Luigi Anepeta

Commento al caso del piccolo Hans

1.

Nella pagina finale del saggio Freud scrive:

“A stretto rigore, questa analisi non mi ha insegnato niente di nuovo, niente che già non fossi riuscito a scoprire (sia pure meno chiaramente e con minore immediatezza) in altri pazienti sottoposti ad analisi in età più avanzata. Però le nevrosi di questi ultimi erano senza eccezione riportabili a quegli stessi complessi infantili che si celavano dietro la fobia di Hans. Sarei quindi tentato di affermare che questa nevrosi ha le caratteristiche tipiche di un modello.”

Il modello in questione è l’Edipo: l’ossessione che Freud ha ricavato dalla sua esperienza personale di figlio primogenito prediletto e destinato, nell’aspettativa materna, a diventare un grande uomo (a differenza del padre, un mediocre commerciante). Egli è stato a tal punto condizionato dall’aspettativa materna, e dalla frustrazione legata ad una situazione economica precaria, che la sua carriera di ricercatore è cominciata con due “infortuni” dovuti all’ansia di diventare famoso.

Il primo infortunio è da ricondurre alla Cocaina, cui dedica i suoi primi lavori, vantandone gli straordinari effetti psichici sperimentati su di sé. Di fronte alle prove che si trattava di una droga, Freud fa ammenda, ma, nel frattempo, avendola consigliata ad uno sventurato collega affetto da una grave malattia dolorosa, lo ha indotto alla disperazione.

Il secondo infortunio è legato alla sua ingenua tendenza a dare credito alle denunce di soggetti isterici di violenze sessuali subite (quasi sempre a livello familiare). Quando egli si rende conto che una gran parte di quelle denunce fanno riferimenti a vissuti immaginari, la sua reputazione è compromessa, e lo rimarrà a lungo.

E’ il secondo infortunio che orienta Freud verso una singolare riparazione. Dopo aver demonizzato la famiglia, egli, ricostruendo l’origine dei disagi soggettivi, sviluppa la convinzione che essi abbiano sempre origini sessuali, ma siano da attribuire ad eventi mentali. Da tale convinzione, e dall’auto analisi, nasce l’ossessione edipica.

Oggi si danno scarsi dubbi riguardo al fatto che l’interesse dei bambini per il proprio corpo e per quello degli adulti è funzionale a promuovere un’identificazione di genere, e che l’Edipo, laddove sembra trasparire dai desideri e dalle fantasie di pazienti in analisi, è il prodotto della cattura che un figlio subisce in conseguenza del desiderio inconscio del genitore di averlo per sé: cattura, spesso indizio di frustrazioni genitoriali, che assegna al figlio il ruolo di amante segreto.

Freud questo ruolo lo ha ricoperto, ma, presumibilmente per una forma di amore e di venerazione nei confronti della madre (che peraltro aveva ragione nel cogliere in lui potenzialità fuori dell’ordinario), non è riuscito a decifrarne il significato, ed è finito con l’attribuire a se stesso, o meglio al suo inconscio, un desiderio incestuoso: il desiderio di possedere la madre e di eliminare il padre.

Dell’Edipo Freud ha fatto il fulcro della teoria psicoanalitica, almeno fino alla “scoperta” altrettanto contestabile dell’istinto di morte.

Il caso del piccolo Hans è stato scritto, per l’appunto,per confermare le ipotesi già avanzate sulla sessualità infantile, vertenti sostanzialmente sul complesso edipico.

La descrizione minuziosa dei vissuti di Hans e la loro interpretazione si associano, con evidenza, all’entusiasmo di aver trovato la prova definitiva dell’Edipo.

All’epoca in cui il saggio è stato scritto, l’epistemologia non è ancora nata. Non si può certo fare colpa a Freud di avere adottato una metodologia ingenuamente empirica fondata sulla convinzione che i dati ricavati dall’analisi avessero un significato univoco, quello che egli assegnava loro interpretandoli.

Non gli si può imputare, insomma, di non sapere che, laddove, come nel campo delle scienze umane, il soggetto e l’oggetto della ricerca coincidono, il rischio di trovare sempre ciò che si cerca è elevatissimo.

Al tempo stesso, si rimane non poco meravigliati dal fatto che Freud, confrontandosi con una fobia infantile, dei dati disponibili ne utilizzi solo alcuni e ne rimuova altri che, a posteriori, appaiono molto più significativi.

Portando avanti l’analisi della fobia del piccolo Hans, Freud peraltro si avvale della collaborazione dei suoi, che hanno piena fiducia in lui ma, con tutta evidenza, hanno assimilato le sue teorie prima ancora che insorgesse la fobia, ispirando ad esse l’educazione del figlio.

La tipologia dei genitori à la page, cui appartengono i genitori di Hans, ancora fortemente rappresentata nel nostro mondo, è nata con l’avvento della borghesia, allorché si è definita per un verso l’esigenza di agevolare lo sviluppo della libera individualità e per un altro quella di opporre all'autoritarismo pedagogico repressivo preesistente un orientamento illuminato.

Questa tipologia genitoriale, le cui buone intenzioni sono fuor di dubbio, è sempre temibile, perché lo sforzo che i soggetti fanno di stare al passo con i tempi comporta sempre una scissione tra i nuovi valori pedagogici che essi cercano di realizzare e quelli tradizionali interiorizzati.

Appagato dalla fiducia che i genitori di Hans ripongono nelle sue teorie e dalla collaborazione (ahimè pedissequa) con cui partecipano al “trattamento”, Freud non coglie questa contraddizione. L’immagine della famiglia è del tutto ideale:

“I suoi genitori erano entrambi tra i miei più fedeli seguaci ed erano d'accordo con me sulla necessità di non esercitare, nell'educazione del primogenito, che quel minimo di coercizione necessario perché mantenesse un buon comportamento. Il bimbo cresceva allegro, vivace e di buona indole, e l'esperimento, consistente nel lasciare che si evolvesse ed esprimesse senza intimidazioni, dimostrava di svolgersi in modo soddisfacente.”

“I genitori descrivono il piccolo Hans come un bambino allegro e aperto, né poteva essere diverso, se si pensa che l'educazione impartitagli consisteva fondamentalmente nell'evitare i nostri abituali errori in questo campo.”

Su questo sfondo, se Hans sviluppa la fobia di essere morso da un cavallo, che lo costringe ad immobilizzarsi in casa, è evidente per Freud che qualcosa di nevrotizzante è accaduto nel suo spazio intrapsichico, nel suo inconscio.

In realtà, a ben vedere, i genitori di Hans, per quanto ben intenzionati, sono narcisisti, sessuofobi e terribilmente esigenti. Nell’intento di dimostrare, attraverso il figlio, il loro valore di educatori, lo sottopongono ad una pressione educativa piuttosto intensa, lo reprimono sessualmente e lo minacciano (sia pure benevolmente).

E’ un merito indubbio di Freud quello di avere scoperto che i bambini non sono sessualmente ingenui. La loro curiosità esplorativa è funzionale, come accennato, ad indurre la consapevolezza del proprio corpo e delle sue funzioni e a promuovere un’identificazione sessuale.

L’atteggiamento dei genitori di Hans, a riguardo, è tutt’altro che “illuminato” da parte della madre:

“All'età di tre anni e mezzo, la madre lo scoperse con la mano sul pene e lo minacciò con queste parole: «Se lo fai ancora, mando a chiamare il dottor A. che ti tagli il pipino, e poi come farai a fare la pipì?».

“Quel giorno stesso la madre gli aveva chiesto: «Ti tocchi il pipino?» e Hans aveva risposto: «Sì: tutte le sere a letto». Il giorno dopo, prima del sonno pomeridiano, è stato ammonito di non toccarsi il pipino. Al risveglio gli è stato chiesto se lo aveva fatto e lui ha risposto che se l'era toccato un po' lo stesso.”

“Hans, quattro anni e tre mesi. Stamane, come al solito, la mamma ha fatto ad Hans il bagno quotidiano e poi lo ha asciugato e intalcato. Mentre lei gli stava mettendo il talco intorno al pene, badando a non toccarlo, Hans ha detto: «Perché non ci metti le dita sopra?».

Madre: «Perché sarebbe da porcellini».

Hans: «Che vuoi dire? Da porcellini? E perché?».

Madre: «Perché non sta bene».

Hans (ridendo): «Però è molto bello»”

e del padre

“A questo punto gli dissi: «Vedi: mi colpisce il fatto che tu non vuoi intendere che non si deve toccare un cavallo, ma che non bisogna toccarsi il pipino».

Hans: «Ma un pipino non morde».

Io: «E invece forse sì»

“Il 13 marzo, al mattino, ho detto ad Hans: «Sappi che, se non ti metti più la mano sul pipino, la tua schiocchezza migliorerà ben presto».

Hans: «Ma io non mi metto più la mano sul pipino».

Io: «Però ne provi ancora la voglia».

Hans: «Sì, ma desiderare non è fare e fare non è desiderare (!!)».

Io: «Bene, ma per evitare che te ne venga la voglia, da stasera ti metteremo a dormire in un sacco».”

In conseguenza di questi messaggi, non è sorprendente che Hans finisca con lo sviluppare un senso di colpa e, come riconosce Freud stesso, un complesso di castrazione:

Hans: «Oh no. Va tanto male perché mi tocco ancora il pipino tutte le sere».

Ai messaggi repressivi, occorre aggiungere, che, nonostante la volontà di essere à la page, i genitori di Hans gli ammanniscono, in occasione della nascita della sorellina, la storia della cicogna ed esitano anche successivamente a ragguagliarlo sull’anatomia degli adulti e su come nascono i bambini:

“Alle cinque del mattino iniziò il travaglio e il letto di Hans venne portato nella stanza accanto, dove si svegliò alle sette. Udendo i gemiti della madre, chiese: «Perché mamma sta tossendo?». Poi, dopo una pausa: «Oggi arriva di certo la cicogna».

Naturalmente negli ultimi giorni gli abbiamo detto più volte che la cicogna sta per portare una bambina o un bambino e lui ha, molto giustamente, messo in rapporto il suono inconsueto dei gemiti con l'arrivo della cicogna.

Più tardi è stato condotto in cucina. Ha visto la borsa del dottore nell'ingresso e ha chiesto: «Che cos'è?». «Una borsa», gli è stato risposto, al che egli ha dichiarato con convinzione: «Oggi arriva la cicogna». Poi la levatrice, dopo che la bambina era nata, è venuta in cucina e Hans l'ha sentita chiedere del tè. Allora ha detto: «Lo so! Bisogna dare il tè a mamma perché ha la tosse». Subito dopo è stato chiamato in camera. Lui, però, non ha guardato la madre, ma le bacinelle e gli altri recipienti, pieni d'acqua mista a sangue, che erano ancora sparsi per la camera. Indicando la padella macchiata di sangue, ha osservato con sorpresa: «Ma dal mio pipino non esce sangue».”

Hans (a tre anni): «Mamma, anche tu hai il pipino?».

Madre: «Ma certo. Perché?».

Hans: «Così. Ci stavo pensando».

“Hans (età: tre anni e nove mesi): «Papà, anche tu hai un pipino?».

Padre: «Sì, naturalmente».

Hans: «Ma io non te l'ho mai visto quando ti spogli».

Un'altra volta stava guardando attentamente la madre che si spogliava per andare a letto. «Che cosa stai fissando?», gli disse lei.

Hans: «Cercavo solo di vedere se anche tu hai un pipino».

Madre: «Naturalmente. Non lo sapevi?».

Hans: «No. Pensavo che, siccome sei così grande, devi avere un pipino come quello di un cavallo».

2.

Tutti questi dati, in sé e per sé, non confutano immediatamente la teoria edipica. Posto infatti che si dia nel bambino una pulsione orientata a possedere il genitore del sesso opposto e ad eliminare quello dello stesso sesso, nulla vieta di pensare che l’atteggiamento ambientale, più o meno repressivo, incide solo sull’intensità dei sensi di colpa derivanti dal desiderio incestuoso.

Il problema è che si danno numerosi altri dati, trascurati da Freud , che possono consentire l’interpretazione della fobia senza fare ricorso all’Edipo.

L’educazione di Hans non è solo sessuofobica, è anche perbenista, vale a dire ispirata dal desiderio di fare di lui un degno rappresentante di una famiglia borghese:

“Lunedì 30 marzo, mattina. Hans è venuto da me e mi ha detto: «Lo sai? Stamattina ho pensato due cose!». «E qual è la prima?» «Ero con te a Schönbrunn, nel posto dove ci sono le pecore. Poi siamo passati sotto le corde e poi l'abbiamo detto alla guardia che sta in fondo al giardino e lei ci ha preso.» Aveva dimenticato la seconda cosa.

Qui posso fare un commento. Domenica siamo andati per vedere le pecore, ma abbiamo trovato che una parte del giardino era sbarrata da una corda per cui non siamo potuti arrivare da esse. Hans era meravigliatissimo del fatto che una zona di giardino fosse chiusa da una semplice corda, dato che è facilissimo passarci sotto. Gli ho detto che le persone per bene non passano carponi sotto una corda. Lui ha detto che sarebbe stato proprio facile e io gli ho risposto che poteva anche arrivare la guardia e portarci via. All'ingresso di Schönbrunn c'è una guardia di servizio e una volta ho detto ad Hans che arresta i bambini cattivi.

Al ritorno dalla nostra visita al suo ambulatorio, che è stata quel giorno stesso, Hans mi ha confessato un altro desiderio di compiere azioni vietate: «Sai, stamane ho pensato a un'altra cosa». «Cosa?» «Ero in treno con te e abbiamo rotto un finestrino e la guardia ci ha portati via.»”

Il perbenismo comporta di solito reazioni repressive fuori misura dei genitori in occasione di comportamenti trasgressivi:

“A questo punto il padre di Hans mi interruppe: «Ma perché pensi che io sia arrabbiato con te? Ti ho mai sgridato o picchiato?».

Hans lo corresse: «Sì che mi hai picchiato!». «Ma non è vero; comunque, quando l'avrei fatto?» «Stamattina», rispose il bambino. Allora il padre si ricordò che quella mattina Hans gli aveva dato inaspettatamente una testata nello stomaco così che lui, di riflesso, lo aveva colpito con la mano. È degno di nota il fatto che il padre non aveva visto il nesso esistente tra questo episodio e la nevrosi.”

Questo episodio non va sopravvalutato. Il padre di Hans, nel complesso, sembra avere un atteggiamento sostanzialmente comprensivo nei confronti del figlio, e di sicuro gli vuole bene.

Il vero problema, in famiglia, è la madre, che, senza manifestare una chiara sintomatologia, ha le manifestazioni isteriche proprie delle donne borghesi dell’epoca. Essa, infatti, spesso si arrabbia, picchia e minaccia l’abbandono:

Io (padre): «Ti piacerebbe picchiare i cavalli come mamma picchia Hanna? Anche questo ti piace, no?».

H.: «I cavalli non sentono niente quando li picchiano». (Una volta gli ho detto così per mitigare la paura che provava nel veder frustare i cavalli.) «Una volta l'ho fatto davvero. Una volta avevo la frusta e ho frustato il cavallo e lui è caduto e faceva un putiferio coi piedi.»

Io: «Chi è che vorresti davvero picchiare? Mamma, Hanna o me?». H.: «Mamma». Io: «Perché?».

H.: «Così; mi piacerebbe picchiarla». Io: «Hai mai visto uno picchiare la sua mamma?». H. : «Non ho mai visto nessuno. Mai in vita mia». Io: «Eppure ti piacerebbe farlo? E con che lo faresti?».

H.: «Col battipanni». (La madre lo minaccia spesso di picchiarlo col battipanni.)

Il quadro comincia ad essere piuttosto completo.

Basta, per convincersene, tenere conto di come Hans stesso riscostruisce la genesi della fobia:

“H.: «Penso che i cavalli che tirano i furgoni pesanti debbano cadere».

Io: «Allora non hai paura di un carro piccolo?».

H.: «No. Un carro piccolo o il furgoncino della posta non mi fanno paura. Ma ho anche più paura quando viene l'omnibus».

lo: «Perché? Per la sua grandezza?».

H.: «No. Perché una volta il cavallo di un omnibus è caduto».

Io: «Quando?».

H.: «Una volta che uscii con mamma nonostante la mia sciocchezza e comprai il gilè». (Il fatto è stato poi confermato dalla madre.)

Io: «Cosa hai pensato quando il cavallo è caduto?».

H.: «Che sarà sempre così. Che tutti i cavalli degli omnibus cadranno».

Io.: «In tutti gli omnibus?».

H.: «Sì, e anche col furgone dei mobili. Ma non tanto spesso col furgone dei mobili».

Io.: «Allora avevi già la "sciocchezza"?».

H.: «No. Mi è venuta allora. Quando il cavallo è caduto, mi ha fatto veramente tanta paura! E allora che mi è venuta la sciocchezza».

Io; «Però la sciocchezza era che credevi che il cavallo ti volesse mordere. Ora, invece, dici che avevi paura che cadesse».

H; «Cadere e mordere» .

Io; «Perché ti ha fatto tanta paura?».

H; «Perché il cavallo faceva così coi piedi» (si è steso per terra e mi ha mostrato come scalciava il cavallo). «Mi sono spaventato perché faceva un putiferio coi piedi.»

Hans deve soddisfare le aspettative narcisistiche e vagamente perfezionistiche dei genitori, che desiderano un bambino modello, e, per ciò, vive sotto la minaccia, che proviene soprattutto dalla madre, di essere punito. E’ insomma un bambino sotto pressione, e quindi intimamente arrabbiato.

Per effetto di quella pressione, infatti, egli teme di crollare e, di fatto, avvertendola, si concede comportamenti e fantasie trasgressive, ma soprattutto scalcia, fa “il putiferio con i piedi” quando perde il controllo.

La pressione esercitata dai genitori è aumentata con l’avvento della fobia, e si è tradotta in una sorta di inquisizione permanente che lo esaspera. Certo, i genitori gli vogliono bene, ma la loro ansia di aiutarlo a superare il malessere fobico non è immune dalla ferita che esso porta al loro narcisismo.

L’esasperazione di Hans è inequivocabilmente comprovato dalla fantasia di imbracciare un fucile e ammazzare la gente.

E’ dunque lui stesso il cavallo attaccato al carro che crolla. Il cavallo che morde è l’espressione proiettiva del Super-io che lo fa sentire in colpa: il temuto morso del cavallo è semplicemente l’espressione del rimorso, perché Hans è autenticamente legato ai genitori e non è in grado di capire che la sua ambivalenza fa riferimento a quanto di fatto in loro si dà di contraddittorio.

3.

Correggere gli eccessi interpretativi di Freud non è difficile utilizzando i dati che egli stesso fornisce. Tali eccessi sono dovuti non tanto e non solo ad una concezione pulsionale della natura umana, che si esaspererà all’epoca della definizione dell’istinto di morte, ma soprattutto ad un difetto di sensibilità storico-sociale.

Freud assume la famiglia borghese come un’istituzione metastorica, ignora del tutto il processo di nuclearizzazione da cui essa si è originata, e le pesanti ricadute che esso ha avuto soprattutto sulla donna che, separata dalla comunità si è trovata immersa in una situazione sostanzialmente nevrotizzante.

Ignora anche che la famiglia borghese si è fatta carico del compito istituzionale di produrre cittadini civilizzati, vale a dire capaci di contenere e controllare le loro “pulsioni”, e che, nel realizzare tale compito, essa corre il rischio di rendere selvagge le spinte verso l’individuazione.

Il piccolo Hans è tanto poco edipico che egli sviluppa precocemente violente passioni amorose nei confronti di numerose bambine, anche di età maggiore alla sua:

“Il padre ci fornisce informazioni particolareggiate sulle relazioni amorose di Hans, dalle quali possiamo intuire l'esistenza di una «scelta dell'oggetto», proprio come nell'adulto, oltre che, bisogna ammetterlo, di una grandissima circostanza e di una certa tendenza alla poligamia.

Durante l'inverno condussi Hans (tre anni e nove mesi) alla pista di pattinaggio e lo presentai alle due figliole del mio amico N., che avevano circa dieci anni. Hans si mise a sedere accanto a loro. Queste, col sussiego della loro età matura, guardavano il fantolino dall'alto in basso, con una buona dose di disprezzo, mentre Hans le fissava con ammirazione, il che faceva ben poca impressione su di loro. Con tutto ciò Hans dopo quel giorno le chiamava sempre «le mie ragazzine». «Dove sono le mie ragazzine? Quando vengono le mie ragazzine?», e, per qualche settimana, mi tormentava di continuo con la domanda: «Quand'è che vado alla pista a vedere le mie ragazzine?».

Hans, che ora aveva quattro anni, riceveva le visite di un cuginetto di cinque anni. Hans lo abbracciava sempre e una volta, durante tale manifestazione di tenerezza, gli disse: «Ti voglio tanto bene».

Questo è il primo segno di omosessualità che abbiamo osservato, ma non è affatto l'ultimo. Il piccolo Hans sembra proprio il paradigma di tutti i vizi.

Quando Hans aveva quattro anni noi traslocammo. Una porta della cucina si apriva su un balcone dal quale si poteva vedere dentro un appartamento dall'altra parte del cortile. Hans si accorse che in quell'appartamento c'era una bambina di sette od otto anni. Allora si metteva a sedere sul gradino per ammirarla e ci rimaneva per diverse ore. Particolarmente alle quattro, ora in cui la ragazzina tornava da scuola, era impossibile trattenere Hans in camera e per nulla al mondo avrebbe lasciato il suo posto di osservazione. Una volta la ragazzina non comparve alla finestra alla solita ora e Hans entrò in agitazione. Prese a tempestare di domande le nostre domestiche: «Quando viene?», «Dov'è?» ecc. Quando finalmente comparve, lui ne fu estasiato e non staccò più gli occhi dall'appartamento dirimpetto. La violenza con cui questo «amore a distanza» si era impadronito di lui dipendeva dal fatto di non avere compagni di gioco né d'un sesso né dell'altro. Una parte del normale sviluppo del bambino è rappresentata dal tempo passato a giocare con i coetanei.

Hans godette di questa compagnia qualche tempo dopo (all'età di quattro anni e mezzo), quando ci recammo a Gmunden per le vacanze estive. In casa nostra i suoi compagni di gioco erano i figli del proprietario: Franzl (di circa dodici anni), Fritzl (otto), Olga (sette) e Berta (cinque).

C'erano inoltre i figli del vicino: Anna (dieci anni) e altre due ragazzette di nove e sette anni delle quali ho dimenticato il nome. Il favorito di Hans era Fritzl; spesso lo abbracciava dichiarandogli il suo amore. Una volta gli domandammo: «Quale bambina preferisci?» e lui rispose: «Fritzl». Ma, nello stesso tempo, trattava le bambine nel modo più aggressivo, mascolino e violento, abbracciandole e baciandole con passione, fatto che, particolarmente in Berta, non incontrava alcuna resistenza. Una sera, mentre Berta usciva dalla sua stanza, Hans le gettò le braccia al collo e le disse con la più grande tenerezza: «Quanto sei cara, Berta!». Comunque questo non gli impediva di baciare anche gli altri, manifestando loro il suo amore. Era innamorato anche di Mariedl, l'altra figlia, quattordicenne, del padrone di casa, che soleva giocare con lui. Una sera, mentre stava andando a letto, disse: «Voglio che Mariedl, venga a dormire con me».

Quando allora gli fu detto che questo non stava bene, rispose: «Allora Mariedl andrà a dormire con mamma o con papà».

Gli dicemmo che neanche questo andava bene, che Mariedl doveva dormire con i suoi genitori. Ne scaturì il seguente colloquio:

Hans: «Allora io vado da basso a dormire con Mariedl».

Mamma: «Vuoi davvero lasciare mamma e andartene a dormire al piano di sotto?».

H.: «Be', tornerò su al mattino per far colazione e i bisognini».

M. : «Se davvero vuoi andar via da papà e mamma, prendi la giacca e i calzoncini e ciao!».

Hans prese davvero i vestiti e si avviò alle scale per andare a dormire con Mariedl, ma è superfluo osservare che fu riportato indietro.

Naturalmente, dietro al desiderio «voglio che Mariedl dorma con noi» se ne nasconde un altro: «voglio che Mariedl» (la cui compagnia gli era tanto gradita), «entri a far parte della nostra famiglia». Però i genitori di Hans avevano l'abitudine di prenderlo a letto con loro, sia pure solo occasionalmente, e sicuramente il fatto di star disteso accanto a loro aveva suscitato in lui delle sensazioni erotiche, per cui anche il desiderio di dormire con Mariedl aveva un significato erotico. Lo stare a letto col padre o la madre rappresentava per Hans, come per qualsiasi altro bambino, una fonte di sensazioni erotiche.

Nonostante gli accessi di omosessualità Hans si è comportato da vero uomo davanti alla sfida materna.

Anche nel seguente esempio Hans disse alla madre: «Sai, mi piacerebbe tanto dormire con la bambina». È un episodio che ci ha divertiti moltissimo perché Hans si è comportato proprio come un adulto innamorato. Da qualche giorno una bella bambina di otto anni circa veniva nel nostro ristorante dove consumavamo i pasti. Naturalmente Hans se ne innamorò di colpo. Si rigirava continuamente sulla sedia lanciandole sguardi furtivi. Appena finito di mangiare, si andava a mettere vicino a lei, cercando di farle un po' di corte, ma se si accorgeva di essere osservato diventava tutto rosso. Se la ragazzina rispondeva alle sue occhiate, lui guardava da un'altra parte con vergogna. Questo comportamento era ovviamente un grande spasso per tutti quelli che mangiavano in quel ristorante. Ogni giorno, mentre andavamo a mangiare, domandava: «Credete che oggi ci sarà quella bambina?», e quando lei arrivava finalmente, lui arrossiva come farebbe una persona grande nella stessa situazione. Un giorno venne da me tutto giulivo e mi bisbigliò all'orecchio: «Papà, so dove abita la bambina. L'ho vista salire le scale nel tal posto». Mentre trattava con aggressività le bambine di casa, in quest'altra faccenda sosteneva la parte di un languido ammiratore platonico. Questo dipendeva forse dal fatto che le ragazzine di casa erano contadinelle, mentre l'altra era una signorinetta di classe. Come ho già detto una volta, affermava che gli sarebbe piaciuto dormire con lei.

Non volevo che Hans seguitasse a vivere in quello stato di sconvolgimento provocato dalla passione per la bambina; perciò feci in modo che si conoscessero e la invitai a fargli visita dopo il riposo pomeridiano. Hans era talmente eccitato all'idea di ricevere quella visita che, per la prima volta, non riuscì a prendere sonno e rimase a rivoltarsi senza posa nel letto. Quando la madre gli chiese: «Perché non dormi, pensi alla bambina?», rispose: «Sì», con gli occhi brillanti di felicità. Quando era tornato a casa dal ristorante aveva detto a tutti in casa: «Sapete, oggi viene a farmi visita la mia bambina». Mariedl, la ragazza di quattordici 'Mini, riferì che Hans le aveva chiesto ripetutamente: «Dimmi, credi che sarà carina con me? Credi che mi bacerà se io la bacio?», ecc.”

Nonostante tutto ciò, Freud non riesce a comprendere che se l’erotismo investe inesorabilmente all’origine le figure genitoriali, il ruolo evolutivo della sessualità, che risulta chiaro a livello di adolescenza, è di produrre lo scioglimento dei legami di dipendenza in virtù dei quali il bambino si lascia “sedurre” dai genitori e spesso è “oggetto” di una vera e propria seduzione.

La sessualità, insomma, è una spinta motivazionale verso l’individuazione, che comporta il confluire dell’eros nel canale di un’affettività adulta.

Se essa rimane intrappolata nell’originaria cattura seduttiva operata dalle figure genitoriali, ciò dipende meno dalla potenza dell’Edipo che dalle inconsce fantasie genitoriali di possesso nei confronti dei figli.

La storia del piccolo Hans non è affatto una prova evidente della teoria edipica, ma piuttosto della complessità del rapporto tra genitori e figli e della possibilità che l’ambivalenza che li caratterizza vada incontro ad una scissione, per quanto riguarda il figlio, l’ambivalenza, nella misura in cui comporta un sentimento di avversione anche immotivato, è una conseguenza del bisogno di individuazione. In sua assenza, l’ipnosi infantile non riuscirebbe mai a sciogliersi del tutto.