INTRODUZIONE  AL NARCISISMO*

1914

 

*[In una postilla aggiunta nel 1920 ai suoi Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Freud dice di aver erroneamente attribuito l'introduzione del termine "narcisismo" a Nacke, mentre il merito è di Havelock Ellis. Ellis stesso ha discusso in seguito la rettifica di Freud nel saggio The Conception of Narcissism contenuto in "Studies in the Psychology of the Sex", vol. 7 (Filadelfia 1927), sostenendo che la priorità va in effetti attribuita sia a lui stesso che a Nacke, avendo egli usato nel 1898 il termine "narcissus-like" (a mo' di narciso) per indicare un atteggiamento psicologico, mentre Nacke ha introdotto nel 1899 il termine "Narcismus" (narcisismo) per descrivere una perversione sessuale. La parola tedesca usata da Freud è "Narcissmus": nel caso clinico del presidente Schreber (1910), egli sostiene di preferire questa forma a quella forse più corretta di "Narcissismus", per ragioni di brevità ed eufonia]

I

Il termine narcisismo deriva dalla descrizione clinica ed è stato scelto da Näcke nel 1889 per designare il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui è solitamente trattato il corpo di un oggetto sessuale, compiacendosi cioè sessualmente di contemplarlo, accarezzarlo e blandirlo, fino a raggiungere attraverso queste pratiche il pieno soddisfacimento. Sviluppato fino a questo grado il narcisismo ha il significato di una perversione che ha assorbito l'intera vita sessuale dell'individuo, ed è quindi soggetto alle aspettative con cui ci accostiamo allo studio di tutte le perversioni.

È stato dunque motivo di sorpresa per gli psicoanalisti osservare che singoli tratti del comportamento narcisistico si presentano in molti individui' affetti da altri disturbi — per esempio negli omosessuali, come sostiene Sadger, — e si è fatta infine strada l'ipotesi che una collocazione libidica a cui va dato il nome di narcisismo si presenti in un ambito ben più vasto di situazioni e possa rivendicare un suo posto nel normale decorso dello sviluppo sessuale degli uomini. Alla stessa supposizione si è stati indotti dalle difficoltà del lavoro psicoanalitico sui nevrotici, poiché è sembrato che tale comportamento narcisistico si instauri in essi come una delle barriere che si frappongono alla nostra possibilità di influenzarli. Inteso in questo senso, il narcisismo non sarebbe una perversione, bensì il complemento libidico dell'egoismo della pulsione di autoconservazione, una componente del quale è legittimamente attribuita ad ogni essere vivente.

Un motivo pressante per occuparci della concezione di un primario e normale narcisismo nacque in noi quando si trattò di far collimare ciò che sapevamo della dementia praecox (Kraepelin) o della schizofrenia (Bleuler) con le premesse della teoria della libido. I malati di questo tipo, che ho proposto di definire parafrenici, presentano due tratti caratteristici fondamentali: il delirio di grandezza e il distacco del loro interesse da persone e cose del mondo esterno. In virtù di quest'ultimo mutamento essi si sottraggono all'influsso della psicoanalisi e diventano inaccessibili agli sforzi che facciamo per curarli. Il distacco dei parafrenici dal mondo esterno necessita però di una più precisa connotazione. Anche l'isterico o il nevrotico ossessivo — in ragione del livello raggiunto dalla sua malattia — ha abbandonato il rapporto con la realtà. L'analisi mostra tuttavia che egli non ha assolutamente interrotto il suo rapporto erotico con le persone e con le cose. Continua anzi a serbare ben saldo nella fantasia questo rapporto: ciò significa da una parte che egli ha sostituito o combinato insieme gli oggetti reali con oggetti immaginari tratti dai suoi ricordi, e dall'altra che ha rinunciato a intraprendere le attività motorie atte a raggiungere i suoi obiettivi in relazione a questi oggetti. L'espressione "introversione della libido" che Jung usa indiscriminatamente dovrebbe essere fatta valere per quest'unica situazione libidica. Le cose stanno diversamente per il parafrenico: sembra che egli abbia effettivamente ritirato la sua libido da persone e cose del mondo esterno, senza averle sostituite con altre nella fantasia; quando ciò accade, il processo sembra secondario e inscrivibile in un tentativo di guarigione inteso a ricondurre la libido al suo oggetto-

Nasce a questo punto l'interrogativo: a quale destino va incontro nella schizofrenia la libido sottratta agli oggetti? La via per rispondere è tracciata dal delirio di grandezza tipico di questi stati. Tale delirio è nato certamente a spese della libido oggettuale. La libido sottratta al mondo esterno è stata diretta sull'Io, dando origine per conseguenza a un comportamento che possiamo definire narcisistico. In verità, lo stesso delirio di grandezza non è una creazione ex novo: come sappiamo, esso è al contrario l'amplificazione e l'esplicitazione ulteriore di un assetto già preesistente. Ciò ci induce a concepire il narcisismo sorto da riappropriazione di investimenti oggettuali come un narcisismo secondario, che si erige sulla base di un narcisismo primario la cui presenza è offuscata dagli influssi più svariati. Mi sia consentito insistere che non è mia intenzione fornire in questa sede alcun chiarimento o approfondimento dei problemi della schizofrenia, e che intendo invece limitarmi a mettere insieme quanto è già stato detto altrove in proposito al fine di giustificare l'introduzione del concetto di narcisismo.

Un terzo apporto a questo sviluppo ulteriore — a mio parere legittimo — della teoria della libido, è offerto da ciò che si ricava dalle nostre osservazioni e interpretazioni sulla vita psichica dei bambini e dei popoli primitivi. In questi ultimi troviamo alcune peculiarità che, prese singolarmente, potrebbero essere annoverate fra le manifestazioni del delirio di grandezza: una sopravvalutazione del potere dei propri desideri e atti psichici, l'"onnipotenza dei pensieri", una fede nella virtù magica delle parole e una tecnica per trattare con il mondo esterno — la magia — che appare la coerente applicazione di queste premesse nelle quali si esprime la sete di grandezza dei primitivi. Ci aspettiamo nei bambini di oggigiorno, della cui evoluzione abbiamo una visione di gran lunga meno perspicua, un atteggiamento assolutamente analogo rispetto al mondo esterno. Ci formiamo così il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste e ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette. Nella nostra ricerca che assumeva come punto di partenza i sintomi nevrotici, questo aspetto della collocazione libidica doveva all'inizio restare necessariamente in ombra. Tutto ciò che ci veniva fatto di notare erano le emanazioni di questa libido, gli investimenti oggettuali suscettibili di essere esternati e poi di nuovo tirati indietro. Grosso modo, osserviamo anche una contrapposizione tra libido dell'Io e libido oggettuale. Quanto più si impiega dell'una, tanto più si depaupera l'altra. Ci sembra che il punto più alto cui perviene la libido oggettuale nel suo sviluppo si esprima nello stato di innamoramento, il quale ci si presenta come una rinuncia del soggetto alla propria personalità in favore di un investimento d'oggetto; la situazione opposta si può riscontrare nella fantasia (o autopercezione) della "fine del mondo", propria dei paranoici. (Esistono due meccanismi in virtù dei quali si produce quest'idea della "fine del mondo": se tutto l'investimento libidico si dirige sull'oggetto amato, o se esso rifluisce tutto sull'Io).

Infine, per ciò che attiene alla differenziazione delle energie psichiche, siamo indotti a concludere che inizialmente, durante lo stadio narcisistico, esse coesistono e la nostra approssimativa analisi non riesce a far distinzione tra esse; solo quando avviene l'investimento d'oggetto diventa possibile discriminare un'energia sessuale — la libido — da un'energia delle pulsioni dell'Io.

Prima di procedere oltre, devo accennare a due quesiti che ci conducono al centro delle difficoltà del nostro tema. In primo luogo: in che rapporto sta il narcisismo di cui ci stiamo occupando con l'auto-erotismo che abbiamo descritto come uno stadio primitivo della libido? In secondo luogo: se attribuiamo all'Io un investimento libidico primario, che bisogno c'è di separare ancora una libido sessuale da un'energia non sessuale delle pulsioni dell'Io? Se postulassimo l'esistenza di un'unica energia psichica non ci risparmieremmo tutte le difficoltà di discernere fra energia delle pulsioni dell'Io e libido dell'Io, e fra libido dell'Io e libido oggettuale?

Per quel che riguarda il primo quesito, osservo che siamo costretti a supporre che non esista nell'individuo sin dall'inizio un'unità paragonabile all'Io; l'Io deve ancora evolversi. Le pulsioni autoerotiche sono invece assolutamente primordiali; qualcosa — una nuova azione psichica — deve dunque aggiungersi all'auto-erotismo perché si produca il narcisismo.

La richiesta di fornire una risposta definitiva al secondo quesito è destinata a suscitare notevole disagio in ogni psicoanalista. Ci si ribella alla sensazione di dover abbandonare l'osservazione per dedicarsi a sterili dispute teoriche, ma al tempo stesso non ci si può sottrarre al tentativo di fornire un chiarimento. Evidentemente nozioni come quelle di libido dell'Io, energia delle pulsioni dell'Io e così via non sono né particolarmente perspicue né abbastanza ricche di contenuto; una teoria speculativa delle relazioni che le riguardano dovrebbe essere intesa innanzitutto a darsi un fondamento concettuale rigorosamente delimitato. È appunto questa, io credo, l'unica differenza fra una teoria speculativa e una scienza fondata sull'interpretazione empirica. Quest'ultima non invidierà alla speculazione la sua prerogativa di fondarsi su nozioni precise e logicamente inattaccabili; al contrario si accontenterà di buon grado di alcuni sfuggenti e nebulosi princìpi di fondo di cui quasi non si riesce a farsi un concetto, sperando che essi si chiariscano strada facendo e ripromettendosi di sostituirli eventualmente con altri. Questi princìpi non costituiscono infatti la base della scienza sulla quale poggia tutto il resto; solo all'osservazione spetta questa funzione. Essi non sono le fondamenta, ma piuttosto il tetto dell'intera costruzione e si possono sostituire o asportare senza correre il rischio di danneggiarla. È quel che sta accadendo anche alla fisica contemporanea, le cui vedute di fondo relative alla materia, ai centri di forza, all'attrazione e così via, sono poco meno dubbie delle corrispondenti vedute della dottrina psicoanalitica.

Il valore dei concetti di "libido dell'Io" e "libido oggettuale" risiede nel fatto che essi traggono origine dall'elaborazione delle caratteristiche profonde dei processi nevrotici e psicotici. La differenziazione della libido in una libido che pertiene all'Io e in una libido che è vincolata agli oggetti risulta come un corollario inevitabile dall'antica ipotesi che istituì la distinzione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io. A formulare tale ipotesi fui costretto se non altro dall'analisi delle nevrosi di traslazione pure (isteria e nevrosi ossessiva), e posso dire soltanto che tutti i tentativi di render ragione con altri mezzi di tali fenomeni sono completamente falliti.

Nell'assenza più assoluta di una teoria delle pulsioni capace di fornirci un orientamento purchessia, ci è lecito, o meglio ci si impone di verificare innanzitutto un'ipotesi qualsivoglia elaborandola rigorosamente fino a quando essa risulti smentita o confermata. In favore dell'ipotesi di un'originaria differenziazione tra le pulsioni sessuali e le altre pulsioni, quelle dell'Io, si possono addurre diversi elementi oltre al fatto che tale ipotesi risulta utilmente applicabile nell'analisi delle nevrosi di traslazione. Ammetto che quest'ultima considerazione soltanto non sarebbe priva di ambiguità poiché nel caso in questione potrebbe trattarsi di un'energia psichicamente indifferenziata che diventa libido solo nell'atto di investire un oggetto. Tuttavia, innanzitutto questa distinzione concettuale corrisponde alla separazione che la gente comune opera abitualmente tra fame e amore. In secondo luogo essa è confortata da considerazioni di natura biologica. L'individuo conduce effettivamente una doppia vita, come fine a sé stesso e come anello di una catena di cui è strumento, contro o comunque indipendentemente dal suo volere. Egli considera la sessualità come uno dei suoi propri fini; ma, da un altro punto di vista, egli stesso non è che un'appendice del suo plasma germinale a disposizione del quale pone le proprie forze in cambio di un premio di piacere. Egli è il veicolo mortale di una sostanza virtualmente immortale, al pari del detentore di un maggiorasco che usufruisce solo temporaneamente di un istituto che gli sopravvive. La differenziazione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io non farebbe altro che riflettere questa duplice funzione dell'individuo. Dobbiamo rammentare in terzo luogo che tutte le nozioni psicologiche che noi andiamo via via formulando dovranno un giorno esser basate su un sostrato organico. Ciò rende probabile che a rendere operante la funzione sessuale siano alcune sostanze e processi chimici particolari i quali provvedono alla prosecuzione della vita individuale in quella della specie. Nell'atto in cui sostituiamo queste sostanze chimiche con alcune particolari forze psichiche teniamo conto di tale probabilità.

Proprio perché in genere mi sforzo di tener lontano dalla psicologia tutto ciò che è estraneo alla sua natura, incluso il pensiero biologico, desidero a questo punto ammettere espressamente che l'ipotesi di una separazione fra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io — e cioè la teoria della libido — non poggia che in misura minima su basi psicologiche e ha invece nella biologia il suo supporto essenziale. Sarò quindi coerente abbastanza da lasciar cadere questa ipotesi sulle pulsioni nel caso in cui il lavoro psicoanalitico me ne indicasse una migliore. Ciò, finora, non è accaduto. Può darsi, dunque, che l'energia sessuale — cioè la libido — sia in ultima analisi e alla fin fine solo il prodotto di una differenziazione dell'energia che opera altrimenti nella psiche. Ma quest'affermazione è priva di rilievo. Essa si riferisce a questioni talmente lontane dai problemi della nostra esperienza e di così scarso contenuto conoscitivo, che confutarla non serve a nulla, come non serve a nulla asserirla; probabilmente questa identità originaria ha a che fare con i nostri interessi analitici tanto quanto la parentela originaria di tutte le razze ha a che fare con la dimostrazione di parentela specifica col morto che le autorità richiedono per assegnarne l'eredità. Tutte queste speculazioni non ci portano ad alcun risultato; e poiché non possiamo aspettare che da un'altra scienza ci piovano bell'e fatti i giudizi definitivi connessi alla teoria delle pulsioni, è di gran lunga più opportuno provare a indagare se questo mistero fondamentale della biologia può esser chiarito dalla sintesi dei fenomeni psicologici. Rendiamoci conto che sbagliare è sempre possibile; ma non lasciamoci distogliere dal duplice progetto di portare avanti con chiarezza l'ipotesi che abbiamo menzionato per prima indottivi dall'analisi delle nevrosi di traslazione — ipotesi secondo cui esisterebbe un contrasto fra le pulsioni dell'Io e le pulsioni sessuali —, e di verificare se essa si sviluppa in modo proficuo ed esente da contraddizioni e può essere applicata anche ad altre affezioni, per esempio alla schizofrenia.

La questione sarebbe naturalmente diversa se esistesse già la prova che la teoria della libido è calata a picco quando si è trattato di dare una spiegazione della schizofrenia. È ciò che Cari Gustav Jung ha sostenuto (C. G. Jung, Trasformazioni e simboli della libido, 1912) obbligandomi a fare queste ultime dichiarazioni che mi sarei volentieri risparmiato. Avrei preferito seguire fino in fondo la via già intrapresa nell'analisi del caso Schreber, di cui non ho mai reso esplicite le premesse. Ma l'asserzione di Jung è, se non altro, prematura e misere sono le argomentazioni su cui poggia. Innanzitutto egli si richiama al fatto che io stesso avrei dichiarato di essermi visto costretto, di fronte alle difficoltà del caso Schreber, ad ampliare il concetto di libido (il che equivarrebbe a rinunciare al suo contenuto sessuale) e a fare coincidere la libido con l'interesse della psiche in generale. Quel che c'era da dire a rettifica di tale errata interpretazione è già stato esposto da Ferenczi in una critica circostanziata al lavoro di Jung. A conforto di essa posso solo ripetere che non ho mai formulato la rinuncia alla teoria della libido che Jung mi attribuisce. Un'altra affermazione di Jung secondo cui non è pensabile che la perdita della normale funzione di realtà possa esser causata esclusivamente dal ritiro della libido non è un argomento ma una sentenza. It begs the question, dà la questione per dimostrata, evitando di discuterla: infatti, ciò che bisognerebbe indagare è precisamente se e come ciò sia possibile. Nel suo importante lavoro successivo Jung ha mancato di poco la soluzione che io avevo già da tempo indicato (Jung, Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, 1913): "Bisogna qui inoltre considerare, — egli scrive — e Freud del resto ne tiene conto nel suo lavoro sul caso Schreber, che l'introversione della libido sexualis porta a un investimento dell'Io con cui probabilmente viene manifestato quell'effetto di derealizzazione. È in effetti una possibilità seducente quella di spiegare in questo modo la psicologia della derealizzazione."

Tuttavia Jung non esplora ulteriormente questa possibilità, anzi, dopo poche righe, la mette da parte osservando che da tali premesse "potrebbe derivare la psicologia di un anacoreta ascetico, e non una dementia praecox". Se si considera che un tale anacoreta, i cui "sforzi... sono volti a cancellare ogni traccia d'interesse sessuale" (sia pure intendendo quest'ultimo termine solo nel senso che esso ha per il popolo), non manifesta necessariamente neppure una collocazione patogena della libido, si comprende quanto poco questa analogia inadeguata possa aiutarci a dare un giudizio definitivo sulla questione. È possibilissimo che l'anacoreta, pur avendo completamente distolto il suo interesse sessuale dagli esseri umani e avendolo sublimato in un accresciuto interesse per ciò che è divino, naturale o appartenente al mondo degli animali, non sia tuttavia incorso in un'introversione della libido sulle proprie fantasie o in un ritorno della libido sul proprio Io. Sembrerebbe che quest'analogia trascuri in linea di principio la possibilità di stabilire una differenza tra l'interesse che promana da fonti erotiche e quello derivante da altre fonti. Se inoltre teniamo conto che le indagini della scuola svizzera, nonostante tutti i loro pregi, hanno fatto chiarezza solo su due aspetti del quadro della dementia praecox — la presenza in essa di complessi di cui conosciamo l'esistenza nelle persone sane al pari che nei nevrotici, e la similarità delle sue formazioni fantastiche con i miti dei popoli —, e che tali indagini non sono state invece capaci di gettare luce alcuna sul meccanismo che presiede allo scoppio di questa malattia, possiamo rifiutare la tesi sostenuta da Jung, secondo cui la teoria della libido sarebbe naufragata nel tentativo di padroneggiare la dementia praecox, e con ciò liquidata anche per le altre nevrosi.

Ho l'impressione che a uno studio diretto del narcisismo si oppongano speciali difficoltà. Probabilmente le parafrenie resteranno la principale via per accedervi. Come le nevrosi di traslazione ci hanno consentito di seguire le tracce dei moti pulsionali libidici, così la dementia praecox e la paranoia ci consentiranno di penetrare la psicologia dell'Io. Ancora una volta saremo costretti a ricorrere alle distorsioni e amplificazioni di ciò che è patologico per comprendere l'apparente semplicità di ciò che è normale.

Per accostarci alla conoscenza del narcisismo disponiamo tuttavia di alcune altre strade che mi accingo a descrivere una dopo l'altra: si tratta di prendere in considerazione le malattie organiche, l'ipocondria e la vita amorosa dell'uomo e della donna.

Un suggerimento orale di Sàndor Ferenczi mi ha indotto ad attribuire importanza all'influsso delle malattie organiche sulla ripartizione della libido. È universalmente noto e ci sembra ovvio che una persona tormentata da un dolore o malessere organico abbandoni ogni interesse per le cose del mondo esterno che non hanno a che fare con la sua sofferenza. Da un'osservazione più accurata ci rendiamo conto che, finché dura la sua sofferenza, egli ritira altresì l'interesse libidico dai propri oggetti d'amore, cioè smette di amare. La banalità di questa costatazione non è tale da impedirci di tradurla nei termini propri della teoria della libido. Diremo dunque più esattamente: il malato ritira sull'Io i propri investimenti libidici e li esterna di nuovo fuori di sé dopo la guarigione. "La sua anima s'indugia — dice Wilhelm Busch del poeta sofferente di mal di denti — nell'angusta cavità del suo molare." Libido e interesse dell'Io condividono in questa situazione lo stesso destino e tornano a essere reciprocamente indistinguibili. Il ben noto egoismo della persona malata li cela entrambi. Consideriamo così ovvio questo egoismo perché siamo convinti che in una situazione analoga ci comporteremmo nello stesso modo. La guisa in cui i disturbi corporei scacciano la disponibilità ad amare, per intensa che sia, e la sostituiscono improvvisamente con la più assoluta indifferenza è un tema adeguatamente sfruttato dagli scrittori comici.

Al pari della malattia, anche lo stato di sonno consiste in un ritiro narcisistico dell'assetto libidico sulla propria persona, o, per essere più precisi, sull'esclusivo desiderio di dormire. L'egoismo tipico dei sogni si inscrive perfettamente in questo contesto. In entrambe queste situazioni abbiamo modo di osservare, se non altro, due casi di mutamento della ripartizione libidica indotti da un'alterazione dell'Io.

L'ipocondria si manifesta con penose e dolorose sensazioni corporee come il malessere organico e opera allo stesso modo anche sulla ripartizione della libido. L'ipocondriaco ritira dagli oggetti del mondo esterno interesse e libido (quest'ultima segnatamente), e li concentra entrambi sull'organo che lo interessa. Si impone pertanto una differenza fra ipocondria e malattia organica: mentre in quest'ultima le sensazioni penose sono fondate su alterazioni [organiche] accertabili, ciò non accade per la prima. Tuttavia saremmo in perfetto accordo con la nostra consueta concezione dei processi nevrotici se ci risolvessimo a dichiarare che l'ipocondria deve aver ragione e che certamente anche in essa non mancano alterazioni di natura organica.

Ma in cosa consisterebbero tali alterazioni? È nostra intenzione lasciarci guidare su questo punto dall'esperienza che sensazioni corporee di natura spiacevole, paragonabili a quelle dell'ipocondria, si riscontrano anche nelle altre nevrosi. Già in passato ho reso esplicita la mia propensione a stabilire per l'ipocondria la posizione di terza nevrosi "attuale", accanto alla nevrastenia e alla nevrosi d'angoscia. Probabilmente non è azzardato sostenere che una piccola componente ipocondriaca concorre invariabilmente alla configurazione delle altre nevrosi. Certamente l'esempio migliore di ciò è costituito dalla nevrosi d'angoscia e dall'isteria che su di essa si struttura. Ora, il modello più noto di organo dolorosamente teso, alterato in qualche modo se pur non malato nel significato consueto della parola, è l'organo genitale quando è eccitato. In tali situazioni esso si congestiona, diventa turgido, si copre di umori ed è sede delle sensazioni più disparate. Se chiamiamo erogenicità la capacità che un'area corporea ha di inviare alla psiche stimoli sessualmente eccitanti, e se teniamo conto che grazie alle acquisizioni della teoria sessuale siamo avvezzi da tempo all'idea che determinate altre zone del corpo — le zone erogene — possono prendere il posto dei genitali e comportarsi in maniera analoga ad essi, non ci resta che fare un passo ulteriore. Giungeremo allora alla conclusione che l'erogenicità è una caratteristica generale di tutti gli organi e potremo parlare di un suo aumento o di una sua diminuzione in una determinata parte del corpo. A ciascuna di queste alterazioni nell'erogenicità degli organi potrebbe corrispondere un'alterazione dell'investimento libidico dell'Io. In questi fattori andrebbe ravvisato quel che a nostro parere è il fondamento dell'ipocondria, e ciò che può esercitare sulla ripartizione della libido lo stesso effetto prodotto dalle affezioni materiali degli organi.

Ci rendiamo conto che, procedendo in questa linea di pensiero, ci imbattiamo nel problema non solo dell'ipocondria ma anche delle altre nevrosi "attuali": la nevrastenia e la nevrosi d'angoscia. Per questo desideriamo arrestarci; non fa parte degli scopi di un'indagine puramente psicologica sconfinare fino a questo punto nell'ambito della ricerca fisiologica. Mi sia consentito accennare soltanto che il punto di vista or ora menzionato consente di supporre che fra l'ipocondria e la parafrenia sussista un rapporto analogo a quello che hanno le altre nevrosi attuali con l'isteria e la nevrosi ossessiva; questo punto di vista consente di supporre cioè che l'ipocondria dipende dalla libido dell'Io cosi come le altre nevrosi dipendono dalla libido oggettuale e che l'angoscia ipocondriaca è il corrispettivo dell'angoscia nevrotica, a livello di libido dell'Io. Se inoltre ci siamo già abituati all'idea che il meccanismo dell'ammalarsi e della formazione dei sintomi nelle nevrosi di traslazione — il procedere dall'introversione alla regressione — sia legato a un ingorgo della libido oggettuale (Vedi il mio scritto Modi tipici di ammalarsi nervosamente, 1912), potremo accostarci anche all'idea di un ingorgo della libido dell'Io e metterla in relazione con i fenomeni dell'ipocondria e della parafrenia.

Ovviamente la nostra brama di sapere solleverà a questo punto il problema del perché tale ingorgo libidico nell'Io debba essere avvertito necessariamente come qualcosa di spiacevole. Mi accontenterò per il momento di rispondere che il dispiacere in generale è l'espressione di una tensione particolarmente elevata e che dunque in questo, come in altri casi, ciò che si converte nella qualità psichica del dispiacere è una certa quantità di un evento materiale; cionondimeno non può essere decisiva per lo svilupparsi del dispiacere la grandezza assoluta dell'evento materiale in questione, ma piuttosto una determinata funzione di tale grandezza assoluta. Da questo punto di vista possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti. Attenendoci al nostro orientamento di pensiero dovremmo rispondere ancora una volta che tale necessità interviene quando l'investimento dell'Io con libido ha oltrepassato una certa misura. Un forte egoismo instaura una protezione contro la malattia; tuttavia, prima o poi bisogna ben cominciare ad amare per non ammalarsi e se, in conseguenza di una frustrazione, si diventa incapaci di amare, inevitabilmente ci si ammala. Le cose si svolgono all'incirca secondo il modello immaginato da Heine per la psicogenesi della creazione del mondo:

Krankheit ist wohl dei letzte Grund

Des ganzen Schöpferdrangs gewesen;

Erschaffend konnte ich genesen,

Erschaffend wurde ich gesund.

[Fu malattia ciò che mi diè

L'intimo impulso creativo.

Creando vidi che guarivo,

Creare fu guarir per me.]

Nel nostro apparato psichico abbiamo innanzitutto identificato un meccanismo a cui è stato affidato il compito di padroneggiare gli eccitamenti che altrimenti risulterebbero tormentosi o produrrebbero effetti patogeni. Il lavoro che compie la psiche per deviare verso l'interno gli eccitamenti che non sono in grado di scaricarsi direttamente all'esterno o per i quali una tale scarica non sarebbe, al momento, augurabile, è straordinario. Ora, in un primo tempo è indifferente che tale elaborazione interna si compia su oggetti reali o immaginari. La differenza si manifesta solo in seguito, allorché il volgersi della libido su oggetti irreali (introversione) ha provocato un ingorgo libidico. Un'analoga elaborazione interna della libido tornata nell'Io dà luogo al delirio di grandezza nei parafrenici; forse solo in seguito allo scacco subito da tale delirio di grandezza, l'ingorgo libidico nell'Io diventa patogeno e stimola quel processo verso la guarigione che a noi appare come il manifestarsi della malattia.

Proverò ora a procedere di qualche breve passo nella penetrazione del meccanismo della parafrenia e comincerò a mettere insieme le concezioni che a tutt'oggi mi sembrano degne di considerazione. Io ritengo che la differenza fra le affezioni parafreniche e le nevrosi di traslazione risieda nel fatto che nelle prime la libido divenuta libera a causa della frustrazione non resta legata agli oggetti della fantasia ma si ritira invece sull'Io; il delirio di grandezza corrisponde pertanto al dominio psichico di questo ammontare libidico e costituisce perciò l'equivalente di quell'introversione sulle formazioni fantastiche che si riscontra nelle nevrosi di traslazione: al fallimento di questa prestazione psichica fa seguito l'ipocondria parafrenica omologabile all'angoscia delle nevrosi di traslazione. Sappiamo che quest'angoscia si può risolvere grazie a un'elaborazione ulteriore che può consistere nella conversione, in formazioni reattive o in formazioni di tipo protettivo (fobie). Tale funzione è assolta nelle parafrenie dal tentativo che il malato compie in direzione del ristabilimento, tentativo al quale dobbiamo le manifestazioni vistose della malattia. Giacché la parafrenia implica spesso, se non abitualmente, solo un distacco libidico parziale dagli oggetti, si sono potuti distinguere nel quadro clinico di essa tre gruppi di manifestazioni: 1) quelle che corrispondono a ciò che resta dello stato di normalità o di nevrosi (manifestazioni residue); 2) quelle che corrispondono al processo morboso (il distacco libidico dagli oggetti, a cui vanno aggiunti il delirio di grandezza, l'ipocondria, i disturbi affettivi e ogni tipo di regressione); 3) quelle che corrispondono al ristabilimento e consentono alla libido di tornare ad ancorarsi agli oggetti seguendo le modalità dell'isteria (nella dementia praecox o parafrenia propriamente detta) o della nevrosi ossessiva (nella paranoia). Questo rinnovato investimento libidico si verifica a partire da un livello diverso ed è soggetto a condizioni diverse rispetto all'investimento libidico primario. La differenza fra le nevrosi di traslazione che derivano da questo rinnovarsi dell'investimento libidico e le formazioni corrispondenti dell'Io in condizioni normali, dovrebbe permetterci di penetrare in profondità nella struttura del nostro apparato psichico.

Una terza via per accostarci allo studio del narcisismo consiste nell'osservare la vita amorosa degli esseri umani, nel variegato differenziarsi delle sue manifestazioni, rispettivamente nell'uomo e nella donna. Così come in un primo momento la libido oggettuale ha tenuto nascosta alla nostra osservazione la presenza della libido dell'Io, anche in relazione alla scelta oggettuale del bambino (o dell'individuo che sta crescendo), ci siamo resi conto innanzitutto che egli trae i propri oggetti sessuali dalle sue esperienze di soddisfacimento. I primi soddisfacimenti sessuali di tipo autoerotico sono esperiti in relazione a funzioni di importanza vitale che si pongono al servizio dell'auto-conservazione. Le pulsioni sessuali si appoggiano all'inizio al soddisfacimento delle pulsioni dell'Io, e solo in seguito si rendono da esse indipendenti; tuttavia tale "appoggio" continua a esser testimoniato dal fatto che sono assunti come primi oggetti sessuali le persone che hanno a che fare con la nutrizione, la cura e la protezione del bambino, cioè in primo luogo la madre o chi ne fa le veci. Accanto a questo modello e a questa fonte della scelta oggettuale che potremmo definire tipo [di scelta oggettuale] "per appoggio", la ricerca analitica ci ha però fatto conoscere un secondo tipo di scelta oggettuale, del quale non sospettavamo l'esistenza. Segnatamente negli individui — come i pervertiti e gli omosessuali ad esempio — il cui sviluppo libidico ha subito qualche disturbo abbiamo scoperto che nella successiva scelta dell'oggetto d'amore non viene assunta a modello la madre, ma la propria persona. Essi cercano palesemente sé stessi come oggetto d'amore e manifestano il tipo di scelta oggettuale da definirsi ''narcisistico". Nell'osservazione di questo fenomeno va riconosciuto il motivo che più fortemente ci ha indotto a formulare l'ipotesi del narcisismo.

A questo punto non giungiamo tuttavia alla conclusione che gli uomini si dividano in due gruppi nettamente distinti, a seconda che la loro scelta oggettuale sia conforme al tipo "per appoggio" o a quello narcisistico; al contrario avanziamo l'ipotesi che a ciascun individuo sia aperta la possibilità di compiere la sua scelta oggettuale in entrambe le direzioni, e che ognuno possa manifestare la sua preferenza per l'una o per l'altra. Affermiamo che l'uomo dispone in origine di due oggetti sessuali: sé stesso e la donna che si prende cura di lui; con ciò postuliamo che un narcisismo primario sia presente in ogni essere umano, narcisismo che può rivelarsi per alcuni l'elemento dominante della scelta oggettuale.

Il paragone fra l'uomo e la donna rivela poi che nei confronti del tipo di scelta oggettuale esistono fra i due sessi differenze di fondo, ancorché non riscontrabili ovviamente in ogni singolo caso. L'amore d'oggetto che corrisponde pienamente al tipo di scelta oggettuale per appoggio è invero caratteristica tipicamente maschile. In questo amore si manifesta una spiccata sopravvalutazione sessuale che deriva certamente dall'originario narcisismo infantile, e che corrisponde pertanto a una traslazione di quest'ultimo sull'oggetto sessuale. Tale sopravvalutazione sessuale è all'origine del peculiare stato d'innamoramento — in cui sono adombrati i tratti della coazione nevrotica —, stato che risale quindi a un impoverimento libidico subito dall'Io a vantaggio dell'oggetto d'amore.

Lo sviluppo segue un corso diverso nel tipo di donna che incontriamo più frequentemente, e che rappresenta, probabilmente, anche il tipo femminile più puro e autentico. Con lo sviluppo della pubertà dovuto alla completa maturazione degli organi sessuali femminili latenti fino a quella fase, sembra prodursi nella donna un incremento dell'originario narcisismo che non risulta propizio alla configurazione di un amore d'oggetto vero e proprio con la relativa sopravvalutazione sessuale. Specialmente quando sviluppandosi le donne acquistano in bellezza, interviene in esse una sorta di autosufficienza che le compensa dei sacrifici che la società impone alla loro libertà di scegliersi il proprio oggetto. A rigore queste donne amano, con intensità paragonabile a quella con cui sono amate dagli uomini, soltanto sé stesse. In verità i loro bisogni non le inducono ad amare, ma piuttosto ad essere amate; e si compiacciono degli uomini che soddisfano questa loro esigenza. Alle donne di questo tipo va attribuita un'importanza grandissima per la vita amorosa del genere umano. Esse esercitano un enorme fascino sugli uomini non solo per ragioni estetiche (di regola sono le più belle), ma anche in virtù di alcune interessanti costellazioni psicologiche. È infatti accertabile con evidenza che il narcisismo di una persona suscita una grande attrazione su tutti coloro i quali, avendo rinunciato alla totalità del proprio narcisismo, sono alla ricerca di un amore oggettuale; l'attrattiva del bambino poggia in buona parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e inaccessibilità, al pari del fascino di alcune bestie che sembrano non occuparsi di noi, come i gatti e i grandi animali da preda. Nelle raffigurazioni poetiche che ne vengono date, perfino i grandi criminali e gli umoristi ci avvincono per la coerenza narcisistica con cui sanno tener lontano tutto ciò che potrebbe rimpicciolire il loro Io. È come se li invidiassimo perché hanno saputo serbare una condizione di beatitudine psichica, un assetto libidico  inattingibile  al  quale  noi  abbiamo  ormai rinunciato da tempo.

Il grande fascino della donna narcisistica non manca tuttavia di un suo rovescio: gran parte dell'insoddisfazione dell'uomo innamorato, dei dubbi che egli nutre sull'amore della sua donna, delle lamentele per la natura enigmatica di lei, hanno la loro radice in questa incompatibilità fra i due tipi di scelta oggettuale.

Forse non è superfluo assicurare i lettori che descrivendo in questo modo la vita amorosa femminile non nutro il minimo proposito di sminuire la donna. A prescindere dal fatto che sono comunque alieno da ogni partito preso, sono altresì consapevole che i diversi orientamenti dello sviluppo di cui ho or ora parlato corrispondono alla differenziazione di funzioni che si inseriscono in un contesto biologico assai complicato; sono inoltre disposto ad ammettere che parecchie donne amano secondo il tipo maschile e sviluppano la sopravvalutazione sessuale che accompagna questo genere di scelta.

Esiste una via grazie alla quale anche le donne narcisistiche il cui atteggiamento verso l'uomo si è mantenuto freddo possono pervenire a un completo amore d'oggetto. Nel figlio a cui danno vita, una parte del proprio corpo si presenta a queste donne come un oggetto estraneo al quale, a prescindere dal proprio narcisismo, possono ora offrire in dono il più pieno amore oggettuale. Per altre donne ancora, non è necessario attendere la nascita di un figlio perché possa compiersi il progresso evolutivo che dal narcisismo (secondario) porta all'amore d'oggetto. Prima della pubertà esse si sono sentite maschi e la loro evoluzione è proceduta per un tratto secondo un orientamento maschile; anche dopo che tale tendenza è stata interrotta per l'intervento della maturità femminile, queste donne serbano l'attitudine ad anelare a un ideale di mascolinità che, a ben vedere, altro non è che la prosecuzione della natura maschile insita in loro dall'epoca della fanciullezza. Possiamo concludere le osservazioni qui svolte con una breve rassegna delle vie che portano alla scelta oggettuale. Un essere umano può amare

1)  Secondo il tipo narcisistico [di scelta oggettuale]:

a)  quel che egli stesso è (cioè sé stesso),

b)  quel che egli stesso era,

e) quel che egli stesso vorrebbe essere,

d) la persona che fu una parte del proprio sé.

2)  Secondo il tipo [di scelta oggettuale] "per appoggio":

a)   la donna nutrice,

b)  l'uomo protettivo,

e la serie delle persone che fanno le veci di queste. L'inserimento del caso e) nel primo tipo si giustifica soltanto in base ai chiarimenti che daremo in seguito.

Il significato per l'omosessualità maschile della scelta oggettuale narcisistica va valutato in un diverso contesto.

Quel che abbiamo supposto essere il primario narcisismo infantile, il quale costituisce una delle premesse delle nostre teorie della libido, è più facilmente desumibile facendo riferimento a un altro fattore che ricorrendo all'osservazione diretta. Se consideriamo l'atteggiamento dei genitori particolarmente teneri verso i loro figli, dobbiamo riconoscere che tale atteggiamento è la reviviscenza e la riproduzione del proprio narcisismo al quale i genitori stessi hanno da tempo rinunciato. L'ottimo indizio della sopravvalutazione, di cui abbiamo già apprezzato il valore come stigma narcisistico per quel che attiene alla scelta oggettuale, costituisce, com'è ben noto, l'elemento dominante di questa relazione emotiva. Si instaura in tal modo una coazione ad attribuire al bambino ogni sorta di perfezioni di cui non esiste indizio alcuno se lo si osserva attentamente, nonché a dimenticare e coprire ogni sua manchevolezza (a questo fatto si riallaccia altresì il misconoscimento della sessualità infantile). Al tempo stesso esiste nei genitori anche la tendenza a sospendere in favore del bambino tutte le acquisizioni della civiltà al cui rispetto essi stessi hanno costretto il proprio narcisismo, e a rinnovare per lui la rivendicazione di privilegi a cui da tempo hanno rinunciato. La sorte del bambino dev'essere migliore di quella dei suoi genitori; egli non deve esser costretto a subire le necessità da cui, come i genitori sanno, la vita è dominata. Malattia, morte, rinuncia al godimento, restrizioni imposte alla volontà personale non devono valere per lui, le leggi della natura al pari di quelle della società devono essere abrogate in suo favore, egli deve davvero ridiventare il centro e il nocciolo del creato, quel "His Majesty the Baby", che i genitori si sentivano un tempo. Il bambino deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori: il maschio deve diventare un grand'uomo e un eroe in vece del padre, la femmina deve andar sposa a un principe in segno di riparazione tardiva per la madre. Nel punto più vulnerabile del sistema narcisistico — l'immortalità dell'Io che la realtà mette radicalmente in forse — si ottiene sicurezza rifugiandosi nel bambino. L'amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita; tramutato in amore oggettuale, esso rivela senza infingimenti la sua antica natura.

3

I disturbi a cui è esposto l'originario narcisismo del bambino, le reazioni con le quali egli se ne difende, nonché le strade che con ciò è costretto a imboccare sono temi che intendo lasciare da parte poiché costituiscono un importante materiale di ricerca di cui ancora non si è venuti a capo; si può comunque trascegliere, chiamandolo "complesso di evirazione" (angoscia per il pene nel ragazzo e invidia del pene nella ragazza), l'elemento più significativo di questo materiale, e considerarlo in relazione all'influsso della precoce intimidazione sessuale. L'indagine psicoanalitica ci permette di solito di seguire i destini delle pulsioni libidiche quando esse risultano in opposizione alle pulsioni dell'Io da cui sono isolate; nell'ambito del complesso di evirazione l'indagine psicoanalitica ci consente invece di inferire che è esistita un'epoca e una situazione psichica in cui i due tipi di pulsioni, agendo ancora congiuntamente in indissolubile unità, comparivano sotto forma di interessi narcisistici. Alfred Adler ha derivato da questo contesto di fenomeni la sua nozione di "protesta virile" che egli eleva a forza motrice quasi esclusiva nella formazione del carattere e della nevrosi, non fondandola però su una tendenza narcisistica — e dunque ancora di tipo libidico —, ma su una valutazione sociale. Il punto di vista della ricerca psicoanalitica è sempre stato, fin dagli inizi, quello di riconoscere l'esistenza e l'importanza della "protesta virile", ma di sostenere, in opposizione a Adler, la sua natura narcisistica e la sua derivazione dal complesso di evirazione. La protesta virile è una componente della formazione del carattere (alla cui genesi partecipa accanto a molti altri fattori), ed è assolutamente inidonea a chiarire i problemi delle nevrosi; del resto, nell'ambito delle nevrosi l'unica cosa che Adler ritiene di dover prendere in considerazione è il modo in cui esse si pongono al servizio degli interessi dell'Io. Per parte mia reputo assolutamente impossibile che la genesi della nevrosi poggi sulla base ristretta del complesso di evirazione, per quanto, anche negli uomini, questo complesso possa presentarsi come un elemento di grande forza fra le resistenze che si oppongono alla guarigione. Fra l'altro conosco casi di nevrosi in cui la "protesta virile" o il complesso di evirazione come noi lo intendiamo, non ha alcuna funzione patogena o addirittura non compare affatto.

L'osservazione dell'individuo adulto normale rivela che la sua megalomania di un tempo si è smorzata e che sono sfumate le caratteristiche psichiche da cui avevamo inferito l'esistenza del suo narcisismo infantile. Cos'è accaduto della sua libido dell'Io? Dobbiamo ritenere che l'intero suo importo si sia risolto negli investimenti d'oggetto? Questa possibilità è in contraddizione palese con l'orientamento complessivo delle nostre argomentazioni; dalla psicologia della rimozione possiamo invece trarre un'indicazione per una risposta diversa a tale quesito.

Abbiamo imparato che i moti pulsionali libidici incorrono nel destino di una rimozione patogena quando vengono in conflitto con le rappresentazioni della civiltà e dell'etica proprie del soggetto. Con ciò non abbiamo mai inteso che l'individuo abbia una nozione meramente intellettuale di queste rappresentazioni, ma sempre piuttosto che egli le riconosca come normative e si sottometta alle sollecitazioni che da esse gli provengono. Abbiamo detto che la rimozione procede dall'Io. Potremmo essere più precisi e sostenere che procede dalla considerazione che l'Io ha di sé. Le stesse impressioni, esperienze, impulsi, moti di desiderio nei quali un individuo indulge, o che quanto meno elabora consapevolmente, sono respinti da un altro con la massima indignazione o almeno soffocati prima di pervenire alla coscienza. Comunque la differenza fra i due individui, che chiama in causa l'elemento determinante della rimozione, può essere facilmente espressa in termini che si riescono a padroneggiare in virtù della teoria della libido. Possiamo dire che un individuo ha costruito in sé un ideale rispetto al quale misura il proprio Io attuale, mentre nell'altro non avviene questa formazione di un ideale. La formazione di un ideale sarebbe da parte dell'Io la condizione della rimozione.

A questo Io ideale si rivolge ora quell'amore di sé di cui l'Io reale ha goduto nell'infanzia. Il narcisismo appare ora spostato su questo nuovo Io ideale che si trova in possesso, come l'Io di quando si era bambini, di tutte le più preziose qualità. L'uomo si è dimostrato ancora una volta, come sempre nell'ambito della libido, incapace di rinunciare a un soddisfacimento di cui ha goduto nel passato. Non vuol esser privato della perfezione narcisistica della sua infanzia e se — importunato dagli ammonimenti altrui e dal destarsi del suo stesso giudizio critico — non è riuscito a serbare questa perfezione negli anni dello sviluppo, si sforza di riconquistarla nella nuova forma di un ideale dell'Io. Ciò che egli proietta avanti a sé come proprio ideale è il sostituto del narcisismo perduto dell'infanzia, di quell'epoca, cioè, in cui egli stesso era il proprio ideale.

Siamo con ciò indotti a esplorare le relazioni fra questa formazione di un ideale e la sublimazione. La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale. In questo processo l'accento cade sulla deviazione rispetto alla sessualità. L'idealizzazione è un processo che ha a che fare con l'oggetto; in virtù di essa l'oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato. L'idealizzazione può avvenire sia nell'ambito della libido dell'Io sia nell'ambito della libido oggettuale. Così per esempio la sopravvalutazione sessuale di un oggetto è un'idealizzazione dello stesso. Pertanto, dal momento che la sublimazione descrive qualcosa che ha a che fare con la pulsione, mentre l'idealizzazione ciò che accade all'oggetto, queste due nozioni vanno concettualmente distinte l'una dall'altra.

La formazione di un ideale dell'Io viene frequentemente confusa con la sublimazione delle pulsioni, a danno della nostra intelligenza dei fatti. Non necessariamente chi ha rinunciato al proprio narcisismo per dedicarsi a un alto ideale dell'Io è per ciò stesso riuscito a sublimare le sue pulsioni libidiche. Vero è che l'ideale dell'Io esige tale sublimazione, ma non può imporla; la sublimazione resta un processo particolare il cui avvio può esser sollecitato dall'ideale, ma la cui esecuzione rimane assolutamente indipendente da tale sollecitazione. Proprio fra le persone nevrotiche troviamo le più grandi differenze di tensione fra lo sviluppo conseguito dall'ideale dell'Io e la misura in cui le pulsioni libidiche primitive sono state sublimate; e in generale, dell'inopportunità di restare ancorati alla propria libido, è assai più difficile persuadere gli idealisti che gli uomini semplici e di modeste pretese. Inoltre, la formazione di un ideale dell'Io e la sublimazione si pongono in un rapporto rispettivamente assai diverso anche con ciò che dà origine alla nevrosi. Come sappiamo, la formazione di un ideale accresce le esigenze dell'Io e favorisce al massimo la rimozione; la sublimazione offre invece una via d'uscita in virtù della quale le esigenze dell'Io possono esser soddisfatte senza dar luogo a rimozione.

Non ci sarebbe niente di strano se riuscissimo a identificare una speciale istanza psichica che assolve il compito di vigilare affinché a mezzo dell'ideale dell'Io sia assicurato il soddisfacimento narcisistico, e a tal fine osserva costantemente l'Io attuale commisurandolo a questo ideale. Se tale istanza esiste, non è possibile che ci accada di scoprirla; possiamo solo riconoscerla come tale e ci è lecito dichiarare che ciò che chiamiamo la nostra "coscienza morale" ha questa prerogativa. Riconoscere l'esistenza di tale istanza ci rende intelligibile il cosiddetto "delirio di esser notati" [Beachtungswahn] o, più precisamente, di essere "osservati" [ Beobachtungswahn]; delirio che si manifesta con tanta evidenza nella sintomatologia delle affezioni paranoidi, sia come fenomeno morboso a sé stante sia inframmezzato alle manifestazioni di una nevrosi di traslazione. I malati di questo tipo si lamentano del fatto che tutti i loro pensieri sono conosciuti, che le loro azioni sono osservate e inquisite; sono informati dell'opera di questa istanza da voci che hanno la peculiarità di rivolgersi ad essi usando la terza persona ("Ella sta pensando di nuovo a quella cosa", "egli ora se ne va"). Tale lamentela è giustificata poiché corrisponde al vero. Una forza di questo genere che osserva, scopre e critica tutte le nostre intenzioni esiste davvero, e precisamente nella vita normale di ciascuno di noi. Nel delirio di essere osservati essa compare in forma regressiva, rivelando in tal modo la sua genesi e la ragione per cui la persona ammalata vi si ribella. Infatti, l'esigenza di formare un ideale dell'Io, su cui la coscienza morale è incaricata di vigilare, è scaturita nell'individuo per opera delle critiche che i suoi genitori gli hanno rivolto a voce, alle quali, nel corso del tempo, si sono associati gli educatori, i maestri e l'incalcolabile e indefinita schiera di tutte le altre persone del suo ambiente (il suo prossimo e la pubblica opinione).

Considerevoli importi di libido di natura essenzialmente omosessuale sono stati dunque convogliati nella formazione di un ideale narcisistico dell'Io, e nel preservare tale ideale hanno trovato il proprio sbocco e soddisfacimento. L'istituzione della coscienza morale è stata in fondo in un primo tempo un'incarnazione delle critiche dei genitori, e in seguito di quelle della società: un processo analogo a quello che si rinnova quando una tendenza alla rimozione scaturisce da divieti e impedimenti sorti per la prima volta dall'esterno. Sia le voci, sia la moltitudine di persone la cui identità è lasciata nel vago sono ora riportate in primo piano dalla malattia; e con ciò vien riprodotta regressivamente la storia evolutiva della coscienza morale. Ma la ribellione contro questa "istanza  censoria"  dipende  dall'intenzione  del  soggetto (che corrisponde in pieno al carattere fondamentale della sua malattia) di liberarsi da tutti gli influssi che sono seguiti a quello dei genitori e dal fatto che egli ritira da essi la libido omosessuale. La sua coscienza morale gli si fa dunque contro in forma regressiva, assumendo le sembianze di qualcosa di ostile che agisce dall'esterno.

Le lamentele dei paranoici mostrano altresì che l'autocritica della coscienza morale coincide nella sostanza con l'autosservazione su cui si fonda. La medesima attività psichica che si è assunta la funzione di coscienza morale si è dunque posta anche al servizio dell'indagine interiore che fornisce il materiale di cui la filosofia si serve per le sue operazioni intellettuali. A ciò si connette forse in qualche modo la tipica propensione dei paranoici a elaborare sistemi di tipo speculativo. (A titolo di mera supposizione, mi sia consentito aggiungere che allo svilupparsi e al rafforzarsi di questa istanza osservativa potrebbe esser connessa anche la genesi tardiva della memoria (soggettiva) e del fattore temporale, il quale non vige nella sfera dei processi inconsci.)

Sarà certamente importante per noi se riusciremo a riconoscere i segni dell'attività di questa istanza osservativa di tipo critico — assurta a coscienza morale e a introspezione filosofica — anche in altri ambiti. Desidero citare a questo proposito ciò che Silberer ha descritto come "fenomeno funzionale", una delle poche integrazioni alla teoria del sogno il cui valore è fuori discussione. Com'è noto, Silberer ha dimostrato che, negli stati fra il sonno e la veglia, la trasformazione dei pensieri in immagini visive si può osservare direttamente, ma che in queste circostanze spesso la raffigurazione che appare non corrisponde a un contenuto di pensiero, bensì alla condizione (di disponibilità, di stanchezza e così via) nella quale si trova la persona che sta lottando con il sonno. Analogamente Silberer ha dimostrato che la conclusione di alcuni sogni o brani singoli di essi non stanno a significare nient'altro che l'autopercezione del sognatore del proprio dormire e del proprio svegliarsi. Silberer ha dunque fornito le prove che l'autosservazione — nel senso del delirio paranoico di essere osservati — è un elemento che concorre alla formazione del sogno. Questo elemento non è presente in modo costante; io l'avevo trascurato probabilmente perché nei miei sogni esso non svolge una funzione di rilievo; in persone con attitudini filosofiche e avvezze all'introspezione esso può diventare assai spiccato. Ricordiamo a questo punto di aver scoperto che la formazione del sogno soggiace al dominio di una censura che costringe alla deformazione dei pensieri onirici. Questa censura non ce la siamo però figurata come una forza di tipo particolare, bensì abbiamo scelto questo termine per designare — fra le tendenze rimoventi che governano l'Io — la parte di esse che si rivolge ai pensieri onirici. Se ci addentriamo ulteriormente nella struttura dell'Io, potremo riconoscere nell'ideale dell'Io e nelle manifestazioni dinamiche della coscienza morale anche il "censore del sogno".

Se questo censore è un poco all'erta anche durante il sonno, comprenderemo come l'attività che abbiamo supposto essergli propria — autosservazione e autocritica — contribuisca al contenuto del sogno con pensieri del tipo: "ora è troppo addormentato per pensare", "ora si sta svegliando".(Non mi è possibile stabilire qui se la differenziazione di questa istanza censoria dal resto dell'Io sia idonea a costituire il fondamento psicologico della distinzione filosofica fra coscienza e autocoscienza.)

A questo punto possiamo tentare la discussione del sentimento di sé nelle persone normali e nei nevrotici.

A tutta prima il sentimento di sé ci appare un modo di esprimere l'ampiezza dell'Io, indipendentemente dagli elementi che la costituiscono. Tutto ciò che un individuo possiede o acquisisce, ogni residuo del primitivo sentimento di onnipotenza che l'esperienza corrobora in lui, contribuisce a esaltare il suo sentimento di sé.

Introducendo la distinzione che abbiamo stabilito fra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io, dobbiamo riconoscere che il sentimento di sé dipende in modo particolarmente stretto dalla libido narcisistica. Nel dire questo ci richiamiamo a due fondamentali circostanze di fatto: che nelle parafrenie il sentimento di sé viene esaltato mentre nelle nevrosi di traslazione esso viene degradato; e che nella vita amorosa il non essere amati sminuisce il sentimento di sé mentre l'essere amati lo innalza. Come abbiamo già detto, l'essere amati costituisce la meta e il soddisfacimento della scelta oggettuale di tipo narcisistico.

Inoltre è facile osservare che l'investimento libidico degli oggetti non innalza il sentimento di sé. La dipendenza dall'oggetto amato ha l'effetto di avvilire questo sentimento. La persona innamorata è umile. Chi ama ha perduto, per così dire, una parte del proprio narcisismo e può riconquistarlo solo se è amato a sua volta. A quel che pare, in ciascuna di queste relazioni, il sentimento di sé si mantiene in rapporto con la componente narcisistica della vita amorosa.

La percezione dell'impotenza, della propria inidoneità all'amore a causa di disturbi psichici o fisici, agisce in modo assai avvilente sul sentimento di sé. Secondo il mio modo di vedere, in ciò va ravvisata una delle fonti dei sentimenti di inferiorità che i soggetti colpiti da nevrosi di traslazione dichiarano spesso così di buon grado. Questi sentimenti sorgono tuttavia principalmente dall'impoverimento dell'Io dovuto agli spropositati investimenti libidici che gli sono stati sottratti; cioè dal danno che l'Io subisce ad opera delle tendenze sessuali non più tenute sotto controllo.

Adler ha sostenuto con ragione che nelle persone psichicamente valide, il rendersi conto dell'inferiorità di qualche organo ha un effetto stimolante e produce un aumento del rendimento grazie a un processo di sovracompensazione. Sarebbe però una vera esagerazione se, seguendo l'esempio di Adler, volessimo far dipendere ogni buona prestazione dal suddetto fattore di un'originaria inferiorità organica. Non tutti i pittori soffrono di difetti agli occhi né tutti gli oratori erano in origine balbuzienti. Esiste anche un'abbondante casistica di opere egregie fondate su eccelse attitudini organiche. Per l'etiologia della nevrosi l'inferiorità organica e l'infermità hanno una funzione irrilevante, all'incirca la stessa che per la formazione del sogno ha il materiale percettivo corrente. La nevrosi si serve di tale inferiorità come di un pretesto, esattamente come fa con ogni altro elemento che le convenga. Proviamo infatti a dar retta a una paziente nevrotica quando ci racconta che per lei ammalarsi era inevitabile perché è talmente brutta, malfatta e priva di attrattive, che nessuno può amarla; la nevrotica successiva ci farà ricredere poiché persevera nella sua nevrosi e nella sua avversione per la sessualità, nonostante appaia più desiderabile e in effetti sia più desiderata della media delle donne. Le donne isteriche sono in maggioranza rappresentanti attraenti e addirittura belle del loro sesso; d'altra parte la quantità di brutture, di infermità e di guasti organici che riscontriamo negli strati più infimi della società non incide affatto sulla frequenza delle malattie nevrotiche in quegli ambienti.

Le relazioni esistenti fra il sentimento di sé e l'erotismo (vale a dire gli investimenti oggettuali libidici) si possono esprimere nella formula seguente: bisogna distinguere il caso in cui gli investimenti amorosi sono in sintonia con l'Io da quello in cui al contrario essi hanno subito una rimozione. Nel primo caso (di impiego egosintonico della libido), l'atto di amare è considerato alla stregua di ogni altra attività dell'Io. L'amare di per sé, come anelito e privazione, deprime il sentimento di sé; l'essere amati, venire ricambiati del proprio amore, possedere l'oggetto amato lo reinnalza. Se la libido è rimossa, l'investimento amoroso è avvertito come un grave svuotamento dell'Io, il soddisfacimento amoroso diventa impossibile e l'Io può tornare ad arricchirsi solo se la libido è ritirata dagli oggetti. Il ritorno all'Io della libido oggettuale, e il suo tramutarsi in narcisismo, rappresenta in certo qual modo la restaurazione di un amore felice, e d'altra parte un amore felice vero e proprio corrisponde all'originaria situazione in cui non è possibile distinguere fra libido d'oggetto e libido dell'Io.

L'argomento è così importante e ricco di implicazioni che mi è forse lecito aggiungere alcune altre considerazioni in ordine piuttosto sparso.

Lo sviluppo dell'Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario e dà luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo. Questo allontanamento si effettua per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell'Io imposto dall'esterno, e il soddisfacimento è ottenuto grazie al raggiungimento di questo ideale.

Contemporaneamente l'Io ha emanato gli investimenti oggettuali libidici. L'Io si impoverisce e a vantaggio di questi investimenti e a vantaggio dell'ideale dell'Io; e torna ad arricchirsi se ottiene soddisfacimenti in relazione agli oggetti e se raggiunge il suo ideale.

Esiste una componente originaria del sentimento di sé, costituita da quel che sopravvive del narcisismo infantile; un'altra parte deriva dall'onnipotenza di cui abbiamo per esperienza prove concrete (il raggiungimento dell'ideale); una terza parte procede dal soddisfacimento della libido oggettuale. L'ideale dell'Io ha imposto difficili condizioni al soddisfacimento libidico in relazione agli oggetti giacché, mediante il suo censore, l'ideale fa in modo che parte del soddisfacimento sia respinto come inammissibile. Nei casi in cui tale ideale non si è sviluppato, la tendenza sessuale in questione compare immutata nella personalità, sotto forma di perversione. Essere di nuovo — come nell'infanzia — il proprio ideale anche per ciò che riguarda le aspirazioni sessuali è la felicità che gli uomini si ripromettono di conseguire.

Essere innamorati significa che la libido dell'Io trabocca sull'oggetto. Significa avere la forza di sospendere le rimozioni e ripristinare le perversioni. Quando si è innamorati l'oggetto sessuale assurge a ideale sessuale. Dal momento che l'innamoramento di tipo oggettuale o per appoggio si sviluppa in base all'adempimento di condizioni amorose infantili, possiamo dire che qualsiasi oggetto adempia a questa condizione viene idealizzato.

L'ideale sessuale può intervenire in una interessante relazione ausiliaria con l'ideale dell'Io. Nel caso in cui al soddisfacimento narcisistico si frappongano ostacoli reali, l'ideale sessuale può essere usato come soddisfacimento sostitutivo. L'individuo in questione amerà allora secondo il tipo narcisistico di scelta oggettuale ciò che egli stesso era e non è più, o altri che possieda le prerogative che egli stesso non ha avuto mai (confronta sopra, il punto e). La formula che corrisponde a quanto sono venuto esponendo è la seguente: Viene amato l'oggetto che possiede le prerogative che mancano all'Io per raggiungere il suo ideale. Questo tipo di espediente ha un'importanza particolare per il nevrotico il quale, a causa dei suoi smodati investimenti oggettuali, è impoverito nel suo Io e diventa incapace di realizzarne l'ideale. Scegliendosi un ideale sessuale di tipo narcisistico che possiede le prerogative che egli sa di non poter raggiungere, il nevrotico cerca così una strada che a partire dallo sperpero libidico applicato agli oggetti, lo riporti al narcisismo. Si tratta della cura attraverso l'amore, che di norma egli predilige rispetto alla cura analitica. Addirittura egli non riesce a credere in un meccanismo terapeutico diverso dall'amore, perlopiù porta nel trattamento le sue aspettative a riguardo e le dirige sulla persona del medico che lo ha in cura. Alla realizzazione di questo progetto terapeutico si frappone naturalmente l'incapacità di amare del paziente, dovuta all'ampiezza delle sue rimozioni. Dopo che, grazie al trattamento, siamo riusciti a sollevarlo parzialmente dalle sue rimozioni, ci accade spesso di avere di fronte un risultato che non avevamo intenzione di raggiungere: il malato si sottrae alla prosecuzione della cura per compiere una scelta amorosa e affidare alla vita in comune con la persona amata l'ulteriore processo verso la guarigione. Potremmo ritenerci soddisfatti di questo sbocco se in esso non fossero impliciti tutti i rischi connessi con la pesante dipendenza del malato da colui che si è prestato a questo estremo salvataggio.

L'ideale dell'Io schiude importanti prospettive per la comprensione della psicologia delle masse. Oltre al suo aspetto individuale, questo ideale ha un aspetto sociale: esso è anche l'ideale che accomuna una famiglia, un ceto, una nazione. Esso vincola non solo la libido narcisistica di un individuo, ma anche un importo considerevole della sua libido omosessuale, che per questa via è riuscita a tornare nell'Io. L'insoddisfazione che deriva dal mancato raggiungimento di questo ideale libera la libido omosessuale che si tramuta in coscienza di colpa (angoscia sociale). In origine la coscienza di colpa consisteva nella paura di esser puniti dai genitori, o, più precisamente di perdere il loro amore; in seguito, ai genitori si è sostituita la schiera indefinita dei propri simili. In tal modo, il fatto che la paranoia sia spesso originata da un'offesa subita dall'Io, da una frustrazione del soddisfacimento avvenuta nell'ambito dell'ideale dell'Io, è reso più chiaro; e parimenti diventano più comprensibili il convergere nell'ideale dell'Io della formazione dell'ideale e della sublimazione, nonché — nelle affezioni parafreniche — il recedere delle sublimazioni e l'eventuale tramutarsi degli ideali.