Il caso del piccolo HansAnalisi di una fobia in un bambino di cinque anni1909 |
1. IntroduzioneIn queste pagine mi propongo di descrivere il corso della malattia e la guarigione di un giovanissimo paziente. Per l'esattezza, la storia di questo caso clinico non è tratta dalle mie osservazioni personali. È vero che io ho dato le direttive del trattamento e che vi ho preso parte direttamente, ma una volta soltanto, in occasione di un colloquio col bambino; però il trattamento vero e proprio è stato condotto dal padre e a lui va la mia sincera gratitudine per avermi concesso di pubblicare le sue note sul caso. Ma la sua opera non è finita qui. Penso che nessun altro sarebbe mai riuscito a ottenere dal bambino certe dichiarazioni; la sua diretta conoscenza, che gli consentiva di interpretare l'osservazione del figlio di soli cinque anni, si è rivelata indispensabile. Infatti, in mancanza di questa, le difficoltà tecniche di condurre un'analisi psichica su un bambino tanto piccolo sarebbero state insormontabili. In questo caso specifico, l'impiego d'un metodo altrimenti inadatto1 è stato reso possibile solo dal fatto che l'autorità del padre e del medico erano unite in una sola persona e che si combinavano in essa, insieme, affettuosa sollecitudine e interesse scientifico. Ma il valore particolare di questa osservazione risiede nelle seguenti considerazioni. Quando un medico sottopone un nevrotico adulto a trattamento psicoanalitico, il processo che egli compie per portare alla luce, attraverso stratificazioni successive, le formazioni psichiche, gli consente, infine, di formulare talune ipotesi sulla sessualità infantile del paziente, nelle cui componenti crede di ravvisare i fattori causali di tutti i sintomi nevrotici della vita successiva. Sono queste le ipotesi da me avanzate nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905), ma mi rendo conto che al lettore profano sembreranno tanto strane quanto, invece, sembrano incontestabili allo psicoanalista. Comunque, anche questi potrebbe confessare il suo desiderio di ottenere prove più dirette, meno tortuose, di questi teoremi fondamentali. Certamente ci deve essere la possibilità di osservare, di prima mano e in tutta la loro freschezza vitale, gli impulsi e i desideri che, negli adulti, estraiamo con tanta fatica da una congerie di relitti, tanto più che riteniamo trattarsi di un patrimonio comune a tutta l'umanità, di una parte della costituzione umana, semplicemente esagerata e distorta nei casi di nevrosi. A questo scopo, sono molti anni che insisto presso allievi e amici affinché raccolgano osservazioni sulla vita sessuale dei bambini, che di solito si evita di osservare o si nega apertamente. Tra i materiali che sono venuto a conoscere grazie a tali richieste, i rapporti sul piccolo Hans, che mi pervenivano a intervalli regolari, hanno ben presto cominciato ad assumere una posizione di preminenza. I suoi genitori erano entrambi tra i miei più fedeli seguaci ed erano d'accordo con me sulla necessità di non esercitare, nell'educazione del primogenito, che quel minimo di coercizione necessario perché mantenesse un buon comportamento. Il bimbo cresceva allegro, vivace e di buona indole, e l'esperimento, consistente nel lasciare che si evolvesse ed esprimesse senza intimidazioni, dimostrava di svolgersi in modo soddisfacente. E ora riferiamo i rapporti del padre del piccolo Hans, così come li abbiamo ricevuti, astenendoci ovviamente da qualsiasi tentativo di alterare la loro ingenua spontaneità con interventi convenzionali. La prima relazione su Hans risale a un periodo in cui non aveva ancora tre anni. Già in quel tempo egli dimostrava, con osservazioni e domande, un interesse particolarmente vivo per quella parte del corpo che soleva chiamare «pipino»2. Così una volta chiese alla madre: Hans: «Mamma, anche tu hai il pipino?». Madre: «Ma certo. Perché?». Hans: «Così. Ci stavo pensando». Alla stessa età andò in una stalla e vide una mucca che veniva munta. «Oh, guarda!», disse, «le esce il latte dal pipino!» Già queste prime osservazioni ci fanno presagire che molto, se non la maggior parte di ciò che Hans ci va rivelando, debba risultare tipico dello sviluppo dei bambini in generale. Una volta ho espresso l'opinione3 che non bisogna inorridire se in una donna si trova l'idea di succhiare un membro virile. Questo repellente impulso, sostenevo io, ha un'origine quanto mai innocente, dato che deriva dall'atto di succhiare il seno materno, e a questo proposito, dicevo anche che una mammella di vacca rappresenta un'immagine di collegamento quanto mai appropriata, dato che essa per la natura intrinseca è una mammella, mentre per forma e posizione è un pene. La scoperta di Hans conferma la seconda parte della mia affermazione. Inoltre, l'interesse per il membro non era puramente teorico; com'era prevedibile, esso lo spingeva anche a toccarselo. All'età di tre anni e mezzo, la madre lo scoperse con la mano sul pene e lo minacciò con queste parole: «Se lo fai ancora, mando a chiamare il dottor A. che ti tagli il pipino, e poi come farai a fare la pipì?». Hans: «Col sederino». In quel momento aveva dato questa risposta senza nessun senso di colpa, ma fu questa l'occasione che gli fece acquisire un «complesso di castrazione», la cui presenza purtroppo rileviamo tanto spesso nell'analisi dei nevrotici, che pure cercano con tutte le forze di negarne l'esistenza. Vi sono molte cose importanti da dire sul significato di questo elemento nella vita di un bambino. Il «complesso di castrazione» ha lasciato tracce notevoli nei miti (e non soltanto nei miti greci). Ho parlato della sua importanza nella mia Interpretazione dei sogni e in altri lavori. Più o meno alla stessa età (tre anni e mezzo) il piccolo Hans, trovandosi davanti alla gabbia del leone a Schönbrunn, gridò tutto eccitato e con voce allegra: «Ho visto il pipino del leone». L'importanza che gli animali hanno nei miti e nelle favole dipende in buona parte dalla facilità con cui offrono alla vista del bambino curioso i loro genitali e le loro funzioni sessuali. Non si possono nutrire dubbi sulla curiosità sessuale del piccolo Hans; però essa ha destato in lui anche lo spirito di ricerca, mettendolo in condizioni di giungere a una vera e propria conoscenza astratta. Una volta che si trovava alla stazione (all'età di tre anni e nove mesi), vide una locomotiva che perdeva dell'acqua e disse: «Oh, guarda, la locomotiva fa pipì, ma dov'è il suo pipino?». Dopo un po' aggiunse, con tono riflessivo: «Un cane e un cavallo ce l'hanno il pipino, mentre un tavolo e una sedia non ce l'hanno». Così, dunque, aveva colto una caratteristica essenziale della differenza tra oggetti animati e inanimati. La sete di conoscenza sembra inseparabile dalla curiosità sessuale. Quella di Hans si appuntava in modo particolare sui genitori. Hans (età: tre anni e nove mesi): «Papà, anche tu hai un pipino?». Padre: «Sì, naturalmente». Hans: «Ma io non te l'ho mai visto quando ti spogli». Un'altra volta stava guardando attentamente la madre che si spogliava per andare a letto. «Che cosa stai fissando?», gli disse lei. Hans: «Cercavo solo di vedere se anche tu hai un pipino». Madre: «Naturalmente. Non lo sapevi?». Hans: «No. Pensavo che, siccome sei così grande, devi avere un pipino come quello di un cavallo». Teniamo bene a mente questa supposizione del piccolo Hans: più avanti sarà importante. Ma il grande evento della vita di Hans fu la nascita della sorellina Hanna, esattamente quando aveva tre anni e mezzo4. Il suo comportamento in quella circostanza fu subito notato dal padre che scrive: Alle cinque del mattino iniziò il travaglio e il letto di Hans venne portato nella stanza accanto, dove si svegliò alle sette. Udendo i gemiti della madre, chiese: «Perché mamma sta tossendo?». Poi, dopo una pausa: «Oggi arriva di certo la cicogna». Naturalmente negli ultimi giorni gli abbiamo detto più volte che la cicogna sta per portare una bambina o un bambino e lui ha, molto giustamente, messo in rapporto il suono inconsueto dei gemiti con l'arrivo della cicogna. Più tardi è stato condotto in cucina. Ha visto la borsa del dottore nell'ingresso e ha chiesto: «Che cos'è?». «Una borsa», gli è stato risposto, al che egli ha dichiarato con convinzione: «Oggi arriva la cicogna». Poi la levatrice, dopo che la bambina era nata, è venuta in cucina e Hans l'ha sentita chiedere del tè. Allora ha detto: «Lo so! Bisogna dare il tè a mamma perché ha la tosse». Subito dopo è stato chiamato in camera. Lui, però, non ha guardato la madre, ma le bacinelle e gli altri recipienti, pieni d'acqua mista a sangue, che erano ancora sparsi per la camera. Indicando la padella macchiata di sangue, ha osservato con sorpresa: «Ma dal mio pipino non esce sangue». Tutto quello che dice dimostra che mette in relazione con l'arrivo della cicogna quanto vi è di strano nella situazione. Tutto quello che gli capita di vedere, lui l'osserva con occhio sospetto e intento e non c'è dubbio che in lui siano nati i primi dubbi sulla cicogna. Hans è gelosissimo della nuova venuta e se qualcuno la loda, dicendo che è una bella bambina, e così via, lui dichiara subito con disprezzo: «Non ha ancora i denti»5. Infatti la prima volta che l'ha vista è rimasto molto sorpreso che non sapesse parlare e ha deciso che dipendeva dal fatto che era senza denti. Naturalmente nei primi giorni lo trascurammo alquanto. Si ammalò all'improvviso di tonsillite e, mentre era febbricitante, lo udimmo esclamare: «Ma io non volevo una sorellina!». Dopo circa sei mesi aveva superato la gelosia e il suo fraterno affetto era uguagliato solamente dal suo senso di superiorità. Una settimana più tardi Hans osservava la sorellina mentre le facevano il bagno. «Ma ha un pipino piccolissimo», osservò e poi aggiunge, quasi per volerla consolare: «Quando crescerà le diventerà più grosso». Alla stessa età (tre anni e nove mesi) Hans raccontò per la prima volta un sogno che aveva fatto: «Oggi, mentre dormivo, pensavo di essere a Gmunden con Mariedl». Mariedl è la figlia tredicenne del nostro padrone di casa, la quale giocava spesso con lui. Mentre il padre di Hans riferiva alla madre questo sogno, lui presente, Hans lo corresse: «Non con Mariedl, ma solo con Mariedl». A questo proposito apprendiamo che: ...nell'estate del 1906 Hans si trovava a Gmunden e scorrazzava tutto il giorno insieme con i figli del padrone di casa. Al momento della partenza noi credevamo che dovesse sentirsi triste del ritorno a casa, mentre, e ne rimanemmo stupiti, non lo era. Pareva lieto di questo cambiamento e per diverse settimane parlò pochissimo di Gmunden. Solo più tardi cominciarono a riemergere i ricordi del periodo passato a Gmunden, spesso assai vivaci. Infatti, nel corso di quattro settimane, i ricordi si erano trasformati in fantasie. Hans finge di giocare con gli altri bambini, Berta, Olga e Fritzl; parla con loro come se fossero veramente presenti ed è capace di divertirsi in questo modo per ore di fila. Ora che ha una sorellina e, naturalmente, è tutto preso dal problema dell'origine dei bambini, chiama sempre Berta e Olga le «sue bambine» e, una volta, ha detto: «Anche le mie bambine Berta e Olga sono state portate dalla cicogna». Il sogno già riferito, che Hans ha avuto sei mesi dopo aver lasciato Gmunden, va interpretato come l'espressione del desiderio di tornarvi. Fin qui ha parlato il padre. Ora aggiungerò, quale anticipazione degli avvenimenti successivi, che Hans, affermando che le sue bambine erano state portate dalla cicogna, controbatteva ad alta voce un dubbio che si era affacciato nella sua mente. È una fortuna che il padre abbia annotato tanti fatti che poi si sono rivelati incredibilmente importanti. Ho fatto per Hans il disegno di una giraffa. Hans è stato molte volte a Schönbrunn. Lui mi ha detto: «Fagli anche il pipino». «Faglielo tu», gli ho risposto. Lui, allora, ha aggiunto una linea al mio disegno (fig. 1). Prima ha tracciato un trattino e poi lo ha allungato un po', dicendo: «Ha il pipino più lungo». Hans e io siamo passati davanti a un cavallo che orinava e lui ha detto: «Il cavallo ha il pipino di sotto, come me». ![]() Mentre osservava la sorellina di tre mesi, che faceva il bagno, ha detto con tono di compassione: «Ha il pipino piccolo piccolo». Gli abbiamo dato una bambola per giocare. Lui l'ha spogliata, l'ha esaminata accuratamente e ha detto: «Anche lei ha un pipino piccolissimo». Noi sappiamo di già che questa formula gli consente di continuare a credere nella sua scoperta. Qualsiasi ricercatore si espone al rischio di cadere in errore di tanto in tanto. Potrà consolarsene in qualche modo se, come nel caso capitato ad Hans, si tratta non di un errore personale, bensì di uno sbaglio legato all'uso linguistico. Infatti, un giorno che guardava il suo libro illustrato, vedendo l'immagine di una scimmia con la coda rivolta in su, esclamò: «Guarda, papà, il pipino della scimmia!»8. Il suo interesse per i «pipini» lo ha indotto a inventare un gioco particolare. Dall'ingresso si accede a un gabinetto e a un ripostiglio buio, dove teniamo la legna. Da qualche tempo Hans ha preso l'abitudine di entrare nel ripostiglio dicendo: «vado nel mio gabinetto». Una volta sono andato a vedere che cosa facesse nello stanzino e lui, mostrando le sue parti, ha detto: «Faccio pipì», ciò significa «sto giocando al gabinetto». È evidente che si tratta di un gioco, come è dimostrato non solo dal fatto che finge soltanto di orinare, ma anche dal fatto che non va nel gabinetto, il che sarebbe assai più semplice, ma preferisce il ripostiglio della legna che chiama «il suo gabinetto». Faremmo torto ad Hans se ci limitassimo alle caratteristiche autoerotiche della sua vita sessuale. Il padre ci fornisce informazioni particolareggiate sulle relazioni amorose di Hans, dalle quali possiamo intuire l'esistenza di una «scelta dell'oggetto», proprio come nell'adulto, oltre che, bisogna ammetterlo, di una grandissima circostanza e di una certa tendenza alla poligamia. Durante l'inverno condussi Hans (tre anni e nove mesi) alla pista di pattinaggio e lo presentai alle due figliole del mio amico N., che avevano circa dieci anni. Hans si mise a sedere accanto a loro. Queste, col sussiego della loro età matura, guardavano il fantolino dall'alto in basso, con una buona dose di disprezzo, mentre Hans le fissava con ammirazione, il che faceva ben poca impressione su di loro. Con tutto ciò Hans dopo quel giorno le chiamava sempre «le mie ragazzine». «Dove sono le mie ragazzine? Quando vengono le mie ragazzine?», e, per qualche settimana, mi tormentava di continuo con la domanda: «Quand'è che vado alla pista a vedere le mie ragazzine?». Hans, che ora aveva quattro anni, riceveva le visite di un cuginetto di cinque anni. Hans lo abbracciava sempre e una volta, durante tale manifestazione di tenerezza, gli disse: «Ti voglio tanto bene». Questo è il primo segno di omosessualità che abbiamo osservato, ma non è affatto l'ultimo. Il piccolo Hans sembra proprio il paradigma di tutti i vizi. Quando Hans aveva quattro anni noi traslocammo. Una porta della cucina si apriva su un balcone dal quale si poteva vedere dentro un appartamento dall'altra parte del cortile. Hans si accorse che in quell'appartamento c'era una bambina di sette od otto anni. Allora si metteva a sedere sul gradino per ammirarla e ci rimaneva per diverse ore. Particolarmente alle quattro, ora in cui la ragazzina tornava da scuola, era impossibile trattenere Hans in camera e per nulla al mondo avrebbe lasciato il suo posto di osservazione. Una volta la ragazzina non comparve alla finestra alla solita ora e Hans entrò in agitazione. Prese a tempestare di domande le nostre domestiche: «Quando viene?», «Dov'è?» ecc. Quando finalmente comparve, lui ne fu estasiato e non staccò più gli occhi dall'appartamento dirimpetto. La violenza con cui questo «amore a distanza» si era impadronito di lui dipendeva dal fatto di non avere compagni di gioco né d'un sesso né dell'altro. Una parte del normale sviluppo del bambino è rappresentata dal tempo passato a giocare con i coetanei. Hans godette di questa compagnia qualche tempo dopo (all'età di quattro anni e mezzo), quando ci recammo a Gmunden per le vacanze estive. In casa nostra i suoi compagni di gioco erano i figli del proprietario: Franzl (di circa dodici anni), Fritzl (otto), Olga (sette) e Berta (cinque). C'erano inoltre i figli del vicino: Anna (dieci anni) e altre due ragazzette di nove e sette anni delle quali ho dimenticato il nome. Il favorito di Hans era Fritzl; spesso lo abbracciava dichiarandogli il suo amore. Una volta gli domandammo: «Quale bambina preferisci?» e lui rispose: «Fritzl». Ma, nello stesso tempo, trattava le bambine nel modo più aggressivo, mascolino e violento, abbracciandole e baciandole con passione, fatto che, particolarmente in Berta, non incontrava alcuna resistenza. Una sera, mentre Berta usciva dalla sua stanza, Hans le gettò le braccia al collo e le disse con la più grande tenerezza: «Quanto sei cara, Berta!». Comunque questo non gli impediva di baciare anche gli altri, manifestando loro il suo amore. Era innamorato anche di Mariedl, l'altra figlia, quattordicenne, del padrone di casa, che soleva giocare con lui. Una sera, mentre stava andando a letto, disse: «Voglio che Mariedl, venga a dormire con me». Quando allora gli fu detto che questo non stava bene, rispose: «Allora Mariedl andrà a dormire con mamma o con papà». Gli dicemmo che neanche questo andava bene, che Mariedl doveva dormire con i suoi genitori. Ne scaturì il seguente colloquio: Hans: «Allora io vado da basso a dormire con Mariedl». Mamma: «Vuoi davvero lasciare mamma e andartene a dormire al piano di sotto?». H.: «Be', tornerò su al mattino per far colazione e i bisognini». M. : «Se davvero vuoi andar via da papà e mamma, prendi la giacca e i calzoncini e ciao!». Hans prese davvero i vestiti e si avviò alle scale per andare a dormire con Mariedl, ma è superfluo osservare che fu riportato indietro. Naturalmente, dietro al desiderio «voglio che Mariedl dorma con noi» se ne nasconde un altro: «voglio che Mariedl» (la cui compagnia gli era tanto gradita), «entri a far parte della nostra famiglia». Però i genitori di Hans avevano l'abitudine di prenderlo a letto con loro, sia pure solo occasionalmente, e sicuramente il fatto di star disteso accanto a loro aveva suscitato in lui delle sensazioni erotiche, per cui anche il desiderio di dormire con Mariedl aveva un significato erotico. Lo stare a letto col padre o la madre rappresentava per Hans, come per qualsiasi altro bambino, una fonte di sensazioni erotiche. Nonostante gli accessi di omosessualità Hans si è comportato da vero uomo davanti alla sfida materna. Anche nel seguente esempio Hans disse alla madre: «Sai, mi piacerebbe tanto dormire con la bambina». È un episodio che ci ha divertiti moltissimo perché Hans si è comportato proprio come un adulto innamorato. Da qualche giorno una bella bambina di otto anni circa veniva nel nostro ristorante dove consumavamo i pasti. Naturalmente Hans se ne innamorò di colpo. Si rigirava continuamente sulla sedia lanciandole sguardi furtivi. Appena finito di mangiare, si andava a mettere vicino a lei, cercando di farle un po' di corte, ma se si accorgeva di essere osservato diventava tutto rosso. Se la ragazzina rispondeva alle sue occhiate, lui guardava da un'altra parte con vergogna. Questo comportamento era ovviamente un grande spasso per tutti quelli che mangiavano in quel ristorante. Ogni giorno, mentre andavamo a mangiare, domandava: «Credete che oggi ci sarà quella bambina?», e quando lei arrivava finalmente, lui arrossiva come farebbe una persona grande nella stessa situazione. Un giorno venne da me tutto giulivo e mi bisbigliò all'orecchio: «Papà, so dove abita la bambina. L'ho vista salire le scale nel tal posto». Mentre trattava con aggressività le bambine di casa, in quest'altra faccenda sosteneva la parte di un languido ammiratore platonico. Questo dipendeva forse dal fatto che le ragazzine di casa erano contadinelle, mentre l'altra era una signorinetta di classe. Come ho già detto una volta, affermava che gli sarebbe piaciuto dormire con lei. Non volevo che Hans seguitasse a vivere in quello stato di sconvolgimento provocato dalla passione per la bambina; perciò feci in modo che si conoscessero e la invitai a fargli visita dopo il riposo pomeridiano. Hans era talmente eccitato all'idea di ricevere quella visita che, per la prima volta, non riuscì a prendere sonno e rimase a rivoltarsi senza posa nel letto. Quando la madre gli chiese: «Perché non dormi, pensi alla bambina?», rispose: «Sì», con gli occhi brillanti di felicità. Quando era tornato a casa dal ristorante aveva detto a tutti in casa: «Sapete, oggi viene a farmi visita la mia bambina». Mariedl, la ragazza di quattordici 'Mini, riferì che Hans le aveva chiesto ripetutamente: «Dimmi, credi che sarà carina con me? Credi che mi bacerà se io la bacio?», ecc. Però nel pomeriggio piovve e la visita andò a monte. Hans si consolò con Berta e Olga. Altre osservazioni, fatte anche queste durante la villeggiatura, dimostrano che nel bimbo erano in atto molteplici cambiamenti. Hans, quattro anni e tre mesi. Stamane, come al solito, la mamma ha fatto ad Hans il bagno quotidiano e poi lo ha asciugato e intalcato. Mentre lei gli stava mettendo il talco intorno al pene, badando a non toccarlo, Hans ha detto: «Perché non ci metti le dita sopra?». Madre: «Perché sarebbe da porcellini». Hans: «Che vuoi dire? Da porcellini? E perché?». Madre: «Perché non sta bene». Hans (ridendo): «Però è molto bello»11. Pressappoco in quello stesso tempo Hans fece un sogno che era in netto contrasto con l'audacia dimostrata verso la mamma. Questo era il primo sogno reso irriconoscibile dalla distorsione. Comunque l'intuito paterno è riuscito a interpretarlo. Hans, quattro anni e tre mesi. Sogno. Stamane, mentre si alzava, ha detto: «Sai, stanotte ho sognato: c'era uno che diceva: "Chi vuol venire da me?" e poi un altro ha risposto: "Vengo io"; allora lui gli deve far fare pipi». Interrogandolo abbiamo messo in chiaro che il sogno era di tipo puramente uditivo, senza alcun contenuto visivo. Nei giorni scorsi Hans faceva dei giochi di società e il gioco delle «penitenze» con i figli del padrone di casa, tra i quali vi sono le sue amiche Olga (sette anni) e Berta (cinque). (Il gioco delle penitenze si fa così. A: «A chi va la penitenza che tengo in mano?», B: «A me», allora si stabilisce che cosa B dovrà fare.) (Il sogno si modellava su questo gioco con la differenza che Hans voleva che la persona cui toccava la penitenza non fosse condannata a dare il solito bacio o a ricevere il solito scappellotto su un orecchio, bensì a far pipì o piuttosto a farsi fare pipì da qualcuno.) Mi sono fatto ripetere il sogno e lui me lo ha detto con le stesse parole, tranne che, questa volta, invece di «un altro ha risposto», ha detto: «allora lei ha risposto». È certo che lei è o Berta od Olga, cioè una delle bimbe che giocavano con lui. Ed ecco il senso del sogno: «Giocavo alle penitenze con le bambine. Io ho chiesto: "Chi vuol venire da me?" Lei (Berta od Olga) ha risposto: "Vengo io". Allora lei mi ha fatto fare pipì». (Vale a dire che la bambina doveva aiutarlo mentre orinava, cosa evidentemente piacevole per lui.) È chiaro che Hans prova piacere se qualcuno gli fa fare pipì, se gli sbottona i calzoncini e gli estrae il pene. Durante le passeggiate è per lo più il padre che lo assiste nella bisogna e questo dà al bambino occasione per fissare le sue tendenze omosessuali verso di lui. Due giorni fa mentre la madre, come ho già detto, lo lavava e gli metteva il talco sui genitali, Hans le ha chiesto: «Perché non ci metti il dito sopra?». Ieri, mentre aiutavo Hans a fare un bisognino, lui mi ha chiesto per la prima volta di condurlo dietro alla casa in modo da non essere visto. Ha soggiunto: «L'anno passato, quando facevo pipì Berta e Olga mi guardavano». Secondo me questo significa che l'anno passato gli faceva piacere essere osservato dalle bambine, ma che ora non è più così. II suo esibizionismo ha ceduto alla rimozione. Siccome questo desiderio che Berta e Olga lo guardino mentre fa pipì - o gliela facciano fare - ora è rimosso nella vita reale, ben si comprende perché compaia nel sogno sotto il travestimento del gioco delle penitenze. In seguito ho osservato più volte che non gradisce essere visto mentre orina. Mi basti aggiungere che questo sogno obbedisce alla regola generale da me enunciata nell'Interpretazione dei sogni, per cui i discorsi che si fanno nei sogni derivano da frasi dette o ascoltate dal sognatore nei giorni precedenti. Il padre di Hans ha preso nota di un'altra osservazione, che risale al periodo immediatamente successivo al ritorno a Vienna. «Hans (quattro anni e mezzo) stava di nuovo assistendo al bagno della sorella. A un certo punto scoppiò a ridere. Gliene chiedemmo la ragione e lui rispose: "Rido del pipino di Hanna". "Perché?" "Perché è tanto carino".» Ovviamente non si tratta di una risposta ingenua. In realtà il pipino di lei gli era parso strano. Per di più, è questa la prima volta che riconosce la distinzione tra i genitali maschili e quelli femminili, invece di negarla. 2. Analisi e storia clinica del casoEgregio Professore, le invio altre notizie su Hans: questa volta, purtroppo, si tratta di materiale clinico. Come potrà vedere, in questi ultimi giorni Hans è stato colpito da un disturbo nervoso, che ha preoccupato molto mia moglie e me, dato che non siamo riusciti a trovare alcun modo per guarirlo. Domani mi permetterò di venire a farle visita..., ma nel frattempo... accludo un resoconto scritto del materiale disponibile. Indubbiamente il terreno è stato preparato da una sovreccitazione sessuale conseguente alle tenerezze materne; però, non sono in grado dì identificare la causa specifica dell'eccitazione. Hans ha paura di venire morso da un cavallo per strada; si direbbe che questa paura sìa collegata in qualche modo al fatto che è stato spaventato dalla vista di un grosso pene. Lei rammenterà da una mia precedente relazione che Hans, fin da quando era molto piccolo, aveva notato quanto è grande il pene dei cavalli e, già allora, ne aveva dedotto che la madre, per essere così grossa, doveva avere un pipino delle dimensioni di quello di un cavallo. Non mi so proprio raccapezzare. Che abbia veduto un esibizionista? Oppure è tutto collegato a sua madre? Certo per noi non è piacevole che Hans ci ponga questi problemi tanto precocemente. Ma, a prescindere dalla sua paura di uscire per la strada e dal suo malumore serale, sotto gli altri aspetti Hans è il bambino allegro e vivace di sempre. Noi non seguiremo il padre di Hans nelle sue preoccupazioni facilmente comprensibili e nei suoi primi tentativi di spiegazione; cominceremo, invece, con l'esaminare il materiale che abbiamo a disposizione. Non bisogna mai cercare di «capire» un caso fin dall'inizio: la comprensione si rende possibile solo in uno stadio più avanzato, dopo aver raccolto un numero sufficiente di elementi. Sospendiamo temporaneamente il nostro giudizio e rivolgiamo imparzialmente l'attenzione a tutto quel che c'è da vedere. Ecco i primi resoconti, che risalgono al principio di gennaio di quest'anno (1908). Hans (età quattro anni e nove mesi) si è svegliato una mattina tutto in lacrime. Gli è stato chiesto perché piangeva e lui ha risposto: «Mentre dormivo credevo che te ne eri andata via e che io non avevo più una mamma con la quale fare le moine». Era, dunque, un sogno di angoscia. Avevo già osservato qualcosa di simile, durante la passata estate a Gmunden. Quando andava a letto la sera, si trovava di solito in stato di intensa commozione. Una volta fece anche un'osservazione: «Mettiamo che non abbia più la mamma» oppure «mettiamo che te ne sei andata via», o altra frase simile; non rammento le parole esatte. Purtroppo la madre aveva preso l'abitudine di portarlo a letto con sé ogni volta che gli venivano queste malinconie. Verso il 5 gennaio, di mattina, è entrato nel letto della madre dicendo: «Sai che ha detto zia M.? Ha detto: "Che bel cosino che ha Hans"» . (La zia M. è stata da noi quattro settimane fa e, in effetti, ha detto questa frase, a bassa voce, mentre guardava mia moglie che faceva il bagno ad Hans. Lui l'aveva sentita e ora cercava di utilizzare quelle parole ai propri fini.) Il 7 gennaio è andato come al solito allo Stadtpark con la bambinaia. Per strada si è messo a piangere e ha chiesto di essere ricondotto a casa dicendo che voleva fare le «moine» con la mamma. A casa gli abbiamo chiesto perché aveva pianto e si era rifiutato di proseguire, ma non ha voluto rispondere. Fino a sera è stato allegro come sempre, poi è apparso visibilmente spaventato; si è messo a piangere e non potevamo separarlo dalla madre: voleva ricominciare a fare le «moine» con lei. Poi è ritornato normale e ha dormito bene. L'8 gennaio mia moglie ha deciso di uscire insieme col bambino per vedere cosa c'era che non andava. Dovevano arrivare fino a Schönbrunn dove gli è sempre piaciuto andare, ma lui si è messo a piangere e non voleva uscire; appariva spaventato. Finalmente si è lasciato persuadere, ma per strada aveva chiaramente paura. Sulla via del ritorno da Schönbrunn ha detto alla madre, dopo un lungo conflitto interno: «Avevo paura che un cavallo mi mordesse». (In effetti a Schönbrunn era entrato in agitazione alla vista di un cavallo.) Verso sera ha avuto un nuovo attacco simile a quello del giorno prima e ha voluto «fare le moine». Lo abbiamo calmato, ma lui ha detto fra le lacrime: «So che domani dovrò fare un'altra passeggiata» e ha aggiunto: «Il cavallo verrà in camera mia». Quel giorno stesso la madre gli aveva chiesto: «Ti tocchi il pipino?» e Hans aveva risposto: «Sì: tutte le sere a letto». Il giorno dopo, prima del sonno pomeridiano, è stato ammonito di non toccarsi il pipino. Al risveglio gli è stato chiesto se lo aveva fatto e lui ha risposto che se l'era toccato un po' lo stesso. Dunque è qui che si trovano gli inizi dello stato d'angoscia e della fobia di Hans. Come vedremo, abbiamo buone ragioni per tener distinti i due fenomeni. Per di più, il materiale mi sembra più che sufficiente per giungere ad una spiegazione. Nessun momento è tanto favorevole alla comprensione di un caso quanto il suo stadio iniziale, che era proprio quello in cui ci trovavamo, e che purtroppo è di solito trascurato o passato sotto silenzio. Il disturbo si è instaurato con i pensieri che erano contemporaneamente di paura e di affetto. Poi è seguito un sogno angoscioso in cui Hans aveva perduto la madre e non poteva fare più le «moine» con lei. Dunque il suo attaccamento alla madre deve essersi enormemente intensificato, ed è stato questo l'elemento essenziale del suo stato. A sostegno della nostra idea possiamo ricordare i due tentativi di sedurre la madre: il primo che risaliva all'estate, il secondo - consistente in una semplice espressione di apprezzamento per il proprio pene - accaduto immediatamente prima dell'insorgenza dello stato di angoscia provocato dall'uscire per strada. Questo accrescimento dell'amore per la madre si è trasformato improvvisamente in angoscia, e, bisogna aggiungere, ha subito la rimozione, per quanto non si possa ancora dire da dove questo impulso alla rimozione sia scaturito. Forse questa è dipesa dall'intensità delle emozioni, superiore alle sue possibilità di padroneggiamento. Oppure sono entrate in gioco altre forze ancora non individuate. Lo verremo a sapere in seguito. Dunque, l'angoscia del piccolo era l'espressione di un desiderio amoroso rimosso, priva, inizialmente, come tutte le angosce infantili, di un oggetto particolare: si trattava di angoscia, non ancora di paura. Il bambino non sa dire di che cosa ha paura. Dopo la prima passeggiata con la bambinaia, Hans non disse che cosa lo spaventava, semplicemente perché non lo sapeva lui stesso. Disse, invece, tutto quello che sapeva, cioè che per strada aveva sentito la mancanza della madre, con la quale voleva fare le moine, e che non voleva star lontano da lei. Con queste parole dichiarò apertamente il significato essenziale della sua ripugnanza a uscire di casa. Ancora: si è avuto, poi, uno stato, in cui entrò per due sere consecutive prima di andare a dormire, caratterizzato da angoscia mista a evidenti segni di tenerezza. Questo stato dimostra che, agli inizi della malattia, non vi era ancora nessuna fobia (non quella delle strade o di andare a passeggio e nemmeno dei cavalli). Se si fossero rilevati segni di fobia, il suo stato serale sarebbe rimasto incomprensibile; infatti chi mai si preoccupa di strade o di passeggiate al momento di coricarsi? D'altro canto ci apparirà chiaro perché provasse un tal senso di paura, se poniamo mente al fatto che, nel momento di coricarsi, il piccolo andava incontro a un accrescimento della libido, dato che l'oggetto di questa era la madre e il suo fine era probabilmente quello di andare a letto con lei. Inoltre l'esperienza aveva insegnato ad Hans che, a Gmunden, era possibile vincere la resistenza della madre e farsi prendere a letto con lei, se si faceva trovare in quello stato d'animo, e ora Hans voleva conseguire lo stesso scopo anche a Vienna. Non dobbiamo, poi, dimenticare che a Gmunden era rimasto per qualche tempo solo con la madre, perché il padre non aveva potuto trascorrervi tutto il periodo delle ferie. Per di più in campagna il suo affetto era stato diviso tra molti compagni e amici di ambo i sessi, mentre a Vienna non ne aveva alcuno, così che la libido era in condizioni di riversarsi tutta sulla madre. Pertanto lo stato di angoscia era espressione di un desiderio rimosso. Però non si trattava di un equivalente del desiderio, perché bisognava fare i conti con la rimozione stessa. Il desiderio può trasformarsi interamente in soddisfazione se raggiunge l'oggetto cui aspira, mentre un tal genere di terapia non è più efficace se si tratta di angoscia, che persiste anche se il desiderio ha avuto la possibilità di essere soddisfatto. Non è più possibile ritrasformare l'angoscia in libido, perché vi è qualcosa che mantiene la libido sotto rimozione15. Che le cose stessero effettivamente così nel caso di Hans, è dimostrato dallo stato in cui si trovava nel corso della passeggiata che la madre aveva fatto insieme con lui. Pur essendo in compagnia della madre, egli seguitava a soffrire per l'angoscia, ossia per un desiderio insoddisfatto verso di lei. Ma bisognava pur dire che l'angoscia era meno intensa: infatti si era lasciato convincere a uscire, mentre la bambinaia era stata costretta a riportarlo a casa. Del resto una strada non è affatto il posto adatto a fare le «moine» o qualsiasi altra cosa desiderata dal giovane amante. Però l'angoscia aveva superato la prima prova e ora non le restava altro che trovarsi un oggetto. Durante quella passeggiata, Hans espresse per la prima volta la paura di essere morso da un cavallo. Da dove proveniva il materiale di questa fobia? Probabilmente da complessi, ancora sconosciuti per noi, che avevano contribuito a rimuovere, e seguitavano a mantenere in questo stato, i suoi impulsi libidici verso la madre. È un problema non ancora risolto che ci obbliga a seguire gli sviluppi successivi del caso. Il padre di Hans ci ha già fornito qualche indizio, probabilmente attendibile, come per esempio quello secondo cui Hans aveva sempre guardato con interesse i cavalli in ragione della grossezza del loro «pipino», supponendo, poi, che la madre dovesse avere un pipino come quello di un cavallo, ecc. Potremmo quindi pensare che il cavallo sia semplicemente un sostituto della madre. Però in questo caso, come spiegare la sua paura serale che un cavallo entrasse nella camera? Si dirà: paure assurde di un bambino. Ma una nevrosi, come del resto un sogno, non dice mai assurdità. Quando non riusciamo a capire una cosa, cerchiamo sempre una soluzione di comodo, magnifico sistema per rendere più facile un'impresa. Vi è anche un altro punto, per il quale dobbiamo evitare di cedere a questa tentazione. Hans ammetteva di divertirsi a giocherellare col proprio pene tutte le sere prima di addormentarsi. «Ah!», direbbe il medico di famiglia, «il bimbo si masturba: ecco la causa dell'angoscia patologica.» Andiamoci piano! Che il piccolo traesse piacere dalla masturbazione non spiega affatto l'angoscia; se mai la rende ancor più problematica. La masturbazione, come qualsiasi altro genere di soddisfazione, non determina stati d'angoscia. Per di più c'è da pensare che Hans, che ora aveva quattro anni e nove mesi, indulgesse in questo piacere da non meno di un anno. Vedremo più avanti come proprio in questo torno di tempo egli fosse impegnato in una lotta con se stesso allo scopo di liberarsi da quella abitudine: questo è uno stato di cose che si accorda molto meglio con la rimozione e la comparsa dell'angoscia. Dobbiamo anche spendere una parola in difesa dell'ottima e devota madre di Hans. Il padre la accusa, non del tutto a torto, di aver provocato la comparsa della nevrosi del bambino a causa della sua esagerata amorevolezza e dell'eccessiva facilità con cui lo prendeva a letto con sé. Potremmo altrettanto facilmente accusarla di aver precipitato il processo di rimozione per aver rigettato con troppa energia le sue proposte («sarebbe da porcellini»)16. Però era fatale che dovesse avere questa parte e si trovava in una posizione alquanto difficile. Mi accordai col padre di Hans, che gli dicesse che tutta la faccenda dei cavalli era soltanto una sciocchezza. Doveva anche dirgli che la verità era che lui amava molto la mamma e voleva che lo prendesse a letto con sé. Invece la ragione della paura dei cavalli stava nell'eccessivo interesse dei loro pipini. Hans stesso si era accorto, a ragione, che non era bene preoccuparsi troppo dei pipini, nemmeno del proprio. Inoltre consigliai il padre di cominciare a dare ad Hans qualche nozione in materia di fatti sessuali. Il recente comportamento del bambino giustificava la nostra supposizione che la sua libido si fosse legata al desiderio di vedere il pipino della mamma. Per questo proposi al padre di togliere ad Hans quel desiderio facendogli sapere che la madre, come tutte le femmine (e lui lo aveva potuto constatare in Hanna), non aveva nessun pipino. Tale nozione avrebbe dovuto essere impartita ad Hans al momento propizio, vale a dire in occasione di una domanda o di un'osservazione casuale del bambino stesso. Le notizie che seguono si riferiscono al periodo che va dal primo al 17 marzo. La lacuna intermedia di oltre un mese verrà descritta direttamente. Dopo che Hans ebbe ricevuto le prime nozioni seguì un periodo di tranquillità, durante il quale si poteva convincerlo senza particolari difficoltà a fare la quotidiana passeggiata allo Stadtpark. A poco a poco la paura dei cavalli si trasforma in una coazione a guardarli. Hans diceva: «Devo guardare i cavalli e ne provo paura». Dopo un attacco influenzale, che lo tenne a letto due settimane, la fobia peggiorò, così che non si poteva convincerlo a uscire; al massimo andava sul balcone. Tutte le domeniche andavamo insieme a Lainz , perché in questo giorno non c'è molto traffico per strada e il percorso fino alla stazione è piuttosto breve. Una volta a Lainz, si rifiutò di uscire a passeggio dal giardino perché lì fuori stava ferma una carrozza. Ora, dopo aver passato un'altra settimana a casa perché gli sono state tolte le tonsille, la fobia si è considerevolmente aggravata. Va, sì, sul balcone, ma non a passeggio, perché, non appena arriva al portone, torna indietro di corsa. Domenica primo marzo, mentre ci recavamo alla stazione, facemmo il seguente colloquio. Cercavo ancora una volta di spiegargli che i cavalli non mordono. Hans: «Però i cavalli bianchi mordono. A Gmunden c'è un cavallo bianco che morde. Se gli dai il dito te lo morde». (Rimasi colpito dal fatto che diceva «dito» e non «mano».) Poi mi raccontò il seguente episodio che riferisco in forma ordinata: «Quando Lizzi doveva andar via, davanti a casa sua c'era una carrozza con un cavallo bianco, per portare i bagagli alla stazione». (Mi spiegò che Lizzi era una bambina che abitava in una casa vicino alla nostra.) «Suo padre stava in piedi vicino al cavallo e il cavallo girò la testa (per toccarlo); e lui disse a Lizzi: "Non mettere il dito sul cavallo bianco, se no ti morde" ». A questo punto gli dissi: «Vedi: mi colpisce il fatto che tu non vuoi intendere che non si deve toccare un cavallo, ma che non bisogna toccarsi il pipino». Hans: «Ma un pipino non morde». Io: «E invece forse sì», e allora lui seguitò a parlare con forza per cercare di convincermi che si trattava proprio di un cavallo bianco . Il 2 marzo dette di nuovo segno di essere spaventato. Io, allora, gli dissi: «Lo sai? la tua schiocchezza (così chiama la sua fobia) migliorerà se andrai più spesso a passeggio. Ora va tanto male perché sei stato malato e sei dovuto rimanere a casa». Hans: «Oh no. Va tanto male perché mi tocco ancora il pipino tutte le sere». Dunque, medico e paziente, padre e figlio, erano d'accordo nell'attribuire la causa essenziale della patogenesi dello stato attuale all'abitudine di masturbarsi, pur non mancando indizi dell'esistenza di altri fattori significativi. Il 3 marzo è venuta una nuova bambinaia che gli piace in modo particolare. Lei se lo porta a cavalluccio sulla schiena mentre pulisce il pavimento e lui la chiama sempre «il mio cavallo» e la tira per il vestito mentre grida «arri, arri». Verso il 10 marzo ha detto alla nuova bambinaia: «Se fai la tal cosa, ti dovrai togliere il vestito e anche la camicia». (Con questo voleva intendere un castigo, ma è facile intravedere il desiderio dietro questa frase.) Cameriera: «E che ci sarebbe di male? Direi che non ho abbastanza soldi per i vestiti». Hans: «Eh, no, sarebbe vergogna; ti vedrebbero il pipino». Qui ritorna in ballo la vecchia curiosità, però diretta verso un nuovo oggetto e (dato che siamo in fase di rimozione) avvolta da un intendimento moralistico. Il 13 marzo, al mattino, ho detto ad Hans: «Sappi che, se non ti metti più la mano sul pipino, la tua schiocchezza migliorerà ben presto». Hans: «Ma io non mi metto più la mano sul pipino». Io: «Però ne provi ancora la voglia». Hans: «Sì, ma desiderare non è fare e fare non è desiderare (!!)». Io: «Bene, ma per evitare che te ne venga la voglia, da stasera ti metteremo a dormire in un sacco». Dopo siamo andati fuori, davanti a casa. Hans aveva sempre paura, però era di umore sensibilmente sollevato all'idea di essere agevolato nelle sue lotte; ha detto: «Se avrò il sacco da dormire, la mia sciocchezza se ne andrà domani». Infatti la paura dei cavalli era molto diminuita e si manteneva calmo quando le carrozze gli passavano vicino. Hans mi aveva promesso di venire con me a Lainz il 15 marzo, domenica. Dapprima fece resistenza, ma alla fine uscì con me. Siccome il traffico era scarso, si sentiva a suo agio per la strada e disse: «Che bello! Dio ha fatto scomparire i cavalli». Sulla via del ritorno gli spiegai che la sorellina non ha un pipino come lui. Le bambine e le donne, gli dissi, non hanno il pipino: non ce l'ha mamma e nemmeno Hanna, e via dicendo. Hans: «E tu ce l'hai il pipino?». Io: «Ma certo. Perché, che cosa credevi?». Hans (dopo una pausa): «Ma se non hanno il pipino, come fanno le bambine a far pipì?». Io: «Non hanno un pipino come il tuo. Non te ne eri già accorto quando Hanna faceva il bagno?». Tutto il giorno fu di ottimo umore, è andato in toboga, ecc. Soltanto verso sera si sentì di nuovo depresso e sembrava avesse paura dei cavalli. Quella sera l'attacco di nervi e il bisogno di essere coccolato furono meno pronunciati che in passato. Il giorno dopo la madre lo condusse con sé in centro e lui era spaventatissimo per strada. Passò la giornata seguente in casa, di ottimo umore. La mattina dopo si svegliò spaventato verso le sei. Quando gliene chiedemmo il perché, disse: «Mi sono messo il dito sul pipino, appena un po'. Ho visto mamma tutta nuda in camicia, che mi faceva vedere il suo pipino. Ho fatto vedere a Grete , la mia Grete, quello che faceva mamma e le ho anche mostrato il mio pipino. Poi ho tolto in fretta la mano dal pipino». Quando gli ho fatto osservare che poteva dire soltanto «in camicia» oppure «tutta nuda», Hans ha detto: «Era in camicia, ma la camicia era tanto corta che le ho visto il pipino». Non si trattava di un sogno, bensì di una fantasia masturbatoria che, però, è l'equivalente di un sogno. Quello che faceva fare alla madre va inteso come un atto di autogiustificazione: «Se mamma mostra il pipino, lo posso fare anch'io». Da questa fantasia dobbiamo trarre due conclusioni: primo, che il rimprovero della madre aveva avuto un notevole effetto già al tempo in cui era stato avanzato e, secondo, che non aveva accettato immediatamente la notizia, datagli dal padre, che le donne non hanno il pipino. Questa nozione non gli piaceva e, nella fantasia, si manteneva fedele alla vecchia opinione. Forse aveva anche delle ragioni per non credere al padre per il momento. Rapporto settimanale del padre di Hans: Egregio professore, le invio il seguito della storia di Hans: una puntata davvero interessante. Forse mi permetterò di venirla a trovare, nelle sue ore di ambulatorio, lunedì prossimo. Se sarà possibile, porterò Hans con me, posto che voglia venire. Quest'oggi gli ho detto: «Verresti lunedì con me dal professore che ti può liberare dalla tua sciocchezza?». Hans: «No». Io: «Guarda che ha una bellissima bambina». Allora ha acconsentito con gioia e molto volentieri. Domenica, 22 marzo. Per allargare il nostro programma domenicale ho proposto ad Hans di andare prima a Schönbrunn e poi, verso mezzogiorno, partire per Lainz. In tal caso non sarebbe dovuto andare soltanto da casa fino all'ufficio principale del dazio presso la stazione, ma anche dalla stazione di Hietzing a Schönbrunn e di nuovo da Schönbrunn alla stazione dei tram a vapore di Hietzing. C'è riuscito, sebbene si allontanasse alla svelta se vedeva un cavallo, dando evidenti segni di nervosismo. Nel cercare di non guardare i cavalli seguiva un consiglio della mamma. A Schönbrunn provava una certa paura alla vista di animali che in altre occasioni aveva guardato senza apprensione. Per esempio si è rifiutato categoricamente di entrare nell'edificio dove si trova la giraffa e non ha nemmeno voluto visitare l'elefante che in passato gli piaceva moltissimo. Aveva paura di tutti gli animali di grandi dimensioni, mentre si divertiva molto alla vista di quelli piccoli. Tra gli uccelli, ha avuto paura soltanto del pellicano - cosa mai accaduto in passato -, evidentemente a causa della sua mole. Allora gli ho detto: «Lo sai perché hai paura degli animali grandi? Gli animali grandi hanno grandi pipini e in realtà tu hai paura dei grandi pipini». Hans: «Ma finora non ho mai visto il pipino dei grandi animali» Io: «Però hai visto quello del cavallo e il cavallo è un grande animale». Hans: «Oh, quello del cavallo tante volte. Una volta a Gmunden, quando c'era la carrozza davanti al portone, e una volta davanti alla dogana». Io: «Quando eri piccolo ti piaceva molto andare in una stalla a Gmunden...». Hans (interrompendomi): «Sì, a Gmunden andavo tutti i giorni nella stalla quando i cavalli erano tornati a casa». Io: «...e una volta ti sei spaventato moltissimo quando hai visto il grosso pipino del cavallo. Ma non c'è nessuna ragione di aver paura: gli animali grandi hanno il pipino grande, gli animali piccoli ce l'hanno piccolo». Hans: «E tutti hanno il pipino. Il mio pipino diventerà più grande quando io diventerò più grande. Naturalmente è ben attaccato a me». Con questo è finito il nostro colloquio. Nei giorni seguenti sembrava che i suoi timori fossero di nuovo un po' più forti. Usciva a mala pena dal portone, davanti al quale lo conducevamo il pomeriggio. L'ultima frase, consolatoria, di Hans, illumina la situazione e ci consente di apportare alcune correzioni alle affermazioni del padre. Che avesse paura dei grandi animali, perché si sentiva costretto a pensare al loro grosso pipino, è vero; però non possiamo affermare che fosse altrettanto vera la sua paura dei grandi pipini in sé. Da principio quel pensiero era stato nettamente piacevole per lui, tanto che faceva il possibile per vederne uno. In seguito questo piacere si è annullato, a causa di un totale rivolgimento del piacere in dispiacere, che ha coinvolto tutto il complesso delle sue ricerche sessuali, in un modo che ancora non abbiamo potuto spiegare, e anche per altre ragioni, che ci appaiono più chiare, vale a dire in conseguenza di talune esperienze e riflessioni che sono giunte a una conclusione ben triste per lui. Dalle sue parole di autoconsolazione («il mio pipino diventerà più grande quando io sarò più grande») possiamo dedurre che, con le sue osservazioni, Hans faceva continui confronti rimanendo estremamente scontento delle dimensioni del suo pipino. I grandi animali gli richiamavano alla mente questa sua deficienza e, per tale ragione, gli risultavano sgradevoli. Però, siccome tutto questo complesso di pensieri probabilmente non riusciva a diventare pienamente cosciente, anche il senso di dispiacere si era trasformato in angoscia, di modo che l'angoscia attuale si basava sia sull'antico piacere sia sul dispiacere presente. Allorché si instaura uno stato di angoscia, questo fagocita tutti gli altri sentimenti: mano a mano che la rimozione va avanti - e quindi pensieri carichi di emotività, precedentemente coscienti, sprofondano nell'inconscio - qualsiasi stato affettivo è suscettibile di trasformarsi in angoscia. La singolare espressione di Hans, «deve per forza essere così», ci permette di intuire, in rapporto a queste parole di consolazione, tante cose che Hans non poteva esprimere verbalmente e che, infatti, non disse nel corso dell'analisi. Colmerò in parte questa lacuna avvalendomi della mia esperienza in fatto di analisi e di adulti, sperando che non si voglia considerare, arbitraria o artificiosa questa mia interpolazione. «Naturalmente è ben attaccato a me»: se questa frase contiene un senso di sollievo e di sfida, come sembra, allora dobbiamo ricordarci della minaccia della madre - che gli avrebbe fatto tagliare il pipino se continuava a toccarselo. Questa minaccia non ebbe alcun effetto nel momento in cui fu pronunciata, cioè quando Hans aveva tre anni e mezzo. Infatti lui aveva tranquillamente risposto che avrebbe fatto pipì col sedere. Se così è, ci troviamo di fronte a un processo assolutamente tipico: la minaccia di castrazione ha avuto un effetto ritardato, così che Hans ora, dopo un anno e tre mesi, comincia a essere tormentato dalla paura di perdere una porzione così importante del suo Io. Anche in altri casi patologici si osservano analoghi effetti ritardati di ordini o di minacce risalenti all'infanzia, ossia a dieci anni prima, o anche più. Mi sono noti persino dei casi in cui un'«obbedienza ritardata» sotto l'effetto della rimozione ha avuto un ruolo essenziale nel determinismo dei sintomi di una malattia. L'informazione ricevuta da Hans non molto tempo prima - cioè che le donne in realtà non hanno un pipino - aveva necessariamente scosso in lui la fiducia in se stesso, scatenando il complesso di castrazione. Fu proprio per questo che respinse tale nozione, che, pertanto, non ebbe risultati terapeutici. Poteva mai darsi che ci fossero degli esseri viventi sprovvisti di pipino? Se così è, non era più tanto incredibile che glielo potessero levare, trasformandoli, quindi, in donna!22 Nella notte dal 27 al 28, Hans ci ha sorpresi, scendendo dal letto mentre era buio ed entrando nel nostro. La sua camera è separata dalla nostra da un'altra stanzetta. Gliene abbiamo chiesto la ragione: forse era spaventato? «No», ci ha risposto. «Domani ve lo dico.» Si è addormentato nel nostro letto e allora lo abbiamo riportato nel suo. Il giorno seguente l'ho interrogato insistentemente per sapere perché era venuto da noi durante la notte e, dopo qualche riluttanza, si è svolto il dialogo seguente che io ho immediatamente stenografato: Hans: «Questa notte in camera c'erano una giraffa grande e un'altra tutta acciaccata; la giraffa grande gridava perché le portavo via quella acciaccata. Poi ha smesso di gridare e allora mi sono messo a sedere sulla giraffa acciaccata». Io (stupefatto): «Cosa? Una giraffa acciaccata? Come può essere?». Hans: «Sì» (afferra un pezzo di carta, lo appallottola e dice): «Acciaccata in questo modo». Io: «Tu ti sei seduto sopra la giraffa acciaccata? E come?». Anche questa volta Hans mi ha dato la dimostrazione mettendosi a sedere sul pavimento. Io: «Perché sei venuto in camera nostra?». H.: «Non lo so neanch'io». Io: «Avevi paura?». H. : «No. Certo no». Io: «Hai sognato la giraffa?». H.: «No, non ho sognato. L'ho pensato. Ho pensato ogni cosa. Ero sveglio già da prima». Io: «Che vuol dire una giraffa acciaccata? Tu lo sai che non puoi appallottolare una giraffa come un pezzo di carta». H. : «Certo che lo so. L'ho soltanto pensato. Naturalmente per davvero non ci sono giraffe acciaccate . Questa era stesa per terra e io l'ho portata via, l'ho presa con le mani». Io: «Cosa? Come fai a prendere in mano una grossa giraffa?». H.: «Ho preso la giraffa acciaccata con una mano». Io: «E intanto quella grossa dov'era?». H.: «Era lì vicino». Io: «Che ne hai fatto della giraffa acciaccata?». H.: «L'ho tenuta in mano per un po', finché quella grande ha smesso di gridare. E quando quella grande ha smesso di gridare, mi sono messo a sedere sull'altra». Io: «Perché gridava quella grande?». H.: «Perché le avevo portato via quella piccola». (Si è accorto che prendeva nota di tutto e mi ha chiesto: «Perché lo scrivi?».) Io: «Perché lo mando a un professore che ti libererà delle tue "sciocchezze"». H.: «Oh! Allora hai scritto anche che mamma si è levata la camicia, e mandi anche questo al professore». Io: «Sì, ma lui non riuscirà a capire come fai a pensare che si possa acciaccare una giraffa». H. : «Digli che non lo so neanch'io, così non te lo chiederà. Ma se domanda cos'è una giraffa acciaccata, può scrivercelo e noi gli risponderemo, oppure scrivigli subito che nemmeno io lo so». Io: «Ma stanotte perché sei venuto?». H.: «Non lo so». «Io: «Dimmi subito quel che ti viene in mente». H. (scherzosamente): «Sciroppo di lampone». Io: «E poi?». H.: «Un fucile per ammazzarci la gente»24 Io: «Sei certo di non averlo sognato?». «H.: «Altro che certo, certissimo». Poi ha continuato: «Mamma mi ha tanto pregato di dirle perché sono venuto da voi stanotte. Però non lo volevo dire, perché prima mi vergognavo di mamma». Io: «Perché?». H.: «Non lo so». Infatti mia moglie lo aveva interrogato per tutta la mattina, finché lui non le aveva raccontato la storia della giraffa. Quel giorno stesso il padre trovò la spiegazione delle fantasie delle giraffe. La giraffa grande sono io, o piuttosto il mio grosso pene (il lungo collo) e la giraffa acciaccata è mia moglie, o meglio i suoi organi genitali. Si tratta dunque di una conseguenza dell'istruzione che gli ho dato. Giraffa: vedi la passeggiata a Schönbrunn. Inoltre sopra il suo letto c'è il quadro di una giraffa e di un elefante. Tutta questa storia è la riproduzione di una scena che, in questi ultimi giorni, si è svolta quasi tutte le mattine. Hans viene sempre a trovarci la mattina presto e mia moglie non sa resistere alla sua preghiera di essere preso a letto per qualche minuto. Per questo ho cominciato ad ammonirla di non prendere Hans a letto con sé («la giraffa grande gridava perché le avevo portavo via quella acciaccata»), ma lei, tante volte, mi risponde, alquanto irritata, che certamente è tutto una stupidaggine, che, in fin dei conti, un minuto non conta niente ecc. Dunque Hans resta con lei un po' («Allora la giraffa grande ha smesso di gridare e io mi sono seduto su quella acciaccata»). Dunque la soluzione di questa scena matrimoniale trasposta nella vita delle giraffe è la seguente: durante la notte Hans è stato preso dal desiderio per sua madre, per le sue carezze e per il suo organo genitale, ed è per questo che è venuto in camera nostra. È tutto una continuazione della sua paura dei cavalli. Devo aggiungere solo una cosa alla perspicace interpretazione del padre. «Sedere [Draufsetzen] su una cosa» per Hans è un modo di rappresentare l'idea di possedere. Però tutta questa fantasia sta a rappresentare un atto di sfida connesso con la soddisfazione per aver trionfato della resistenza del padre. «Grida quanto ti pare! Mamma mi prende a letto lo stesso, e mamma mi appartiene!» È dunque ammissibile, come il padre stesso ha sospettato, che, dietro quella fantasia, si nasconda la paura di non piacere più a sua madre perché il suo pipino non regge a confronto con quello del padre. Il giorno dopo il padre ottenne la conferma della sua interpretazione. Domenica, 29 marzo, sono andato a Lainz con Hans. Sulla porta ho salutato scherzosamente mia moglie con le parole: «Ciao, giraffona!». «Perché giraffa?», ha chiesto Hans. «È mamma la giraffa grande», gli ho risposto e Hans ha replicato: «Oh, sì! Hanna è quella acciaccata, no?». In treno gli ho spiegato la fantasia delle giraffe. Lui ha detto: «Sì, è giusto». Quando gli ho detto che la giraffa grande sono io, e che il suo lungo collo gli faceva venire in mente un pipino, lui ha detto: «Anche mamma ha il collo come una giraffa. L'ho vista mentre si lavava il suo bianco collo»25 . Lunedì 30 marzo, mattina. Hans è venuto da me e mi ha detto: «Lo sai? Stamattina ho pensato due cose!». «E qual è la prima?» «Ero con te a Schönbrunn, nel posto dove ci sono le pecore. Poi siamo passati sotto le corde e poi l'abbiamo detto alla guardia che sta in fondo al giardino e lei ci ha preso.» Aveva dimenticato la seconda cosa. Qui posso fare un commento. Domenica siamo andati per vedere le pecore, ma abbiamo trovato che una parte del giardino era sbarrata da una corda per cui non siamo potuti arrivare da esse. Hans era meravigliatissimo del fatto che una zona di giardino fosse chiusa da una semplice corda, dato che è facilissimo passarci sotto. Gli ho detto che le persone per bene non passano carponi sotto una corda. Lui ha detto che sarebbe stato proprio facile e io gli ho risposto che poteva anche arrivare la guardia e portarci via. All'ingresso di Schönbrunn c'è una guardia di servizio e una volta ho detto ad Hans che arresta i bambini cattivi. Al ritorno dalla nostra visita al suo ambulatorio, che è stata quel giorno stesso, Hans mi ha confessato un altro desiderio di compiere azioni vietate: «Sai, stamane ho pensato a un'altra cosa». «Cosa?» «Ero in treno con te e abbiamo rotto un finestrino e la guardia ci ha portati via.» È un seguito quanto mai congruente con la fantasia della giraffa. Gli era venuto il sospetto che fosse vietato prendere possesso della madre: aveva urtato contro la barriera che impedisce l'incesto. Egli però considerava la cosa come proibita in se stessa. Tutte le volte che commetteva, nella sua immaginazione, una di quelle imprese proibite, era sempre in compagnia del padre, che veniva imprigionato insieme con lui. Secondo lui anche il padre faceva quell'enigmatica cosa proibita con la madre, cosa che egli sostituiva con un'azione violenta come rompere un vetro o entrare per forza in uno spazio chiuso. Quel pomeriggio padre e figlio vennero da me durante il mio orario di visita. Io conoscevo già quel divertente ometto, tutto sicuro di sé, ma talmente simpatico che ero sempre contento di vederlo. Non so se si ricordasse di me, però si comportò in modo irreprensibile come un membro perfettamente ragionevole del consorzio umano. Il consulto fu breve. Il padre cominciò col dire che, nonostante tutte le informazioni che gli aveva dato, la paura di Hans per i cavalli non era ancora diminuita. Dovemmo anche riconoscere che i rapporti venuti alla luce tra i cavalli, dei quali aveva paura, e i sentimenti di amore dimostrati nei confronti della madre non erano poi molti. Non era possibile spiegare in base a quanto già sapevamo taluni particolari, che sentivo ora per la prima volta (cioè che Hans si spaventava specialmente alla vista di quello che i cavalli portano davanti agli occhi e del nero che hanno intorno alla bocca). Però, mentre vedevo i due seduti davanti a me e, contemporaneamente, ascoltavo la descrizione dell'angoscia per i cavalli, fattami da Hans, mi balenò in mente un altro aspetto della soluzione, che non comprendo come doveva essere sfuggito al padre. In tono di scherzo chiesi ad Hans se i suoi cavalli portavano gli occhiali, e lui rispose di no. Allora gli domandai se suo padre portasse gli occhiali, ma lui rispose ancora di no, contro ogni evidenza. Infine gli chiesi se con «il nero intorno alla bocca» volesse intendere i baffi e poi gli spiegai che aveva paura del padre proprio perché amava tanto la madre. Gli dissi che certamente credeva che suo padre ce l'avesse con lui per questo; mentre non era vero nulla: nonostante tutto suo padre gli voleva un gran bene e lui poteva confessargli tutto senza paura. Continuai dicendogli che, già molto tempo prima che venisse al mondo, io sapevo che sarebbe nato un piccolo Hans che avrebbe voluto tanto bene alla mamma da avere paura del padre per questo. E ne avevo avvertito il padre. A questo punto il padre di Hans mi interruppe: «Ma perché pensi che io sia arrabbiato con te? Ti ho mai sgridato o picchiato?». Hans lo corresse: «Sì che mi hai picchiato!». «Ma non è vero; comunque, quando l'avrei fatto?» «Stamattina», rispose il bambino. Allora il padre si ricordò che quella mattina Hans gli aveva dato inaspettatamente una testata nello stomaco così che lui, di riflesso, lo aveva colpito con la mano. È degno di nota il fatto che il padre non aveva visto il nesso esistente tra questo episodio e la nevrosi. Ora, però, ravvisava in esso un segno dell'atteggiamento di ostilità che il figlio aveva verso di lui, forse insieme a un bisogno di essere punito per questo26. Mentre tornavano a casa, Hans domandò al padre: «Forse il professore parla con Dio, che prevede quel che deve accadere?». Questo apprezzamento, dalla bocca di un fanciullo, mi riempirebbe di orgoglio, se non fossi stato io stesso a provocarlo con la mia scherzosa millanteria. Dopo questa visita ho ricevuto rapporti quasi quotidiani sui cambiamenti delle condizioni del piccolo paziente. Non c'era da sperare che le notizie che gli avevo dato lo liberassero tutto in una volta dall'angoscia. Però era evidente che ora aveva la possibilità di proseguire nelle sue produzioni inconsce, sviluppando la sua fobia. Da quel giorno in poi Hans portò avanti un programma, del quale potei dare preavviso al padre. 2 aprile. Abbiamo rilevato il primo miglioramento effettivo. Prima non era stato mai possibile persuaderlo a rimanere a lungo fuori del portone e, se passava un cavallo, rientrava in casa di corsa, tutto spaventato. Oggi, invece, è rimasto per un'ora davanti al portone, persino mentre passavano i carri, cosa molto frequente nella nostra strada. Di tanto in tanto, nel vedere da lontano un carro, si metteva a correre verso casa, ma ritornava subito indietro come se avesse cambiato idea. In tutti i modi della sua angoscia rimane solo qualche traccia; i progressi fatti dopo la visita sono innegabili. Quella sera ha detto: «Ora si va fino al portone e così poi andremo anche allo Stadt-park». Al mattino del 3 aprile è venuto a letto da me, mentre erano un po' di giorni che non ci veniva più e anzi, sembrava esserne orgoglioso. «E perché sei venuto oggi?», gli ho chiesto. Hans: «Non ci verrò più quando non avrò più paura». Io; «E allora vieni da me perché hai paura?». H. : «Quando non sto con te ho paura; quando non sono a letto con te, ho paura. Quando non avrò più paura, non ci verrò più». Io: «Dunque, quando sei nel tuo letto la mattina, mi vuoi bene e ti senti in angoscia. È per questo che vieni da me?». H: «Sì. Perché mi hai detto che voglio bene a mamma ed è per questo che ho paura, mentre io voglio bene a te?». In questo caso il bambino ha rivelato una chiarezza mentale veramente straordinaria. Infatti ha notato esattamente il fatto che il suo amore per il padre era in conflitto con la sua ostilità verso di lui quale rivale presso la madre; inoltre muoveva al padre il rimprovero di non essersi ancora accorto di questo contrasto tra tendenze opposte, che non poteva non portare all'angoscia. In quel momento il padre non riuscì ancora a comprenderlo pienamente; infatti, nel corso di questa conversazione, potè solamente convincersi che il bambino nutriva verso di lui quel sentimento di ostilità, che io avevo già rilevato il giorno dalla visita. Il dialogo che segue, e che comunque riporto senza modifiche, in effetti è più importante ai fini del progresso della comprensione da parte del padre che non da parte del piccolo paziente. Purtroppo non ho afferrato subito il significato di questo rimprovero. Siccome Hans ama sua madre vorrebbe evidentemente sbarazzarsi di me e prendere il mio posto. Questo desiderio ostile rimosso si trasforma in angoscia nei confronti di suo padre, per cui viene da me al mattino per vedere se sono andato via. Malauguratamente, in quel momento non lo capii e gli dissi: «Quando sei solo, sei in ansia per me e mi vieni a trovare». Hans: «Quando sei fuori ho paura che non torni a casa». Io: «Ti ho mai minacciato di non tornare a casa?». Hans: «Tu no, però mamma sì. Mamma mi ha detto che non sarebbe tornata a casa». (Probabilmente era stato cattivo e lei lo aveva minacciato di andarsene via.) Io: «Te l'ha detto perché sei stato cattivo?». H.: «Sì». Io: «Allora hai paura che me ne vada perché sei stato cattivo: ecco perché mi vieni a trovare». Mentre mi alzavo da tavola dopo colazione, Hans ha detto: «Papà, non trottare via da me!». Rimasi colpito dal fatto che dicesse «trottare» invece di «correre» e gli risposi: «Ah! Dunque hai paura che il cavallo trotti via da te». E lui si è messo a ridere. Sappiamo che questa parte dell'angoscia del bambino era formata da due componenti: c'era la paura del padre e la paura per il padre. L'una nasceva dall'ostilità verso di lui, l'altra dal conflitto tra l'amore, accresciuto per un meccanismo di compensazione, e l'ostilità. Il padre prosegue: Siamo indubbiamente al principio di una fase importante. Il motivo per cui si spinge al massimo nelle vicinanze immediate di casa, senza allontanarsene, e, a mezza strada, viene colto dall'angoscia e ritorna di corsa, è rappresentato dalla paura di non ritrovare i genitori in casa perché se ne sono andati via. È cosi attaccato alla casa per amore della madre e, inoltre, teme che io vada via a cagione del suo desiderio ostile nei miei confronti: in questo modo, sarebbe lui il padre. D'estate dovevo lasciare spessissimo Gmunden per far ritorno a Vienna, a causa della mia professione. In quelle occasioni lui era il padre. Si ricorderà che la sua paura dei cavalli è legata all'episodio accaduto a Gmunden quando un cavallo doveva portare i bagagli di Lizzi alla stazione. Il desiderio, rimosso, che io andassi alla stazione perché allora sarebbe restato solo con la madre (il desiderio che «il cavallo andasse via»), si è trasformato nella paura che il cavallo vada via. Infatti non c'è nulla che lo metta maggiormente in allarme del vedere cavalli che incominciano a muoversi quando un carro lascia il cortile dell'edificio della dogana (che si trova proprio dirimpetto a casa nostra). Questa nuova fase (sentimenti di ostilità verso il padre) non poteva manifestarsi se non dopo che egli era venuto a sapere che non ero adirato contro di lui perché voleva tanto bene alla madre. Nel pomeriggio sono di nuovo uscito dal portone insieme con lui, che si è messo davanti a casa rimanendovi anche quando passavano i carri. Solo alcuni carri lo hanno spaventato, così che è corso a rifugiarsi nell'androne. Mi ha anche detto, a guisa di spiegazione: «Non tutti i cavalli bianchi mordono». Questo significa: in seguito all'analisi, certi cavalli bianchi sono già stati riconosciuti come «papà», questi non mordono più. Ma ce ne sono altri che mordono. Ecco la situazione del nostro portone: proprio davanti c'è il magazzino dell'ufficio dell'imposta sulle derrate alimentari, con un piano di carico lungo il quale passano, per tutta la giornata, i carri che portano via casse, imballaggi, ecc. Il cortile del magazzino è separato dalla strada da una ringhiera, il cui cancello di ingresso si trova proprio davanti a casa nostra (fig. 2). Qualche giorno fa ho notato che Hans è particolarmente spaventato quando i carri entrano ed escono dal cortile; questa manovra impone che compiano una curva. Allora gli ho chiesto perché abbia tanta paura e lui ha risposto: «Ho paura che i cavalli cadano mentre il carro gira» (a). È ugualmente spaventato quando i carri, che si trovano lungo il piano di carico, cominciano a muoversi per andare via (b). Inoltre (e) ha più paura dei grandi cavalli da tiro che di quelli piccoli e più paura dei rozzi cavalli di campagna che dei cavalli di forme eleganti (come i cavalli delle carrozze e delle pariglie. Infine (d), si impaurisce maggiormente se il veicolo passa in fretta e meno quando i cavalli trottano lentamente. Naturalmente queste differenze sono apparse chiaramente solo in questi ultimi giorni.
Sono portato a dire che, dopo l'analisi, non solo il paziente, ma anche la sua fobia aveva preso coraggio e si apprestava a rivelarsi. Il 5 aprile Hans è venuto di nuovo in camera nostra, ma lo abbiamo rispedito a letto. Io gli ho detto: «Finché seguiterai a venire in camera nostra al mattino, la tua paura dei cavalli non andrà via». Lui, però, ha assunto un atteggiamento di sfida e ha risposto: «E io ci vengo lo stesso, anche se ho paura». Ciò significa che non gli si potrà impedire di far visita alla madre. Dopo colazione abbiamo deciso di uscire in strada. Hans era contentissimo e si proponeva di non fermarsi come al solito davanti al portone, ma di attraversare la via ed entrare nel cortile nel quale aveva visto tante volte dei ragazzi di strada che giocavano. Gli ho detto che la sua intenzione di attraversare la strada mi faceva molto piacere e ho colto l'occasione per domandargli perché provi tanta paura quando i carri, ormai a pieno carico, davanti al magazzino, si mettono in moto (b). Hans: «Ho paura di trovarmi vicino al carro mentre comincia a muoversi in fretta e ho paura di essere sul carro al momento di scendere sul piano (il piano di carico) e di essere portato via con il carro». Io: «E se il carro è fermo? Hai paura lo stesso? Oppure perché no?». H.: «Se il carro è fermo posso salirci sopra e di lì scendere sul piano» (fig. 3).
(Dunque Hans ha in mente di passare sopra il carro per salire sul piano di carico e ha paura che il carro si metta in moto mentre lui vi è sopra.) Io: «Hai forse paura di non saper tornare a casa se il carro ti porta via?». H.: «Ma no! Posso sempre tornare da mamma col carro o con una carrozza. So anche il numero di casa». Io: «E allora perché hai paura?». H.: «Non lo so. Lo saprà il professore. Tu credi che lo sa?». Io: «Ma perché vuoi andare sul piano di carico?». H.: «Perché non ci sono mai stato e mi piacerebbe tanto andarci. Lo sai perché mi piacerebbe andarci? Perché mi piacerebbe caricare e scaricare le casse e mi piacerebbe salire sulle casse. Mi piacerebbe tanto salirci sopra. Sai da chi ho imparato come si fa a salire sulle casse? C'erano dei ragazzi che ci andavano e io li ho visti e lo voglio fare anch'io». Il suo desiderio non è stato esaudito. Infatti, quando ha provato a uscire, quel breve percorso necessario per attraversare la strada ed entrare nel cortile ha suscitato in lui una fortissima resistenza a causa del continuo passaggio dei carri. Soltanto il professore sa che il gioco delle casse, che Hans voleva fare, rappresenta un sostituto simbolico di un altro desiderio finora del tutto inespresso. Comunque se non mi sembrasse di osare troppo, questo desiderio potrebbe essere ricostruito già in questo stadio. Quel pomeriggio siamo scesi un'altra volta giù al portone e, al ritorno, ho chiesto ad Hans: «Quali sono i cavalli che ti fanno più paura?». Hans: «Tutti». Io: «Non è vero». H.: «Mi fanno paura specialmente quelli che hanno una cosa sulla bocca». Io: «Che vuoi intendere? Il pezzo di ferro che hanno in bocca?». H.: «No. Sulla bocca hanno una cosa nera». (Si è coperto la bocca con la mano.) Io: «Che cosa? Dei baffi, forse?». H. (ridendo): «Ma no!». Io: «Tutti ce l'hanno?». H.: «No, solo qualcuno». Io: «Ma cos'è che hanno sulla bocca?». H.: «Una cosa nera». (Credo che in realtà si tratti di quel grosso pezzo di briglia che i cavalli da tiro portano sul naso - fig. 4.) «E più di tutto mi fanno paura i furgoni che portano la mobilia.»
Io: «Perché?». H.: «Penso che i cavalli che tirano i furgoni pesanti debbano cadere». Io: «Allora non hai paura di un carro piccolo?». H.: «No. Un carro piccolo o il furgoncino della posta non mi fanno paura. Ma ho anche più paura quando viene l'omnibus». lo: «Perché? Per la sua grandezza?». H.: «No. Perché una volta il cavallo di un omnibus è caduto». Io: «Quando?». H.: «Una volta che uscii con mamma nonostante la mia sciocchezza e comprai il gilè». (Il fatto è stato poi confermato dalla madre.) Io: «Cosa hai pensato quando il cavallo è caduto?». H.: «Che sarà sempre così. Che tutti i cavalli degli omnibus cadranno». Io.: «In tutti gli omnibus?». H.: «Sì, e anche col furgone dei mobili. Ma non tanto spesso col furgone dei mobili». Io.: «Allora avevi già la "sciocchezza"?». H.: «No. Mi è venuta allora. Quando il cavallo è caduto, mi ha fatto veramente tanta paura! E allora che mi è venuta la sciocchezza». Io; «Però la sciocchezza era che credevi che il cavallo ti volesse mordere. Ora, invece, dici che avevi paura che cadesse». H; «Cadere e mordere» . Io; «Perché ti ha fatto tanta paura?». H; «Perché il cavallo faceva così coi piedi» (si è steso per terra e mi ha mostrato come scalciava il cavallo). «Mi sono spaventato perché faceva un putiferio coi piedi.» Io;. «Dove sei stato quel giorno con mamma?». H;. «Prima al pattinaggio, poi in un caffè, poi a comprare il gilè e poi alla pasticceria con mamma, e poi a casa verso sera. Siamo ritornati passando per Stadtpark». (Mia moglie mi ha confermato tutto, compreso che l'ansia è comparsa subito dopo.) lo: «Era morto il cavallo quando è caduto?». H; «Sì!». Io;. «Come lo sai?». H; «Perché l'ho visto». (Ridendo) «Macché; non era morto per niente!» Io: «Forse credevi che fosse morto?». H; «Ma no! No di certo. L'ho detto solo per scherzo». (Però in quel momento la sua espressione era serissima.) Siccome si era stancato, l'ho lasciato correre via. Oltre a questo mi ha detto soltanto che da principio aveva paura dei cavalli dell'omnibus, poi di tutti gli altri e solo alla fine di quelli dei furgoni pesanti. Durante il viaggio di ritorno da Lainz gli ho fatto qualche altra domanda: Io: «Di che colore era il cavallo dell'omnibus che è caduto? Bianco, rosso, marrone, grigio?». H; «Nero. Erano neri tutti e due». Io: «Era grande o piccolo?». H; «Grande». Io: «Grasso o magro?». H.: «Grasso. Molto grosso e grasso». Io: «Quando il cavallo è caduto hai pensato a papà?». H.: «Forse. Sì, può essere». Può darsi che le indagini del padre non abbiano dato sempre buoni risultati, però non è affatto male studiare così minuziosamente una fobia del genere, alla quale ci sentiremmo portati a dare un nome in dipendenza dai suoi nuovi oggetti. In effetti, questo ci permette di accorgerci quanto essa sia diffusa realmente: interessa i cavalli, e i cavalli che cadono e mordono, e si estende ai cavalli aventi caratteristiche particolari e a carri pesanti. Dirò subito che tutte queste caratteristiche nascevano dalla circostanza che, in origine, l'angoscia non aveva alcun rapporto coi cavalli sui quali si era trasferita in un secondo momento, di modo che, attualmente, si era fissata su quegli elementi del complesso dei cavalli che risultavano particolarmente idonei a determinati transfert26. Ci preme soprattutto far rilevare uno dei risultati più salienti dell'analisi condotta dal padre sul figlio. Siamo venuti a conoscere la causa scatenante immediata in seguito alla quale comparve la fobia: l'aver assistito alla caduta di un cavallo grosso e pesante. Inoltre, il padre mette in evidenza una, almeno, delle possibili interpretazioni, cioè che Hans provò, in quel momento, il desiderio che il padre cadesse nello stesso modo e morisse. La serietà dell'espressione del bambino, mentre riferiva l'accaduto, va senz'altro riferita a questo significato inconscio. Ma non potrebbe esserci un altro significato dietro a tutto questo? E cosa potrebbe significare «fare un putiferio con le gambe»? È un po' di tempo che Hans gioca ai cavalli in camera sua: trotta in giro, cade, scalcia coi piedi e nitrisce. Una volta si è legato una sacchetta sul viso come il nasale dei cavalli. Si è slanciato ripetutamente contro di me, mordendomi. In questo modo Hans confermava l'interpretazione data dal padre meglio di quanto potesse fare a parole, però, si comprende, con un'inversione delle parti, in quanto il gioco obbediva a un desiderio. Dunque, in questa fantasia, lui era il cavallo e mordeva il padre, identificandosi in tal modo col padre stesso. Negli ultimi due giorni ho notato che Hans mi sta sfidando apertamente, non con impertinenza, ma con la più grande allegria. Dipende forse dal fatto che non ha più paura di me (del cavallo)? 6 aprile. Dopo pranzo sono sceso davanti casa con Hans. Tutte le volte che passava un cavallo gli chiedevo se gli vedeva «il nero sulla bocca», ma lui ha sempre risposto di no. Gli ho chiesto come era fatto esattamente questo nero; ha detto che era ferro nero. Dunque la mia idea originaria, che stesse a indicare quelle grosse strisce di cuoio che fanno parte dei finimenti dei cavalli da tiro, non ha trovato conferma. Gli ho chiesto se il «nero» gli rammenta un paio di baffi e lui ha risposto: «Solo per il colore». E così non so ancora di che si tratti veramente. La paura è diminuita. Oggi si è spinto fino al portone accanto, però è ritornato di corsa quando ha sentito da lontano un rumore di zoccoli. Un carro si è fermato davanti al portone, Hans ha avuto paura ed è corso in casa perché il cavallo si era messo a battere il selciato con la zampa. Gli ho chiesto perché avesse paura e se per caso si sentiva nervoso perché il cavallo faceva così (mi sono messo a battere il piede per terra). Mi ha detto: «Non fare questo putiferio coi piedi!». Confrontare questa frase con quanto ha detto a proposito del cavallo dell'omnibus caduto. Il passaggio di un furgone per mobilia l'ha terrorizzato. Si è rifugiato di corsa in casa. Gli ho chiesto, con studiata indifferenza: «Non ti pare che un furgone come questo rassomiglia a un omnibus?». Non ha risposto nulla. Gli ho ripetuto la domanda e allora ha detto: «Ma sì, naturalmente! Se no non avrei tanta paura di un furgone». 7 aprile. Oggi gli ho chiesto di nuovo a che cosa rassomiglia il «nero sulla bocca dei cavalli». Ha detto: «A una museruola». Il fatto strano è che negli ultimi tre giorni non è passato neanche un cavallo sul quale mi potesse mostrare questa «museruola». Quanto a me, nelle mie passeggiate non mi è mai capitato di veder passare un cavallo del genere, ma Hans afferma che esiste veramente. Ho l'idea che sì tratti di un particolare finimento (forse la grossa striscia di cuoio intorno alla bocca) che gli ricorda un paio di baffi e che, dopo averglielo detto, la paura sia scomparsa. Hans migliora di continuo. Il suo raggio d'azione, centrato sul nostro portone, si allarga sempre più. Ha persino compiuto l'impresa, finora impossibile, di arrivare al marciapiede opposto. La sola paura che persiste è legata alla scena dell'omnibus, il cui significato non mi è ancora ben chiaro. 9 aprile. Stamani Hans è venuto a vedermi mentre mi lavavo a dorso nudo. Hans: «Paparino, sei bellissimo! Tutto bianco». Io: «Sì, come un cavallo bianco». H.: «Di nero ci hai solo i baffi» (continuando), «o forse è una museruola nera?». Allora gli ho fatto sapere che il pomeriggio precedente ero stato dal professore e gli ho detto: «C'è una cosa soltanto che lui vorrebbe sapere». «Sono curioso di sentirla», ha risposto Hans. Gli ho detto che sapevo in che occasione avevi fatto un putiferio coi piedi. «Oh, sì», mi ha interrotto Hans. «Quando sono di cattivo umore o quando devo andare a fare il cacchino e invece vorrei giocare.» (Effettivamente ha l'abitudine di fare «un putiferio» coi piedi, vale a dire di batterli per terra quando è irritato.) Un giorno, quando era molto piccolo, mentre si alzava dal vaso, disse: «Guarda il cacchino», ma voleva intendere il calzino, per la rassomiglianza di forma e colore . È un modo di dire che usa tuttora. Tempo fa, quando si doveva metterlo sul vaso e lui non voleva smettere di giocare, aveva l'abitudine di pestare i piedi per la rabbia, scalciando o anche buttandosi per terra. «E scalci anche quando devi andare a far pipì e non ci vuoi andare per continuare a giocare.» Hans: «Oh, ora devo fare la pipì». (È uscito dalla stanza, evidentemente per confermare la verità di questa affermazione.) Durante una visita il padre di Hans mi aveva chiesto quali idee si erano potute suscitare nella mente di Hans alla vista del cavallo caduto che scalciava. Ho suggerito che potesse trattarsi di una reazione provocata dalla ritenzione dell'orina. Hans lo ha confermato durante la conversazione, con la comparsa del bisogno di orinare e ha aggiunto qualche altra spiegazione sul significato dell'azione di pestare i piedi. Poi siamo usciti dal portone. È passato un carro di carbone e lui mi ha detto: «Papà, ho anche tanta paura dei carri di carbone». Io: «Forse perché anch'essi sono grandi come omnibus». Hans: «Sì e anche perché sono tanto pesanti e i cavalli fanno tanta fatica a tirarli che è facile che cadano. Se il carro è vuoto non ho paura». Infatti, come ho già rilevato, solo i carri pesanti lo mettono in stato di angoscia. Comunque, la situazione era nettamente ingarbugliata. L'analisi faceva ben pochi progressi e temo che il lettore cominci ad annoiarsi di questa descrizione. Però, in tutte le analisi vi sono punti oscuri come questo. Ma Hans stava per condurci in una regione inesplorata. Tornato a casa, stavo parlando con mia moglie che mi faceva vedere; diversi oggetti che aveva comprato. Tra l'altro c'era un paio di mutande gialle da signora. Hans ha esclamato «Puah!» due o tre volte, si è buttato per terra e ha sputato. Mia moglie mi ha detto che lo aveva già fatto altre due o tre volte, vedendo le mutande. Gli ho chiesto: «Perché hai detto "puah!"?». Hans: «È per via delle mutande». Io: «Perché? È per il colore? Siccome sono gialle ti ricordano la cacchina o la pipì?». H.: «La cacchina non è gialla. E bianca o nera» e subito ha aggiunto: «Dimmi, se mangi il formaggio è facile far cacchina?». (Una volta, che mi aveva chiesto perché mangiavo il formaggio, gli avevo dato questa spiegazione.) Io: «Sì». H.: «È per questo che tu vai tutte la mattine a far cacchina? Mi piacerebbe tanto mangiare il formaggio col pane e burro». Già ieri, mentre saltellava per strada, mi aveva chiesto: «Dimmi, è vero che se fai un po' di salti fai la cacchina più facilmente, no?». Hans ha sempre avuto difficoltà ad andare di corpo. Spesso si sono resi necessari clisteri e lassativi. Una volta la solita stitichezza diventò talmente persistente che mia moglie chiamò il dottor L. Questi pensò che Hans fosse ipernutrito, e difatti era così, e consigliò una dieta più ristretta, al che il disturbo scomparve. Negli ultimi tempi la stitichezza è tornata ad essere frequente. Dopo mangiato gli ho detto: «Scriveremo un'altra lettera al professore». Lui allora mi ha dettato: «Quando ho visto le mutande gialle ho detto: "Puah! Mi viene da sputare!", mi sono buttato per terra e ho chiuso gli occhi per non vedere». Io: «Perché?». Hans: «Perché ho visto le mutande gialle, e ho fatto la stessa cosa anche con le mutande nere . Quelle nere sono lo stesso genere di mutande, solo che sono nere» (interrompendosi). «Sai, sono contento. Sono sempre tanto contento quando posso scrivere al professore.» Io: «Perché hai detto puah? Sentivi schifo?». H.: «Sì, perché le ho viste e mi è venuto in mente che dovevo fare cacchina». lo: «Perché?». H.: «Non so». Io: «Quando hai visto le mutande nere?». H. : «Una volta, quando Anna (la bambinaia) era già con noi da tanto tempo, con mamma; le ha portate a casa subito dopo averle comprate». (Fatto confermato da mia moglie.) Io: «E anche allora ti hanno fatto schifo?». H.: «Sì». Io: «Hai visto mamma con quelle mutande indosso?». H.: «No». Io: «Nemmeno quando si vestiva?». H.: «Quando ha comprato le mutande gialle io le aveva già viste una volta, prima». (Non confermato. La prima volta che ha visto le mutande gialle è quando sua madre le ha comprate.) «Oggi portava quelle nere» (esatto), «perché ho visto che se le toglieva stamattina.» Io: «Come? Si è tolta le mutande nere di mattina?». H.: «Stamattina, quando è uscita, si è tolta le mutande nere e quando è tornata si è rimessa quelle nere». Mi sono informato presso mia moglie, perché mi sembrava assurdo. Mi ha detto che era assolutamente falso. Si capisce che non si è cambiata le mutande prima di uscire. Ho interrogato subito Hans: «Mi hai detto che la mamma si era messa le mutande nere e che, prima di uscire, se le è tolte e che le ha rimesse quando è tornata. Però mamma dice che non è vero». H.: «Credo che forse mi sono confuso, che non se le era levate.» (Con impazienza) «Oh, lasciami in pace!» A questo punto devo commentare un po' questa faccenda delle mutande. Naturalmente era pura ipocrisia da parte di Hans fingere di essere tanto contento di avere la possibilità di raccontare il fatto. Da ultimo ha gettato la maschera e si è dimostrato sgarbato col padre. Questo genere di cose una volta gli avevano procurato moltissimo piacere, ma ora, con la rimozione in atto, ne provava una gran vergogna per cui si dimostrava ostentatamente disgustato. Ha detto vere e proprie bugie per mascherare le circostanze in cui aveva visto la madre che si cambiava le mutande. In effetti, l'immagine della madre che si mette e si leva le mutande rientra nel contesto della «cacchina». Il padre si rendeva perfettamente conto di come stavano le cose e di quel che Hans cercava di nascondere. Ho chiesto a mia moglie se Hans le fosse venuto dietro molte volte quando lei andava al gabinetto. «Sì», mi ha risposto, «tante volte. Continua a tormentarmi finché non lo lascio entrare. I bambini sono tutti così.» In ogni modo è opportuno tenere ben presente questo desiderio, attualmente rimosso, di vedere la madre che andava di corpo. Siamo andati fuori davanti al portone. Hans era di ottimo umore e per tutto il tempo caracollava come un cavallo. Io, allora, gli ho chiesto: «Il cavallo dell'omnibus chi è? Sono io o è mamma?». Hans (senza esitazione): «Sono io; sono un giovane cavallo». Nell'epoca in cui la sua angoscia era al massimo e si spaventava vedendo un cavallo impennarsi, mi domandò perché lo facessero. Per calmarlo gli avevo detto: «Sono cavalli giovani, sai, e vanno in giro saltellando come bambini. Tu pure lo fai e sei un bambino». Da allora, tutte le volte che vede un cavallo che salta, dice: «È vero: sono cavalli giovani!». Mentre risalivamo le scale gli ho chiesto quasi senza pensarci: «A Gmunden giocavi ai cavalli coi bambini?». Hans: «Sì» (pensieroso). «Credo che è per questo che mi è venuta la sciocchezza.» Io: «Chi era il cavallo?». H.: «Io, e Berta faceva il cocchiere». Io: «Sei mai caduto quando facevi il cavallo?». H. : «No. Quando Berta diceva "arri-là" io mi mettevo a correre svelto svelto; andavo al galoppo» . Io: «Avete mai giocato agli omnibus?». H: «No. Ai carri normali e ai cavalli senza carri. Se un cavallo ha il carro può benissimo andarsene anche senza e il carro resta a casa». Io: «Giocavate spesso ai cavalli?». H.: «Spessissimo. Una volta anche Fritzl ha fatto il cavallo e Franzl il cocchiere; e Fritzl correva sempre tanto forte e una volta ha urtato un sasso col piede e ha sanguinato». Io: «Forse è caduto?». H.: «No. Ha messo il piede nell'acqua e poi se l'è fasciato»33. Io: «Facevi spesso il cavallo?». H.: «Oh, sì». Io: «Ed è per questo che ti è venuta la schiocchezza?». H.: «Perché continuano a dire "pel cavallo", "pel cavallo" (insisteva su questa espressione "per il cavallo"); forse la sciocchezza mi è venuta perché dicevano così: "pel cavallo"». Il padre di Hans ha proseguito per un po' in questa indagine, tentando, senza successo, altre vie. Io: «Ti dicevano nulla dei cavalli?». H.: «Sì». Io: «Che cosa?». H.: «Me lo sono dimenticato». Io: «Ti dicevano forse qualcosa dei loro pipini?». H.: «Oh, no». Io: «Già allora avevi paura dei cavalli?». H.: «Ma no. Non ne avevo affatto paura». Io: «Forse Berta ti ha detto che i cavalli...?». H. (interrompendo): «...fanno pipì? No». Il 10 aprile ho ripreso il colloquio del giorno prima per cercare di scoprire il significato della frase «per il cavallo». Hans non riusciva a ricordarselo; tutto quel che sapeva era che, una mattina, c'erano dei bambini davanti al portone che dicevano: «Pel cavallo, pel cavallo!». Lui stesso era là. Allora io mi misi a interrogarlo più insistentemente e lui dichiarò che non avevano affatto detto «pel cavallo» e che ricordava male. Io: «Però andavi spesso nelle stalle con gli altri. Dovete avere parlato per forza dei cavalli». - «No.» - «E di che parlavate?» - «Di niente.» - «In tanti che eravate non avevate niente da dire?» - «Parlavamo di diverse cose; ma non di cavalli.» - «E allora di cosa?» - «Non mi ricordo.» Ho lasciato cadere il discorso, dato che era evidente che la resistenza era troppo forte36 e ho continuato con questa domanda: «Ti piaceva giocare con Berta?». H: «Sì, moltissimo, però non con Olga. Sai cosa ha fatto Olga? Una volta, a Gmunden, Grete mi aveva dato una palla di carta e Olga me l'ha fatta a pezzetti. Berta non mi avrebbe mai rotto la palla. Mi piaceva moltissimo giocare con Berta». Io: «Hai visto com'era fatto il pipino di Berta?». H. : «No, però ho visto quello dei cavalli; siccome andavo sempre nelle stalle vedevo il pipino dei cavalli». Io: «Allora sei diventato curioso e hai cercato di sapere come erano fatti il pipino di Berta e quello di mamma?». H.: «Sì». Mi sono ricordato che una volta si è lamentato che le bambine volevano sempre guardarlo mentre faceva pipì. H.: «Anche Berta mi guardava sempre» (parlava con grande soddisfazione, senza alcun risentimento) «lo faceva spesso. Io andavo a far pipì nel giardinetto dove c'erano i ravanelli e lei stava sull'entrata e mi guardava». Io: «E quando lei faceva pipì, tu la guardavi?». H.: «Andava sempre al gabinetto». Io: «E tu eri curioso?». H. : «Anch'io entravo nel gabinetto quando lei ci andava». (Questo è vero. Una volta le domestiche ce lo dissero e noi proibimmo ad Hans di farlo.) Io: «Glielo dicevi che volevi entrare?». ^^ H.: «Ci entravo da solo e Berta mi lasciava fare. Non c'è mica nulla di vergognoso»? Io: «E a te sarebbe piaciuto vederle il pipino?». H. : «Sì, però non l'ho visto». Allora mi sono ricordato del sogno, avuto a Gmunden, in cui giocava alle penitenze e gli ho detto: «Quando eri a Gmunden volevi che Berta ti facesse fare pipì?». H.: «Non gliel'ho mai detto». Io: «Perché non glielo hai mai detto?». H.: «Perché non ci ho pensato» (interrompendosi). «Se scrivi tutto al professore la mia sciocchezza passa presto, vero?» Io: «Perché volevi che Berta ti facesse far pipì?». H. : «Non lo so; perché mi guardava». Io: «Hai mai pensato dentro di te che Berta ti mettesse la mano sul pipino?». H. : «Sì» (cambiando argomento). «Com'era bello a Gmunden. Nel giardino dove erano i ravanelli c'era un mucchietto di sabbia. Andavo a giocarci con la paletta.» (È il giardino dove andava sempre a far pipì.) Io: «A Gmunden ti mettevi la mano sul pipino quando eri a letto?». H.: «No. Allora no. Dormivo così bene a Gmunden che non ci ho mai pensato. Le sole volte che l'ho fatto è stato a via... e adesso». Io: «Ma Berta ti ha messo la mano sul pipino?». H. : «Non lo ha fatto mai perché non gliel'ho mai detto». lo: «Be', e quand'è che hai desiderato che lo facesse?». H.: «Oh, una volta a Gmunden». Io: «Una volta soltanto?». H.: «Be', ogni tanto». Io: «Ti veniva sempre a guardare mentre facevi pipì? Forse era curiosa di sapere come la facevi?». H. : «Forse era curiosa di sapere com'era fatto il mio pipino». Io: «Ma anche tu eri curioso; solo di Berta?». H. : «Di Berta o di Olga». Io: «E di chi altro?». H.: «Di nessun altro». Io: «La sai che non è vero: anche di mamma». H.: «Ah, di mamma sì». Io: «Ora, però, non sei più curioso. Sai com'è fatto il pipino di Hanna, no?». H.: «Però crescerà, non è vero?» . Io: «Sì, naturalmente, ma quando sarà cresciuto non sarà fatto come il tuo». H.: «Lo so, sarà lo stesso» (vale a dire com'è ora), «ma più grande». lo: «Quando eri a Gmunden eri così curioso di vedere la mamma spogliata?». H.: «Sì, e quando Hanna era nel bagno le ho visto il pipino». Io: «E anche quello di mamma?». H.: «No». Io. «E quando hai visto le mutande di mamma ti hanno fatto schifo?». H.: «Solo quando ho visto quelle nere - quando le ha comprate - solo allora ho sputato. Però non sputo quando si leva o si mette le mutande. Sputo perché le mutande nere sono nere come la cocchina e quelle gialle come la pipì e allora penso che devo fare pipì. Quando mamma ha le mutande indosso non gliele vedo: ci ha i vestiti sopra». Io: «E quando si toglie i vestiti?». H: «Nemmeno allora sputo. Ma quando le sue mutande sono nuove sembrano una cacchina. Quando sono vecchie il colore se ne va e diventano sporche. Quando le compri sono pulitissime, ma a casa diventano sporche. Quando si comprano sono nuove, quando non sono comperate sono vecchie». Io: «Dunque non sono quelle vecchie che ti fanno schifo?». H.: «Quando sono vecchie sono molto più nere della cacchina, no? Sono solo un pochino più nere» . Io: «Sei stato spesso al gabinetto con mamma?». H.: «Tante volte». Io: «E ti faceva schifo?». H.: «Sì... no». Io: «Ti piace essere presente quando mamma fa pipì o cacchina?». H.: «Sì, tantissimo». Io: «Perché ti piace tanto?». H.: «Non lo so». Io: «Perché pensi di riuscire a vederle il pipino». H:. «Sì, penso di sì». Io: «Ma perché a Lainz non vuoi mai andare al gabinetto?». (A Lainz mi prega sempre di non portarlo al gabinetto; una volta è rimasto spaventato dal rumore dell'acqua.) H.: «Forse perché quando tiri la catena fa tutto quel rumore». Io: «E tu, allora, hai paura». H.: «Sì». Io: «Allora, il nostro gabinetto di casa?». H.: «Qui no. A Lainz mi spavento quando tiri la catena. E ho paura anche quando sono dentro e l'acqua viene giù». Adesso, «proprio per farmi vedere che a casa non ha paura», mi ha condotto al gabinetto e ha tirato l'acqua. Poi ha spiegato: «Prima c'è un gran rumore, poi uno più leggero» (cioè quando l'acqua viene giù). «Quando c'è il rumore forte preferisco stare dentro e quando c'è quello leggero preferisco uscire.» Io: «Forse perché hai paura?». H. : «Perché se c'è un gran rumore mi piace sempre vederlo» (correggendosi), «sentirlo; per questo preferisco rimanere per sentirlo bene». Io: «Che cosa ti fa venire in mente il rumore forte?». H.: «Che devo far la cacchina nel gabinetto». (Dunque è la stessa cosa che gli viene in mente vedendo le mutande nere.) Io: «Perché?». H.: «Non lo so. Un rumore forte mi ricorda di quando uno fa cacchina, un rumore forte mi ricorda la cacchina, un rumore piccolo mi ricorda la pipi». (Confronta le mutande nere e quelle gialle.) Io: «Dì: il cavallo dell'omnibus non aveva lo stesso colore della cacchina?». (Nel suo racconto era nero.) H. (piuttosto colpito): «Sì». Qui devo dire qualche parola. Il padre di Hans faceva troppe domande, conducendo a forza l'indagine secondo il suo intendimento, invece di permettere che il bimbo esprimesse da solo i suoi pensieri. Per questo l'analisi cominciava a essere oscura e incerta. Ma Hans continuava per la sua strada e, a cercare di deviarlo, non produceva più nulla. Per il momento il suo interesse gravitava chiaramente intorno alla cacchina e alla pipì, ma noi non ne sappiamo la ragione. Per questo si potè capire ben poco della questione del rumore, come di quella delle mutande gialle e nere. Ho idea che l'orecchio acuto del bambino avesse afferrato molto chiaramente la differenza del suono prodotto dall'uomo e dalla donna quando orinano. L'analisi finì, un po' artificiosamente, col forzare il materiale psichico in modo che esprimesse la distinzione tra i due differenti bisogni naturali. A quelli, tra i miei lettori, che non hanno ancora condotto personalmente un'analisi, posso soltanto dare il consiglio di non cercare di comprendere subito tutto, ma di rivolgere l'attenzione, imparzialmente, a tutto quel che si manifesta e di attendere gli eventi. 11 aprile. Stamattina Hans è di nuovo venuto in camera e noi lo abbiamo mandato via, come sempre negli ultimi giorni. Più tardi ha cominciato a dire: «Papà, mi è venuta in mente una cosa: Stavo nella vasca e poi è venuto l'idraulico e l'ha svitata . Poi ha preso un grosso giruvite e me l'ha conficcato nel pancino». Il padre di Hans ha dato questa interpretazione della fantasia: «Ero a letto con mamma, poi è venuto papà e mi ha cacciato via; col suo grosso pene mi ha spinto via dal mio posto accanto a mamma. Per ora sospendiamo il nostro giudizio». Hans ha continuato raccontandomi un'altra idea che gli era venuta: «Eravamo in treno, per andare a Gmunden. Alla stazione ci siamo vestiti; ma non abbiamo fatto in tempo e il treno è ripartito portandoci via». Più tardi gli ho domandato: «Hai mai visto un cavallo far cacca?». H.: «Sì, tante volte». Io: «Mentre la fa, non produce un gran rumore?». H.: «Sì». Io: «E questo rumore che cosa ti fa venire in mente?». H.: «Mi fa venire in mente la cacchina quando cade nel vaso». Il cavallo dell'omnibus che cade e fa rumore coi piedi è, senza dubbio... una scibala fecale che produce rumore cadendo. La sua paura della defecazione e la paura dei carri con un carico pesante è l'equivalente della paura di avere l'addome costipato. Il padre di Hans cominciava, nella sua maniera circonvoluta, a cogliere un barlume del vero stato delle cose. 11 aprile. A pranzo Hans ha detto: «Oh, se avessimo avuto il bagno a Gmunden, così che non mi sarebbe toccato andare ai bagni pubblici!». Infatti a Gmunden veniva sempre portato ai vicini bagni pubblici per fare un bagno caldo, cosa contro la quale aveva sempre protestato con lacrime cocenti. Anche a Vienna grida sempre se lo si fa stare seduto o disteso nella vasca grande. Bisogna fargli il bagno in ginocchio o in piedi. Ecco che Hans comincia ad alimentare l'analisi con dichiarazioni spontanee. La sua ultima frase stabilisce un rapporto tra le due fantasie: quella dell'idraulico che svita la vasca e quella del viaggio a Gmunden andato a monte. In base a quest'ultima, il padre aveva giustamente concluso che Hans provava una certa avversione per Gmunden. A questo proposito, il fatto mi offre l'occasione di rammentare che quanto emerge dall'inconscio non deve essere interpretato alla luce di quello che precede, bensì di quel che viene dopo. Gli ho chiesto se aveva paura e, se sì, di che cosa. H. : «Di caderci dentro». Io: «Ma perché non avevi mai paura quando facevi il bagno nella vasca piccola?». H.: «Be', in quella stavo a sedere. Non mi ci potevo stendere perché era troppo piccola». Io: «Quando sei andato in barca a Gmunden non avevi paura di cadere in acqua?». H.: «No, perché mi tenevo, e così non potevo cadere. Solo nella vasca grande ho paura di cadere». Io: «Ma è mamma che ti fa il bagno; hai paura che mamma ti lasci cadere nell'acqua?». K: «Ho paura che mi lasci andare e di finire con la testa sotto». Io: «Ma lo sai che mamma ti vuol bene e non ti lascerebbe cadere». H.: «L'ho soltanto pensato». Io: «Perché?». H: «Proprio non lo so». Io: «Forse perché sei stato cattivo e hai pensato che mamma non ti volesse più bene?». H.: «Sì». Io: «Mentre guardavi mamma che faceva il bagno ad Hanna, forse desideravi che la lasciasse andare così che Hanna cadesse?». H.: «Sì». Bisogna ammettere che il padre di Hans ha avuto una intuizione felicissima. 12 aprile. Durante il ritorno da Lainz, in uno scompartimento di seconda classe, Hans ha guardato la tappezzeria di cuoio nero dei sedili e ha detto: «Puah! Mi viene da sputare! Anche le mutande nere e i cavalli neri mi fanno sputare, perché devo fare cacchina». Io: «Hai visto qualcosa di nero, che appartiene alla mamma, che ti ha spaventato?». H.: «Sì». Io: «Allora, cos'era?». H.: «Non lo so. Una blusa nera o delle calze nere». Io: «Forse era il pelo nero intorno al pipino, quando eri curioso e la guardavi». H. (sulla difensiva): «Ma io non le ho visto il pipino». In un'altra occasione, siccome si era nuovamente spaventato nel vedere un carro che usciva dal cancello di fronte, gli domandai: il cancello non rassomiglia a un sedere? H.: «E i cavalli sono la cacchina!». Da allora, tutte le volte che vede un carro che esce dal cancello, dice: «Guarda, sta venendo la "cacchettina!"». Questa parola (cac-chettina) è del tutto nuova per lui ed è quasi un vezzeggiativo. Mia cognata chiama sempre la sua bambina «Chettinni». Il 13 aprile ha trovato un pezzo di fegato nella minestra e ha esclamato: «Puah! Un pezzo di cacchetta!». Mangia con evidente riluttanza anche le polpette, che gli ricordano la cacca per forma e colore. Verso sera mia moglie mi ha detto che Hans era andato sul balcone e aveva detto: «Mi sono immaginato che Hanna era sul balcone e che cadeva di sotto». Un paio di volte gli ho detto di badare che Hanna non si avvicini troppo alla ringhiera quando va sul balcone. Infatti questa ringhiera è stata fatta nel modo meno pratico possibile (dagli artigiani del movimento secessionista) e ha dei larghi vuoti che ho dovuto chiudere con una rete. Il desiderio rimosso di Hans era chiarissimo. Sua madre gli ha chiesto se vorrebbe che Hanna non ci fosse e lui ha risposto di sì. 14 aprile. Il tema di Hanna è fondamentale. Lei ricorderà dai miei primi rapporti che Hans provava un'intensa antipatia per la neonata che gli sottraeva parte dell'amore dei genitori. Questa avversione non è affatto scomparsa e viene parzialmente surcompen-sata da un affetto esagerato . Ha già espresso più volte il desiderio che la cicogna non porti più bambini e che le dovremmo dare dei soldi perché non ce ne porti più, dalla «grande cassa» dove stanno i bambini. (Confrontare con la paura dei furgoni, e un omnibus non sembra una grande cassa?) Dice che Hanna strilla troppo e che questo gli dà fastidio. Una volta ha detto all'improvviso: «Ti ricordi quando è venuta Hanna? Stava a letto accanto a mamma, tanto buona e carina». (Questo apprezzamento suona piuttosto falso.) Ritornando alla situazione fuori casa, devo rilevare che anche qui il miglioramento è notevole. Neppure i carri pesanti lo mettono più in grande agitazione. Una volta ha gridato quasi con gioia: «Arriva un cavallo con una cosa nera sulla bocca!». Finalmente ho potuto constatare che era un cavallo con una museruola. Però Hans non era affatto spaventato da questo cavallo. Una volta ha battuto il bastone sul selciato, dicendo: «Dì: c'è un uomo qui sotto? Uno sepolto? O è così solo al cimitero?». Dunque Hans non si occupa solo dell'enigma della vita, ma anche di quello della morte. Mentre rientravamo, Hans ha visto una cassa nell'androne e ha detto: «Hanna è venuta con noi a Gmunden in una cassa come questa. Tutte le volte che siamo andati a Gmunden ha fatto il viaggio con noi nella cassa. Tu non mi credi? È vero, papà. Credimi. Avevamo una grande cassa, tutta piena di bambini; stavano seduti nella vasca». (Dentro la cassa avevamo imballato una vaschetta.) «Ce li ho messi io dentro. Proprio davvero. Me lo ricordo benissimo.»43 Io: «Che cosa ricordi?». H.: «Che Hanna viaggiava nella cassa. Perché non me lo sono dimenticato. Parola d'onore!». Io: «Ma l'anno scorso Hanna ha viaggiato con noi nello scompartimento». H.: «Prima, però, viaggiava sempre con noi dentro la cassa». ^^ Io: «Questa cassa ce l'aveva mamma?». H.: «Sì, ce l'aveva mamma». Io: «Dove?». H. : «A casa, in soffitta». Io: «Se la portava forse con sé?». H.: «No, e quando andremo a Gmunden, Hanna viaggerà di nuovo nella cassa». Io: «E allora come ha fatto a uscire dalla cassa?». H.: «E stata tirata fuori». Io: «Da mamma?». H.: «Da mamma e da me. Poi siamo andati in carrozza e Hanna andava a cavallo e il cocchiere ha detto: "Arri-là". Il cocchiere era seduto davanti. C'eri anche tu? Mamma sa tutto. Mamma non lo sa; se ne è dimenticata, però tu non le dire niente». Gli ho fatto ripetere tutta la storia. H.: «Allora Hanna è uscita fuori». Io: «Ma se non camminava affatto?». H.: «Be', allora siamo stati noi a metterla giù». Io: «Ma come faceva ad andare a cavallo? L'anno scorso non sapeva nemmeno stare seduta». H.: «Oh sì! Ci stava benissimo e gridava: "Arri-là" e lo frustava col frustino - "Arri-là! Arri-là!" - col frustino che avevo io. Il cavallo non aveva le staffe, ma Hanna lo cavalcava. Non scherzo mica, sai, papà». Perché mai il bambino si ostinava tanto in tutte queste scempiaggini? Eh no! Non era una scempiaggine, ma una presa in giro: la vendetta di Hans su suo padre. Era come se dicesse: «Se pensi davvero che io creda che la cicogna ha portato Hanna a ottobre, quando già in estate, mentre andavamo a Gmunden, mi ero accorto com'era grossa la pancia di mamma, allora io sarò in diritto di pensare che tu creda alle mie bugie». L'affermazione che già nell'estate dell'anno prima Hanna era venuta a Gmunden con loro «dentro la cassa», che altro può significare se non che egli sapeva della gravidanza della madre? Questa insistenza sulla possibilità che il viaggio nella cassa dovesse ripetersi ogni anno rappresenta un modo assai frequente in cui tornano a manifestarsi i pensieri inconsci riferiti al passato. Ma può anche darsi che Hans avesse delle ragioni particolari per temere che una simile gravidanza si rinnovasse in occasione delle prossime vacanze estive. Così, ora, riusciamo a capire che cosa gli rendesse spiacevole il viaggio a Gmunden, come risultava dalla seconda delle fantasie. Più tardi gli ho chiesto in che modo, precisamente, Hanna, dopo essere nata, fosse entrata nel letto materno. La domanda offre ad Hans la possibilità di sfogarsi e di darla a bere a suo padre. H.: «Hanna semplicemente è arrivata. La signora Kraus (la levatrice) l'ha messa nel letto. Naturalmente Hanna non sapeva camminare, ma la cicogna la portava nel becco. Si capisce che Hanna non sapeva camminare». (Ha continuato senza interrompersi): «La cicogna è salita per le scale fino al nostro pianerottolo, poi ha bussato, ma dormivano tutti. La cicogna aveva la chiave, ha aperto la porta e ha messo Hanna nel tuo letto , mentre mamma dormiva... no, la cicogna l'ha messa nel suo letto. Era nel cuore della notte, perciò la cicogna l'ha messa nel letto zitta zitta, poi ha preso il cappello e se ne è andata. No, era senza cappello». Io: «Chi è che ha preso il cappello? Il dottore, per caso?». H. : «Allora la cicogna se ne è andata; è andata a casa e ha suonato il campanello e in casa si sono svegliati tutti. Però non lo dire a mamma e a Tini» (la cuoca) «è un segreto». Io: «Vuoi bene ad Hanna?». H. : «Sì, tanto bene». Io: «Preferiresti che Hanna esistesse o che non esistesse». H.: «Preferirei che non esistesse». Io: «Perché?». H. : «Almeno non griderebbe in quel modo; non la sopporto quando strilla». Io: «E perché? Anche tu strilli». H.: «Ma anche Hanna strilla». lo: «Perché non la sopporti?». H.: «Perché grida tanto forte». Io: «Ma no, non grida affatto». H. : «Quando la sculacciate sul culetto nudo, allora strilla». Io: «E tu l'hai mai sculacciata?». H.: «Quando mamma la sculaccia sul culetto, lei allora grida». Io: «E a te non piace?». H.: «No... Perché? Perché fa tanto baccano con i suoi strilli». Io: «Dal momento che vorresti che non ci fosse, non le puoi voler bene». H. (annuendo): «Be', no». Io: «Ecco perché, quando mamma le faceva il bagno, hai pensato che, se l'avesse lasciata andare, sarebbe caduta nell'acqua...». H. (continuando il discorso): «...e sarebbe morta». Io: «E tu, allora, saresti rimasto solo con mamma. Però un bambino buono non desidera certe cose». H. : «Ma le può pensare». Io: «Ma non è bene». H.: «Se le pensa, va bene lo stesso, perché tu puoi scriverlo al professore» . Dopo gli ho detto: «Sai? Quando Hanna sarà più grande e comincerà a parlare, le vorrai più bene». H. : «Ma no, io le voglio bene. Questo autunno, quando sarà grande, andrò solo con lei allo Stadtpark e le spiegherò tutto». Mentre mi accingevo a dargli alcune nuove nozioni, lui mi ha interrotto, probabilmente con l'intenzione di spiegarmi che non era una cosa tanto malvagia desiderare che Hanna morisse. H. : «In tutti i modi tu sai che era già viva molto tempo prima di venire qui. Era già viva quando era con la cicogna». Io: «No. Può darsi che non sia mai stata con la cicogna». H.: «E allora chi l'ha portata? È la cicogna che l'ha portata». Io: «Se è così da dove l'ha portata?». H.: «Be'... da lei». Io: «E allora come l'ha portata?». H. : «Con la cassa: la cassa della cicogna». Io: «Be', com'è fatta questa cassa?». H «È rossa, è pitturata di rosso». (Sangue?) Io: «Chi te l'ha detto?». H.: «Mamma... l'ho pensato da solo... è nel libro». Io: «Che libro?». H.: «Il libro illustrato». (Gli ho fatto prendere il suo libro illustrato. C'era la figura di un nido di cicogna, con i cicognini, su un camino rosso. Ecco cos'è la cassa. È piuttosto strano, ma nella stessa pagina c'era anche la figura di un cavallo al quale mettevano i ferri. Siccome nel nido non c'erano dei bambini, Hans li aveva trasferiti alla cassa.) lo: «E che ne ha fatto la cicogna?». H.: «La cicogna ha portato Hanna nel becco. Sai, quella cicogna che sta a Schòn-brunn e che ha beccato l'ombrello». (Ricordo di un fatto accaduto a Schònbrunn.) Io: «Hai visto come fece la cicogna a portare Hanna?». H. : «No, lo sai che dormivo. La cicogna non può portare un maschietto o una femminuccia di mattina». Io: «Perché?». H.: «Non può; la cicogna non può farlo. Lo sai perché? Perchè la gente non la veda. Allora, all'improvviso la mattina c'è una femminuccia» Io: «In tutti i modi tu, quella volta, eri curioso di sapere come aveva fatto la cicogna?». H. : «Oh, sì». Io: «Com'era Hanna quando è arrivata?». H. (ipocrita): «Tutta bianca e bella. Tanto carina». Io: «Però la prima volta che l'hai vista non ti è piaciuta». H.: «Ma sì, moltissimo». Io: «Ma ti sei meravigliato che fosse così piccola». Io: «Quanto era piccola?». H.: «Come un cicognino». Io: «E che altro? Come un pezzo di cacchina?». H.: «Oh no. Un pezzo di cacchina è molto più grande... be', no, un po' più piccolo di Hanna». Avevo predetto al padre di Hans che sarebbe stato possibile ricollegare la fobia del piccolo a pensieri e desideri suscitati dalla nascita della sorellina. Però avevo trascurato di far rilevare che, secondo la teoria sessuale dei bambini, un neonato è un «pezzo di cacca», per cui le sequenze di pensieri di Hans ci avrebbero condotto al complesso degli escrementi. A cagione di questa mia trascuratezza, i progressi dell'analisi si fecero temporaneamente più lenti. Ora che la cosa era chiarita, il padre cercò di riprendere in esame l'importante questione. Il giorno dopo mi feci ripetere da Hans quello che mi aveva detto. Ecco le sue parole: «Hanna era in viaggio per Gmunden dentro la grande cassa, e mamma viaggiava nello scompartimento, e Hanna viaggiava nel bagagliaio con la cassa; poi arrivammo a Gmunden e mamma e io togliemmo Hanna dalla cassa e la mettemmo sul cavallo. Il cocchiere stava seduto davanti e Hanna teneva in mano la vecchia frusta (quella che Hans aveva l'anno scorso) e frustava il cavallo, dicendo continuamente "arri-là". Era tanto divertente e anche il cocchiere dava le frustate. No, il cocchiere non frustava affatto, perché la frusta l'aveva Hanna. Il cocchiere teneva le briglie; anche Hanna teneva le briglie». (Avevamo sempre preso la carrozza per andare dalla stazione a casa. Ora Hans cercava di conciliare realtà e fantasia.) «A Gmunden abbiamo fatto scendere Hanna dal cavallo e lei ha salito le scale da sola.» (L'anno passato, quando eravamo a Gmunden, Hanna aveva otto mesi. L'anno prima, al quale evidentemente si riferiva Hans in questa fantasia, la madre era incinta già da cinque mesi quando eravamo arrivati a Gmunden.) Io: «Hanna c'era l'anno scorso?». H.: «L'anno passato è venuta in carrozza, ma l'anno prima, quando era con noi...». Io: «Dunque già allora era con noi?». H.: «Sì. C'eravate sempre e venivate sempre in barca con me e Anna era la nostra donna di servizio». Io: «Ma non era in quell'anno. Hanna, allora, non era ancora nata». H.: «Sì, era viva, allora. Già al tempo in cui viaggiava dentro la cassa era capace di correre e di dire "Hanna"». (In realtà sono solo quattro mesi che lo sa fare.) Io: «Ma se in quel tempo non era ancora con noi». H.: «Sì che c'era, stava con la cicogna». Io: «E dunque quanti anni ha?». H.: «In autunno farà due anni. Hanna c'era, tu lo sai che c'era». Io: «E quand'è che stava con la cicogna nella cassa?». H.: «Molto prima di fare il viaggio dentro la cassa, tanto tempo prima». Io: «E allora da quanto Hanna sa camminare? A Gmunden non camminava ancora». H.: «L'anno passato no, ma in altri tempi sapeva camminare». Io: «Ma Hanna è stata a Gmunden una volta soltanto». H.: «No. C'è stata due volte. Sì, è proprio così. Me lo ricordo benissimo. Chiedilo a mamma che te lo dirà subito». Io: «In tutti i modi non è mica vero». H.: «Sì che è vero. Quando è stata a Gmunden per la prima volta sapeva camminare e andare a cavallo, ma più tardi bisognava portarla. No: è stato solo più tardi che andava a cavallo, l'anno passato bisognava portarla». Io: «Ma è soltanto da poco che sa camminare. A Gmunden non camminava». H. : «Sì. E tu scrivilo. Me lo ricordo benissimo. Perché ridi?». Io: «Perché sei un bugiardo; sai benissimo che Hanna è stata a Gmunden una volta sola». H. : «Non è mica vero. La prima volta è andata a cavallo... e la volta dopo...». (Ha mostrato evidenti sogni di incertezza.) Io: «Quel cavallo era per caso mamma?». H.: «No, era un vero cavallo col calesse». Io: «Ma noi siamo sempre andati in una carrozza a due cavalli». H.: «Be', allora era una carrozza con una pariglia». Io: «E Hanna, quand'era nella cassa, cosa mangiava?». H.: «Ci mettevano dentro pane e burro, aringhe e ravanelli» (cose che mangiavamo di solito a cena a Gmunden) «e Hanna spalmava il burro sul pane e così ha fatto cinquanta pasti». Io: «Hanna non piangeva?». H. : «No». Io: «E allora che faceva?». H. : «Stava buona buona a sedere». Io: «Non si muoveva?». H. : «No, ma mangiava continuamente e non faceva neppure un movimento. Si beveva due tazzone di caffelatte; al mattino aveva finito tutto e lasciava nella scatola i resti: le foglie dei due ravanelli e un coltello per tagliare i ravanelli. Inghiottiva tutto come una lepre; in un minuto aveva finito tutto. Era uno scherzo. Per davvero Hanna e io viaggiavamo insieme nella cassa; io dormivo tutta la notte nella cassa». (In realtà, due anni or sono siamo andati a Gmunden di notte.) «E mamma viaggiava nello scompartimento, e noi continuavamo a mangiare anche quando eravamo in carrozza; era divertente. Lei non sapeva affatto cavalcare...» (A questo punto si è mostrato indeciso perché sapeva che eravamo andati con due cavalli) «...era seduta in carrozza. Sì, ecco com'era, però Hanna e io ce ne andavamo in carrozza da soli... mamma andava su un cavallo e Karoline (la donna di servizio dell'anno scorso) sull'altro... Sai? Non è niente vero quello che ti dico.» Io: «Cosa non è vero?». K: «Niente è vero. Dì: metti Hanna e me nella cassa47 e io ci farò pipì dentro. Mi farò pipì nei calzoncini; non me ne importa niente; non c'è mica da vergognarsi. Sai, non è mica uno scherzo; però è un gran bel divertimento». Poi mi ha raccontato la storia di come è venuta la cicogna, la stessa storia di ieri, con la differenza che ha tralasciato quella parte in cui la cicogna si metteva il cappello e andava via. Io: «Dov'è che la cicogna tiene la chiave del paletto?». H.: «In tasca». Io: «E dov'è la tasca della cicogna?». H. : «Nel becco». Io: «Nel becco non c'è! Non ho mai visto una cicogna con la chiave nel becco». H. : «E dove altro potrebbe tenerla? E, se no, la cicogna come ha fatto ad arrivare alla porta? No, non è vero; ho sbagliato: la cicogna ha suonato al portone e qualcuno l'ha fatta entrare». Io: «E come ha suonato?». H.: «Ha suonato il campanello». Io: «Ma come ha fatto?». H.: «Ha preso il becco e ha suonato col becco». ^^ Io: «E poi ha richiuso la porta?». H. : «No, l'ha chiusa una cameriera. Sai, era già in piedi, le ha aperto la porta e poi l'ha richiusa». Io: «Dove abita la cicogna?». H.: «Dove? Nella cassa dove tiene le bambine. Forse a Schònbrunn». Io: «Mai vista una cassa a Schònbrunn». H. : «E allora dev'essere molto più lontano. Sai come fa la cicogna ad aprire la cassa? Prende il becco - anche la cassa ha la chiave - ne alza uno» (questo significa alza una metà del becco), «e l'apre così». (Mi ha mostrato come si fa con la serratura della scrivania.) «E poi c'è anche il manico.» Io: «Ma una bambina non sarà troppo pesante per lei?». H.: «Ma no». Io: «Dimmi: l'omnibus non rassomiglia alla cassa della cicogna?». H. : «Sì». Io: «E a un furgone?». H. : «E anche a un carro per bambini cattivi». 17 aprile. Ieri Hans ha messo in atto il piano, meditato da lungo tempo, di attraversare la strada ed entrare nel cortile di fronte. Oggi, invece, non ha potuto, perché, lungo il piano di carico, c'era un carro, fermo proprio davanti al cancello. «Quando lì c'è un carro» mi ha detto «ho paura di infastidire i cavalli, così potrebbero cadere e fare un pandemonio con i piedi.» Io: «E come si fa a infastidire i cavalli?». H.: «Li infastidisci se ce l'hai con loro e anche quando gridi "arri-là"» . Io: «Hai mai infastidito i cavalli?». H.: «Sì, tante volte. Ho paura che lo farò, ma non lo faccio davvero». Io: «A Gmunden hai mai molestato i cavalli?». H.: «No». Io: «Però ti piace molestarli?». K: «Sì, moltissimo». Io: «Li vorresti frustare?». H.: «Sì». Io: «Ti piacerebbe picchiare i cavalli come mamma picchia Hanna? Anche questo ti piace, no?». H.: «I cavalli non sentono niente quando li picchiano». (Una volta gli ho detto così per mitigare la paura che provava nel veder frustare i cavalli.) «Una volta l'ho fatto davvero. Una volta avevo la frusta e ho frustato il cavallo e lui è caduto e faceva un putiferio coi piedi.» lo: «Quando?». H.: «A Gmunden». Io: «Un vero cavallo attaccato a un carro?». H.: «Non era attaccato al carro». Io: «Allora dov'era?». H.: «Lo tenevo perché non scappasse». (Si capisce come tutto questo sia molto improbabile.) Io: «Dove è stato?». H.: «Vicino all'abbeveratoio». Io: «Chi ti ci ha portato? Il cocchiere aveva lasciato là il cavallo?». H. : «Era un cavallo venuto dalla stalla». lo: «Com'era andato all'abbeveratoio?». H.: «Io ce l'avevo portato». lo: «Da dove? Dalla stalla?». H.: «L'ho portato fuori perché lo volevo picchiare». Io: «Nelle stalle non c'era nessuno?». H.: «Sì, c'era Loisl». (Il cocchiere a Gmunden.) Io: «Ti ha lasciato fare?». H. : «Gli ho parlato con gentilezza e lui mi ha detto che lo potevo fare». lo: «Cosa gli hai detto?». H. : «Gli ho chiesto se potevo portar fuori il cavallo per frustarlo e gridargli, e lui ha detto di sì». Io: «Gli hai dato molte frustate?». H.: «Non c'è niente di vero in quello che ti ho detto». lo: «C'è qualcosa di vero?». K: «Non c'è nulla di vero. Te l'ho detto solo per scherzo». lo: «Non hai mai portato un cavallo fuori della stalla?». H.: «Oh, no». lo: «Però avresti voluto». H.: «Sì, lo avrei voluto. Lo pensavo dentro di me». lo: «A Gmunden?». H. : «No, soltanto qui. Lo pensavo di mattina, quando non ero ancora vestito; no, la mattina a letto». Io: «Perché non me ne hai mai parlato?». H.: «Non ci ho mai pensato». lo: «Era un'idea che ti veniva in mente perché lo avevi visto fare per strada». H.: «Sì». Io: «Chi è che vorresti davvero picchiare? Mamma, Hanna o me?». H.: «Mamma». Io: «Perché?». H.: «Così; mi piacerebbe picchiarla». Io: «Hai mai visto uno picchiare la sua mamma?». H. : «Non ho mai visto nessuno. Mai in vita mia». Io: «Eppure ti piacerebbe farlo? E con che lo faresti?». H.: «Col battipanni». (La madre lo minaccia spesso di picchiarlo col battipanni.) Per oggi sono stato costretto a interrompere il colloquio. Per strada Hans mi ha spiegato che omnibus, furgoni e carri del carbone sono i carri che portano le casse della cicogna. Evidentemente si tratta di donne incinte. Il precedente accesso di sadismo non può rimanere separato da quest'ultima osservazione. 21 aprile. «A Lainz c'era un treno e ho fatto il viaggio con la nonna di Lainz fino alla stazione del dazio. Tu ancora non eri disceso dalla passerella e il secondo treno era già a St. Veit. Quando sei arrivato, il treno era già in stazione e noi lo abbiamo preso.» Ieri Hans è stato a Lainz. Per arrivare alla banchina del treno bisogna attraversare una passerella. Dalla banchina, guardando lungo il binario, si vede la stazione di St. Veit. Il racconto nel complesso è un po' oscuro. Certamente l'idea originata di Hans era che io avevo perso il primo treno, sul quale lui era partito, ma che lo avevo raggiunto col secondo treno, in arrivo da Unter St. Veit. Però, in un secondo momento, aveva distorto in parte questa fugace fantasticheria e aveva finito col dire: «Siamo partiti tutti e due col secondo treno». Questa fantasia presenta dei legami con quella precedente, non interpretata, secondo la quale avevamo impiegato troppo tempo a vestirci alla stazione di Gmunden, per cui il treno era ripartito con noi. Pomeriggio, davanti a casa. Alla vista di un carro trainato da due cavalli, Hans si è rifugiato nel portone. Siccome non mi pareva che il carro avesse nulla di straordinario, gli ho chiesto che c'era che non andava. «I cavalli», mi ha risposto, «sono tanto orgogliosi che temo che cadranno.» (Il cocchiere teneva le redini tirate, così che i cavalli andavano al piccolo trotto con la testa alta. Questo comportamento era «orgoglioso», infatti.) Gli ho domandato: «Chi è, in realtà, tanto orgoglioso?». Hans: «Tu sei tanto orgoglioso quando vengo a letto con mamma». Io: «Dunque tu vuoi che io cada». H. : «Sì. Tu devi andare nudo», (intendeva «a piedi nudi», come Fritzl), «e urtare in un sasso e sanguinare. Così potrò almeno rimanere un po' con mamma da solo e quando tornerai a casa, scapperò così di corsa che non mi vedrai». Io: «Ti ricordi chi ha urtato il sasso?». H: «Sì, Fritzl». Io: «E quando Fritzl è caduto che ti è venuto in mente?»49. H.: «Che dovevi essere tu a urtare il sasso e incespicare». lo: «Dunque vorresti andare da mamma?». H.: «Sì». Io: «Veramente, per che cosa ti ho sgridato?». H.: «Non lo so» (!!). Io: « Perché?». H. : «Perché sei di cattivo umore». Io: «Ma non è vero». H. : «Sì che è vero. Sei di cattivo umore. So che lo sei. Deve essere vero». È quindi evidente che la mia spiegazione che solo i bambini piccoli vanno a letto con la mamma, mentre quelli grandi dormono nel proprio letto, non gli ha fatto molta impressione. Sospetto che il desiderio di «molestare» il cavallo - ossia di batterlo e lanciargli delle grida - non sia rivolto alla madre, come lui finge che sia, bensì a me. Certamente ha parlato prima della mamma perché non vuole ammettere davanti a me questa seconda possibilità. Infatti, negli ultimi giorni mi ha dimostrato un particolare affetto. Parlando con quell'aria di superiorità che è tanto facile assumere a cose fatte, potremmo correggere il padre di Hans specificando che il desiderio del bambino di «molestare» il cavallo era formato da due componenti: un oscuro desiderio sadico verso la madre e un chiaro impulso di vendetta verso il padre. Quest'ultimo non poteva essere riprodotto finché non fosse emerso il primo in relazione al complesso della gravidanza. Durante il processo di formazione di una fobia, che nasce da una serie di pensieri inconsci, si ha sempre una condensazione per cui il corso di un'analisi non può mai essere parallelo a quello dell'evoluzione della nevrosi. 22 aprile. Stamane Hans ha avuto un'altra fantasia: «Un ragazzo di strada andava su un carrello; allora è venuta una guardia e lo ha spogliato tutto nudo, facendolo rimanere lì fino alla mattina dopo; allora, al mattino, il ragazzo ha dato alla guardia 50.000 fiorini per poter andare sul carrello». (La ferrovia nord passa dietro casa nostra. Una volta Hans ha visto un ragazzo di strada che andava su un carrello lungo un binario di raccordo. Anche lui ci sarebbe voluto andare, ma io non glielo permisi, dicendo che, se no, la guardia Io avrebbe arrestato. Un altro elemento della fantasticheria è il desiderio rimosso di stare nudo.) Si può notare che da un po' di tempo le fantasie di Hans sono piene di immagini derivate dal traffico, che si vanno gradatamente spostando dai cavalli, che trainano veicoli, alle ferrovie. In pari tempo ciascuna fobia legata alla strada si è venuta associando con una fobia ferroviaria. All'ora di pranzo mi hanno detto che Hans ha passato tutta la mattina a giocare con una bambola di gomma che chiama Grete. Ha infilato un piccolo temperino nell'apertura nella quale originariamente era inserito il fischietto e poi ha allargato le gambe della bambola fino a far penzolare il temperino. Allora, indicando il punto tra le gambe della bambola, ha detto alla bambinaia: «Guarda, questo è il pipino!». Io: «Che gioco hai fatto con la bambola oggi?». H.: «Le aprivo le gambe. Sai perché? Perché dentro c'era un coltello che è di mamma. Io l'ho messo nel posto dove c'è il bottoncino che fischia, poi le ho aperto le gambe ed è cascato». lo: «Perché le hai aperto le gambe? Per vederle il pipino?». H.: «Il pipino c'era già prima, l'avrei visto in tutti i modi». Io: «Ma perché ci hai messo il coltellino?». H. : «Non lo so». Io: «Bene, com'è fatto il coltello?». H.: «Lui me l'ha portato». Io: «Forse hai pensato che era un bambino?». H.: «No, non ci ho pensato per niente. Però penso che la cicogna, o qualcun altro, una volta ha avuto un bambino». Io: «Quando?». H.: «Una volta. L'ho sentito dire... o non l'ho sentito affatto?... Oppure ho detto male?». Io: «Che vuol dire "detto male?"». H.: «Che non è vero». Io: «In tutto quello che si dice c'è un po' di verità». H.: «Sì, un pochino». Io (cambiando discorso): «Come pensi che nascano i polli?». H.: «È la cicogna che li fa crescere. La cicogna fa crescere i pulcini... no, è Dio che lo fa». Gli ho spiegato che le galline depongono le uova e che dalle uova escono altri polli. Hans ha riso. Io: «Perché ridi?». H. : «Perché mi piace quello che mi hai detto». Ha detto che l'aveva veduto già. Io: «Dove?». H.: «Sei stato tu». Io: «E io dove ho fatto l'uovo?». H.: «A Gmunden; hai fatto un uovo nell'erba e subito è uscito saltellando un pulcino. Una volta hai fatto l'uovo; so che l'hai fatto, lo so perché lo dice mamma». Io: «Chiederò a mamma se è vero». H. : «Non è vero nemmeno un po'. Io invece ho fatto l'uovo una volta ed è uscito il pulcino». Io.: «A Gmunden mi sono steso nell'erba - no, mi sono messo in ginocchio - e i bambini non mi hanno visto e la mattina ho detto improvvisamente: "Ieri ho fatto un uovo: andatelo a cercare, bambini". Allora sono subito andati a vedere e hanno visto subito un uovo e dall'uovo è uscito un piccolo Hans. Be', che hai da ridere? Mamma non lo sapeva e Karoline non lo sapeva, perché nessuno mi ha visto, e tutto a un tratto ho fatto un uovo e poi subito c'era l'uovo.» H.: «Davvero, davvero. Dimmi papà, quand'è che il pulcino esce dall'uovo? Quando lo si lascia solo? Bisogna mangiarlo?». Gli ho spiegato la cosa. H.: «Benissimo, lasciamolo stare con la gallina: poi uscirà il pulcino. Noi lo mettiamo nella scatola e lo portiamo a Gmunden». Siccome i genitori erano ancora esitanti se dargli quella nozione che avrebbero dovuto impartirgli già da molto tempo, il piccolo Hans, con un ardito colpo di mano, prese il controllo dell'analisi. Con una bellissima azione sintomatica aveva detto loro: «Guardate! Ecco come mi immagino che avvenga la nascita». Quello che aveva detto alla bambinaia non era sincero, quando le aveva spiegato il significato del suo gioco; al padre aveva esplicitamente negato di averne voluto soltanto vedere il pipino. Dopo che il padre gli aveva detto, a guisa di anticipo, come escono dall'uovo i pulcini, Hans aveva espresso insieme la sua insoddisfazione, la sua sfiducia e la sua conoscenza superiore, attraverso una deliziosa canzonatura che, con le ultime parole, culminava in un'inconfondibile allusione alla nascita della sorella. Io: «A che giocavi con la bambola?». H.: «Le dicevo: Grete». Io: «Perché?». H.: «Perché le dicevo Grete». Io: «Come ci giocavi?». H.: «L'accudivo come una bambina vera». Io: «Ti piacerebbe avere una bambina?». H. : «Sì. Come no? Mi piacerebbe averne una, ma mamma non la deve avere, non mi va». (Ha già espresso più volte questo pensiero. Teme di perder ancor più la sua posizione nel caso che arrivi un altro bambino.) Io: «Ma solo le donne hanno i bambini». H.: «Io avrò una bambina». Io: «Allora da dove la prenderai?». H. : «Eh, dalla cicogna. Lei tira fuori la bambina e la bambina fa subito un uovo e dall'uovo esce un'altra Hanna... un'altra Hanna. Da Hanna esce un'altra Hanna. No, esce una sola Hanna». Io: «Allora ti piacerebbe avere una bambina». H. : «Sì, l'anno venturo ne avrò una e anche lei si chiamerà Hanna». Io: «Ma mamma perché non deve avere una bambina?». H.: «Perché sono io che voglio una bimba per me». Io: «Ma tu non puoi mica avere una bambina». H. : «Ma sì. I maschietti hanno le femminucce e le femminucce i maschietti» . Io: «I maschi non hanno bambini. Solo le donne, solo le mamme hanno i bambini». H.: «Ma perché io non dovrei?». Io: «Perché Dio ha disposto le cose in questo modo». K: «Ma tu perché non ne hai uno? Ma sì, ce l'avrai anche tu. Basta che aspetti». Io: «Dovrò aspettare un bel pezzo». H.: «Io però sono tuo». Io: «Ma è mamma che ti ha messo al mondo e tu allora sei di mamma e mio». H. : «Hanna è mia o di mamma?». Io: «Di mamma». H.: «No è mia. Perché non mia e di mamma"!». Io: «Hanna è mia, di mamma e tua». H.: «Vedi che ci siamo». Finché il bambino seguiterà a ignorare i genitali femminili, vi sarà naturalmente sempre una lacuna essenziale nella sua comprensione dei fatti sessuali. Il 24 aprile mia moglie e io abbiamo istruito Hans su un certo fatto: gli abbiamo detto che i bambini si sviluppano dentro la loro madre e che poi sono messi al mondo venendo spinti fuori come la cacca e che ciò è molto doloroso. Nel pomeriggio siamo andati davanti a casa. Vi era un netto miglioramento nel suo stato. Correva dietro ai carri e la sola cosa che tradiva il persistere di una traccia della sua angoscia era il fatto che non si spingeva lontano dal portone e non si poteva convincerlo a fare una passeggiata di una certa lunghezza. Il 25 aprile Hans, come già un'altra volta, mi ha dato una testata in pancia. Gli ho chiesto se era una capra. «Sì», ha risposto, «un montone.» Io gli ho chiesto dove aveva veduto un montone. H.: «A Gmunden: Fritzl ne aveva uno». (Fritzl aveva, in effetti, un capretto per giocarci.) Io: «Mi devi parlare di questo capretto. Cosa faceva?». H.: «Lo sai. La signorina Mitzi», (una maestra che abitava nella stessa casa), «metteva sempre Hanna sul capretto e allora lui non riusciva a stare in piedi e a dare le cornate. Se ti avvicinavi dava le cornate perché aveva le corna. Fritzl lo tirava sempre con una cordicella e lo legava a un albero. Lo legava sempre a un albero». Io: «Il capretto ti ha preso a cornate?». H.: «Si slanciava contro di me. Una volta Fritzl mi portò vicino a lui... Una volta gli sono andato vicino e non lo sapevo e lui mi si è buttato addosso all'improvviso. È stato molto divertente. Non ho avuto paura». Questo certamente non era vero. Io: «Vuoi bene a papà?». H.: «Oh sì». Io: «Ma forse no». Intanto Hans stava giocando con un cavalluccio. In quel momento il cavallo cadde in terra e Hans gridò: «Il cavallo è caduto! Guarda che pandemonio sta facendo!». Io: «Tu ce l'hai un po' con papà perché mamma gli vuol bene». H.: «No». Io: «E allora perché piangi sempre quando mamma mi dà un bacio? E perché sei geloso?». H.: «Sì, geloso». Io: «Vorresti essere tu papà». H.: «Oh sì». Io: «Cosa vorresti fare se fossi papà?». H. : «E tu Hans? Mi piacerebbe portarti a Lainz tutte le domeniche; anzi, no, tutti i giorni della settimana. Se fossi papà sarei sempre tanto buono e gentile». Io: «E con mamma cosa faresti?». H.: «Porterei anche lei a Lainz». Io: «E poi?». K: «Nulla». Io: «Allora perché sei geloso?». H. : «Non lo so». Io: «Anche a Gmunden eri geloso?». H.: «A Gmunden no» (non è vero). «A Gmunden avevo tante cose: avevo un giardino a Gmunden e anche dei bambini.» Io: «Ti ricordi come fece la mucca ad avere il vitello?». H. : «Sì, è arrivato in un carro». (Questo gli era stato detto a Gmunden, certamente -altro attacco alla teoria della cicogna.) «E un'altra lo ha spremuto fuori dal sederino.» (Questo era già frutto delle nozioni impartitegli che cercava di armonizzare con la teoria del carro.) lo: «Non è vero che è arrivato con un carro. È venuto fuori dalla mucca dentro la stalla». Hans non ha accettato questo punto, dicendo che, quella mattina, aveva visto il carro. Gli ho fatto notare che, probabilmente gli avevano raccontato che il vitello era venuto con un carro. Alla fine lo ha ammesso dicendo: «E quasi certo che me l'ha detto Berta; o no... forse è stato il padrone di casa. Lui si trovava là, che era notte, così, dopo tutto, quello che ti ho detto è vero... oppure mi sembra che non me l'ha detto nessuno; l'ho pensato da solo di notte». Se non erro il vitello fu portato via con un carro; da qui la confusione. Io: «Perché non hai pensato che fosse stata la cicogna a portarlo?». H. : «Non volevo pensarlo». Io: «Però credevi che la cicogna aveva portato Hanna?». H. : «Lo credevo quella mattina» (del parto). «Dimmi, papà. Il signor Reisenbichler» (il nostro padrone di casa), «era presente quando il vitello uscì dalla mucca?» Io: «Io non Io so. Pensi che c'era?». H.: «Credo di sì... Papà, hai notato qualche volta che ci sono dei cavalli con una cosa nera sulla bocca?». Io: «L'ho visto qualche volta per la strada a Gmunden . A Gmunden sei andato spesso a letto con mamma?». H.: «Sì». Io: «E fingevi di essere papà?». H.: «Sì». Io: «E allora avevi paura di papà?». H. : «Tu sai tutto; io non sapevo niente». Io: «Quando Fritzl è caduto, tu hai pensato: "Oh se papà cadesse nello stesso modo!". E quando il capretto ti ha dato una cornata, hai pensato: "Oh se potessi dare una testata a papà!". Ti ricordi del funerale a Gmunden?». (È il primo funerale che Hans ha visto. Lo rammenta spesso e, certamente, si tratta di un ricordo di copertura.) H.: «Sì. Ma che c'entra?». Io: «Hai pensato che se papà fosse morto saresti stato tu papà». H.: «Sì». Io: «Di che carri hai ancora paura?». H.:t«Di tutti». Io: «Sai bene che non è vero». H. : «Non ho paura dei calessi e delle pariglie e delle carrozze a un solo cavallo. Ho paura degli omnibus e dei furgoni, ma soltanto se sono carichi, non quando sono vuoti. Quando c'è un cavallo e il carro è stracarico, allora ho paura; ma quando il carro è carico e i cavalli sono due, non ho paura». Io: «Hai paura dell'omnibus perché c'è tanta gente dentro?». H.: «Perché ci sono tanti bagagli sopra». Io: «Mamma era carica quando stava per avere Hanna?». 51 Hans, che aveva buone ragioni per non fidarsi delle informazioni dategli dagli adulti, stava considerando se il padrone di casa non fosse più degno di fede di suo padre. H.: «Mamma sarà di nuovo carica quando ne avrà un altro, quando un altro comincerà a crescere, quando un altro sarà dentro di lei». Io: «E tu saresti contento?». H.: «Sì». Io: «Hai detto che non volevi che mamma avesse un altro bambino». H. : «Bene, allora mamma non sarà caricata di nuovo. Ieri mi hai detto che se mamma non ne voleva un altro; nemmeno Dio lo voleva. Se mamma non lo vuole, non l'avrà». (Ieri, naturalmente, Hans ha chiesto se c'erano altri bambini dentro mamma. Gli ho detto di no e che, se Dio non lo voleva, nessuno sarebbe venuto dentro di lei.) Io.: «Ma mamma ha detto che, se lei non voleva, nessun bambino sarebbe cresciuto dentro di lei, mentre tu dici: se Dio non vuole». Allora l'ho assicurato che era come avevo detto, al che lui ha osservato: «Ma tu c'eri, no? Tu, certo, lo sai bene». Poi ha fatto l'interrogatorio alla madre e questa ha conciliato le due affermazioni dichiarando che se lei non voleva nemmeno Dio voleva . Io: «In tutti i modi mi sembra che tu desideri che mamma abbia un bambino». H. : «Però non voglio che succeda». Io: «Però lo desideri?». H.: «Sì, lo desidero». Io: «Sai perché lo desideri? Perché ti piacerebbe essere papà». H. : «Sì... ma come va?». Io: «Come va che cosa?». H.: «Tu hai detto che i papà non hanno bambini, e allora come va che io vorrei diventare papà?». Io: «Vorresti essere papà e sposare mamma, ti piacerebbe essere grande come me e avere i baffi e vorresti che mamma avesse un bambino». H.: «Papà, quando mi sposerò ne avrò uno solo, se vorrò; quando avrò sposato mamma, e, se non voglio un bambino, neppure Dio lo vorrà, quando sarò sposato». Io: «Vorresti sposare mamma?». H.: «Oh sì». Si comprende facilmente come il godimento che Hans traeva da questa fantasia fosse turbato dalla sua incertezza sulla parte sostenuta dal padre e dal dubbio se la procreazione dei bambini fosse o no soggetta al suo controllo. Quella stessa sera, mentre lo mettevamo a letto, Hans mi ha detto: «Sai che farò ora? Parlerò con Grete fino alle dieci; lei sta a letto con me. I miei bambini stanno sempre a letto con me. Me lo sai spiegare come va questa cosa?». - Siccome aveva già tanto sonno gli ho promesso che il giorno dopo avremmo scritto tutto e lui si è addormentato. Ho già rilevato in precedenti rapporti che, fin dal tempo del ritorno da Gmunden, Hans faceva continuamente delle fantasticherie sui «suoi bambini», conversava con loro, ecc.54. Dunque il 26 aprile gli ho chiesto se pensava sempre ai suoi bambini. H. : «Perché? Perché mi piacerebbe tanto avere dei bambini; ma io non li ho mai voluti; non mi piacerebbe averne» . Io: «Non hai mai immaginato che Berta e Olga e gli altri fossero i tuoi bambini?». H.: «Sì. Franz! e Fritzl e anche Paul» (compagni di giochi di Lainz), «e Lodi». Questo è il nome di una bambina di sua invenzione, la preferita, con la quale si intrattiene più di frequente. Devo far notare che la figura di Lodi non è un'invenzione degli ultimi giorni, ma che esisteva prima della data in cui gli sono state date le ultime istruzioni (24 aprile). Io: «Chi è Lodi? Sta a Gmunden?». H.: «No». Io: «Esiste questa Lodi?». H. : «Sì, la conosco». Io: «Allora chi è?». H. : «Quella che ho qui». Io: «Che aspetto ha?». H.: «Che aspetto? Occhi neri, capelli neri... L'ho conosciuta una volta con Mariedl» (a Gmunden), «mentre andavo in città». Quando sono ritornato sull'argomento è risultato trattarsi di un'invenzione" Io: «Dunque, fingevi di essere la loro mamma?». H. : «Ero veramente la loro mamma». Io: «Che cosa facevi con i bambini?». H.: «Li portavo a dormire con me, maschietti e femminucce». Io: «Ogni giorno?». H. : «Ma sì, naturalmente». Io: «Parlavi con loro?». H. : «Quando non potevo prendere nel letto tutti i bambini, ne mettevo qualcuno sul divano e altri nella carrozzina e, se ne avanzavano ancora altri, li portavo in soffitta e li mettevo nella cassa e, se ce ne erano ancora, li mettevo nell'altra cassa». Io: «Dunque le scatole dei bambini della cicogna erano in soffitta?». H. : «Sì». Io: «Quando hai avuto i tuoi bambini? Hanna era già nata?». H. : «Sì, da tanto tempo». lo: «Ma da chi pensavi che fossero nati i bambini?». H.: «Be', da me» . Io: «Ma allora non avevi la minima idea che i bambini venissero da un'altra persona». H. : «Credevo che li avesse portati la cicogna». (Evidentemente una bugia e una scappatoia.)58 Io: «Stamattina a letto con te c'era Grete, ma sai benissimo che i maschi non possono avere figli». H. : «Be', sì. Però io credevo che potessero averli lo stesso». Io: «Dove hai pescato il nome Lodi? Non ci sono bambine che si chiamano così. Forse Lotti?». H.: «Ma no, Lodi. Io non lo so. In tutti i modi è un bel nome». Io (scherzando): «Forse vuoi dire Schokolodi?» . H. (pronto): «No, Saffalodi ... perché mi piacciono tanto le salsicce e anche il salame». Io: «Ma, dimmi, un Saffalodi non ti sembra un pezzo di cacca?». H. : «Sì». Io: «Bene, e com'è fatto un pezzo di cacca?». H. : «È nero; lo sai», (indicando le mie sopracciglie e i baffi), «come queste e questi». Io: «E poi? Rotondo come un Saffalodi?». H.: «Sì». lo: «Quando stavi seduto sul vaso e ti veniva la cacca, pensavi di fare un bambino?». H. (ridendo): «Sì, già a Vio... e anche qui». Io: «Ti ricordi quando sono caduti i cavalli dell'omnibus? L'omnibus sembrava una cassa di bambini e quando il cavallo nero è caduto era come se...». H. (continuando il discorso): «...come se stesse facendo un bambino». Io: «E che cosa ti è venuto in mentre mentre faceva un pandemonio coi piedi?». H. : «Be', quando non mi voglio mettere a sedere sul vaso perché preferirei continuare a giocare, io faccio un putiferio coi piedi». (Ha battuto il piede per terra.) Ecco perché gli stava tanto a cuore la questione se alle persone piacesse o non piacesse avere bambini. Oggi Hans ha passato tutta la giornata giocando a caricare e scaricare casse da imballaggio. Ha detto che gli piacerebbe avere un furgone giocattolo e delle casse di quel tipo per giocarci. Quello che più lo interessava nel cortile del dazio, di fronte a noi, era l'operazione di carico e scarico dei carri. Di solito si spaventava più di tutto quando vedeva un carro a pieno carico che si incamminava. Diceva sempre: «I cavalli cadranno» . Chiamava buchi le porte dell'edificio del dazio (per esempio, primo buco, secondo buco, terzo buco, ecc.). Ora, però, invece di «buco», diceva «buco di dietro». L'angoscia è quasi totalmente scomparsa, tranne per il fatto che preferisce restare in prossimità di casa, per tenersi aperta una via di ritirata in caso di spavento. Ora, però, non si rifugia mai in casa, ma si ferma sempre in strada. Come è noto, la sua malattia ebbe inizio quella volta che scoppiò in lacrime mentre si trovava a passeggio e, quando fu costretto a uscire di nuovo, arrivò soltanto alla sede del dazio, vicino alla stazione, da dove si può ancora vedere casa nostra. Mentre mia moglie partoriva, Hans, naturalmente, fu allontanato da lei e lo stato di angoscia, che gli impedisce di allontanarsi troppo da casa, in realtà è il desiderio della mamma da cui era stato preso in quel momento. 30 aprile. Vedendo Hans che continuava a giocare con i suoi figlioli immaginari, gli ho detto: «Ehilà! I tuoi bambini sono ancora vivi? Sai benissimo che un maschietto non può avere bambini». H.: «Lo so. Prima ero la mamma, ma ora sono il papà». Io: «E chi è la mamma dei bambini?». H.: «E mamma e tu sei il nonno». Io: «Dunque tu vorresti essere grande come me e sposare mamma e poi ti piacerebbe avere dei figli». H. : «Sì, è proprio questo che mi piacerebbe e allora la nonna di Lainz» (mia madre), «sarebbe la loro nonnina». Le cose stavano avviandosi verso un lieto fine. Il piccolo Edipo aveva trovato una soluzione più felice di quella prescritta dal fato. Invece di eliminare il padre, gli offriva la stessa felicità che augurava a se stesso: lo trasformava in nonno e gli faceva sposare la madre. Il primo maggio, all'ora di pranzo, Hans è venuto da me e mi ha detto: «Sai che c'è? Scriviamo due righe al professore». Io: «Benissimo, cosa scriviamo?». H.: «Stamattina ero al gabinetto con tutti i miei bambini. Prima ho fatto cacca e pipì e loro stavano a guardare. Poi li ho messi sul vaso e hanno fatto pipì e cacca e io gli ho pulito il sederino con la carta. Lo sai perché? Perché mi piacerebbe tanto avere dei figlioli; farei tutto per loro, li porterei al gabinetto e pulirei loro il sederino e farei tutto quello che si fa ai bambini». Dopo le dichiarazioni contenute in questa fantasia, non sarà più possibile dubitare del fatto che nella mente di Hans le funzioni escretorie non si accompagnassero a una sensazione di piacere. Nel pomeriggio è arrivato per la prima volta fino allo Stadtpark. Essendo il primo maggio il traffico era meno intenso del solito, ma sempre tale che, nei giorni precedenti, si sarebbe spaventato. Hans è stato orgogliosissimo della sua impresa e, dopo il tè, mi è toccato accompagnarlo di nuovo allo Stadtpark. Per via abbiamo incontrato un omnibus. Hans me lo ha indicato, dicendomi: «Guarda! Un carro fatto come la cassa della cicogna!». Se domani verrà ancora allo Stadtpark con me, secondo quanto stabilito, lo potremo veramente considerare guarito dalla malattia. Il mattino del 2 maggio Hans è venuto da me. «Sai?», mi ha detto. «Oggi ho pensato una cosa.» Prima non se la ricordava, ma poi mi ha riferito quanto segue, sia pure con molta resistenza: «È venuto l'idraulico, prima mi ha tolto il sederino con un paio di pinze e poi me ne ha dato un altro e poi ha fatto lo stesso col mio pipino. Ha detto: "Fammi vedere il sederino!" e io mi sono dovuto girare e lui me l'ha portato via; poi ha detto: "Fammi vedere il pipino!"». Il padre di Hans ha ben compreso la natura di questo desiderio fantastico e non ha esitato neppure un istante a darne la sola interpretazione possibile. Io: «L'idraulico ti ha dato un pipino più grande e un sederino più grande». H.: «Sì». Io: «Come quelli di papà, perché vorresti essere papà». H. : «Sì e vorrei avere i baffi come te e i peli come te» (ha indicato i peli che ho sul petto). Alla luce di questi fatti possiamo rivedere l'interpretazione della precedente fantasia di Hans, secondo la quale l'idraulico era venuto a svitare la vasca e gli aveva conficcato il cacciavite nella pancia. La vasca grande significava «sedere», il giravite o trapano era (come già si disse allora) un pipino . Le due fantasie sono identiche e, inoltre, si riesce a capire meglio perché Hans aveva paura della vasca grande. (D'altronde questa paura è già diminuita.) Lo addolora il fatto che il suo «posteriore» sia troppo piccolo per la vasca grande. Nei giorni seguenti la madre di Hans mi scrisse più volte per esprimermi la sua gioia per la guarigione del piccolo. Una settimana dopo il padre mi ha mandato un post-scriptum: Egregio professore, vorrei fare le seguenti aggiunte alla storia clinica di Hans: 1. La remissione intervenuta dopo avergli dato le prime nozioni non era così completa come si potrebbe intendere dal mio scritto . Hans uscì a passeggio, ma perché costretto e in grande angoscia. Una volta è venuto con me fino alla stazione del dazio, però non è stato possibile farlo andare oltre. 2. A proposito di «sciroppo di lampone» e «fucile per sparare alla gente» 64, preciserò che diamo ad Hans quello sciroppo quando è stitico. Inoltre confonde spesso i verbi «sparare» e «defecare» 65. 3. Hans aveva circa quattro anni quando lo trasferimmo dalla nostra camera in una camera propria. 4. Vi è ancora uno strascico di disturbi, che però non assume più l'aspetto di timore, ma quello di un normale impulso di fare domande. Queste per lo più si aggirano sui materiali di cui sono fatti gli oggetti (tranvai, macchinari, ecc.) e su chi li fabbrica, ecc. Una caratteristica comune a quasi tutte le domande è che Hans le fa anche se si è già dato la risposta da solo. Ne vuole soltanto una conferma. Una volta, che mi aveva stancato con tutte queste domande, gli ho detto: «Credi che sia capace di rispondere a tutto?» e lui ha ribattuto: «Be', siccome sapevi la questione del cavallo, pensavo che avresti potuto rispondere anche a queste altre cose». 5. Ora Hans si riferisce alla sua malattia come a cosa ormai finita: «al tempo in cui avevo la sciocchezza». 6. E’ rimasto ancora un residuo non risolto. Infatti Hans si spreme il cervello per cercare di capire che cosa abbia a che fare il padre con il figlio, dato che è la madre che lo mette al mondo. Lo si può dedurre da domande come: «Io sono anche tuo, vero?» (per intendere che non è solo di sua madre). Non gli risulta chiaro in qual maniera mi appartenga. D'altro canto non dispongo di alcuna prova diretta che egli possa, secondo la supposizione da lei avanzata, aver intravisto i genitori durante l'unione sessuale. 7. Nel descrivere il caso sarebbe forse opportuno insistere sulla violenza del suo stato di angoscia. Altrimenti qualcuno potrebbe dire che il bambino sarebbe uscito a passeggio se solo gli fosse stata data una bella sculacciata. Mi si consenta di aggiungere queste parole a guisa di conclusione. L'ultima fantasia di Hans gli ha permesso di superare l'angoscia derivata dal complesso di castrazione e le sue dolorose aspettazioni hanno avuto una soluzione felice. Certo, il medico (idraulico) è venuto veramente e gli ha veramente portato via il pene66, ma soltanto per dargliene uno più grosso in cambio. Quanto al resto, il nostro giovane ricercatore è semplicemente arrivato un po' in anticipo alla scoperta che ogni processo di conoscenza è come un mosaico e ciascun gradino successivo lascia sempre dietro di sé qualcosa di irrisolto. 3. DiscussionePrenderò ora in esame queste osservazioni sul decorso e l'esito di una fobia in un fanciullo di età inferiore ai cinque anni. Lo farò partendo da tre diversi punti di vista. In primo luogo considererò i limiti entro i quali esse contribuiscono a convalidare le affermazioni che ho fatto nei miei Tre saggi sulla sessualità (1905). Poi mi occuperò del contributo apportato da queste osservazioni alla nostra conoscenza di una manifestazione patologica così frequente e, infine, mi occuperò di cosa se ne possa dedurre a chiarimento della vita psichica del fanciullo e per un esame critico degli obiettivi perseguiti dai nostri sistemi educativi. a. Secondo la mia impressione, il quadro della vita sessuale di un bambino, quale emerge da queste osservazioni, presenta un elevato grado di concordanza con quanto da me esposto nei Tre saggi, in base a opinioni tratte dall'osservazione psicoanalitica di soggetti adulti. Però, prima di entrare nei particolari di questa concordanza, debbo affrontare due obiezioni che potrebbero essere sollevate contro l'utilizzazione dell'analisi del piccolo Hans per gli scopi che mi sono prefisso. Secondo la prima obiezione, egli non era un bambino normale, bensì - gli eventi e la stessa malattia stanno a dimostrarlo - un soggetto predisposto alla nevrosi e, quindi, un giovane «degenerato», per cui non sarebbe ammissibile applicare agli altri bambini, normali, conclusioni valide forse solo nei suoi riguardi. Rimando a più tardi la discussione di questa obiezione, in quanto non toglie ogni valore all'osservazione, ma semplicemente pone ad essa delle limitazioni. La seconda obiezione, più grave, negherebbe il valore obiettivo dell'analisi perché condotta dal padre stesso del bambino, anche per il fatto che questi era imbevuto delle mie vedute teoriche e contagiato dai miei pregiudizi. Si dirà che un bambino, necessariamente, è un soggetto altamente suggestionabile e, probabilmente, nessuno può esercitare su di lui un ascendente superiore a quello del padre, tanto più che il senso di gratitudine verso chi si cura tanto amorevolmente di lui lo indurrà ad accettare ciecamente qualunque idea. Quindi nessuna affermazione del piccolo avrà un valore probativo e tutte le sue produzioni psichiche - associazioni, fantasticherie, sogni - non potranno non seguire quella direzione che è loro imposta con tutti i mezzi possibili. In poche parole, ci troveremmo anche qui di fronte a un caso di «suggestione», con la sola differenza che, trattandosi di un bambino, sarà ben più facile smascherarla che in un adulto. Strano: ricordo con quale derisione i neurologi e gli psichiatri della vecchia generazione accolsero le mie vedute sulla suggestione e le sue conseguenze, ventidue anni fa, quando appena cominciavo ad addentrarmi nel dibattito scientifico. Da allora la situazione si è addirittura rovesciata: la primitiva avversione si è trasformata in un'acquiescenza finanche troppo corriva. Questo non dipende soltanto dall'impressione che il lavoro di Liébeault, Bernheim e loro allievi non poteva mancare di esercitare nel corso dell'ultimo ventennio, ma anche perché si è scoperto che, grazie a questa espressione di comodo, «suggestione», è possibile realizzare una notevole economia mentale. Chi sa o si cura di sapere che cosa sia la suggestione, donde provenga, quando si manifesti? Nessuno; basta poter etichettare col nome di suggestione tutto ciò che, in campo psicologico, risulta strano. Non condivido l'opinione, attualmente diffusa, che le affermazioni dei bambini siano sempre cervellotiche e inattendibili. Nella vita psichica non c'è posto per l'arbitrarietà. L'inattendibilità delle dichiarazioni dei bambini è dovuta al predominio dell'immaginazione, così come quella degli adulti dipende dal pregiudizio. Del resto, neppure i bambini mentono senza ragione e, in linea di massima, il loro amore per la verità è maggiore che negli adulti. Respingere le affermazioni di Hans di sana pianta sarebbe fargli un grave torto. Invece dobbiamo tener chiaramente distinte quelle circostanze in cui falsava la verità o la taceva, costretto dall'invincibile forza della resistenza, da quelle in cui, essendo indeciso, accettava le opinioni paterne - e in tal caso le sue affermazioni non erano probanti. Da queste abbiamo, infine, distinto quelle altre circostanze in cui, senza alcuna sollecitazione, si lasciava sfuggire parecchie informazioni sui processi che si svolgevano effettivamente nel suo intimo, facendo sapere cose delle quali nessuno, salvo lui stesso, aveva, fino a quel momento, avuto sentore. Le affermazioni degli adulti non sono maggiormente degne di fede. Purtroppo il resoconto di una analisi non potrà mai rendere le impressioni che l'analista ha avuto mentre la conduce, così che la lettura non darà mai quel convincimento assoluto cui si perviene esclusivamente attraverso un'esperienza diretta. Comunque è un'impossibilità che si riscontra anche nelle analisi di soggetti adulti. I genitori descrivono il piccolo Hans come un bambino allegro e aperto, né poteva essere diverso, se si pensa che l'educazione impartitagli consisteva fondamentalmente nell'evitare i nostri abituali errori in questo campo. Finché gli fu dato di perseguire le proprie indagini in condizioni di felice naiveté, ed era ben lontano dal sospettare quei conflitti che, di lì a poco, ne sarebbero scaturiti, il bambino comunicò tutto senza nulla nascondere. Le osservazioni raccolte prima della comparsa della fobia non consentono dubbi né perplessità. Fu solo dopo l'inizio della malattia che si manifestarono le prime divergenze tra quel che diceva e quel che pensava. Questo dipende in parte dall'azione del materiale inconscio che si imponeva alla sua mente e che egli non poteva padroneggiare fin dal primo istante, e, in parte, dal contenuto dei pensieri stessi che suscitavano in lui delle perplessità sui suoi rapporti con i genitori. Secondo la mia opinione, scevra da preconcetti, queste difficoltà non dovevano poi essere superiori a quelle che si incontrano in molte analisi di adulti. Dobbiamo, però, concedere che, nel corso dell'analisi, furono dette ad Hans cose che non avrebbe potuto pensare da sé e gli furono espressi concetti che non aveva dimostrato di possedere spontaneamente, mentre la sua attenzione veniva indirizzata a forza verso quelle direzioni, dalle quali il padre presumeva dovessero scaturire elementi nuovi. Sono fatti che riducono in parte il valore di autenticità dell'analisi; ma è un procedimento che si applica in tutti i casi. Difatti un'analisi psichica non è una ricerca scientifica spassionata, bensì un'azione terapeutica. In effetti non si tratta di dimostrare, ma di modificare una situazione. Nel corso dell'analisi il medico dà al malato (ora in maggiore, ora in minor grado) delle rappresentazioni coscienti anticipate, grazie alle quali egli riuscirà ad affermare e comprendere il significato dei materiali inconsci. Taluni pazienti hanno maggior bisogno di questa assistenza, altri meno; nessuno, però, può farne del tutto senza. Può anche essere che disturbi nervosi di grado leggero siano superati dal paziente senza aiuti esterni, ma questo non potrà mai accadere con una nevrosi, elemento estraneo all'io che si impone ad esso con la violenza. Per vincerla si rende necessario l'intervento di un'altra persona, così che una nevrosi è curabile entro i limiti in cui tale intervento è possibile. Se la intrinseca natura di una nevrosi è quella di rifuggire dall'altro - come sembra avvenire in questi stati che vengono riuniti sotto la denominazione di demenza precoce -, nessuno sforzo da parte nostra potrà, per tale ragione, contribuire alla guarigione. È vero che un bambino, dato Io scarso sviluppo dei suoi mezzi intellettuali, esige un'assistenza particolarmente efficace, ma, in fin dei conti, i dati che il medico fornisce al paziente sono pur sempre tratti dall'esperienza analitica. Tali dati, in effetti, saranno sufficientemente convincenti se, con l'aiuto del medico, sarà possibile individuare la struttura del materiale patogeno potendo quindi procedere alla risoluzione della malattia. Comunque, già nel corso dell'analisi, il grado di indipendenza rivelato dal piccolo paziente si dimostrò sufficiente a proscioglierlo dall'accusa di «suggestione». Infatti, al pari di qualsiasi altro bambino, Hans applicava le sue teorie sessuali al materiale di cui disponeva, senza che nessuno ve lo avesse incoraggiato. Sono teorie quanto mai remote dalla mentalità dell'adulto. A dire il vero, nel nostro caso mancai di avvisare il padre che Hans avrebbe certamente affrontato la questione della generazione dei bambini prendendo le mosse dal complesso escretorio. Questa mia trascuratezza portò nell'analisi una fase di oscurità, però fu anche la fonte di una valida prova dell'autenticità e indipendenza dei processi psichici del bambino. Ben presto egli prese a occuparsi della «cacca», senza che il padre, nonché suggestionarlo, avesse la benché minima idea di come il bambino vi fosse arrivato e di quali avrebbero potuto essere le conseguenze. Nemmeno possiamo addossare al padre la responsabilità della comparsa delle due fantasie sull'idraulico, nate dal complesso di castrazione di Hans, ormai di vecchia data. Devo anche confessare che, per via di un interesse di ordine teorico, non resi mai partecipe il padre di Hans della mia speranza di veder affiorare elementi di questo genere, e ciò con il preciso scopo di non inficiare la validità di una prova che ben di rado ci è dato di ottenere. Con un ulteriore approfondimento dei particolari dell'analisi, sarei in grado di addurre molte altre prove dell'indipendenza di Hans nei confronti della «suggestione», ma è mia intenzione troncare qui la discussione di questa obiezione preliminare. Mi rendo perfettamente conto che non riuscirò a convincere chi non vuole lasciarsi convincere e continuerò la trattazione del caso a pro di coloro che già credono nella realtà obiettiva del materiale patologico inconscio. Lo faccio con la gradita certezza che il numero di tali lettori è in progressivo aumento. La prima caratteristica del piccolo Hans, da considerarsi parte della sua vita sessuale, era un interesse molto vivo per il suo «pipino», organo che deriva questo nome da una delle due funzioni - di poco la meno importante - che non possono essere passate sotto silenzio con i bambini. Questo interesse risvegliò in lui lo spirito della ricerca, così che scoperse che la presenza o l'assenza del pipino permetteva di distinguere fra oggetti animati e inanimati. Ne dedusse che tutti gli esseri animati erano come lui e dovevano possedere questo importante organo. Osservò che questo si trovava negli animali più grandi e sospettò che dovesse esistere anche in tutti e due i genitori, tanto che neppure la vista della sorella neonata nuda potè scuotere in lui questa convinzione. Si potrebbe quasi dire che la sua visione del mondo avrebbe subito un colpo troppo forte, qualora si fosse dovuto piegare ad ammettere l'assenza di questo organo in un essere simile a lui: sarebbe stato come se gli venisse strappato dal suo stesso corpo. Forse fu per questo che una minaccia della madre, che si riferiva precisamente alla perdita del pipino, fu scacciata in tutta fretta dai suoi pensieri e non rese manifesti i propri effetti se non più tardi. L'intervento materno era stato suscitato dalla sua abitudine di procurarsi sensazioni di piacere toccandosi il membro: il piccolo aveva preso a praticare la più comune (e più normale) forma di attività sessuale autoerotica. Il piacere che si trae dal proprio organo sessuale può finire con l'entrare in associazione con la scopofilia (cioè il piacere sessuale di guardare), nelle sue forme attiva e passiva, secondo una modalità definita molto appropriatamente «confluenza di impulsi» da Adler (1908). Infatti il piccolo Hans cominciò a cercare di metter gli occhi sul pipino degli altri e, mentre la sua curiosità sessuale si veniva sviluppando, provava anche piacere nell'esporre alla vista il suo pipino. Un sogno di Hans, risalente all'inizio della fase di rimozione, esprimeva il desiderio che una sua amichetta lo aiutasse a far pipì, ossia che fosse partecipe dello spettacolo. Dunque il sogno dimostra che, fino a quel momento, questo desiderio esisteva in forma esente da rimozione e informazioni raccolte in seguito rivelarono che in passato aveva avuto l'abitudine di soddisfarlo. L'aspetto attivo della sua scopofilia sessuale molto presto si legò a un tema ben preciso. Infatti espresse più volte, tanto al padre quanto alla madre, il suo rammarico di non aver mai visto i loro pipini. Probabilmente questo comportamento gli era imposto dal bisogno di fare un paragone. L'Io è sempre il metro col quale si valuta il mondo esterno, che si impara a comprendere tramite il continuo confronto con se stessi. Hans aveva osservato che gli animali grandi avevano il pipino proporzionalmente più grande del suo. Quindi suppose che lo stesso valesse per i genitori, per cui era ansioso di assicurarsene. Secondo lui, la madre doveva per forza avere un pipino «come quello di un cavallo». In tal modo poteva fare la consolante riflessione che il suo pipino sarebbe cresciuto con lui. Era quasi come se il desiderio del bambino di diventare più grande si fosse concentrato sui genitali. Dunque in Hans la regione genitale era, fin da principio, quella tra le zone erogene, che gli dava il piacere più intenso. Il solo piacere di natura similare, di cui dava dimostrazione, era il piacere connesso a quegli orifizi attraverso i quali si effettuano la minzione e l'evacuazione degli intestini. Nella sua ultima fantasticheria felice, con la quale la malattia fu superata, egli immaginava di avere dei figli, di portarli al gabinetto, di far fare loro la pipì, di pulir loro il sederino, di far loro, in breve, « tutto quello che si fa ai bambini». Perciò non si può fare a meno di pensare che queste stesse azioni fossero state per lui una fonte di piacere, quando, ancora piccolissimo, egli stesso ne era stato oggetto. Aveva tratto questo piacere dalle zone erogene con l'intervento della persona che lo accudiva, cioè la madre; dunque il piacere si stava già incanalando verso la scelta dell'oggetto. Ma è altrettanto possibile che, in un periodo ancora precedente, avesse l'abitudine di procurarsi questo piacere in maniera autoerotica, cioè che fosse uno di quei bambini che amano trattenere i loro bisogni fino al momento di trarre una sensazione voluttuosa dalla loro evacuazione. Parlo solo d'una possibilità, dato che l'analisi non ha messo in chiaro la faccenda; un indizio in questo senso è rappresentato dal «fare un pandemonio con le gambe» (scalciare), che più tardi doveva spaventarlo tanto. In tutti i modi, queste fonti di piacere non avevano, in Hans, quella particolare importanza che si riscontra tanto di frequente in altri bambini. Era diventato molto per tempo un bambino pulito, sì che, già nei primi anni, non bagnava il letto né presentava segni di incontinenza diurna; in lui non fu mai osservato alcun indizio di quella tendenza a giocare con gli escrementi (tendenza così repellente negli adulti), che ricompare comunemente nella fase terminale di processi di involuzione psichica. A questo proposito è opportuno far subito rilevare che, al tempo della fobia, si attuò un'inconfondibile rimozione di queste due ben sviluppate componenti della sua attività sessuale. Si vergognava di orinare in presenza di altri, si accusava di toccare il pipino, si sforzava di interrompere la masturbazione e dimostrava ripugnanza per la «cacca» e la «pipì» e per tutto ciò che poteva richiamargliele alla mente. Con la fantasia di accudire ai figlioli riuscì a superare quest'ultima rimozione. Una costituzione quale quella di Hans non sembra comportare una perversione o il suo opposto (ci limiteremo a prendere in considerazione l'isteria). Per quanto sia ancora necessario in questo campo un certo riserbo, ritengo in base alla mia esperienza personale che la costituzione innata degli isterici - ma è quasi ovvio che lo stesso si possa dire anche dei pervertiti - è caratterizzata dal fatto che la regione genitale ha una preponderanza relativamente meno spiccata delle altre zone erogene. Però vi è una particolare aberrazione della vita sessuale che va espressamente distinta da questa regola. Nei soggetti che, più tardi, diverranno omosessuali, osserviamo, durante l'infanzia, quella stessa preponderanza della regione genitale (e del pene in particolar modo) che si osserva anche nei normali67. Anzi il destino dell'omosessuale è proprio segnato dall'elevato apprezzamento che ha per l'organo maschile. Nella fanciullezza egli sceglie le donne quale oggetto sessuale, in quanto presume che anch'esse possiedano quella che, per lui, è una parte indispensabile del corpo. Allorché si convince che le donne lo hanno ingannato sotto questo aspetto, non può più accettarle come oggetto sessuale. Chiunque lo attragga al rapporto sessuale non può essere sprovvisto di pene, per cui, se le circostanze sono favorevoli, fisserà la sua libido sulla «donna col pene», vale a dire su un giovane uomo dall'aspetto femminile. Dunque gli omosessuali sono individui che, data l'importanza erogena dei propri genitali, non possono rinunciare alla presenza dello stesso connotato nel loro oggetto sessuale. Nel corso dello sviluppo dall'autoerotismo all'amore oggettuale, si sono fermati a un punto di fissazione intermedio. Non c'è nulla che possa giustificare la distinzione di un particolare istinto omosessuale. La caratteristica peculiare dell'omosessuale non va cercata nella vita istintiva, ma nella scelta dell'oggetto. Mi si conceda di ricordare quanto ho detto nei miei Tre saggi: è stato un errore pensare che il legame tra oggetto e istinto, nella vita sessuale, fosse molto più stretto di quanto non sia in realtà. L'omosessuale può avere istinti normali, ma non è capace di svincolarli da una classe di oggetti caratterizzata da un determinante specifico. Durante l'infanzia, siccome tale determinante è senz'altro considerata come adempiuta universalmente, l'omosessuale potrà comportarsi come il piccolo Hans, che palesava un indiscriminato affetto per maschi e femmine e, una volta, definì l'amico Fritzl come «la bambina cui voleva più bene». Hans era un omosessuale (come è ammissibile che siano tutti i bambini) in accordo col fatto, da non dimenticare, che conosceva soltanto un tipo di organo genitale: un organo genitale come il suo. Però, nel successivo sviluppo, non dimostrò inclinazione per l'omosessualità, ma anzi per un'energica mascolinità con tratti di poligamia. Sapeva anche mutare comportamento, a seconda dei diversi oggetti femminili: audacemente aggressivo in certi casi, timido e languido in un altro. Il suo affetto si era spostato dalla madre ad altri oggetti di amore, ma, in un periodo in cui vi era penuria di questi ultimi, ritornò alla madre e fu colpito dalla nevrosi. Fu solo allora che risultò evidente fino a che intensità fosse giunto il suo amore per la madre e per quali traversie fosse passato. Lo scopo sessuale che aspirava a soddisfare con le compagne di giochi, cioè di andare a dormire con loro, in origine si rivolgeva alla madre. Tale desiderio si manifestava con una frase che potrebbe mantenersi, sia pure con maggiore ampiezza di significato, anche negli anni della maturità68. Il bambino aveva, come sempre accade, trovato il suo oggetto di amore nelle cure che riceveva da piccolo. A questo punto il piacere più importante per lui era diventato quello di andare a dormire accanto alla madre. Desidero far rilevare l'importanza del piacere tratto dal contatto epidermico in questo nuovo desiderio di Hans, piacere che, secondo la nomenclatura di Moli - a mio vedere artificiosa - dovrebbe essere classificato come soddisfazione dell'istinto di contrectazione. L'atteggiamento di Hans verso il padre e la madre conferma, concretamente e senza mezzi termini, quanto ho esposto nella mia Interpretazione dei sogni e dei Tre saggi a proposito dei rapporti tra un bambino e i genitori. In realtà Hans era un piccolo Edipo che voleva eliminare il padre, sbarazzarsi di lui, per restare solo con la bella madre e andare a dormire con lei. Questo desiderio era sorto durante le vacanze estive, quando l'alternanza di assenze e di presenze del padre aveva fissato l'attenzione di Hans su una condizione dalla quale dipendeva quell'intimità con la madre da lui tanto bramata. In quel tempo il desiderio aveva semplicemente assunto la forma di vedere andar via il padre. In seguito la paura di essere morsicato da un cavallo bianco aveva potuto collegarsi direttamente a questa forma del desiderio per via di una impressione occasionale ricevuta al momento della partenza di un'altra persona. Ma più tardi (probabilmente solo dopo il ritorno a Vienna, dove non poteva fare affidamento sulle assenze del padre) il desiderio aveva assunto un'altra forma: il padre doveva andarsene per sempre, cioè morire. La paura insorta a causa di questo desiderio di morte verso il padre, che poteva, quindi, ritenersi originata da un motivo normale, costituiva il principale ostacolo all'analisi che fu eliminato solo dopo il colloquio al mio ambulatorio69. In tutti i modi Hans non aveva affatto un cattivo carattere. Non era neppure uno di quei bambini che, a quell'età, dà ancora libero sfogo a quella propensione alla violenza e alla crudeltà che è una delle componenti della natura umana. Anzi, era di un'indole eccezionalmente dolce e affettuosa. Il padre mi disse che la trasformazione delle tendenze aggressive in sentimenti di compassione aveva avuto luogo in lui in un'età molto precoce. Già molto prima della fobia si inquietava nel veder battere i cavalli della giostra e se qualcuno si metteva a piangere in sua presenza non rimaneva mai indifferente. A un certo punto dell'analisi il suo sadismo, ormai rimosso, ricomparve in un particolare contesto70. Era, comunque, un sadismo rimosso e bisognerebbe scoprire che cosa stesse propriamente a indicare, che cosa intendesse sostituire in quel dato contesto. Hans amava profondamente il padre verso il quale nutriva questi desideri di morte e, mentre il suo intelletto esitava davanti a questa contraddizione, non poteva fare a meno di palesarne l'esistenza, percuotendo il padre e, subito dopo, baciando la mano che aveva colpito. Anche noi dobbiamo fare a meno di meravigliarci di una simile contraddizione: la vita emotiva di un uomo si compone di coppie di opposti71. Infatti, se così non fosse, forse le rimozioni e le nevrosi non esisterebbero. Nell'adulto i contrasti affettivi non sono mai coscienti contemporaneamente, tranne che nell'impeto della passione. Abitualmente gli opposti continuano a reprimersi a vicenda alternativamente, finché uno dei due non riesce a nascondere definitivamente l'altro. Invece nei bambini possono coesistere pacificamente l'uno a fianco dell'altro per molto tempo. Il fatto che maggiormente influì sullo sviluppo psicosessuale di Hans fu la nascita della sorella, quando aveva tre anni e mezzo. Fu un evento che inasprì i suoi rapporti con i genitori e gli diede alcuni problemi insolubili sui quali meditare. In seguito, alla vista delle cure di cui era oggetto la neonata, riemersero in lui tracce dei ricordi delle sue prime esperienze piacevoli. Anche questo genere di influenza è caratteristico: in un numero incredibilmente grande di anamnesi, sia normali che patologiche, dobbiamo necessariamente partire da un improvviso incremento di desiderio e di curiosità sessuale legati, come in questo caso, alla nascita di un fratello. Il comportamento di Hans verso la nuova arrivata era uguale a quello che ho già descritto nell"Interpretazione dei sogni. Qualche giorno dopo, mentre era febbricitante, dimostrò quanto poco gli piacesse questo accrescimento della famiglia. L'affetto per la sorella venne più tardi72; il primo atteggiamento era di ostilità. Da allora in poi il timore che potesse arrivare un secondo rivale entrò a far parte dei suoi pensieri coscienti. Nel periodo della nevrosi la sua ostilità, già rimossa, era rappresentata da un'altra paura: quella della vasca da bagno. Nel corso dell'analisi egli espresse senza velami il suo desiderio di morte verso la sorella, non limitandosi a semplici allusioni che richiedessero un'illustrazione da parte del padre. Per la sua coscienza morale questo desiderio non era così malvagio come l'analogo desiderio verso il padre. Però è chiaro che, nell'inconscio, trattava tutti e due allo stesso modo perché allontanavano da lui la mamma e ostacolavano il suo desiderio di trovarsi solo con lei. Inoltre, questo evento, e i sentimenti che esso venne a ravvivare, imposero una nuova direzione ai suoi desideri. Nella sua ultima, trionfale fantasia, assommava tutti i suoi desideri erotici: quelli nati dalla fase autoerotica e quelli collegati a un oggetto d'amore. In questa fantasia il piccolo era sposato con la sua bella madre e aveva tanti figli che poteva accudire a suo modo. b. Un giorno, mentre era per strada, Hans fu colto da un attacco d'angoscia. Non era in grado di dire di che cosa avesse paura, ma fin dall'inizio di tale stato di angoscia dimostrò al padre che la sua malattia aveva una motivazione, rappresentata dal vantaggio che gliene derivava. Voleva rimanere solo con la madre e «fare le moine» con lei. Alla nascita di questo desiderio improvviso può aver contribuito anche, come pensa il padre, il ricordo della temporanea separazione dalla madre al tempo della nascita della bambina. Ben presto risultò ben chiaro che la sua angoscia non poteva più ritrasformarsi in desiderio: seguitava ad avere paura persino quando la madre usciva con lui. Nel frattempo si ebbero i primi indizi di quale fosse l'elemento cui si era fissata la sua libido (ora trasformata in angoscia). Infatti espresse il timore del tutto specifico che un cavallo bianco potesse morderlo. Disturbi di questo genere vanno classificati come «fobie» e, nella fattispecie, la fobia di Hans potrebbe essere un'agorafobia se non fosse perché una caratteristica specifica di quest'ultima è rappresentata dal fatto che il paziente, incapace di uscire di casa, può farlo agevolmente purché accompagnato da una persona adatta, scelta, o in caso di necessità, anche dallo stesso medico. La fobia di Hans non rispettava questo principio: in poco tempo finì di avere qualsiasi rapporto con i problemi di deambulazione per concentrarsi sempre più sui cavalli. Nei primi giorni della malattia, mentre l'angoscia era al massimo, il bambino dichiarò di temere che «un cavallo potesse entrare in camera sua», ed è stato proprio questo che mi ha validamente aiutato a comprendere la sua condizione. Finora le «fobie» non hanno ancora trovato una sistemazione definitiva nella classificazione delle nevrosi. Parrebbe certo che le fobie debbano essere considerate alla stregua di sindromi da non tenere separate come gruppo di processi patologici a sé stanti. Secondo me, non sarebbe errato definire «isteria d'angoscia» una fobia del genere di quella di Hans, che è tra le più comuni. Questo termine è stato suggerito da me al dottor W. Stekel, quando si accingeva a descrivere gli stati nevrotici di angoscia73. Spero che possa diventare di uso generale. Esso, infatti, è giustificato dalla somiglianza tra la struttura psicologica di queste fobie e dell'isteria, rassomiglianza completa, a eccezione di un punto, il quale, però, è decisivo, e si presta molto bene alla diagnosi differenziale. Infatti nell'isteria d'angoscia la libido, che la rimozione ha svincolato dal materiale patologico, non subisce la conversione - cioè non viene deviata dalla sfera psicologica verso una innervazione somatica - ma viene lasciata libera sotto forma di angoscia. Nei casi clinici che continuamente osserviamo, questa «isteria d'angoscia» si combina, in qualunque rapporto proporzionale, con l'«isteria di conversione». Vi sono casi di isteria di conversione pura, senza tracce di angoscia, come vi sono casi di semplice isteria d'angoscia in cui l'ansia e le fobie sono presenti non confuse con i sintomi da conversione. Il caso del piccolo Hans rientra in quest'ultima categoria. Le isterie d'angoscia sono tra le più comuni turbe psiconevrotiche, ma, soprattutto, sono anche quelle che compaiono più precocemente nella vita: sono nevrosi dell'infanzia, per eccellenza. Quando una madre usa un'espressione come «i nervi del bambino vanno male» possiamo star certi che in nove casi su dieci il bambino è affetto da una o più forme di angoscia. Purtroppo l'intimo meccanismo di queste turbe non è stato ancora studiato a sufficienza. Finora non è stato stabilito se l'isteria d'angoscia dipenda - in contrasto con l'isteria di conversione od altre nevrosi - da fattori costituzionali o da esperienze casuali, o da una combinazione dei due elementi. Secondo me è, tra tutte le turbe nevrotiche, quella meno legata a una predisposizione costituzionale, per cui può essere più agevolmente acquisita in qualsiasi età della vita. È molto facile mettere in evidenza una caratteristica essenziale dell'isteria d'angoscia. Essa, infatti, dimostra una tendenza sempre più spiccata a evolversi in «fobia», di modo che, a un certo punto, il paziente può anche riuscire a sbarazzarsi da tutte le sue angosce, però soltanto assoggettandosi a inibizioni e limitazioni di ogni genere. Fin dal primo momento della comparsa dell'isteria d'angoscia, la psiche si mette indefessamente al lavoro per cercare di tornare a fissare psichicamente l'angoscia che è stata liberata. Però questo lavorio non riesce a ritrasformare l'angoscia in libido e nemmeno a ristabilire il contatto con i complessi da cui emana la libido stessa. Quindi non rimane altro che evitare ogni possibile occasione che potrebbe provocare l'angoscia, ciò che si ottiene erigendo barriere psichiche rappresentate da precauzioni, limitazioni e divieti. Sono proprio queste strutture difensive che si manifestano a noi sotto forma di fobie e appaiono ai nostri occhi come l'essenza della malattia. Si può affermare che, a tutt'oggi, il trattamento dell'isteria d'angoscia è meramente negativo. L'esperienza insegna che è impossibile - e in certi casi addirittura pericoloso - tentare di ottenere la guarigione di una fobia con mezzi violenti, cioè spogliando il paziente delle sue difese e mettendolo in una situazione nella quale non può evitare l'assalto dell'angoscia. Quindi non si può far altro che lasciare il paziente libero di cercare la protezione ovunque presuma di trovarla. Spesso, poi, egli è oggetto di disprezzo, cosa che certo non gli giova, per la sua «incomprensibile codardia». I genitori compresero fin dall'inizio della malattia che non bisognava deridere il piccolo Hans, né sottoporlo a costrizioni, ma che occorreva penetrare i suoi desideri rimossi per mezzo della psicoanalisi. Gli encomiabili sforzi del padre di Hans furono premiati. Infatti, i suoi rapporti scritti ci hanno fornito il modo di comprendere la struttura della peculiare fobia di cui soffriva il piccolo e di seguire lo sviluppo dell'analisi. Credo probabile che l'analisi, per la sua ampiezza e minuziosità, sia apparsa in qualche punto oscura al lettore. Quindi comincerò col darne un breve riassunto, tralasciando tutti gli elementi marginali che potrebbero distogliere dal filo conduttore, e fisserò l'attenzione sui risultati secondo il loro ordine cronologico. Innanzitutto dobbiamo puntualizzare il fatto che l'insorgenza dello stato ansioso non è stata affatto così esplosiva come potrebbe sembrare a prima vista. Qualche giorno prima, il piccolo si era risvegliato dopo un sogno angoscioso, nel quale la madre era andata via, così che ora non aveva più una mamma con la quale fare le moine. Questo sogno, da solo, costituisce l'indizio di un processo di rimozione pericolosamente intenso. A differenza di molti altri sogni, questo non può essere spiegato in base al presupposto che il bimbo avesse provato, nel sonno, sensazioni angosciose di origine somatica di cui si fosse valso per soddisfare un desiderio inconscio che, altrimenti, sarebbe stato profondamente rimosso74. Piuttosto dobbiamo considerarlo come un vero e proprio sogno di punizione e rimozione, sogno che, per altro, fallì il suo scopo, in quanto il bambino si svegliò in stato di angoscia. Non è difficile ricostruire l'effettivo processo inconscio. Il bambino sognò di scambiare carezze con la madre e di dormire con lei, ma tutto il piacere si trasformò in angoscia e tutte le rappresentazioni oniriche nel loro contrario. La rimozione era riuscita a far fallire lo scopo del meccanismo del sogno. Però gli inizi di questa situazione psicologica risalgono a un periodo anteriore. Nell'estate precedente Hans aveva avuto stati d'animo simili a questo, misti di apprensione e desiderio, e aveva detto cose simili a queste. Allora essi gli avevano assicurato il vantaggio di farsi prendere a letto dalla madre. Si può presumere che già fin da allora Hans si trovasse in uno stato di accresciuta eccitazione sessuale, avente per oggetto la madre. L'intensità di questo stato di eccitazione è dimostrato da due tentativi intesi a sedurre la madre, il secondo dei quali fu compiuto poco prima dell'insorgenza dell'angoscia. Egli trovò una via di sfogo, accidentale, nel masturbarsi ogni sera, in modo da soddisfare il desiderio. Non è possibile stabilire se l'improvvisa trasformazione dell'eccitazione in angoscia sia stata autogena, ovvero sia dipesa dal fatto che la madre rifiutò le sue proposte, oppure, anche, fosse imputabile a un risveglio occasionale di impressioni pregresse, provocato dalla «causa occasionale» della malattia (di cui ora dovremo parlare). In realtà, la cosa non ha nessuna importanza, perché queste tre possibilità non si escludono affatto a vicenda. In tutti i modi sta di fatto che la sua eccitazione sessuale si trasformò tutto ad un tratto in angoscia. Abbiamo già descritto il comportamento del bambino agli inizi dell'angoscia e anche il primo contenuto che egli le diede, ossia il timore di essere morso da un cavallo. A questo punto fu adottato il primo presidio terapeutico. I genitori gli dissero che l'angoscia era conseguenza della masturbazione e lo incoraggiarono a liberarsi dell'abitudine. Io feci in modo che, tutte le volte che gli parlavano, insistessero molto sull'affetto per la madre, perché, con la paura dei cavalli, Hans cercava di sostituire proprio questo amore. Questo primo intervento portò a un lieve miglioramento, ma i risultati conseguiti furono tosto perduti a causa di una malattia fisica. La condizione di Hans permaneva immutata. Poco dopo Hans fece risalire l'origine della sua paura di essere morso da un cavallo a un'impressione ricevuta a Gmunden. Un uomo, al momento di partire, si era rivolto alla figlia con queste parole di avvertimento: «Non mettere il dito sul cavallo bianco, se no ti morde». Le parole «non mettere il dito», con cui Hans aveva riferito quella frase, ricordava la struttura della frase con cui i genitori lo ammonivano di non masturbarsi. Quindi, a tutta prima, ci parve ragionevole ritenere che i genitori fossero nel giusto quando pensavano che quel che spaventava Hans fosse la sua stessa abitudine di indulgere nella masturbazione. Però, in questo modo, i veri nessi causali rimanevano oscuri e sembrava che i cavalli fossero diventati lo spauracchio di Hans per puro caso. Io avevo avanzato la supposizione che il desiderio rimosso di Hans fosse ora quello di vedere a tutti i costi il pipino della madre. Il suo comportamento nei confronti di una nuova domestica pareva concordare con questa supposizione; per questo il padre gli dette un primo insegnamento, cioè che le donne non hanno pipino. La sua reazione a questo primo tentativo di venirgli in aiuto fu una fantasia, nella quale aveva visto la madre che mostrava (si toccava) il pipino. Questa fantasia e l'osservazione, da lui fatta durante un colloquio, che il suo pipino «naturalmente era ben attaccato», ci permettono di avere una prima intuizione dei processi psichici inconsci del paziente. In realtà in questo momento si faceva sentire, con effetto ritardato, l'effetto della minaccia di castrazione fattagli dalla madre una quindicina di mesi prima. Infatti la fantasia, in cui la madre faceva quello che era sua abitudine fare - si tratta della ben nota reazione tu quoque propria del bambino accusato di qualcosa -, aveva uno scopo autogiustificativo: era una fantasia protettiva o difensiva. Intanto dobbiamo anche far notare che erano stati i genitori di Hans a isolare dal materiale patogeno che si manifestava in lui il tema particolare dell'interesse per i pipini. Sotto questo aspetto Hans si adattò alla direzione impostagli, senza assumere ancora alcuna direttiva personale nell'analisi, per cui non si ottenne alcun risultato terapeutico. L'analisi si allontanò molto dalla questione dei cavalli e la nozione che le donne sono prive di pipino poteva, caso mai, accrescere in lui la preoccupazione di conservare il suo. Comunque il nostro scopo fondamentale non è il successo terapeutico. Semmai ci preoccupiamo di mettere il paziente in condizioni di affermare coscientemente i suoi desideri inconsci. Lo scopo può essere conseguito lavorando sugli indizi fornitici dal paziente in modo da esporgli, con l'ausilio della nostra tecnica analitica, e con parole nostre, il contenuto dei suoi complessi inconsci. Necessariamente vi sarà una certa somiglianza tra ciò che gli diciamo noi e quello che cerca e che, nonostante ogni resistenza, si sforza di aprirsi un varco verso la coscienza. È questa somiglianza che gli permetterà di individuare il materiale inconscio. In questa conoscenza il medico si trova un passo avanti al malato. I due si inseguono lungo il medesimo sentiero, finché non si incontreranno alla meta prefissata. Gli psicoanalisti principianti tendono a considerare i due eventi come coincidenti. Credono che, nel momento in cui riconoscono i complessi del paziente, anch'egli debba comprenderli. E pretendere troppo pensare di guarire il paziente rendendogli noto quello che si è appreso. Infatti questa conoscenza del medico è utile al paziente solo in quanto lo aiuta a localizzare il complesso nel punto ove esso è radicato nell'inconscio. Nel caso di Hans si era arrivati a un primo risultato di questo genere. Poiché aveva superato parzialmente il complesso di castrazione, egli era ormai in grado di palesare i suoi desideri verso la madre. E lo fece, sia pure in maniera ancora distorta, attraverso la fantasia delle due giraffe, una delle quali gridava perché lui si era impossessato dell'altra. Egli rappresentava molto icasticamente questa presa di possesso con l'atto di sedersi sopra la giraffa. In questa fantasia il padre ravvisò una riproduzione di una scena familiare che si svolgeva quasi ogni mattina, nella camera da letto, tra il bimbo e i genitori, e ben presto riuscì a strappare al desiderio, adombrato in questa scena, quel velo che ancora lo nascondeva. Le due giraffe erano il padre e la madre. La ragione per cui il desiderio era stato mascherato sotto la fantasia delle giraffe si spiegava integralmente con la visita fatta dal bambino a questi grandi animali, pochi giorni prima, al parco di Schònbrunn; col disegno della giraffa, che risaliva a un periodo precedente e che il padre aveva conservato e anche, forse, con un confronto inconscio basato sul lungo e rigido collo della giraffa75. Bisogna notare che la giraffa, nella sua qualità di animale grande e interessante per il suo pipino, poteva forse essere un concorrente del cavallo nel ruolo di spauracchio. Per di più, il fatto che sia il padre che la madre apparivano sotto forma di giraffe presentava uno spunto non ancora utilizzato ai fini dell'interpretazione dell'angoscia per i cavalli. Subito dopo la storia della giraffa Hans ebbe due fantasie di minore importanza: la prima in cui si introduceva a forza in una zona proibita di Schönbrunn e la seconda in cui rompeva il vetro di un finestrino alla stazione. In entrambi i casi il bambino insisteva sulla punibilità delle azioni compiute, nelle quali il padre aveva la parte del complice. Purtroppo il padre non riuscì a dare un'interpretazione delle due fantasie, di modo che Hans non trasse alcun vantaggio dalla loro narrazione. Però, tutto quello che, nel corso di un'analisi, non è stato compreso, deve necessariamente ricomparire. Non avrà riposo, a somiglianza di uno spettro implacato, finché il mistero non sia stato risolto e l'incanto spezzato. Non si incontrano grandi difficoltà nell'interpretazione di queste due fantasie criminali, che fanno parte del complesso di impadronirsi della madre. Nella mente del fanciullo si stava formando come un vago presentimento di qualcosa che avrebbe potuto fare con la madre e con cui la presa di possesso sarebbe consumata. Infatti questo pensiero nebuloso si manifestava, nella mente di Hans, attraverso determinate rappresentazioni plastiche, che assumevano in sé i caratteri della violenza e del divieto, e il cui contenuto impressionava per una straordinaria concordanza con la realtà nascosta. Possiamo soltanto dire che si trattava di fantasie che raffiguravano simbolicamente il rapporto sessuale. Che il padre apparisse come partecipe di queste azioni è un particolare non certo privo di importanza. Era come se Hans dicesse: «Vorrei fare una cosa con mia madre, una cosa proibita. Non so che sia, però so che la fai anche tu». La fantasia delle giraffe confermò in me una convinzione che si era già formata nella mia mente quando Hans aveva espresso la paura che «il cavallo potesse entrare in camera», e allora stimai fosse giunto il momento di spiegargli che temeva il padre perché provava sentimenti di angoscia e ostilità nei suoi confronti e, infatti, era giusto dare questa interpretazione ai suoi impulsi inconsci. Gli offrii in tal modo una parziale interpretazione della sua paura dei cavalli: il cavallo rappresentava il padre di cui egli aveva paura e ben a ragione. Mi sembrava che certi particolari, di cui Hans si dimostrava spaventato, come il «nero intorno alla bocca dei cavalli» e le «cose davanti ai loro occhi» (vale a dire i baffi e gli occhiali che sono appannaggio dell'adulto), fossero stati trasferiti direttamente dal padre ai cavalli. Rendendo Hans edotto su questo punto ero riuscito a spazzar via la più forte delle resistenze che impedivano ai pensieri inconsci di diventare coscienti; resistenze dovute al fatto che era il padre stesso che fungeva da medico. Ormai la parte peggiore dell'attacco era passata; l'apporto di materiali era diventato abbondantissimo; il piccolo paziente aveva preso coraggio e poteva illustrare i particolari della sua fobia e ben presto assunse un ruolo attivo nella condotta dell'analisi76. Fu solo a questo punto che riuscimmo a comprendere appieno di quali oggetti e di che impressioni Hans avesse paura. Non aveva paura soltanto che i cavalli lo mordessero (anzi, ben presto smise di parlare di questo argomento), ma aveva anche paura di cavalli che cominciavano a muoversi, di carri, furgoni e omnibus (che avevano tutti in comune la qualità di essere, (come si potè ben presto capire, a pieno carico), dei cavalli grossi e pesanti e dei cavalli che passavano al trotto rapido. Lo stesso Hans spiegava il significato di queste particolarità: aveva paura che i cavalli cadessero e, conseguentemente, introduceva nella sua fobia tutti quegli elementi che potevano facilitare una caduta. Non è un caso affatto raro che l'analista, solo dopo aver condotto una discreta mole di lavoro sul paziente, riesca a comprendere l'effettivo contenuto di una fobia, l'esatta espressione di un impulso ossessivo, ecc. La rimozione non colpisce soltanto i complessi inconsci, ma si esercita senza tregua anche sui suoi derivati, impedendo al paziente di rendersi conto delle sue stesse produzioni patologiche. Dunque l'analista si trova nella condizione, strana per un medico, di dover venire in aiuto della malattia richiamando su di essa l'attenzione che le è dovuta. Però solo chi travisa interamente la natura dell'analisi potrà ritenere che essa possa, per una simile ragione, risultare nociva. Costoro si soffermano troppo su questa fase, trascurando il fatto che non si può impiccare il ladro se prima non lo si è catturato, mentre occorre una certa fatica per afferrare saldamente le strutture patologiche il cui annientamento costituisce appunto lo scopo della terapia. Nel mio sintetico commento alla storia clinica ho già fatto notare che è quanto mai istruttivo approfondire i particolari di una fobia in modo da convincersi che il rapporto tra l'angoscia e i suoi oggetti è di ordine più recente. Allora ci renderemo conto del perché le fobie abbiano una diffusione così stranamente ampia mentre, poi, sono tanto strettamente condizionate. È chiaro che gli elementi particolari di cui si rivestiva la fobia di Hans provenivano da impressioni che egli aveva ricevuto continuamente osservando quanto avveniva al dazio, situato proprio di fronte alla propria abitazione. Infatti in lui si rilevavano anche tracce di un impulso - ora inibito dall'angoscia - a giocare sui carri, con le merci, gli imballaggi, le ceste e le casse, come i ragazzi di strada. Fu in questo stadio dell'analisi che egli rievocò l'avvenimento, di per sé insignificante, che precedeva immediatamente l'insorgenza della malattia e che deve essere considerato, senza ombra di dubbio, come causa scatenante. Uscito a passeggio con la madre, aveva visto il cavallo di un omnibus che era caduto e scalciava. Ne ricevette una grande impressione; fu preso da terrore e pensò che il cavallo fosse morto. Da allora in poi pensava che tutti i cavalli stessero per cadere. Il padre gli fece rilevare che, vedendo il cavallo cadere, aveva dovuto pensare a lui, a suo padre, desiderando che potesse cadere nello stesso modo e morire. Il bambino non si oppose a questa interpretazione: non molto tempo dopo fece un gioco, in cui mordeva la mano del padre, confermando, in tal modo, di aver accettato questa teoria, cioè di identificare il padre con il cavallo e di averne paura. Dopo di ciò il comportamento di Hans verso il padre divenne libero e disinibito, semmai un po' impertinente. Cionondimeno la paura dei cavalli persisteva e non si poteva definire del tutto chiarita la catena di associazioni per cui la caduta del cavallo aveva suscitato i suoi desideri inconsci. Cerchiamo, ora, di riassumere i risultati raggiunti fino a quel momento. Avevamo intravisto, dietro la paura che Hans aveva manifestata per prima, quella di essere morso, una paura più profonda: quella di veder cadere un cavallo. Inoltre, tutti e due i tipi di cavallo, quello che morde e quello che cade, erano il padre che doveva castigarlo per i malvagi desideri che provava nei suoi riguardi. Intanto l'analisi era allontanata dal soggetto della madre. Senza alcun preavviso, e sicuramente senza che il padre gliene avesse dato il minimo incentivo, Hans rivelò di essere occupato dal complesso della «cacca», palesando il suo disgusto per tutto ciò che poteva richiamargli alla mente la defecazione. Il padre, poco disposto a seguirlo su questa strada, proseguì l'analisi imperterrito nella direzione che si era imposta. Egli riuscì a suscitare in Hans il ricordo di un fatto accaduto a Gmunden la cui impressione era nascosta dietro a quella provocata dalla caduta del cavallo. Fritzl, l'amico cui era tanto affezionato, ma che forse era anche suo rivale nei confronti di tante bambine, aveva urtato col piede, mentre giocavano ai cavalli, ed era caduto, e il piede si era messo a sanguinare. La vista dell'incidente, di cui era stato vittima il cavallo, gli aveva fatto tornare nella memoria quell'altro incidente. Bisogna anche rilevare che Hans, il quale, allorché rievocò il fatto occorso a Fritzl, aveva altri pensieri in mente, negò, a tutta prima, che il campagno di giochi fosse caduto -eppure era proprio la caduta che rappresentava il legame tra le due scene - e non ammise questo fatto se non in una fase più avanzata dell'analisi. Però, quello che è maggiormente interessante è il modo in cui l'angoscia, nata per trasformazione della libido, era venuta a proiettarsi sull'oggetto principale della fobia, vale a dire sui cavalli. I cavalli, tra tutti i grandi animali, erano quelli che suscitavano in lui il massimo interesse e il suo divertimento preferito era giocare ai cavalli con gli altri bambini. Mi venne il sospetto che la prima persona che fosse servita da cavallo nei giochi di Hans fosse il padre stesso. Quest'ultimo, interrogato in proposito, me ne diede conferma. Proprio per questo Hans aveva potuto vedere in Fritzl un sostituto del padre al momento dell'incidente a Gmunden. Appena si instaurò la rimozione, che comportava un capovolgimento di sentimenti, i cavalli, associati, fino ad allora, a una viva sensazione di piacere, non poterono che trasformarsi in oggetto di paura. Però, come già si è detto, è merito del padre se fu possibile fare l'importante scoperta del modo in cui aveva operato la causa scatenante la malattia. Ma adesso Hans era tutto preso dai suoi interessi per le feci ed è tempo che anche noi lo seguiamo. Siamo venuti a sapere che, in passato, Hans chiedeva con insistenza alla madre di poterla accompagnare al gabinetto e che aveva di nuovo manifestato questa abitudine con l'amichetta Berta, al tempo in cui costei era divenuta oggetto dei sentimenti già rivolti alla madre, finché, ad un certo punto, la faccenda era venuta a galla e gli avevano proibito di farlo. Anche il piacere di guardare una persona amata nell'atto di compiere le proprie funzioni naturali rientra in quella «confluenza di impulsi», di cui Hans ci ha già dato un esempio77. Finalmente anche il padre si adattò a prendere in considerazione il simbolismo delle feci, e riconobbe le analogie intercorrenti tra un carro stracarico e un corpo pieno di feci, tra il modo in cui un carro esce da un cancello e le feci escono dal corpo, ecc.78 Ormai però la posizione di Hans nell'analisi era molto differente da quella iniziale. Prima era il padre che prevedeva quel che doveva venire, dicendolo ad Hans che si limitava a seguire, passo per passo, il sentiero tracciatogli dal padre. Adesso invece Hans si trovava alla guida e progrediva così rapidamente e ininterrottamente da mettere in difficoltà il padre, che non riusciva a mantenersi al suo livello. Fu così, infatti, che Hans, senza preavviso, produsse una nuova fantasia: l'idraulico staccava la vasca in cui era Hans e poi gli conficcava nel ventre un grande cacciavite. Da questo momento il materiale rivelato dall'analisi superò di molto il nostro potere di comprenderla. Solo assai più tardi riuscimmo a intuire che si era trattato di una fantasia di procreazione rimodellata e distorta dall'angoscia. La grande vasca, dentro la quale Hans immaginava di trovarsi, era il grembo materno. Il giravite (bohrer), in cui il padre aveva fin dal primo momento riconosciuto un pene, aveva questa funzione simbolica, nel caso specifico, grazie al suo rapporto di assonanza con l'«essere nato» (geboren). Di questa fantasia dobbiamo, per forza di cose, dare un'interpretazione che non può non apparire strana: «Col tuo grosso pene tu mi hai "perforato" (ossia "mi hai generato" \gebohrt = geboren]), e mi hai introdotto nell'utero di mia madre». In quel momento, la fantasia si sottraeva all'interpretazione, ma giovò ad Hans fornendogli uno spunto da cui partire per produrre altro materiale. Hans dimostrava di aver paura di fare il bagno nella vasca grande; anche questa paura era di carattere composito. Per il momento uno degli elementi componenti rimaneva inaccessibile alla nostra comprensione, mentre un altro elemento trovò subito la sua spiegazione in rapporto al bagno della sorella. Hans confessò di aver desiderato che la madre lasciasse cadere la sorellina nella vasca, mentre faceva il bagno, così, che questa morisse. Allora l'angoscia che provava mentre faceva il bagno nasceva dalla paura che questo desiderio malvagio gli procurasse il castigo di essere lasciato cadere entro la vasca come la sorella. A questo punto Hans aveva lasciato il tema delle feci per passare a quello della sorella. Il parallelo che egli fece è facilmente interpretabile: voleva intendere che per lui la piccola Hanna e, in realtà, tutti i bambini, erano pezzi di «cacca» e venivano messi al mondo come escrementi. Ora riusciamo a capire che tutti i furgoni, i carri da trasporto, gli omnibus erano casse della cicogna in forma di vetture e che avevano interesse per Hans solo quali rappresentazioni simboliche della gravidanza. Così quando aveva veduto cadere un cavallo pesante o che trascinava un grosso carico, egli aveva pensato a una nascita, a un parto [Niederkommen = venire giù]. Dunque il cavallo caduto non rappresentava soltanto il padre morente, ma anche la madre partoriente. Fu a questo punto che Hans ci sorprese tutti, dato che non eravamo affatto preparati a quanto doveva succedere. Aveva notato la gravidanza della madre, conclusasi con la nascita della sorellina, quando aveva tre anni e mezzo, e aveva, certamente dopo il parto, collegato tra di loro gli elementi di cui disponeva, ma senza dirlo a nessuno, forse anche perché non ne era capace. In quel tempo si potè notare solamente che, subito dopo il parto, aveva assunto un atteggiamento di scetticismo verso tutto quello che poteva servire a sostenere la teoria della cicogna. L'analisi ha dimostrato, senza ombra di dubbio - anzi, possiamo dire che questa è la conclusione che meno presta il fianco alle critiche - che Hans, in assoluto contrasto con il contenuto dei suoi discorsi «ufficiali», sapeva perfettamente nel suo inconscio qual è l'origine dei bambini e dove si trovano prima della nascita. La prova più chiara di questo si trova nella fantasia, cui si attaccava con ostinazione e che seguitava ad arricchire di particolari, secondo la quale Hanna era stata con loro a Gmunden l'estate precedente alla sua nascita, compiendo il viaggio con la famiglia e rivelandosi capace di compiere tante azioni che l'anno seguente, dopo essere venuta al mondo, non poteva più assolutamente fare. Hans raccontava questa fantasia con sfrontatezza, arricchendola di infinite e stravaganti menzogne, di cui possiamo dire tutto salvo che sono prive di senso. Era tutta una vendetta contro il padre verso il quale nutriva rancore per essere stato ingannato con la favola della cicogna. Era come se dicesse: «Se credevi davvero che io fossi tanto stupido da credere che fosse la cicogna a portare Hanna, io posso, allora, pretendere che tu presti fede alle mie invenzioni». La vendetta perpetrata dal nostro giovane indagatore nei confronti del padre fu seguita da una fantasia, avente un netto rapporto di correlazione con la vendetta stessa, in cui infastidiva e percuoteva i cavalli. Anche questa fantasia era composta di due elementi. Da una parte si riferiva alla beffa cui aveva poco prima sottoposto il padre, dall'altra conteneva un oscuro desiderio sadico verso la madre, che aveva già prima trovato espressione -senza per altro che noi lo comprendessimo - nelle fantasie in cui compiva azioni vietate. Hans arrivò persino ad ammettere coscientemente il desiderio di picchiare la madre. Ormai non ci rimangono molti altri misteri da svelare. Una fantasia poco chiara, in cui il padre perdeva il treno, sembra aver percorso un'altra fantasia: quella in cui dava il padre in matrimonio alla nonna di Lainz, tanto più che la fantasia riguardava una visita a Lainz e la nonna vi aveva parte. Un'altra fantasia secondo la quale un ragazzo dava a una guardia 50.000 fiorini per essere lasciato libero di andare su un carrello, sembra quasi rispecchiare l'intenzione di comprare la madre, acquistandola dal padre, che, naturalmente, doveva parte del suo potere alle ricchezze di cui disponeva. Fu praticamente in quel torno di tempo che Hans ammise anche, e con una franchezza quale mai aveva dimostrata fino ad allora, di aver provato il desiderio di sbarazzarsi del padre, e la ragione di questo desiderio, rintracciabile nel fatto che il padre interferiva nei rapporti di intimità tra madre e figlio. Non deve stupirci che nel corso di un'analisi ricorrano in continuazione gli stessi desideri. È solo l'interpretazione che ne dà l'analista che ci procura un senso di monotonia, perché, per Hans, non si trattava di semplici ripetizioni, bensì di un processo evolutivo che, dai primi timidi accenni, andava a sfociare in una chiarezza assolutamente cosciente e priva di deformazioni. Ci rimane inoltre da parlare della conferma data da Hans a conclusioni e interpretazioni cui eravamo già pervenuti per mezzo dell'analisi. Ricorrendo a un atto sintomatico, assolutamente inequivocabile, egli rivelò al padre, dopo averne dato una spiegazione leggermente alterata alla domestica, il suo modo di raffigurarsi la nascita di un bambino. Però, se osserviamo il fatto con maggiore attenzione, rileviamo che Hans intendeva alludere anche a qualcosa d'altro che non fu mai più toccato dall'analisi. Piantò un piccolo temperino, appartenente a sua madre, in un foro rotondo esistente nel corpo di un bambolotto di gomma, e poi, allargando le gambe di questo, lo fece cadere. Subito dopo i genitori gli fecero sapere che i bambini si sviluppano veramente dentro il corpo della madre e poi ne sono espulsi come le feci. Ma ormai era troppo tardi, questo insegnamento non gli diceva niente di nuovo. Un'altra azione sintomatica, che sembrava del tutto occasionale, rivelò l'esistenza del desiderio che il padre morisse. Infatti, proprio mentre il padre gli parlava di questo desiderio di morte, Hans lasciò cadere il cavalluccio con il quale si stava divertendo (in realtà lo aveva scagliato a terra). Inoltre, confermò in molti suoi discorsi l'ipotesi secondo la quale i carri colmi di merci erano un simbolo della gravidanza della madre e la caduta del cavallo rappresentava la nascita di un bambino. Un'altra prova di questo, in sé veramente simpatica (e che comprovava anche come per lui i bambini fossero «cacca»), ci è data dal nome di «Lodi» che dava alla sua immaginaria bambina preferita. Il fatto venne in luce dopo qualche tempo perché era intuibile che già da parecchio Hans si dilettava di giocare con questa bambina «salsiccia»79. Abbiamo già descritto le ultime due fantasie di Hans, quelle che suggellarono la sua guarigione. La prima, in cui l'idraulico gli dava un nuovo e, secondo il padre, più grosso pipino, non era semplicemente una ripetizione della precedente in cui entravano l'idraulico e la vasca da bagno. Si tratta di una fantasia di desiderio trionfante che segnò il superamento della paura della castrazione. Un'altra fantasia, che palesava il desiderio di sposare la madre e avere tanti figli da lei, non si limitava a esaurire il contenuto dei complessi inconsci, suscitati dalla vista del cavallo caduto che aveva scatenato l'angoscia; essa correggeva anche certi pensieri assolutamente inaccettabili. Infatti, invece di uccidere il padre, Hans lo metteva in condizioni di non nuocere, unendolo in matrimonio con la nonna. Con questa fantasia la malattia e l'analisi arrivarono alla loro giusta conclusione. Quando l'analisi è ancora in via di sviluppo non è possibile farsi un'idea precisa della struttura e dell'andamento della nevrosi. Per questo occorrerà un processo di sintesi da realizzarsi in prosieguo di tempo. Per quanto riguarda la fobia di Hans, questo processo di sintesi dovrà essere tentato prendendo le mosse da quanto sappiamo della costituzione psichica del piccolo, del suo modo di vivere i desideri sessuali, delle sue esperienze precedenti e contemporanee alla nascita della sorellina; tutte cose di cui si è parlato nella prima parte di questa pubblicazione. L'arrivo della sorellina introdusse molti fattori nuovi nella vita di Hans, che da allora in poi non gli dettero più requie. Innanzitutto gli toccò accettare un certo grado di privazioni: prima un distacco temporaneo dalla madre, poi una diminuzione permanente della quantità di cure e attenzioni di cui la madre soleva farlo oggetto, sì che, da allora in poi, dovette abituarsi a dividerle con la sorella. Inoltre, alla sua mente si riaffacciavano i ricordi di quei piaceri di cui aveva goduto quando era ancora piccolissimo, che venivano rievocati in lui alla vista delle cure che la madre prestava alla bambina. In seguito a questi due fattori i suoi bisogni erotici si acuirono, mentre, nel contempo, il loro soddisfacimento diventava insufficiente. Per mettere riparo alle perdite causategli dall'arrivo della sorellina, si mise a fantasticare di avere dei figlioli propri; inoltre, finché stette a Gmunden, trovò uno sfogo sufficiente al suo affetto perché aveva modo di giocare con altri bambini. Ma, dopo il rientro a Vienna, fu di nuovo solo e ripose ogni speranza nella madre. Frattanto aveva sofferto un'altra privazione, essendo stato mandato via dalla camera da letto dei genitori quando aveva quattro anni. Adesso la sua acuita sensibilità erotica trovava sfogo in fantasie, durante le quali rievocava, nella sua solitudine, i compagni dell'estate scorsa, e si realizzava in un'abitudinaria soddisfazione autoerotica ottenuta con la stimolazione manuale dei genitali. Ma, oltre tutto, la nascita della sorellina incentivò in lui uno sforzo intellettuale che non poteva portare ad alcuna conclusione, e che, d'altro canto, suscitava dei conflitti emotivi. Ai suoi occhi si parò il grande enigma dell'origine dei bambini, che forse, di tutti i problemi, è il primo a cimentare le capacità intellettuali del bambino, quell'enigma di cui l'indovinello della sfinge tebana è probabilmente una versione deformata. Respinse la soluzione propostagli (cioè che Hanna fosse stata portata da una cicogna), perché si era accorto che, già diversi mesi prima della nascita della piccola, il corpo di sua madre si era fatto più grosso, e che, dopo, la madre si era messa a letto, si era lamentata mentre la nascita era in atto, e, più tardi, si era alzata dal letto di nuovo sottile. Da tutto questo aveva dedotto che Hanna si trovava nel corpo della madre, dalla quale era uscita come un pezzo di «cacca». L'atto di dare alla luce un bambino doveva sembrargli piacevole, in quanto lo collegava alle prime sensazioni di piacere da lui stesso provate durante l'espulsione delle feci. Per tal ragione aveva un duplice motivo per generare egli stesso dei figli: il piacere di metterli al mondo e il piacere - in effetti di natura compensatoria - di accudirli. In tutto questo non vi era nulla che potesse suscitare dubbi o conflitti nella sua mente. C'era però un'altra cosa che non poteva non metterlo a disagio. Il padre doveva aver avuto in qualche modo a che fare con la nascita di Hanna, dato che egli stesso dichiarava che tanto Hanna quanto Hans erano i suoi bambini. Eppure era sicuramente la madre, non il padre, che li aveva dati alla luce. E questo padre si intrometteva tra lui e la madre; quando egli era presente Hans non poteva andare a dormire con la mamma e, se lei lo voleva prendere a letto con sé, il padre si metteva a gridare. Hans aveva appreso per esperienza come si stava bene quando il padre non c'era, per cui il suo desiderio di liberarsi di lui aveva una sua giustificazione. Ora, poi, l'ostilità di Hans si era rinfocolata. Il padre gli aveva raccontato la bugia della cicogna, e per Hans non era più possibile rivolgersi a lui per chiedere spiegazioni su certi argomenti. Il padre non soltanto gli impediva di andare a letto con la madre, ma lo teneva persino all'oscuro di quella conoscenza di cui era assetato. In entrambi i casi metteva Hans in posizione di svantaggio, e tutto per il proprio tornaconto personale. Ma il padre, che Hans non poteva non odiare come rivale, era lo stesso padre che aveva sempre amato e doveva necessariamente continuare ad amare, che era stato il suo modello, il suo primo compagno di giochi e si era preso cura di lui fin dalla prima infanzia. Fu questo a scatenare in Hans il primo conflitto, e non era un conflitto di immediata soluzione. Infatti la natura di Hans aveva preso uno sviluppo tale per cui, almeno per il momento, l'amore aveva il sopravvento sull'odio, che teneva in stato di rimozione, senza poterlo annientare definitivamente perché l'odio era costantemente rinfocolato dall'amore per la madre. E il padre non solo sapeva da dove venivano i bambini, ma addirittura dava loro la vita, compiendo quell'atto che Hans poteva tutt'al più intuire oscuramente. Il pipino doveva entrarci in qualche modo, perché il pipino di Hans si eccitava ogni volta che pensava a certe cose - ma questo pipino doveva essere più grande di quello di Hans. Abbandonandosi a queste sensazioni premonitrici, Hans doveva per forza supporre che si trattasse di un atto di violenza contro la madre, consistente nel rompere qualcosa, nel praticare un'apertura, nell'aprirsi a forza un varco in uno spazio chiuso. Erano questi, infatti, gli impulsi che si agitavano in lui. Le sensazioni che provava nel pene lo mettevano sulla buona strada per intuire l'esistenza della vagina, ma il problema era pur sempre insolubile perché nella sua esperienza non esisteva nulla di simile, nessuna cosa, cioè, che si adattasse al pene. Anzi, la soluzione del problema era impedita dalla sua convinzione che la madre fosse provvista di pene come lui. Allora il tentativo di scoprire che azione dovesse essere compiuta sulla madre, per farle produrre dei figli, finì con l'inabissarsi nell'inconscio. I suoi due impulsi attivi (ostile verso il padre e sadicamente tenero verso la madre) non potevano trovare alcuna utilizzazione, il primo perché accanto all'amore c'era l'odio, il secondo a causa della perplessità nella quale lo lasciavano le sue teorie sessuali infantili. Non saprei trovare un'altra maniera di ricostruire, sulla scorta dei risultati dell'analisi e delle conclusioni che ne ho tratto, i complessi e i desideri inconsci di Hans, la cui rimozione, seguita da una riattivazione, fu la causa della fobia. Mi rendo ben conto che in questa maniera devo attribuire un notevole livello intellettuale a un bambino tra i quattro e i cinque anni di età. In ogni modo lo faccio con l'appoggio di ciò che ho potuto osservare, senza lasciarmi sviare dai pregiudizi legati alla nostra ignoranza. La paura del cavallo che «fa un putiferio con le gambe» avrebbe potuto forse servirci a colmare ancora le lacune della nostra ricostruzione dei fatti. In effetti, Hans aveva affermato di avere l'abitudine di pestare i piedi tutte le volte che doveva smettere di giocare per andare a fare la «cacca», per cui questo elemento della nevrosi viene a collegarsi al problema se la madre desiderasse avere dei figli o fosse costretta ad averne. Però, a mio vedere, non è questa la sola spiegazione del «fare un putiferio coi piedi». In ogni modo, il padre di Hans non è stato in grado di confermare il mio sospetto, che nella mente del piccolo sussistesse il ricordo di una scena sessuale tra i genitori, osservata al tempo in cui dormiva con loro. Perciò accontentiamoci di quello che siamo riusciti a scoprire. Non è facile dire quale fattore, nell'ambito della situazione che abbiamo or ora delineato, avesse potuto scatenare in Hans quell'improvviso mutamento che portò alla trasformazione dei suoi desideri libidici in angoscia; nemmeno possiamo dire come si fosse instaurata la rimozione. È una questione che probabilmente potrà essere risolta ricorrendo ad un confronto con molte altre analisi consimili. Ma finché non disporremo dell'ausilio di ulteriori esperienze, rimane sempre un problema non suscettibile di soluzione; non sappiamo, cioè, se il cambiamento occorso in Hans fosse dipeso da un'incapacità intellettuale a risolvere la difficile questione della provenienza dei bambini, oltre che a dominare gli impulsi aggressivi suscitati dall'approssimarsi a questa soluzione, ovvero se fosse dipeso da un'incapacità somatica, cioè da un'incapacità organica a sopportare la soddisfazione onanistica che aveva l'abitudine di procurarsi. In tal caso, il semplice protrarsi di un'eccitazione sessuale di intensità tanto elevata sarebbe stato sufficiente a provocare la malattia. In base a considerazioni di ordine cronologico, non possiamo attribuire soverchia importanza all'elemento scatenante la comparsa della malattia, dato che, già molto tempo prima di aver assistito per strada alla caduta del cavallo, Hans aveva dato segni di angoscia. Comunque, la nevrosi iniziò il suo decorso conclamato subito dopo questo avvenimento casuale, le cui tracce erano riconoscibili nel fatto che il cavallo assurse alla dignità di oggetto dell'angoscia. L'impressione provocata dall'incidente che gli capitò di vedere non era dotata di per sé di «energia traumatizzante»; la sua grande efficacia le veniva dal fatto che i cavalli erano già in precedenza importanti per lui, quali oggetti di simpatia e di interesse; dal fatto che, nella sua mente, quell'avvenimento si associava a un altro avvenimento, accaduto precedentemente a Gmunden e che, a maggior ragione, andrebbe considerato come traumatizzante - ci riferiamo alla caduta di Fritzl mentre giocava ai cavalli - e, infine, dal fatto che il legame associativo tra Fritzl e il padre poteva essere instaurato molto facilmente. A dire il vero, nemmeno questi nessi sarebbero risultati sufficienti qualora quello stesso avvenimento non fosse riuscito a risvegliare in Hans un altro complesso, che già esisteva nel suo inconscio: il complesso del parto della madre incinta. Ma ciò fu possibile in virtù della flessibilità e ambiguità delle catene associative. Da questo momento, tutto quello che era stato rimosso trovò sgombra dinanzi a sé la strada del ritorno e compì questo ritorno, ma in modo tale che il materiale patogeno fu rimodellato e trasferito sul complesso dei cavalli, mentre gli affetti concomitanti si trasformavano tutti in angoscia. Occorre rilevare che il contenuto ideativo della fobia, quale era in quel momento, dovette andare incontro a un ulteriore processo di deformazione e di sostituzione prima di poter affiorare alla coscienza. Hans dette alla sua angoscia questa prima formulazione: «il cavallo mi morderà». Essa traeva origine da un altro episodio accaduto a Gmunden, che si riconnetteva ai suoi sentimenti di ostilità verso il padre, e inoltre, rievocava gli ammonimenti che gli erano stati fatti affinché smettesse di masturbarsi. C'era stato anche l'influsso di un'interferenza, che forse proveniva dai genitali. Non ho la certezza assoluta che le relazioni su Hans fossero compilate con tanta esattezza da consentirci di stabilire se il piccolo avesse espresso la sua angoscia in questa forma prima oppure solo dopo che la madre lo aveva rimproverato perché si masturbava. Sarei portato a credere che fosse dopo, per quanto, in tal caso, entrerei in contraddizione con quanto descritto nei resoconti. In tutti i modi, risulta evidente che il complesso di ostilità contro il padre schermò sempre quello del desiderio per la madre. Fu, dunque, quello e non questo ad essere messo in evidenza e analizzato per primo. In altri casi del genere ci sarebbe moltissimo da dire sulla struttura, l'evoluzione e l'allargamento della nevrosi. Ma la storia della malattia del piccolo Hans è molto breve; era appena cominciata che il suo posto fu preso dalla storia del trattamento terapeutico. Sebbene durante la cura la fobia si fosse sviluppata maggiormente, estendendosi ad altri oggetti e creando nuove situazioni, il padre analista riuscì a comprendere che quei fatti erano semplicemente la manifestazione esteriore di materiali già preesistenti e non già produzioni nuove da imputare alla cura stessa. Non sempre, nel trattamento di altri casi, sarà possibile far conto su altrettanta perspicacia. Prima di considerare completa la mia sintesi devo occuparmi di un altro aspetto del caso, che ci porterà proprio nel centro di quelle difficoltà che ostacolano l'interpretazione degli stati nevrotici. Si ricorderà come il piccolo paziente fosse stato travolto da una grande ondata di rimozioni che colpirono proprio le componenti sessuali che predominavano in quel momento80. Cessò di masturbarsi e, inoltre, rifuggiva con ribrezzo quanto poteva richiamare alla sua mente gli escrementi o la visione di altre persone in atto di soddisfare i loro bisogni naturali. Però non furono questi gli elementi risvegliati dalla causa scatenante la malattia - l'aver assistito alla caduta di un cavallo -, né essi dettero alimento ai sintomi, vale a dire al contenuto della fobia. È probabile che riusciremo a comprendere meglio il caso se ci rivolgeremo a quelle altre componenti che soddisfano le due condizioni che abbiamo menzionato. Queste altre componenti erano tendenze già rimosse che, per quanto ci è dato sapere, non erano mai riuscite a esprimersi liberamente: sentimenti di ostilità e di gelosia verso il padre, e impulsi sadici verso la madre, che, in effetti, erano un'intuizione del coito. È possibile che queste rimozioni di vecchia data avessero determinato una predisposizione alla successiva malattia. Questi impulsi aggressivi di Hans non trovavano sfogo e, come sopraggiunse un periodo di privazioni e di più intense eccitazioni sessuali, essi cercarono, con raddoppiata energia, di venire alla luce. Fu allora che scoppiò quella battaglia cui diamo il nome di fobia. Fu durante questo conflitto che una parte delle idee rimosse riuscì ad affiorare alla coscienza, in forma distorta e trasferita su un altro complesso, venendo a costituire il contenuto della fobia. Ma fu un successo ben miserevole. Le forze della rimozione riportarono la vittoria e ne approfittarono per estendere il loro dominio su altre componenti diverse da quelle che si erano ribellate. Però questo non altera per nulla il fatto che l'essenza della malattia di Hans dipendeva in tutto e per tutto dalla natura delle componenti istintuali che avevano dovuto essere respinte. Il contenuto della sua fobia era tale da imporre notevolilissime limitazioni alla libertà di movimento; infatti questo ne era lo scopo. Si trattava, quindi, di una fortissima reazione contro gli oscuri impulsi motori rivolti in particolar modo verso la madre. Per Hans i cavalli erano sempre stati una rappresentazione tipica del piacere in movimento (mentre andava saltellando in giro, diceva: «sono un cavallino»). Ma siccome questo piacere del movimento conteneva in sé un impulso all'unione sessuale, la nevrosi la sottopose a gravi limitazioni trasformando il cavallo in un simbolo di terrore. Parrebbe quindi che gli istinti rimossi avessero ottenuto dalla nevrosi solo questo onore: fornire i pretesti che dovevano rendere possibile il manifestarsi dell'angoscia a livello cosciente. Nella fobia di Hans la vittoria fu riportata dalle forze che si opponevano alla sessualità; questo è vero, però una malattia del genere, per la sua stessa natura, è sempre un compromesso e perciò gli istinti rimossi devono aver ottenuto anche qualche altra cosa. In fin dei conti, la fobia dei cavalli rappresentava per Hans un impedimento ad andare per la strada e, quindi, gli poteva servire come mezzo per rimanere a casa con la madre che tanto amava. Dunque, l'amore per la madre riuscì in questo modo a raggiungere trionfalmente il suo scopo. Grazie alla fobia, l'amante si aggrappava all'oggetto del suo amore, per quanto fossero stati certamente presi provvedimenti per metterlo in condizioni di non nuocere. Il vero carattere della turba nevrotica si palesa nel suo duplice risultato. Di recente, Alfred Adler ha espresso, in un interessante lavoro81, l'opinione che l'angoscia insorga in seguito alla rimozione di quello che definisce «istinto aggressivo» e, con un'ampia sintesi, attribuisce ad esso il ruolo fondamentale nelle vicende umane, «nella vita reale così come nelle nevrosi». Parrebbe di ravvisare un'importante conferma dell'opinione di Adler nel caso di Hans, dato che nella sua fobia lo stato di angoscia doveva essere imputato alla rimozione delle tendenze aggressive (ostili verso il padre, sadiche verso la madre). Eppure non posso essere d'accordo, anzi per me si tratta di una generalizzazione ingannevole. Mi è impossibile ammettere l'esistenza di un particolare istinto aggressivo, che sussista fianco a fianco con i ben noti istinti di autoconservazione e sessuale e, anzi, su un piano di parità con essi. Secondo me Adler ha erroneamente elevato al grado di istinto autonomo specifico ciò che, in realtà, è un atttributo necessario e universale di tutti gli istinti, cioè quel carattere di irresistibilità e di urgenza, che possiamo definire come una capacità di iniziare un movimento. Diversamente nulla rimarrebbe degli altri istinti, se non la loro relazione con uno scopo specifico, in quanto i mezzi per conseguire tale scopo sarebbero avocati a questo istinto di aggressività. Nonostante tutte le incertezze e oscurità della teoria attuale degli istinti preferirei, almeno per ora, attenermi all'opinione che lascia a ciascun istinto la sua capacità di divenire aggressivo senza essere diretto verso un oggetto. Sarei dell'avviso di riconoscere negli istinti, che in Hans furono sottoposti a rimozione, due componenti abituali della libido sessuale. e. E ora mi accingerò a trattare, spero brevemente, la questione se, e fino a che punto, la fobia del piccolo Hans apporti un contributo di interesse generale al nostro modo di concepire la vita dei bambini e la loro educazione. Prima, però, devo rifarmi a quell'obiezione che abbiamo lasciato tanto a lungo in sospeso, secondo la quale Hans era un nevrotico, un «degenerato» con una tara ereditaria, non un bambino normale, per cui quanto si è appreso su di lui non può essere applicato agli altri. Per un po' ho pensato con dolore a come i settari dell'individuo normale si scaglierebbero sul nostro povero Hans se sapessero che veramente in lui c'era una tara ereditaria. La sua bella madre si era ammalata di nevrosi, quando era ancora fanciulla, a causa di un conflitto. Io l'avevo avuta in cura e fu questo l'inizio dei miei rapporti con i genitori di Hans. Però, sia pure con la massima cautela, farò qualche considerazione a favore del piccolo. Innanzitutto Hans non era, a stretto rigore di termini, quello che si definirebbe un bambino degenerato, condannato alla nevrosi dalla sua stessa ereditarietà. Era, invece, fisicamente ben formato, gentile, allegro e vivace, tanto da riuscir simpatico anche ad altri che non fossero suo padre. Si capisce che non vi possono essere dubbi sulla sua precocità sessuale, ma questo è un punto in cui il materiale mi fa difetto; perciò non mi è possibile un confronto attendibile con gli altri. Vengo però a sapere, da una ricerca collettiva condotta in America, che non di rado desideri sessuali e scelte oggettuali sono presenti in fanciulli della stessa età di Hans. La stessa cosa si rileva leggendo la storia dell'infanzia di uomini che in seguito furono riconosciuti come «grandi». Pertanto sono indotto a credere che la precocità sessuale il più delle volte vada di pari passo con la precocità intellettuale e che perciò è più facile di quanto non si creda osservarla in bambini ben dotati. Inoltre dirò, a favore di Hans - nei cui confronti riconosco apertamente di aver assunto un atteggiamento partigiano - che non è lui il solo bambino che sia stato colpito da una fobia in un momento dell'infanzia. Si sa che certi disturbi psichici sono straordinariamente frequenti, anche in quei bambini la cui educazione non lascia nulla a desiderare quanto a rigidezza. Nel corso della vita questi bambini diventeranno nevrotici o rimarranno sani. Le loro fobie sono messe a tacere fin dai primi anni di vita, perché inaccessibili alla terapia e decisamente scomode. Col passare dei mesi o degli anni perdono di intensità e il bambino sembra guarito. Nessuno, però, può dire quali mutamenti psicologici si siano resi necessari per raggiungere questa guarigione, né quali modificazioni del carattere essa abbia comportato. In tutti i modi, quando un nevrotico adulto viene a sottoporsi al trattamento psicoanalitico, (e supponiamo che la sua malattia si sia manifestata solo dopo il raggiungimento della maturità) scopriamo sempre che la nevrosi trae origine da un'angoscia infantile del tipo di quella che abbiamo qui trattato. Dunque in realtà esiste un'attività psichica che, iniziatasi con i conflitti dell'età infantile, procede, continua e indisturbata, dipanandosi come un filo attraverso tutta la vita del paziente, indipendentemente dal fatto che il primo sintomo di tali conflitti persista tuttora o sia rimasto occultato dalle circostanze. Dunque ritengo che la malattia di Hans non fosse, probabilmente, più grave di quelle di tanti altri fanciulli ai quali non viene imposto il marchio di «degenerato». Penso invece che la sua angoscia abbia trovato l'ardire di mostrarsi perché era educato senza intimidazioni, era tenuto in giusta considerazione e si esercitava su di lui la minor coercizione possibile. In lui non vi era posto per motivi quali la coscienza sporca o la paura del castigo, che certamente contribuiscono a rendere meno appariscenti i sintomi dell'angoscia in altri bambini. A mio vedere ci siamo preoccupati troppo dei sintomi e troppo poco delle loro cause. Nell'educazione dei figli il nostro scopo principale è quello di essere lasciati in pace e di non dover combattere con difficoltà. In poche parole, vogliamo tirar su un bambino modello e ci curiamo ben poco di vedere se questo genere di sviluppo sia anche giovevole al fanciullo. Per questo io penso che la possibilità di esternare la fobia abbia rappresentato un vantaggio per Hans. Essa, infatti, ha obbligato i genitori a prendere in considerazione le inevitabili difficoltà incontrate dal bambino, quando, nel corso della sua educazione, si era trovato a dover controllare le componenti istintive innate nella psiche. Il padre di Hans aiutò il figlio in questi frangenti. Può anche darsi che attualmente Hans si trovi in posizione di vantaggio rispetto ad altri bambini, in quanto non porta più in sé il germe di quei complessi rimossi che necessariamente influiscono sulla vita successiva del bambino e, senza dubbio, comportano un certo grado di deformazione del carattere, se non addirittura una predisposizione alla nevrosi. Io sono portato a pensarla in questo modo, ma non so se molti saranno d'accordo con me e non so neppure se l'esperienza proverà che ho ragione. E adesso devo cercare di stabilire quale danno sia stato eventualmente procurato ad Hans dall'aver messo in luce complessi che, di solito, non soltanto sono rimossi nel bambino, ma destino l'orrore dei genitori. Il piccolo fece qualche serio tentativo per ottenere quello che desiderava da sua madre? Oppure le sue perfide intenzioni verso il padre si tradussero in azioni malvage? Certamente queste preoccupazioni verranno a molti medici, i quali, siccome non hanno capito la natura della psicoanalisi, credono che gli istinti malvagi, divenendo coscienti, acquistino energia. Queste savie persone rivelano una coerenza assolutamente perfetta quando ci supplicano, per amor di Dio, di non immischiarci in quelle brutture che si intravedono dietro una nevrosi. E con questo dimenticano, a dire il vero, di essere medici, così che le loro parole ricordano fatalmente quelle di Cancoccola82, là dove raccomanda alla guardia di evitare qualsiasi contatto con i ladri nei quali gli capiti di imbattersi, «perché meno hai a che fare con loro, tanto meglio è per la tua onestà»83. E invece gli unici risultati dell'analisi furono che Hans guarì, non ebbe più paura dei cavalli e si prese un po' troppa confidenza col padre, come questo ebbe a dirmi alquanto divertito. Ma quanto aveva perso nella riverenza del figlio gli era ripagato in fiducia: «Credevo», gli disse Hans, «che sapessi tutto, perché sapevi la storia del cavallo». Infatti l'analisi non annulla gli effetti della rimozione. Gli istinti rimossi in precedenza, rimangono tali; tuttavia, lo stesso effetto viene ottenuto in altro modo. L'analisi sostituisce al processo di rimozione, che è automatico ed eccessivo, il controllo più mite e adeguato da parte delle istanze più elevate della mente. In poche parole, l'analisi sostituisce la rimozione con un giudizio di riprovazione. E con questo mi sembra si sia raggiunta la prova, da lungo tempo ricercata, che la coscienza ha una funzione biologica e che, quando essa entra in gioco, si consegue un sensibile vantaggio. Se mi fosse stata data carta bianca, io avrei ardito fino a dare al bambino quest'ultima nozione che i genitori si astennero dal rivelargli. Gli avrei dato la conferma delle sue intuizioni istintive, illuminandolo sulla questione dell'esistenza della vagina e sul coito. In tal maniera avrei ulteriormente ridotto le proporzioni del residuo ancora non risolto, mettendo fine a un profluvio di domande. Sono certo che quest'ultima cognizione non gli avrebbe fatto perdere l'amore per la madre e nemmeno la sua natura infantile, ma, anzi, gli avrebbe fatto capire che le sue preoccupazioni per queste cose, tanto importanti, anzi essenziali, per il momento dovevano aver requie, fino a quando non fosse soddisfatto il suo desiderio di essere grande. Però questo esperimento educativo non è stato spinto fino a tal punto. Vi sono tante cose di cui si è parlato frequentemente e che hanno incontrato tali numerosi consensi, che, certamente, non sono io il solo a sostenerne la verità. Intendo riferirmi al fatto che è impossibile tracciare una netta linea di demarcazione tra soggetti «nevrotici» e soggetti «normali» (siano essi adulti o bambini), che il nostro concetto di malattia è di indole puramente pratica, trattandosi di una sommazione di fattori (infatti perché questa sommatoria superi la soglia del patologico è necessaria la combinazione di una predisposizione con i vari casi della vita), per cui vi sono sempre molti individui che passano dalla classe delle persone sane a quella dei nevrotici, mentre molto meno numerosi sono coloro che compiono il percorso in senso inverso. Così stando le cose, dobbiamo considerare quanto meno estremamente probabile che l'educazione di un bambino eserciti su di lui un'influenza essenziale, in bene o in male, che può rappresentare uno di quei fattori predisponenti che contribuiscono all'insorgere della «malattia». Comunque, attualmente, lo scopo dell'educazione, e i limiti entro i quali deve essere attuata, mi sembrano questioni quanto mai nebulose. Fino ad oggi l'educazione ha avuto il compito esclusivo di controllare o, sarebbe meglio dire, di rimuovere gli istinti. I risultati non sono stati affatto remunerativi e nei casi in cui il procedimento abbia avuto successo si è ottenuto un vantaggio solo per quei pochissimi individui ai quali non era stato richiesto di rimuovere gli istinti. Nessuno, poi, si è dato la pena di vedere con che mezzi e a qual prezzo è stata realizzata la rimozione degli istinti sconvenienti. Supponiamo ora di modificare i nostri compiti e di cercare di mettere in grado i bambini di diventare membri produttivi e civili in seno alla società, ma esercitando il minimo di coercizione ai danni della loro attività. In tal caso, le conoscenze acquisite tramite la psicoanalisi sull'origine dei complessi patogeni e sull'essenza delle malattie nervose, potranno a buon diritto pretendere di essere riconosciute dagli educatori quali validissime guide al modo di trattare i fanciulli. Io lascio agli altri il compito di indagare e stabilire quali conclusioni pratiche se ne possano trarre ed entro che limiti l'applicazione di queste, nel nostro ambito sociale, sia giustificata dall'esperienza. Quanto a me non intendo terminare la mia trattazione di questa fobia in un fanciullo senza prima aver affermato che la sua analisi, avendo portato alla guarigione, deve essere considerata degna di particolare attenzione. A stretto rigore, questa analisi non mi ha insegnato niente di nuovo, niente che già non fossi riuscito a scoprire (sia pure meno chiaramente e con minore immediatezza) in altri pazienti sottoposti ad analisi in età più avanzata. Però le nevrosi di questi ultimi erano senza eccezione riportabili a quegli stessi complessi infantili che si celavano dietro la fobia di Hans. Sarei quindi tentato di affermare che questa nevrosi ha le caratteristiche tipiche di un modello. E arrivo a supporre che la molteplicità dei fenomeni di rimozione che le contraddistingue non impediscono la loro derivazione da un numero di processi limitatissimo, nell'ambito di complessi rappresentativi molto simili tra di loro. Note1 [Più tardi lo stesso F. esprimerà opinioni diverse su questo argomento. Cfr. «Il caso dell'uomo dei lupi» (1918), in questo volume.] 2 [Nell'originale Wiwimacher. Cfr. la nota 4 de «L'istruzione sessuale dei fanciulli» in S. Freud, Opere 1886/1921, voi li, Roma, Newton Compton editori, 1992.] 3 Cfr. il mio «Frammento di analisi di un caso di isteria» (1905) 4 Aprile 1903-ottobre 1906. 5 Anche questa è una tipica modalità di comportamento. Un altro bambino, che aveva solo due anni più della sorella, era solito rintuzzare certi complimenti gridando con voce adirata: «Troppo capricciosa! Troppo capricciosa!». 6 Un altro bambino, un po' più grande di Hans, accolse il fratello minore con le parole: «La cicogna se lo può riportare via». A questo proposito confrontare le mie osservazioni, ne L'interpretazione dei sogni, sui sogni riguardanti la morte di persone di famiglia cui si vuol bene. 7 Mi è stato riferito di due bambini che hanno dato lo stesso giudizio, esprimendosi con le stesse parole seguite dallo stesso augurio, quando è stato loro concesso per la prima volta di soddisfare la loro curiosità di vedere il corpo della sorellina. Si potrebbe benissimo rimanere inorriditi da certi segni di decadimento precoce dell'intelletto del bambino. Perché mai questi giovani indagatori non dovrebbero dire quello che hanno visto veramente, ossia che non c'è nessun «pipino»? Comunque nel caso del piccolo Hans possiamo spiegarci benissimo l'errore di percezione. Noi sappiamo già che egli, grazie a un preciso processo di induzione, era pervenuto all'affermazione generale che tutti gli esseri animati, in contrapposizione a quelli inanimati, sono provvisti di «pipino». La madre aveva rafforzato in lui questa convinzione fornendogli ragguagli in questo senso su persone non accessibili alla sua osservazione personale. A questo punto era diventato assolutamente incapace di sconfessare un'opinione ormai radicata, soltanto in forza di quell'unica osservazione fatta sulla sorellina. Pertanto emise il giudizio che anche in quel caso doveva esserci un pipino, sia pure ancora di minime dimensioni, che però sarebbe dovuto crescere fino a diventare grande come quello di un cavallo. Possiamo compiere anche un altro passo a salvaguardia dell'onore di Hans. Egli, a dire il vero, non si è comportato peggio di un filosofo appartenente alla scuola di Wundt. Secondo questa scuola, una caratteristica della coscienza è di contenere in sé tutto ciò che è psichico, così come per Hans il pipino è una caratteristica essenziale per distinguere gli esseri animati. Ora, se il filosofo si imbatte in processi psichici la cui esistenza può essere intuita - in quanto il soggetto non ne sa nulla, ma che, d'altra parte, non è possibile negare - non dice che si tratta di processi inconsci, ma li definisce semiconsci. Il pipino è ancora piccolissimo! Chi ci guadagna nel paragone, non può essere che il piccolo Hans, dato che, come spesso avviene nelle ricerche sessuali dei bambini, dietro all'errore si cela una nozione esatta. Le bambine hanno veramente un piccolo pipino, che noi chiamiamo clitoride, che però non cresce mai, ma resta sempre minuscolo. V. il mio breve lavoro sulle «Teorie sessuali infantili» (1908) 8 [Infatti la parola Schwanz (coda) viene impiegata volgarmente in tedesco per indicare il pene.] 9 Und die Liebe per DistanziKortgesagt, missfàllt mir ganz [Devo ammettere che l'amore a distanza non mi piace proprio niente] W. Busch. 10 [In realtà era quattro anni e tre mesi (cfr. p. 109)]. 11 Un'altra madre, una nevrotica, che non voleva credere alla masturbazione infantile, mi riferì un analogo tentativo di seduzione da parte della figlioletta di tre anni e mezzo. Questa donna aveva fatto confezionare un paio di mutande per la bambina e gliele stava provando per vedere se non la ostacolassero nel camminare. Nel farlo passò la mano dal basso verso l'alto sulla superficie interna della coscia della bambina. A un tratto la piccola strinse le gambe sulla mano materna, dicendo: «Lascia la mano, mammina. È tanto bello». 12 [Questa frase, non ben comprensibile, va piuttosto interpretata «far fare pipì a qualcuno».] 13 Espressione con cui Hans intendeva «carezzare». 14 Si riferiva al pene di lui. E un fatto comunissimo (le indagini psicoanalitiche ne sono piene) che i genitali dei bambini siano accarezzati, non con le parole soltanto ma anche materialmente, da parenti affettuosi, compresi persino gli stessi genitori. 15 Ammettiamo francamente che è proprio questo il criterio per stabilire se questi sentimenti, misti di apprensione e desiderio, sono o non sono normali. Infatti cominciamo a dar loro il nome di «angoscia patologica» dal momento in cui il raggiungimento dell'oggetto desiderato non porta più sollievo. 16 [Cfr. p. 109.] 17 Limitatamente al significato dell'angoscia, non ancora sul fatto che le donne non hanno il pipino. 18 Sobborgo di Vienna dove abitavano i nonni di Hans. 19 II padre di Hans non aveva ragioni per dubitare della realtà dell'episodio raccontato dal piccolo. Devo inoltre ricordare che le sensazioni di prurito al glande, che inducono i bambini a toccarsi i genitali, di solito sono descritte da loro con la frase: Es beisst mich [«mi pizzica» ma anche «mi morde»]. 20 «Grete è una delle ragazzine di Gmunden, sulla quale Hans ancora intesse fantasie. Parla e gioca con lei.» 21 Questo è falso. Si rammenti la sua esclamazione dinanzi alla gabbia del leone [p. 104]. Probabilmente ci troviamo agli inizi di un'amnesia provocata dalla rimozione. 22 Non posso fare una digressione abbastanza ampia per dimostrare, senza interrompere la trattazione, i caratteri tipici del complesso di pensieri inconsci che attribuisco, con buone ragioni, ad Hans. Il complesso di castrazione è la più profonda origine inconscia dell'antisemitismo, dato che, persino in famiglia, i bambini sentono dire che l'ebreo è uno cui hanno tagliato qualcosa nel pene (il bambino crede che sia un pezzo di pene), la qual cosa gli dà il diritto di disprezzare gli ebrei. Anche il senso di superiorità sulle donne trae origine da questa fortissima radice inconscia. Weininger (giovane filosofo, altamente dotato ma sessualmente squilibrato, che si uccise dopo aver scritto il suo importante libro Sesso e carattere [1903]) tratta, in un capitolo che ha destato scalpore, donne ed ebrei con uguale ostilità, lanciando loro gli stessi insulti. Essendo nevrotico, Weininger era completamente in balia dei suoi complessi infantili, per i quali ebrei e donne hanno in comune un elemento che si riporta al complesso di castrazione. 23 Hans, con queste parole, intendeva chiaramente affermare che si trattava di una fantasia. 24 A questo punto il padre, nella sua perplessità, cercava di applicare la tecnica classica della psicoanalisi. I risultati non sono molto rilevanti però, anche così, assumono un significato alla luce delle osservazioni successive. 25 Hans conferma solamente l'interpretazione delle due giraffe - ossia che esse rappresentano il padre e la madre -, ma non conferma il simbolismo sessuale, secondo il quale la giraffa in sé sta per il pene. Probabilmente questo simbolismo è corretto, ma ad Hans non si poteva veramente chiedere dì più. 26 Più tardi il bambino ha avuto un'altra reazione del genere verso suo padre, ma questa volta in modo più esplicito e completo. Infatti, prima ha colpito il padre sulla mano, e poi gliel'ha baciata amorevolmente. 27 Per quanto possa parere strano, Hans aveva ragione. Come vedremo in seguito, la sequenza di pensieri era che il cavallo (il padre) lo dovesse mordere per via del suo desiderio di vederlo cadere (veder cadere il padre). 28 [Si noti che la parola transfert qui è impiegata in un'accezione più ampia e un po' diversa da quella divenuta abituale negli scritti successivi di Freud.J 29 [Si deve tener conto dell'associazione verbale Lumpf (scarica fecale) e Strumpf (calza).] 30 «Da qualche settimana mia moglie ha una gonna-pantalone nera che porta per andare in bicicletta.» 31 «Hans aveva, per giocare, delle briglie coi sonagli.» 32 Come già sappiamo, un altro figlio del padrone di casa. 33 Vedi oltre. Il padre aveva pienamente ragione nel sospettare che Fritzl fosse caduto. 34 [Pel cavallo = wegen dem Pferd (per via o a causa del cavallo).] 35 Devo specificare che Hans non intendeva dire che allora e in quell'occasione già soffriva della sua sciocchezza. Infatti non poteva essere così, perché considerazioni teoriche ci impongono di pensare che quanto oggi è oggetto di una fobia, in un certo momento del passato deve essere stato origine di un forte piacere. Inoltre posso completare quel che il bambino non era in grado di esprimere, specificando che la parola wegen [per via o a causa] rappresentava il mezzo attraverso il quale la fobia potè estendersi dai cavalli ai veicoli [Wagen] (Wàgen, secondo la pronuncia usata e sentita da Hans). Non dobbiamo dimenticare che i bambini trattano le parole in modo ben più concreto degli adulti, per cui le affinità di suono delle parole hanno per loro notevole importanza. 16 In realtà, ma questo sfuggiva al padre, non c'era più nulla da cavar fuori se si toglie l'associazione verbale di Hans. Ecco un bell'esempio di una condizione in cui gli sforzi dell'analista vanno a vuoto. 17 Dove abitavano prima del trasloco. 38 Hans voleva essere assicurato che il suo pipino sarebbe cresciuto. 39 II nostro giovanotto era alle prese con un argomento che non era all'altezza di trattare chiaramente; per questo si incontra qualche difficoltà a capirlo. Forse voleva intendere che le mutande rievocavano in lui il senso di disgusto provocato dalla loro vista di per se stessa; non appena la madre se le metteva, lui non le collegava più alla cacchina o alla pipì e allora lo interessavano in modo differente. 40 «È la madre stessa che fa il bagno ad Hans.» 41 «Per portarla a riparare.» 42 II tema di Hanna segue immediatamente quello della cacca e, alla fine, comincia ad albeggiare in noi una spiegazione. Hanna stessa era la cacca - i bambini sono cacca. 4:1 Qui Hans si perde nelle fantasie. Come si vede, una cassa e una vasca per lui hanno lo stesso significato: entrambe rappresentano lo spazio che contiene i bambini. Non dimentichiamo le ripetute affermazioni di Hans a questo proposito. 44 Naturalmente è un'espressione ironica come la successiva richiesta di non rivelare nulla di questo segreto alla madre. 45 Ben detto, Hans! Non potrei sperare nemmeno da un adulto una migliore comprensione della psicoanalisi. 46 È superfluo sottolineare le incongruenze di Hans. Durante il precedente colloquio dal suo inconscio era emersa la sua incredulità nei confronti della cicogna e si era accomunata a un senso di esasperazione provocatogli dal padre che faceva tanti misteri. Adesso però era tranquillo e dava alle domande del padre risposte aventi un carattere di ufficialità da cui trapelavano le molte difficoltà insite nell'ipotesi della cicogna. 17 «La cassa che si trovava nell'androne, con la quale avevamo trasportato parte della roba a Gmunden.» 48 «Tante volte Hans si era spaventato a morte se un vetturale batteva il cavallo gridando "Arri-là".» 49 Dunque Fritzl era realmente caduto, ciò che Hans aveva negato. 50 Ecco un altro frammento di teoria sessuale infantile, dall'inatteso significato. 51 Hans, che aveva buone ragioni per non fidarsi delle informazioni dategli dagli adulti, stava considerando se il padrone di casa non fosse più degno di fede di suo padre. 52 La sequenza di pensieri è la seguente: per molto tempo il padre si era rifiutato di credere a quello che Hans gli diceva a proposito di cavalli con una cosa nera attorno alla bocca, ma, alla fine, aveva dovuto constatarlo con i propri occhi. 53 Ce que femme veut Dieu veut. Ma Hans, col suo abituale acume, aveva messo il dito su un problema molto più serio. 54 Non è affatto necessario desumere da questo che Hans nutrisse desideri di tipo femminile perché desiderava dei bambini. Hans, da bambino, aveva vissuto le sue più dolci esperienze con la madre e ora le andava riproducendo, assumendo egli stesso un ruolo attivo che, necessariamente, era quello di madre. 55 Questa strana contraddizione rappresenta lo stacco tra fantasia e realtà, tra desiderare e avere. Hans sapeva di essere un bambino e che altri bambini sarebbero stati per lui soltanto un ostacolo, ma, nella sua fantasticheria, era una madre e voleva dei bambini con i quali ripetere quelle azioni amorevoli di cui egli stesso era stato oggetto. 56 Comunque è possibile che Hans stesse idealizzando qualche bambina incontrata per caso a Gmunden. In tutti i modi, il colore degli occhi e dei capelli di questo ideale erano ripresi dalla madre. 57 Hans non poteva fare a meno di dare una risposta a carattere autoerotico. 58 Erano figli della sua fantasia, vale a dire della sua masturbazione. 59 [Schokolodi, naturalmente, sta per Schokolade (cioccolata).] 60 «.Saffalodi significa Zervelatwurst [«cervellata», sorta di salsiccia]. A mia moglie piace moltissimo raccontare che una sua zia la chiama sempre "Soffilodi". Può darsi che Hans l'abbia ascoltata.» 61 Non impieghiamo forse la parola niederkommen per intendere una donna che partorisce? [nìederkommen = partorire, ma anche venir giù]. 62 Forse la parola «giravite, trapano» [Bohrer] è stata scelta non senza tener presente la sua assonanza con «nato» \geboren] e «nascita» [Geburt]. In tal caso il bambino avrebbe potuto non distinguere tra «trapanato» \gebohrt] e «nato» \geboren]. Io accetto questo suggerimento, datomi da un collega ricco di esperienza, però non sono in grado di precisare se ci troviamo di fronte a un rapporto, universale e profondo, tra due idee, o semplicemente di fronte all'applicazione di coincidenze fonetiche proprie della lingua tedesca. Prometeo (Pramantha), creatore dell'uomo, è anche, etimologicamente, «il perforatore». (Cfr. Abraham, «Sogno e mito», 1909 [trad. it. in Psicoanalisi del mito, Newton Compton editori, Roma 1971].) 63 [Cfr. la dichiarazione del padre a p. 114.] 64 [Cfr. p. 119.] 65 [Sparare =schiessen; defecare =scheissen.] 66 [Rammentare la minaccia della madre di chiamare il dottore e fargli tagliare il pipino (p. 104).] 67 Secondo quanto supponevo, le osservazioni di Sadger hanno dimostrato che tutte le persone appartenenti a questa categoria attraversano, nell'infanzia, una fase di ambivalenza. 68 [Intende riferirsi all'espressione «andare a letto con qualcuno» che ha, in tedesco come in italiano, un ben noto significato sessuale.] 69 È assolutamente certo che le due associazioni di Hans, «sciroppo di lampone» e «fucile per ammazzare la gente», devono avere un'origine multipla. Probabilmente erano legate tanto all'odio per il padre quanto al complesso della stitichezza. Anche il padre, che fu in grado di afferrare da solo questa seconda connessione, suggerì che «sciroppo di lampone» poteva correlarsi a «sangue». 70 II desiderio di percuotere e molestare i cavalli. 71 «Proprio così: io non sono un volume ben congegnato. Sono un uomo con le sue contraddizioni» (C. F. Mayer, Huttens letzle Tage). 72 Si confrontino i progetti di quello che avrebbe fatto quando la sorella fosse stata abbastanza grande da poter parlare. 73 Nervose Angstzustànde und ihre Behandlung, 1908. 74 Cfr. L'interpretazione dei sogni [cit.J. 75 Ciò sarebbe confermato più tardi dall'ammirazione dimostrata da Hans per il collo del padre. 76 Persino in quelle analisi in cui medico e paziente sono estranei, la paura del padre assume un ruolo fondamentale ai fini della resistenza che si oppone alla riproduzione del materiale patogeno inconscio. Talora la resistenza assume l'aspetto di una stereotipia, ma, altre volte, come nel nostro caso, parte del materiale inconscio, proprio in ragione del suo contenuto, può agire come inibitore contro la riproduzione di un'altra parte. 77 [Cfr. p. 132.] 78 [Cfr. p. 133.] 79 Ricordo di aver visto, su Simplicissimus, una serie di vignette di T. T. Heine, in cui il famoso caricaturista rappresentava le vicende del figlio di un salumaio, caduto nella macchina per fare le salsicce. I genitori piangevano sulla salsicetta, che poi riceveva le eseque funebri e veniva mandata in paradiso. A tutta prima l'idea dell'artista mi era parsa bislacca, ma l'episodio di Lodi ci permette di riportarla alla sua origine infantile. 80 Il padre di Hans si avvide persino che, accanto a questa rimozione, si era instaurato anche un certo grado di sublimazione. Fina dall'inizio della sua condizione di angoscia hans cominciò a rivelare un cresciuto interesse per la musica, sviluppando le sue doti musicali ereditarie. 81 Der Aggressionsbetrieb im Leben und in derNeurose (1908). Si tratta di quello stesso lavoro da cui ho desunto l'espressione «confluenza di impulsi» [v. sopra, p. 166]. 82 [Cancoccola o Giancoccola (Dogberry) è il nome di un goffo personaggio di Mollo rumore per nulla di Shakespeare.] 83 Qui non posso fare a meno di chiedermi con stupore: da dove traggono i miei avversari le loro conoscenze, sbandierate con tanta sicurezza, sulla questione se gli istinti sessuali rimossi abbiano importanza - e quanta, soprattutto, nelì'etiologia delle nevrosi - dato che tappano la bocca dei pazienti appena questi si mettono a parlare dei loro complessi e delle relative conseguenze? Infatti non rimane che un'altra fonte possibile di informazione: i miei scritti e quelli dei miei seguaci.
Commento al caso del piccolo Hans di Luigi Anepeta1. Nella pagina finale del saggio Freud scrive: “A stretto rigore, questa analisi non mi ha insegnato niente di nuovo, niente che già non fossi riuscito a scoprire (sia pure meno chiaramente e con minore immediatezza) in altri pazienti sottoposti ad analisi in età più avanzata. Però le nevrosi di questi ultimi erano senza eccezione riportabili a quegli stessi complessi infantili che si celavano dietro la fobia di Hans. Sarei quindi tentato di affermare che questa nevrosi ha le caratteristiche tipiche di un modello.” Il modello in questione è l’Edipo: l’ossessione che Freud ha ricavato dalla sua esperienza personale di figlio primogenito prediletto e destinato, nell’aspettativa materna, a diventare un grande uomo (a differenza del padre, un mediocre commerciante). Egli è stato a tal punto condizionato dall’aspettativa materna, e dalla frustrazione legata ad una situazione economica precaria, che la sua carriera di ricercatore è cominciata con due “infortuni” dovuti all’ansia di diventare famoso. Il primo infortunio è da ricondurre alla Cocaina, cui dedica i suoi primi lavori, vantandone gli straordinari effetti psichici sperimentati su di sé. Di fronte alle prove che si trattava di una droga, Freud fa ammenda, ma, nel frattempo, avendola consigliata ad uno sventurato collega affetto da una grave malattia dolorosa, lo ha indotto alla disperazione. Il secondo infortunio è legato alla sua ingenua tendenza a dare credito alle denunce di soggetti isterici di violenze sessuali subite (quasi sempre a livello familiare). Quando egli si rende conto che una gran parte di quelle denunce fanno riferimenti a vissuti immaginari, la sua reputazione è compromessa, e lo rimarrà a lungo. E’ il secondo infortunio che orienta Freud verso una singolare riparazione. Dopo aver demonizzato la famiglia, egli, ricostruendo l’origine dei disagi soggettivi, sviluppa la convinzione che essi abbiano sempre origini sessuali, ma siano da attribuire ad eventi mentali. Da tale convinzione, e dall’auto analisi, nasce l’ossessione edipica. Oggi si danno scarsi dubbi riguardo al fatto che l’interesse dei bambini per il proprio corpo e per quello degli adulti è funzionale a promuovere un’identificazione di genere, e che l’Edipo, laddove sembra trasparire dai desideri e dalle fantasie di pazienti in analisi, è il prodotto della cattura che un figlio subisce in conseguenza del desiderio inconscio del genitore di averlo per sé: cattura, spesso indizio di frustrazioni genitoriali, che assegna al figlio il ruolo di amante segreto. Freud questo ruolo lo ha ricoperto, ma, presumibilmente per una forma di amore e di venerazione nei confronti della madre (che peraltro aveva ragione nel cogliere in lui potenzialità fuori dell’ordinario), non è riuscito a decifrarne il significato, ed è finito con l’attribuire a se stesso, o meglio al suo inconscio, un desiderio incestuoso: il desiderio di possedere la madre e di eliminare il padre. Dell’Edipo Freud ha fatto il fulcro della teoria psicoanalitica, almeno fino alla “scoperta” altrettanto contestabile dell’istinto di morte. Il caso del piccolo Hans è stato scritto, per l’appunto,per confermare le ipotesi già avanzate sulla sessualità infantile, vertenti sostanzialmente sul complesso edipico. La descrizione minuziosa dei vissuti di Hans e la loro interpretazione si associano, con evidenza, all’entusiasmo di aver trovato la prova definitiva dell’Edipo. All’epoca in cui il saggio è stato scritto, l’epistemologia non è ancora nata. Non si può certo fare colpa a Freud di avere adottato una metodologia ingenuamente empirica fondata sulla convinzione che i dati ricavati dall’analisi avessero un significato univoco, quello che egli assegnava loro interpretandoli. Non gli si può imputare, insomma, di non sapere che, laddove, come nel campo delle scienze umane, il soggetto e l’oggetto della ricerca coincidono, il rischio di trovare sempre ciò che si cerca è elevatissimo. Al tempo stesso, si rimane non poco meravigliati dal fatto che Freud, confrontandosi con una fobia infantile, dei dati disponibili ne utilizzi solo alcuni e ne rimuova altri che, a posteriori, appaiono molto più significativi. Portando avanti l’analisi della fobia del piccolo Hans, Freud peraltro si avvale della collaborazione dei suoi, che hanno piena fiducia in lui ma, con tutta evidenza, hanno assimilato le sue teorie prima ancora che insorgesse la fobia, ispirando ad esse l’educazione del figlio. La tipologia dei genitori à la page, cui appartengono i genitori di Hans, ancora fortemente rappresentata nel nostro mondo, è nata con l’avvento della borghesia, allorché si è definita per un verso l’esigenza di agevolare lo sviluppo della libera individualità e per un altro quella di opporre all'autoritarismo pedagogico repressivo preesistente un orientamento illuminato. Questa tipologia genitoriale, le cui buone intenzioni sono fuor di dubbio, è sempre temibile, perché lo sforzo che i soggetti fanno di stare al passo con i tempi comporta sempre una scissione tra i nuovi valori pedagogici che essi cercano di realizzare e quelli tradizionali interiorizzati. Appagato dalla fiducia che i genitori di Hans ripongono nelle sue teorie e dalla collaborazione (ahimè pedissequa) con cui partecipano al “trattamento”, Freud non coglie questa contraddizione. L’immagine della famiglia è del tutto ideale: “I suoi genitori erano entrambi tra i miei più fedeli seguaci ed erano d'accordo con me sulla necessità di non esercitare, nell'educazione del primogenito, che quel minimo di coercizione necessario perché mantenesse un buon comportamento. Il bimbo cresceva allegro, vivace e di buona indole, e l'esperimento, consistente nel lasciare che si evolvesse ed esprimesse senza intimidazioni, dimostrava di svolgersi in modo soddisfacente.” “I genitori descrivono il piccolo Hans come un bambino allegro e aperto, né poteva essere diverso, se si pensa che l'educazione impartitagli consisteva fondamentalmente nell'evitare i nostri abituali errori in questo campo.” Su questo sfondo, se Hans sviluppa la fobia di essere morso da un cavallo, che lo costringe ad immobilizzarsi in casa, è evidente per Freud che qualcosa di nevrotizzante è accaduto nel suo spazio intrapsichico, nel suo inconscio. In realtà, a ben vedere, i genitori di Hans, per quanto ben intenzionati, sono narcisisti, sessuofobi e terribilmente esigenti. Nell’intento di dimostrare, attraverso il figlio, il loro valore di educatori, lo sottopongono ad una pressione educativa piuttosto intensa, lo reprimono sessualmente e lo minacciano (sia pure benevolmente). E’ un merito indubbio di Freud quello di avere scoperto che i bambini non sono sessualmente ingenui. La loro curiosità esplorativa è funzionale, come accennato, ad indurre la consapevolezza del proprio corpo e delle sue funzioni e a promuovere un’identificazione sessuale. L’atteggiamento dei genitori di Hans, a riguardo, è tutt’altro che “illuminato” da parte della madre: “All'età di tre anni e mezzo, la madre lo scoperse con la mano sul pene e lo minacciò con queste parole: «Se lo fai ancora, mando a chiamare il dottor A. che ti tagli il pipino, e poi come farai a fare la pipì?». “Quel giorno stesso la madre gli aveva chiesto: «Ti tocchi il pipino?» e Hans aveva risposto: «Sì: tutte le sere a letto». Il giorno dopo, prima del sonno pomeridiano, è stato ammonito di non toccarsi il pipino. Al risveglio gli è stato chiesto se lo aveva fatto e lui ha risposto che se l'era toccato un po' lo stesso.” “Hans, quattro anni e tre mesi. Stamane, come al solito, la mamma ha fatto ad Hans il bagno quotidiano e poi lo ha asciugato e intalcato. Mentre lei gli stava mettendo il talco intorno al pene, badando a non toccarlo, Hans ha detto: «Perché non ci metti le dita sopra?». Madre: «Perché sarebbe da porcellini». Hans: «Che vuoi dire? Da porcellini? E perché?». Madre: «Perché non sta bene». Hans (ridendo): «Però è molto bello»” e del padre “A questo punto gli dissi: «Vedi: mi colpisce il fatto che tu non vuoi intendere che non si deve toccare un cavallo, ma che non bisogna toccarsi il pipino». Hans: «Ma un pipino non morde». Io: «E invece forse sì» “Il 13 marzo, al mattino, ho detto ad Hans: «Sappi che, se non ti metti più la mano sul pipino, la tua schiocchezza migliorerà ben presto». Hans: «Ma io non mi metto più la mano sul pipino». Io: «Però ne provi ancora la voglia». Hans: «Sì, ma desiderare non è fare e fare non è desiderare (!!)». Io: «Bene, ma per evitare che te ne venga la voglia, da stasera ti metteremo a dormire in un sacco».” In conseguenza di questi messaggi, non è sorprendente che Hans finisca con lo sviluppare un senso di colpa e, come riconosce Freud stesso, un complesso di castrazione: Hans: «Oh no. Va tanto male perché mi tocco ancora il pipino tutte le sere». Ai messaggi repressivi, occorre aggiungere, che, nonostante la volontà di essere à la page, i genitori di Hans gli ammanniscono, in occasione della nascita della sorellina, la storia della cicogna ed esitano anche successivamente a ragguagliarlo sull’anatomia degli adulti e su come nascono i bambini: “Alle cinque del mattino iniziò il travaglio e il letto di Hans venne portato nella stanza accanto, dove si svegliò alle sette. Udendo i gemiti della madre, chiese: «Perché mamma sta tossendo?». Poi, dopo una pausa: «Oggi arriva di certo la cicogna». Naturalmente negli ultimi giorni gli abbiamo detto più volte che la cicogna sta per portare una bambina o un bambino e lui ha, molto giustamente, messo in rapporto il suono inconsueto dei gemiti con l'arrivo della cicogna. Più tardi è stato condotto in cucina. Ha visto la borsa del dottore nell'ingresso e ha chiesto: «Che cos'è?». «Una borsa», gli è stato risposto, al che egli ha dichiarato con convinzione: «Oggi arriva la cicogna». Poi la levatrice, dopo che la bambina era nata, è venuta in cucina e Hans l'ha sentita chiedere del tè. Allora ha detto: «Lo so! Bisogna dare il tè a mamma perché ha la tosse». Subito dopo è stato chiamato in camera. Lui, però, non ha guardato la madre, ma le bacinelle e gli altri recipienti, pieni d'acqua mista a sangue, che erano ancora sparsi per la camera. Indicando la padella macchiata di sangue, ha osservato con sorpresa: «Ma dal mio pipino non esce sangue».” Hans (a tre anni): «Mamma, anche tu hai il pipino?». Madre: «Ma certo. Perché?». Hans: «Così. Ci stavo pensando». “Hans (età: tre anni e nove mesi): «Papà, anche tu hai un pipino?». Padre: «Sì, naturalmente». Hans: «Ma io non te l'ho mai visto quando ti spogli». Un'altra volta stava guardando attentamente la madre che si spogliava per andare a letto. «Che cosa stai fissando?», gli disse lei. Hans: «Cercavo solo di vedere se anche tu hai un pipino». Madre: «Naturalmente. Non lo sapevi?». Hans: «No. Pensavo che, siccome sei così grande, devi avere un pipino come quello di un cavallo». 2. Tutti questi dati, in sé e per sé, non confutano immediatamente la teoria edipica. Posto infatti che si dia nel bambino una pulsione orientata a possedere il genitore del sesso opposto e ad eliminare quello dello stesso sesso, nulla vieta di pensare che l’atteggiamento ambientale, più o meno repressivo, incide solo sull’intensità dei sensi di colpa derivanti dal desiderio incestuoso. Il problema è che si danno numerosi altri dati, trascurati da Freud , che possono consentire l’interpretazione della fobia senza fare ricorso all’Edipo. L’educazione di Hans non è solo sessuofobica, è anche perbenista, vale a dire ispirata dal desiderio di fare di lui un degno rappresentante di una famiglia borghese: “Lunedì 30 marzo, mattina. Hans è venuto da me e mi ha detto: «Lo sai? Stamattina ho pensato due cose!». «E qual è la prima?» «Ero con te a Schönbrunn, nel posto dove ci sono le pecore. Poi siamo passati sotto le corde e poi l'abbiamo detto alla guardia che sta in fondo al giardino e lei ci ha preso.» Aveva dimenticato la seconda cosa. Qui posso fare un commento. Domenica siamo andati per vedere le pecore, ma abbiamo trovato che una parte del giardino era sbarrata da una corda per cui non siamo potuti arrivare da esse. Hans era meravigliatissimo del fatto che una zona di giardino fosse chiusa da una semplice corda, dato che è facilissimo passarci sotto. Gli ho detto che le persone per bene non passano carponi sotto una corda. Lui ha detto che sarebbe stato proprio facile e io gli ho risposto che poteva anche arrivare la guardia e portarci via. All'ingresso di Schönbrunn c'è una guardia di servizio e una volta ho detto ad Hans che arresta i bambini cattivi. Al ritorno dalla nostra visita al suo ambulatorio, che è stata quel giorno stesso, Hans mi ha confessato un altro desiderio di compiere azioni vietate: «Sai, stamane ho pensato a un'altra cosa». «Cosa?» «Ero in treno con te e abbiamo rotto un finestrino e la guardia ci ha portati via.»” Il perbenismo comporta di solito reazioni repressive fuori misura dei genitori in occasione di comportamenti trasgressivi: “A questo punto il padre di Hans mi interruppe: «Ma perché pensi che io sia arrabbiato con te? Ti ho mai sgridato o picchiato?». Hans lo corresse: «Sì che mi hai picchiato!». «Ma non è vero; comunque, quando l'avrei fatto?» «Stamattina», rispose il bambino. Allora il padre si ricordò che quella mattina Hans gli aveva dato inaspettatamente una testata nello stomaco così che lui, di riflesso, lo aveva colpito con la mano. È degno di nota il fatto che il padre non aveva visto il nesso esistente tra questo episodio e la nevrosi.” Questo episodio non va sopravvalutato. Il padre di Hans, nel complesso, sembra avere un atteggiamento sostanzialmente comprensivo nei confronti del figlio, e di sicuro gli vuole bene. Il vero problema, in famiglia, è la madre, che, senza manifestare una chiara sintomatologia, ha le manifestazioni isteriche proprie delle donne borghesi dell’epoca. Essa, infatti, spesso si arrabbia, picchia e minaccia l’abbandono: Io (padre): «Ti piacerebbe picchiare i cavalli come mamma picchia Hanna? Anche questo ti piace, no?». H.: «I cavalli non sentono niente quando li picchiano». (Una volta gli ho detto così per mitigare la paura che provava nel veder frustare i cavalli.) «Una volta l'ho fatto davvero. Una volta avevo la frusta e ho frustato il cavallo e lui è caduto e faceva un putiferio coi piedi.» Io: «Chi è che vorresti davvero picchiare? Mamma, Hanna o me?». H.: «Mamma». Io: «Perché?». H.: «Così; mi piacerebbe picchiarla». Io: «Hai mai visto uno picchiare la sua mamma?». H. : «Non ho mai visto nessuno. Mai in vita mia». Io: «Eppure ti piacerebbe farlo? E con che lo faresti?». H.: «Col battipanni». (La madre lo minaccia spesso di picchiarlo col battipanni.) Il quadro comincia ad essere piuttosto completo. Basta, per convincersene, tenere conto di come Hans stesso riscostruisce la genesi della fobia: “H.: «Penso che i cavalli che tirano i furgoni pesanti debbano cadere». Io: «Allora non hai paura di un carro piccolo?». H.: «No. Un carro piccolo o il furgoncino della posta non mi fanno paura. Ma ho anche più paura quando viene l'omnibus». lo: «Perché? Per la sua grandezza?». H.: «No. Perché una volta il cavallo di un omnibus è caduto». Io: «Quando?». H.: «Una volta che uscii con mamma nonostante la mia sciocchezza e comprai il gilè». (Il fatto è stato poi confermato dalla madre.) Io: «Cosa hai pensato quando il cavallo è caduto?». H.: «Che sarà sempre così. Che tutti i cavalli degli omnibus cadranno». Io.: «In tutti gli omnibus?». H.: «Sì, e anche col furgone dei mobili. Ma non tanto spesso col furgone dei mobili». Io.: «Allora avevi già la "sciocchezza"?». H.: «No. Mi è venuta allora. Quando il cavallo è caduto, mi ha fatto veramente tanta paura! E allora che mi è venuta la sciocchezza». Io; «Però la sciocchezza era che credevi che il cavallo ti volesse mordere. Ora, invece, dici che avevi paura che cadesse». H; «Cadere e mordere» . Io; «Perché ti ha fatto tanta paura?». H; «Perché il cavallo faceva così coi piedi» (si è steso per terra e mi ha mostrato come scalciava il cavallo). «Mi sono spaventato perché faceva un putiferio coi piedi.» Hans deve soddisfare le aspettative narcisistiche e vagamente perfezionistiche dei genitori, che desiderano un bambino modello, e, per ciò, vive sotto la minaccia, che proviene soprattutto dalla madre, di essere punito. E’ insomma un bambino sotto pressione, e quindi intimamente arrabbiato. Per effetto di quella pressione, infatti, egli teme di crollare e, di fatto, avvertendola, si concede comportamenti e fantasie trasgressive, ma soprattutto scalcia, fa “il putiferio con i piedi” quando perde il controllo. La pressione esercitata dai genitori è aumentata con l’avvento della fobia, e si è tradotta in una sorta di inquisizione permanente che lo esaspera. Certo, i genitori gli vogliono bene, ma la loro ansia di aiutarlo a superare il malessere fobico non è immune dalla ferita che esso porta al loro narcisismo. L’esasperazione di Hans è inequivocabilmente comprovato dalla fantasia di imbracciare un fucile e ammazzare la gente. E’ dunque lui stesso il cavallo attaccato al carro che crolla. Il cavallo che morde è l’espressione proiettiva del Super-io che lo fa sentire in colpa: il temuto morso del cavallo è semplicemente l’espressione del rimorso, perché Hans è autenticamente legato ai genitori e non è in grado di capire che la sua ambivalenza fa riferimento a quanto di fatto in loro si dà di contraddittorio. 3. Correggere gli eccessi interpretativi di Freud non è difficile utilizzando i dati che egli stesso fornisce. Tali eccessi sono dovuti non tanto e non solo ad una concezione pulsionale della natura umana, che si esaspererà all’epoca della definizione dell’istinto di morte, ma soprattutto ad un difetto di sensibilità storico-sociale. Freud assume la famiglia borghese come un’istituzione metastorica, ignora del tutto il processo di nuclearizzazione da cui essa si è originata, e le pesanti ricadute che esso ha avuto soprattutto sulla donna che, separata dalla comunità si è trovata immersa in una situazione sostanzialmente nevrotizzante. Ignora anche che la famiglia borghese si è fatta carico del compito istituzionale di produrre cittadini civilizzati, vale a dire capaci di contenere e controllare le loro “pulsioni”, e che, nel realizzare tale compito, essa corre il rischio di rendere selvagge le spinte verso l’individuazione. Il piccolo Hans è tanto poco edipico che egli sviluppa precocemente violente passioni amorose nei confronti di numerose bambine, anche di età maggiore alla sua: “Il padre ci fornisce informazioni particolareggiate sulle relazioni amorose di Hans, dalle quali possiamo intuire l'esistenza di una «scelta dell'oggetto», proprio come nell'adulto, oltre che, bisogna ammetterlo, di una grandissima circostanza e di una certa tendenza alla poligamia. Durante l'inverno condussi Hans (tre anni e nove mesi) alla pista di pattinaggio e lo presentai alle due figliole del mio amico N., che avevano circa dieci anni. Hans si mise a sedere accanto a loro. Queste, col sussiego della loro età matura, guardavano il fantolino dall'alto in basso, con una buona dose di disprezzo, mentre Hans le fissava con ammirazione, il che faceva ben poca impressione su di loro. Con tutto ciò Hans dopo quel giorno le chiamava sempre «le mie ragazzine». «Dove sono le mie ragazzine? Quando vengono le mie ragazzine?», e, per qualche settimana, mi tormentava di continuo con la domanda: «Quand'è che vado alla pista a vedere le mie ragazzine?». Hans, che ora aveva quattro anni, riceveva le visite di un cuginetto di cinque anni. Hans lo abbracciava sempre e una volta, durante tale manifestazione di tenerezza, gli disse: «Ti voglio tanto bene». Questo è il primo segno di omosessualità che abbiamo osservato, ma non è affatto l'ultimo. Il piccolo Hans sembra proprio il paradigma di tutti i vizi. Quando Hans aveva quattro anni noi traslocammo. Una porta della cucina si apriva su un balcone dal quale si poteva vedere dentro un appartamento dall'altra parte del cortile. Hans si accorse che in quell'appartamento c'era una bambina di sette od otto anni. Allora si metteva a sedere sul gradino per ammirarla e ci rimaneva per diverse ore. Particolarmente alle quattro, ora in cui la ragazzina tornava da scuola, era impossibile trattenere Hans in camera e per nulla al mondo avrebbe lasciato il suo posto di osservazione. Una volta la ragazzina non comparve alla finestra alla solita ora e Hans entrò in agitazione. Prese a tempestare di domande le nostre domestiche: «Quando viene?», «Dov'è?» ecc. Quando finalmente comparve, lui ne fu estasiato e non staccò più gli occhi dall'appartamento dirimpetto. La violenza con cui questo «amore a distanza» si era impadronito di lui dipendeva dal fatto di non avere compagni di gioco né d'un sesso né dell'altro. Una parte del normale sviluppo del bambino è rappresentata dal tempo passato a giocare con i coetanei. Hans godette di questa compagnia qualche tempo dopo (all'età di quattro anni e mezzo), quando ci recammo a Gmunden per le vacanze estive. In casa nostra i suoi compagni di gioco erano i figli del proprietario: Franzl (di circa dodici anni), Fritzl (otto), Olga (sette) e Berta (cinque). C'erano inoltre i figli del vicino: Anna (dieci anni) e altre due ragazzette di nove e sette anni delle quali ho dimenticato il nome. Il favorito di Hans era Fritzl; spesso lo abbracciava dichiarandogli il suo amore. Una volta gli domandammo: «Quale bambina preferisci?» e lui rispose: «Fritzl». Ma, nello stesso tempo, trattava le bambine nel modo più aggressivo, mascolino e violento, abbracciandole e baciandole con passione, fatto che, particolarmente in Berta, non incontrava alcuna resistenza. Una sera, mentre Berta usciva dalla sua stanza, Hans le gettò le braccia al collo e le disse con la più grande tenerezza: «Quanto sei cara, Berta!». Comunque questo non gli impediva di baciare anche gli altri, manifestando loro il suo amore. Era innamorato anche di Mariedl, l'altra figlia, quattordicenne, del padrone di casa, che soleva giocare con lui. Una sera, mentre stava andando a letto, disse: «Voglio che Mariedl, venga a dormire con me». Quando allora gli fu detto che questo non stava bene, rispose: «Allora Mariedl andrà a dormire con mamma o con papà». Gli dicemmo che neanche questo andava bene, che Mariedl doveva dormire con i suoi genitori. Ne scaturì il seguente colloquio: Hans: «Allora io vado da basso a dormire con Mariedl». Mamma: «Vuoi davvero lasciare mamma e andartene a dormire al piano di sotto?». H.: «Be', tornerò su al mattino per far colazione e i bisognini». M. : «Se davvero vuoi andar via da papà e mamma, prendi la giacca e i calzoncini e ciao!». Hans prese davvero i vestiti e si avviò alle scale per andare a dormire con Mariedl, ma è superfluo osservare che fu riportato indietro. Naturalmente, dietro al desiderio «voglio che Mariedl dorma con noi» se ne nasconde un altro: «voglio che Mariedl» (la cui compagnia gli era tanto gradita), «entri a far parte della nostra famiglia». Però i genitori di Hans avevano l'abitudine di prenderlo a letto con loro, sia pure solo occasionalmente, e sicuramente il fatto di star disteso accanto a loro aveva suscitato in lui delle sensazioni erotiche, per cui anche il desiderio di dormire con Mariedl aveva un significato erotico. Lo stare a letto col padre o la madre rappresentava per Hans, come per qualsiasi altro bambino, una fonte di sensazioni erotiche. Nonostante gli accessi di omosessualità Hans si è comportato da vero uomo davanti alla sfida materna. Anche nel seguente esempio Hans disse alla madre: «Sai, mi piacerebbe tanto dormire con la bambina». È un episodio che ci ha divertiti moltissimo perché Hans si è comportato proprio come un adulto innamorato. Da qualche giorno una bella bambina di otto anni circa veniva nel nostro ristorante dove consumavamo i pasti. Naturalmente Hans se ne innamorò di colpo. Si rigirava continuamente sulla sedia lanciandole sguardi furtivi. Appena finito di mangiare, si andava a mettere vicino a lei, cercando di farle un po' di corte, ma se si accorgeva di essere osservato diventava tutto rosso. Se la ragazzina rispondeva alle sue occhiate, lui guardava da un'altra parte con vergogna. Questo comportamento era ovviamente un grande spasso per tutti quelli che mangiavano in quel ristorante. Ogni giorno, mentre andavamo a mangiare, domandava: «Credete che oggi ci sarà quella bambina?», e quando lei arrivava finalmente, lui arrossiva come farebbe una persona grande nella stessa situazione. Un giorno venne da me tutto giulivo e mi bisbigliò all'orecchio: «Papà, so dove abita la bambina. L'ho vista salire le scale nel tal posto». Mentre trattava con aggressività le bambine di casa, in quest'altra faccenda sosteneva la parte di un languido ammiratore platonico. Questo dipendeva forse dal fatto che le ragazzine di casa erano contadinelle, mentre l'altra era una signorinetta di classe. Come ho già detto una volta, affermava che gli sarebbe piaciuto dormire con lei. Non volevo che Hans seguitasse a vivere in quello stato di sconvolgimento provocato dalla passione per la bambina; perciò feci in modo che si conoscessero e la invitai a fargli visita dopo il riposo pomeridiano. Hans era talmente eccitato all'idea di ricevere quella visita che, per la prima volta, non riuscì a prendere sonno e rimase a rivoltarsi senza posa nel letto. Quando la madre gli chiese: «Perché non dormi, pensi alla bambina?», rispose: «Sì», con gli occhi brillanti di felicità. Quando era tornato a casa dal ristorante aveva detto a tutti in casa: «Sapete, oggi viene a farmi visita la mia bambina». Mariedl, la ragazza di quattordici 'Mini, riferì che Hans le aveva chiesto ripetutamente: «Dimmi, credi che sarà carina con me? Credi che mi bacerà se io la bacio?», ecc.” Nonostante tutto ciò, Freud non riesce a comprendere che se l’erotismo investe inesorabilmente all’origine le figure genitoriali, il ruolo evolutivo della sessualità, che risulta chiaro a livello di adolescenza, è di produrre lo scioglimento dei legami di dipendenza in virtù dei quali il bambino si lascia “sedurre” dai genitori e spesso è “oggetto” di una vera e propria seduzione. La sessualità, insomma, è una spinta motivazionale verso l’individuazione, che comporta il confluire dell’eros nel canale di un’affettività adulta. Se essa rimane intrappolata nell’originaria cattura seduttiva operata dalle figure genitoriali, ciò dipende meno dalla potenza dell’Edipo che dalle inconsce fantasie genitoriali di possesso nei confronti dei figli. La storia del piccolo Hans non è affatto una prova evidente della teoria edipica, ma piuttosto della complessità del rapporto tra genitori e figli e della possibilità che l’ambivalenza che li caratterizza vada incontro ad una scissione, per quanto riguarda il figlio, l’ambivalenza, nella misura in cui comporta un sentimento di avversione anche immotivato, è una conseguenza del bisogno di individuazione. In sua assenza, l’ipnosi infantile non riuscirebbe mai a sciogliersi del tutto.
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