è quel che si propone la psicoterapia scientifica.

In terzo luogo, Signori, vorrei rammentare loro il fatto, ben stabilito, che talune malattie, le psiconevrosi in particolare, sono di gran lunga più accessibili all'influsso psichico che a qualsiasi altra forma di terapia. Non è una affermazione moderna bensì un vecchio detto dei medici, che queste malattie non sono curate dal farmaco, ma dal medico, cioè a dire dalla personalità del medico, in quanto questi esercita un influsso psichico per mezzo di essa. Mi rendo conto che lor Signori condividono l'opinione che il Vischer, professore di estetica, ha tanto ben espresso nella sua parodia del Faust:

Idi weiss, das Physikalische Wirkt ófters aufs Moralische1 («So che il fisico spesso influisce sul morale»,  Faust, III parte, IV scena.)

Ma non sarebbe più appropriato dire, e non è forse questo il caso più frequente, che è il lato morale (vale a dire, psichico) quello che influisce sul morale di un uomo?

Molti sono i modi di praticare la psicoterapia e tutti quelli che portano alla guarigione sono buoni. La solita espressione di conforto che dispensiamo ai nostri pazienti con tanta larghezza («presto starà di nuovo bene»), corrisponde a uno di questi metodi psicoterapeutici; ma adesso che disponiamo di una migliore conoscenza delle nevrosi, non siamo più costretti a limitarci alle parole di conforto. Abbiamo messo a punto la tecnica della suggestione ipnotica e della psicoterapia per mezzo della distrazione mentale, dell'esercizio muscolare, e della sollecitazione di adeguati affetti. Io non disdegno nessuno di questi metodi e li impiegherei tutti nelle circostanze opportune. Se, in effetti, ho finito col imitarmi a una sola forma di trattamento, al metodo che Breuer chiamava catartico ma che io preferisco chiamare «analitico», è perché mi sono lasciato influenzare da motivi puramente soggettivi. A cagione del ruolo da me sostenuto nella messa a punto di questa terapia, io sento l'obbligo personale di dedicarmi ad una più approfondita ricerca in questo campo ed allo sviluppo della sua tecnica. E posso dire che il metodo analitico in psicoterapia è un metodo che penetra più a fondo e porta più lontano, l'unico mediante il quale si possano realizzare nei pazienti le trasformazioni più ampie. Lasciando per un momento da parte le considerazioni terapeutiche, posso anche dire che questo metodo è il più interessante, l'unico tra tutti che ci informi sull'origine e sui rapporti reciproci dei fenomeni patologici. Soltanto esso, grazie alla possibilità che ci offre di penetrare nella malattia mentale, sarebbe in grado di condurci oltre i suoi stessi limiti e di indicarci la via verso altre forme di influenza terapeutica.

Ora mi permettano di correggere taluni errori commessi nei confronti di questo metodo psicoterapeutico catartico o analitico e di fornire alcune spiegazioni in proposito.

a. Ho notato che molto spesso si confonde questo metodo col trattamento ipnotico per suggestione. Me ne sono accorto perché accade relativamente spesso che colleghi, che di solito non mi affidano i loro casi, mi mandino dei pazienti, refrattari naturalmente, con la richiesta che io li ipnotizzi. Ora sono circa otto anni che non ricorro all'ipnosi a scopo terapeutico, salvo alcuni esperimenti speciali, per cui abitualmente rimando loro questi pazienti con la raccomandazione che chiunque si fonda sull'ipnosi l'applichi da solo. In realtà tra metodo suggestivo e metodo analitico vi è la massima antitesi possibile: la stessa antitesi che il grande Leonardo da Vinci sintetizzò nelle formule per via di porre e per via di levare. Dice Leonardo che la pittura opera per via di porre, dato che applica una sostanza, particelle di colore, là dove prima non c'era nulla, sulla tela incolore; la scultura, invece, procede per via di levare, in quanto toglie dal blocco di pietra tutto quel che nasconde la superficie della statua in esso racchiusa. Analogamente, la tecnica della suggestione tende a procedere per via di porre; essa non si cura dell’origine, dell'intensità e del significato dei sintomi morbosi, ma vi sovrappone qualcosa, la suggestione, nella speranza che questa diventi abbastanza forte da impedire all'idea patogena di giungere a esprimersi. Invece, la terapia analitica non cerca di aggiungere o di introdurre qualcosa di nuovo, bensì di togliere qualcosa, di asportare qualcosa, e, a tal fine, si occupa della genesi dei sintomi morbosi e del contesto psichico dell'idea patogena che cerca di eliminare. È grazie all'impiego di questo metodo di ricerca che la terapia analitica ha accresciuto in maniera così notevole le nostre conoscenze. Io ho rinunciato così presto alla tecnica della suggestione, e con essa all'ipnosi, nella mia pratica, perché avevo perduto la speranza di dare delle suggestioni talmente potenti e durevoli da ottenere guarigioni permanenti. Vedevo che in tutti i casi gravi le suggestioni che avevo dato si frantumavano, dopo di che faceva la sua riapparizione la malattia o qualche sostituto di essa. A prescindere da tutto ciò, devo muovere un altro rimprovero contro questo metodo, cioè che esso ci impedisce di penetrare nel gioco delle forze psichiche; per esempio, non ci permette di riconoscere la resistenza con la quale il paziente si attacca alla propria malattia e con la quale, quindi, addirittura contrasta alla propria guarigione; eppure è solo questo fenomeno di resistenza che rende possibile la comprensione del suo comportamento nella vita quotidiana.

b. Mi sembra che tra i miei colleghi sia largamente diffusa l'errata impressione che questa tecnica per l'individuazione delle origini di una malattia e per l'eliminazione dei suoi sintomi sia facile e applicabile estemporaneamente. Lo deduco dal fatto che nessuno di coloro che hanno dimostrato interesse per la mia terapia e si sono formati una fondata opinione su di essa, mi ha mai chiesto come la tratti io in pratica. La ragione non può essere che una sola: costoro pensano che non ci sia nulla da domandare, che la cosa sia evidente di per sé. Ancora: di tanto in tanto mi capita di stupirmi sentendo che nel tale o tal altro reparto di ospedale un giovane assistente ha ricevuto ordine dal suo capo di intraprendere una «psicoanalisi» di un isterico. Sono certo che non gli si consentirebbe di effettuare l'esame di un tumore, dopo l'asportazione, se prima non convincesse i suoi superiori di essere esperto di tecnica istologica. Similmente, arrivano al mio orecchio notizie che il tale o il tal altro collega ha fissato degli appuntamenti con un malato per iniziarne la terapia psicologica, per quanto io sia certo che egli non conosce nulla della tecnica di alcuna terapia del genere. Dunque egli deve nutrire la speranza che il paziente gli faccia dono dei suoi segreti o che, forse, ricerchi la salvezza in una specie di confessione o di confidenza. Non mi meraviglierei se un malato ricavasse un danno, anziché un beneficio, dall'essere curato in questo modo. Infatti non è tanto facile suonare lo strumento della mente. In questi casi mi tornano alla memoria le parole di un nevrotico di rinomanza mondiale, il quale, a dire il vero, non fu mai curato da un medico, essendo esistito soltanto nell'immaginazione di un poeta: Amleto, principe di Danimarca. Il re aveva dato ordine a due cortigiani, Rosenkranz e Guildenstern, di seguirlo, interrogarlo e cavargli il segreto della sua depressione. Egli li rintuzza. Poi vengono portati in scena dei flauti; Amleto ne prende uno e prega uno dei suoi tormentatori di suonarlo, dicendogli che è facile come mentire. Il cortigiano si schermisce, che non sa suonare lo strumento, e siccome non si riesce a indurlo a provare, alla fine Amleto prorompe in queste parole:

Eh, lo vedete, ora, quanto poco mi stimate voi due? Pretendi di saper suonare me, di sradicarmi dal cuore il mio segreto, zufolarmi dalte note più basse alle più acute del mio registro! Con tutta la musica che è qui — e ce n'è tanta, e per di più con una voce eccellente — in questo strumentino, non sei capace di trarne una nota: ma sanguediddio, come puoi figurarti, allora, che io sia uno strumento più facile d'un piffero, da suonare ? Dammi quel nome di strumento che vuoi; a suonarmi, per quanto tu ti sforzi, non ce la farai.3(Atto III, scena II)

c. Da certe mie osservazioni lor Signori avranno intuito che vi sono diverse caratteristiche del metodo analitico che non gli consentono di essere una forma ideale di terapia. Tuto cito, iucunde: ricerche ed esperimenti non depongono per la rapidità dei risultati, e la resistenza di cui ho parlato ci prospetta amarezze di vario genere. Certo, il trattamento psicoanalitico è molto esigente sia col malato che col medico. Dal paziente esige sincerità assoluta, già un sacrificio in sé; richiede molto tempo, per cui è anche costoso; porta via molto tempo anche al medico e la tecnica che questi deve apprendere e praticare è assai difficoltosa. A parer mio, è assolutamente giustificato rivolgersi a metodi di cura più convenienti finché si dia qualche possibilità di ottenere qualche risultato con questi, ciò che, tutto sommato, è l'unica cosa che conta. Se il metodo più difficoltoso e più lungo ottiene risultati molto maggiori di quello breve e facile, allora ne sarà giustificato l'impiego, nonostante tutto. Pensino soltanto, Signori, quanto meno conveniente e più costosa sia la terapia di Finsen del lupus in confronto al precedente metodo della cauterizzazione e del raschiamento; pure, il suo impiego rappresenta un grande progresso perché opera una guarigione radicale. Per quanto io non desideri portare questo paragone all'estremo, il metodo psicoanalitico può rivendicare un analogo privilegio. In realtà, mi è stato possibile elaborare e provare il mio metodo di cura soltanto su casi gravi, addirittura sui casi più gravi; in principio il mio materiale era rappresentato da pazienti che avevano provato, senza risultato, tutto il resto e avevano passato lunghi anni nelle case di cura. Mi è stato pressoché impossibile raccogliere materiale sufficiente per poter dire come funziona il mio metodo in quei casi più leggeri, episodici, la cui guarigione noi osserviamo in seguito a ogni sorta di influenze e persino spontaneamente. La cura psicoanalitica è stata creata mediante la terapia, e ai fini della terapia, di pazienti permanentemente inabili alla vita, ed il suo trionfo è stato il fatto che èssa ha reso permanentemente atto all'esistenza un numero soddisfacentemente grande di essi. Di fronte a una tale riuscita ogni fatica sostenuta sembra meno che niente. Non possiamo nascondere a noi stessi quel che, nella nostra qualità di medici, siamo soliti negare dinanzi ai pazienti, cioè che una nevrosi grave non è meno grave, per chi ne è affetto, di qualsiasi cachessia o di qualsiasi altra tra le più temute grandi malattie.

d. Le condizioni in cui questo metodo è indicato, o controindicato, ora come ora non possono essere enunciate in maniera definitiva, a causa delle molte limitazioni di ordine pratico cui sono state assoggettate le mie attività. Tenterò comunque di trattarne qualcuna ora.

1. Si deve vedere di là dalla malattia del paziente per farsi un'idea di tutta la sua personalità; i malati che non possiedono un grado ragionevole di istruzione e un carattere abbastanza sincero, vanno rifiutati. Non si dimentichi che vi sono individui sani, come pure individui malati, che nella vita non sono buoni a nulla,

Per cui, se presentano qualche segno di nevrosi, si è tentati di attribuire alla loro malattia tutto ciò che ne fa degli inetti. Secondo me una nevrosi non è assolutamente un marchio di degenerazione, per quanto abbastanza spesso la si possa osservare in uno stesso individuo insieme con i segni della degenerazione. Orbene, la psicoterapia analitica non è un procedimento adatto al trattamento della degenerazione nevrotica; anzi, la degenerazione oppone una barriera alla sua efficacia. Il metodo non è nemmeno applicabile a quelle persone che non sono spinte a farsi curare dalle proprie sofferenze, ma che si sottopongono alla cura soltanto perché costretti dall'autorità dei parenti. Il requisito, che rappresenta il fattore determinante l'idoneità al trattamento psicoanalitico (cioè se il paziente sia educabile), deve essere ulteriormente discusso sotto un altro profilo.

2.  Per rimanere sul sicuro, si dovrebbe limitare la scelta dei pazienti a quelli in possesso di condizioni mentali normali, in quanto queste, nel metodo psicoanalitico, servono di base per realizzare il controllo delle manifestazioni morbose. Pertanto le psicosi, gli stati confusionali e la depressione profonda (tossica, vorrei dire) non sono adatti alla psicoanalisi, o, quanto meno, non si adattano a metodi quali sono stati applicati fino ad ora. Non penso affatto che non si possano, grazie a congrue modifiche del metodo, sormontare queste controindicazioni, riuscendo in tal modo a istituire una psicoterapia delle psicosi.

3.  L'età del paziente ha molta importanza ai fini dell'idoneità al trattamento psicoanalitico, in quanto, da un lato, verso la cinquantina o dopo di questa, di regola viene meno l'elasticità dei processi mentali da cui dipende il trattamento, e, d'altra parte, la mole del materiale da trattare prolungherebbe indefinitamente la durata della cura. Nell'altro senso i limiti di età non possono essere determinati se non caso per caso: i giovani prima dell'adolescenza, molto spesso sono eccessivamente suscettibili alle influenze.

4.  La psicoanalisi non dovrà essere tentata quando necessiti una pronta eliminazione di sintomi pericolosi, come, per esempio, nel caso dell'anoressia isterica.

A questo punto si saranno formati l'impressione che il campo della psicoterapia analitica sia molto ristretto, dato che non hanno sentito da me altro che indicazioni che si oppongono ad essa. Restano, però, abbastanza casi e tipi di malattia nei quali si può provare questa terapia, come, per esempio, tutte le forme croniche di isteria con manifestazioni residue, il vasto campo delle condizioni ossessive, delle abulie e simili.

È motivo di compiacimento il fatto che gli individui più adatti a questo procedimento siano proprio i più valenti e i più altamente evoluti, e si può affermare con certezza che nei casi in cui la psicoterapia analitica ha ottenuto scarsi risultati, qualsiasi altra terapia sicuramente non avrebbe sortito alcun effetto.

e. Lor Signori vorranno indubbiamente interrogarmi sulla possibilità di produrre un danno intraprendendo una psicoanalisi. Rispondendo a questa domanda, posso dire che se loro sono propensi a giudicare imparzialmente, se vorranno considerare questo procedimento con lo stesso spirito di equità critica che dimostrano nei confronti dei nostri altri metodi terapeutici, non potranno non darmi atto che non si deve temere alcun danno per il paziente quando il trattamento sia condotto con criterio. Senza dubbio daranno un diverso giudizio tutti coloro che, come i profani, sono soliti accusare il trattamento di qualunque cosa accada nel corso di una malattia. Non è passato molto tempo da quando questo stesso pregiudizio era rivolto contro i nostri stabilimenti idroterapici. Molti pazienti, cui veniva prescritto di andare in uno stabilimento del genere, esitavano perché erano venuti a sapere di qualcuno che era entrato in quel luogo quale malato di nervi ed ivi era diventato pazzo.

Come possono immaginare, quelli erano casi di paralisi progressiva iniziale, che, nei primi stadi, potevano ancora essere inviati in uno stabilimento idroterapico: qui, in seguito, con l'inevitabile progredire della malattia, erano intervenuti i disturbi mentali manifesti; però il pubblico imputava all'acqua questo mutamento disastroso. Quando si ha a che fare con nuovi tipi di trattamenti terapeutici, neppure i medici vanno sempre esenti da certi errori di giudizio. Ricordo di aver compiuto, una volta, un tentativo di psicoterapia su di una donna che aveva passato la maggior parte della vita in uno stato alternante di mania e di melancolia. Presi a occuparmi del caso sul finire di un periodo di melancolia e per due settimane le cose sembravano andar lisce. Alla terza settimana ci ritrovavamo al principio del successivo attacco di mania. Indubbiamente si trattava di un mutamento spontaneo del quadro clinico, dato che la psicoterapia analitica in due settimane non può ottenere alcun risultato. Eppure un eminente medico (ora deceduto), che esaminò il caso insieme a me, non potè trattenersi dall'osservare che questa «ricaduta» probabilmente andava imputata alla psicoterapia. Sono pienamente convinto che, in altre circostanze, egli avrebbe dimostrato un maggior acume critico.

f. Infine, Signori, devo confessare che non è affatto bello che io trattenga la loro attenzione cesi a lungo sull'argomento della terapia psicoanalitica, senza dir loro in che consista questo trattamento e su che si fondi. Ma poiché sono costretto ad esser breve, non potrò darne altro che un cenno. Dunque, questa terapia si fonda sul presupposto che le idee inconsce (o meglio la natura inconscia di taluni processi mentali) sono la causa diretta dei sintomi morbosi. Noi condividiamo questa opinione con la Scuola francese (Janet), la quale, peraltro, a causa di un eccessivo schematismo, riporta la causa dei sintomi isterici ad una idée fixe inconscia. Li prego ora di non temere che questo ci vada a cacciare nelle latebre delle oscurità filosofiche. Il nostro inconscio non è affatto uguale a quello dei filosofi e, per di più, la maggior parte di costoro non ne vuol sapere di «processi mentali inconsci». Però, se lor Signori vorranno guardare all'argomento dal nostro punto di vista, comprenderanno che la trasformazione di questo materiale inconscio, entro la mente del malato, in materiale cosciente, deve conseguire il risultato di correggere la sua deviazione dalla normalità e di eliminare la coazione alla quale la sua mente era sottoposta. Infatti il potere cosciente della volontà governa soltanto i processi mentali coscienti ed ogni coazione mentale ha origini nell'inconscio. Nemmeno dovranno temere che il paziente sia danneggiato dallo shock che si accompagna all'introduzione dell'inconscio nella coscienza, giacché potranno convincersi teoricamente che l'effetto somatico ed emozionale di un impulso che sia diventato cosciente, non può mai essere tanto intenso quanto quello di un impulso inconscio.

È solo attraverso l'applicazione delle nostre funzioni mentali più elevate, legate alla coscienza, che noi possiamo controllare tutti i nostri impulsi.

Vi è però un'altra angolazione sotto la quale possono cercare di intendere il metodo psicoanalitico. La scoperta e la traduzione dell'inconscio avviene in presenza di una continua resistenza da parte del paziente. Il processo di portare alla luce questo materiale inconscio si accompagna a dispiacere ed è per questo che il paziente lo respinge in continuazione. Spetta dunque a lor Signori di inserirsi in questo conflitto della vita psichica del paziente. Se riusciranno a persuaderlo ad accettare, grazie ad una migliore comprensione, qualche cosa che finora egli, in conseguenza di questa regolazione automatica tramite il dispiacere, ha respinto (rimosso), avranno fatto un passo avanti nella sua educazione e istruzione. Infatti è educazione persino l'indurre chi non ama alzarsi presto, a farlo lo stesso. Il trattamento psicoanalitico in linea generale può essere concepito come una rieducazione a superare le resistenze interne. Però una rieducazione di questo genere è soprattutto necessaria, per i pazienti nevrotici, in rapporto agli elementi psichici della loro vita sessuale. Infatti la civilizzazione non ha fatto in nessun altro campo tanto male quanto in questo, ed è questo il punto essenziale, come insegnerà loro l'esperienza, che loro dovranno tenere presente nell'indagine sull'etiologia delle nevrosi che sono suscettibili di guarigione. Infatti, l'altro fattore etiologico, cioè la componente costituzionale, è un elemento fisso e inalterabile, da cui si deduce che al medico, in questo lavoro, si richiede un importante requisito: non soltanto il suo carattere deve essere irreprensibile («Per quanto riguarda la morale, non c'è bisogno di discuterne», come era solito affermare il protagonista del romanzo di Vischer Auch Einer), ma deve anche aver superato, nella sua mente, quel miscuglio di prurigine e pudore col quale, purtroppo, tante persone considerano abitualmente i problemi sessuali.

A questo proposito non è forse fuor di luogo un'altra osservazione. So che è generalmente nota la mia insistenza sull'importanza del ruolo della sessualità nel determinismo delle psiconevrosi. Ma so anche che le sottilizzazioni e le spiegazioni particolareggiate sono di scarso giovamento col pubblico generico; nella memoria delle masse c'è ben poco posto; esse ritengono soltanto i nudi fondamenti di una teoria e ne fabbricano una versione esasperata, facile a ricordarsi. Può anche darsi che qualche medico abbia appreso vagamente che il contenuto della mia dottrina sia che io considero la privazione sessuale quale causa prima delle nevrosi. Certamente, nelle condizioni di vita della società moderna non c'è scarsezza di privazione sessuale. Con questo presupposto, non sarebbe più semplice mirare direttamente alla guarigione prescrivendo l'attività sessuale quale misura terapeutica, invece di seguire il cammino tortuoso e difficile del trattamento psichico? Non conosco nulla che mi potrebbe obbligare a respingere questa conclusione, se fosse giustificata. Ma le cose stanno altrimenti. Il bisogno e la privazione sessuale sono solo uno dei fattori in atto nel meccanismo della nevrosi. Se non ve ne fossero altri il risultato sarebbe la dissolutezza e non la malattia. L'altro fattore, non meno essenziale eppure tanto facilmente dimenticato, è l'avversione del nevrotico verso la sessualità, la sua incapacità di amare, quella caratteristica della psiche che ho definito «rimozione». La malattia nervosa non si instaura se non quando vi sia un conflitto fra le due tendenze, e quindi ben raramente bisognerà considerare un buon consiglio il prescrivere l'attività sessuale nelle psiconevrosi.

Termino con questa osservazione difensiva. Speriamo che il loro interesse verso la psicoterapia, una volta liberato da ogni pregiudizio ostile, possa esserci d'appoggio nel nostro sforzo di raggiungere il successo anche nel trattamento dei casi gravi di nevrosi.