Delirio e sogni nella «Gradiva» di Jensen1907 |
1. Quanti erano convinti che l'autore avesse risolto gli enigmi fondamentali del sogno, si sono un giorno incuriositi dinanzi al problema della categoria di sogni che non sono mai stati sognati, di quei sogni, cioè, creati da poeti e da loro attribuiti a personaggi inventati nel corso di una storia. L'idea di sottoporre a indagine questa categoria di sogni potrebbe sembrare oziosa e strana impresa, ma da un certo punto di vista anche giustificabile. Non è affatto una opinione diffusa che il sogno abbia significato e possa essere interpretato. La scienza e la maggior parte delle persone colte sorridono se gli si pone il compito di interpretare un sogno. Solo il popolo, avvinghiato alle superstizioni e persistendo nelle credenze tramandate dall'antichità, non si tira indietro dal dare un'interpretazione ai sogni. L'autore del L'Interpretazione dei Sogni ha osato, nonostante i rimproveri della scienza più rigida, diventare un partigiano dell'antichità e della superstizione. È vero che egli è ben lontano dal ritenere che i sogni predicano il futuro, per la cui rivelazione gli uomini hanno lottato invano da tempo immemorabile con tutti i mezzi proibiti. Ma egli non è neanche riuscito a respingere completamente il rapporto esistente tra sogno e futuro. Infatti il sogno, quando è stato portato a termine il laborioso lavoro di analisi, gli si è rivelato come un desiderio del sognatore realizzato; e chi potrebbe negare che i desideri sono prevalentemente rivolti al futuro? Ho già detto che i sogni sono desideri realizzati. Chi non ha Paura di farsi strada attraverso un libro astruso e non è dell'opinione che un problema complicato gli debba esser presentato come facile e semplice perché gli sia risparmiata fatica, a prezzo della buona fede e della verità, può trovare la dimostrazione particolareggiata di questa tesi nell'opera che ho menzionato; nel frattempo può mettere da parte le obiezioni che certamente gli verranno in mente contro la possibilità d'una identificazione tra sogni e realizzazioni di desideri. Ma siamo andati troppo lontano. Non si tratta ancora di stabilire se il significato di un sogno si possa sempre spiegare come un desiderio realizzato, o se non possa essere altrettanto spesso una aspettativa ansiosa, un'intenzione, una riflessione e così via. Il problema invece che si pone per primo è quello di stabilire se i sogni abbiano in genere un significato e se si debbano considerare dei fatti psichici. La scienza risponde di no e spiega il sogno come un processo meramente fisiologico, nel quale di conseguenza non è necessario cercare un senso, un significato, uno scopo. Essa sostiene che gli stimoli somatici agiscono sullo strumento mentale durante il sonno e portano così alla coscienza ora un'idea ora un'altra, prive di qualsiasi contenuto psichico: i sogni si possono paragonare solo a delle contrazioni e non a movimenti espressivi della mente. Ora, in questa disputa sulla valutazione dei sogni, sembra che i poeti e gli scrittori siano dalla stessa parte degli antichi, del pubblico superstizioso e dell'autore de L'Interpretazione dei Sogni. Infatti quando uno scrittore crea i caratteri secondo il suo sogno di fantasia, egli segue l'esperienza quotidiana per cui i pensieri ed i sentimenti della gente continuano nel sogno, e non ha altro scopo che quello di raffigurare gli stati d'animo dei suoi eroi attraverso i loro sogni. I poeti sono dei preziosi alleati e la loro testimonianza deve essere altamente stimata, poiché essi sono in grado di conoscere una gran quantità di cose tra il cielo e la terra, di cui la nostra scienza neppure sospetta. Nella loro conoscenza della mente sono molto più avanti di noi gente comune, poiché attingono da fonti che non sono ancora state aperte alla scienza. Fosse meno ambiguo questo contributo degli scrittori a favore della presenza di un significato nei sogni! Da una posizione rigorosamente critica si potrebbe obiettare che gli scrittori non sono né favorevoli né contrari a particolari sogni con significato psicologico; essi si accontentano di mostrare che la psiche addormentata si contrae sotto le eccitazioni rimaste attive in essa come propaggini della veglia. Ma neanche questo savio pensiero estingue il nostro interesse sulla maniera in cui gli scrittori si servono dei sogni. Anche se questa ricerca non ci insegnerà nulla di nuovo sulla natura dei sogni, ci permetterà forse di indagare un poco da questa posizione sulla natura della composizione poetica. Già i sogni reali sono considerati delle strutture senza freni e senza regole, ed ora ci troviamo di fronte a delle libere imitazioni poetiche di tali sogni! Tuttavia c'è molto meno libertà ed arbitrarietà nella vita psichica di quanto siamo propensi a credere, forse non ce n'è affatto. Ciò che chiamiamo caso nel mondo esterno può, come è noto, risolversi in leggi; così anche ciò che chiamiamo arbitrarietà nella mente si basa su leggi che solo ora cominciamo oscuramente a sospettare. Vediamo dunque che cosa siamo in grado di scoprire! Si potrebbero adottare due metodi per questa ricerca. Approfondire un caso particolare, cioè i sogni creati da uno scrittore in una sua opera, oppure riunire e contrapporre tutti gli esempi reperibili di utilizzazione di sogni nelle opere di vari scrittori. Il secondo metodo sembrerebbe di gran lunga il più efficace e forse l'unico giustificabile, poiché ci eliminerebbe immediatamente difficoltà coinvolte nell'adottare il concetto artificioso di «scrittore» come classe. Esaminando questa classe, troviamo infatti singoli scrittori di valore molto diverso l'uno dall'altro, tra cui alcuni che siamo soliti stimare come i più profondi osservatori della psiche umana. Pur ammettendo questo, le pagine che seguono saranno dedicate ad una ricerca della prima specie. Nel gruppo di persone tra le quali sorse per la prima volta l'idea, una osservò che nell'ultimo romanzo appassionante che aveva avuto occasione di leggere, c'erano non pochi sogni che sembrava avessero un aspetto familiare e volessero quasi invitarlo a tentare con loro il metodo de L'Interpretazione dei Sogni. Questi confessò che l'argomento della storia e la scena in cui era collocato, dovevano senza dubbio aver svolto un ruolo fondamentale nel procurargli piacere. La storia infatti era situata nella cornice di Pompei e trattava di un giovane archeologo che aveva rinunciato al suo interesse per la vita in cambio dell'interesse per i resti dell'antichità classica, e che veniva ora riportato alla vita reale attraverso una strada tortuosa, strana ma perfettamente logica. Durante il trattamento di questo materiale genuinamente poetico, il lettore era stato agitato da moltissimi pensieri armonizzati o simili ad esso. Il lavoro era un racconto di Wilhelm Jensen — Gradiva — che lo stesso autore ha definito una «fantasia pompeiana». Ed ora devo chiedere ai miei lettori di mettere da parte questo piccolo saggio e dedicare invece un po' di tempo a familiarizzarsi con Gradiva, che fu pubblicato la prima volta nel 1903, in modo che sia loro noto ciò a cui mi riferirò nelle pagine seguenti. Per coloro che hanno già letto Gradiva, richiamerò in un breve sunto le parti essenziali della storia e farò affidamento sulla loro memoria per restituirle tutto il fascino di cui la priverà questo trattamento. Un giovane archeologo, Norbert Hanold, aveva scoperto in un museo di antichità a Roma un rilievo che lo aveva profondamente attratto, ed era stato immensamente felice di ottenerne un calco eccellente di gesso da poter osservare a bell'agio appeso nel suo studio in una città universitaria tedesca. La scultura rappresentava una ragazza ben formata nell'atto di camminare con il vestito leggermente svolazzante in modo da scoprire i piedi calzati nei sandali. Un piede poggiava completamente per terra, l'altro, sollevato nell'atto di seguire il primo, toccava il suolo solo con le punte delle dita, mentre la suola e il tacco si ergevano quasi perpendicolarmente. Fu probabilmente l'andatura insolita e particolarmente affascinante che richiamò l'attenzione dello scultore e che ancora, dopo tanti secoli, attirava lo sguardo dell'ammirato archeologo. L'interesse dell'eroe della storia per il rilievo è il fatto psicologico fondamentale della narrazione. Esso non fu immediatamente comprensibile. «Il dr. Norbert Hanold, professore di archeologia, non trovava in realtà nel rilievo qualcosa che richiamasse particolarmente attenzione dal punto di vista della sua branca di scienza» [3]2. «Egli non riusciva a spiegarsi che cosa avesse attirato la sua attenzione. Sapeva solo che era stato attratto da qualcosa e che da allora l'effetto era continuato inalterato.» Ma la sua fantasia si occupava ininterrottamente della scultura. Egli vi trovava qualcosa di attuale, come se l'artista avesse avuto una visione per la strada e l'avesse catturata «dalla vita». Allora dette alla ragazza, raffigurata mentre camminava, il nome di Gradiva, «la ragazza che cammina». Fantasticò una storia per cui la ragazza doveva appartenere ad una famiglia aristocratica, forse «di un edile patrizio, che svolgeva il suo lavoro al servizio di Ceres», e che ella stava incamminandosi verso il tempio della dea. Poi gli risultò difficile inserirne la calma, tranquilla natura nella vita indaffarata di una capitale. Si convinse piuttosto di doverla trasferire a Pompei e che lì da qualche parte ella stava attraversando le strane pietre da guado che sono state ritrovate, e che permettevano di attraversare la strada da un lato all'altro senza bagnarsi i piedi quando pioveva, pur essendo fatte in modo che anche le ruote dei carri potessero passare tra di esse. I suoi lineamenti gli sembravano di tipo greco ed egli non dubitava che fosse di origine ellenica. A poco a poco egli trasferì tutte le sue conoscenze archeologiche al servizio di queste e di altre fantasie connesse all'originale che aveva fatto da modella per il rilievo. Ma ora egli si trovava a dover affrontare un problema apparentemente scientifico, che richiedeva una soluzione. Si trattava di arrivare ad un giudizio critico, cioè di stabilire «se l'andatura di Gradiva mentre camminava, fosse stata riprodotta dalla realtà». Per conto suo egli non riusciva ad imitarla e, alla ricerca della «realtà» di questa andatura, fu spinto «a fare osservazioni personali sulla vita per chiarire la faccenda» [9]. Ciò tuttavia lo indusse ad un tipo di comportamento che gli era del tutto estraneo. «Fino ad allora il sesso femminile per lui non era stato altro che il concetto di qualcosa fatta di marmo o di bronzo, ed egli non aveva mai prestato la minima attenzione alle sue rappresentanti contemporanee.» I doveri sociali erano sempre stati per lui un fastidio inevitabile; egli vedeva e ascoltava così poco le donne che incontrava in società, che imbattendosi in loro successivamente passava oltre senza un cenno; e questo naturalmente non produceva su costoro una impressione favorevole. Ora, tuttavia, il compito scientifico che aveva intrapreso, lo costringeva, quando il tempo era bello, ma soprattutto quando pioveva, a guardare con attenzione per la strada i piedi delle donne e delle ragazze — attività che gli procurò sguardi a volte adirati, a volte incoraggianti, da parte di quelle che si trovavano sotto la sua osservazione; «ma egli non si accorgeva né degli uni né degli altri» [10]. Questi attenti studi lo costrinsero a concludere che l'andatura di Gradiva non era reperibile nella realtà, e ciò lo riempì di rimpianto e delusione. Subito dopo egli fece un sogno terrificante, in cui si trovava nell'antica Pompei il giorno dell'eruzione del Vesuvio ed era presente alla distruzione della città. «Mentre si trovava all'estremità del Foro accanto al tempio di Giove, vide improvvisamente Gradiva non molto distante da lui. Fino a quel momento egli non aveva pensato affatto alla sua presenza, ma ora gli veniva in mente improvvisamente e come se fosse un qualcosa di naturale, che, poiché era di Pompei, viveva nella sua città natale e, senza che lui l'avesse sospettato, viveva come sua contemporanea» [12]. Il terrore del destino che l'attendeva lo spinse ad emettere un grido di avvertimento cosicché la figura, che camminava tranquillamente, volse il viso verso di lui. Ma poi proseguì imperturbabile il suo cammino, fino a raggiungere il portico del tempio; lì si sedette su una pietra e lentamente chinò la testa, mentre il viso diventava sempre più pallido, come se si stesse mutando in marmo. Quando egli si affrettò presso di lei, la trovò distesa sull'ampia pietra con un'espressione tranquilla, come una persona addormentata, finché la pioggia di ceneri la seppellì. Quando si svegliò, gli sembrava che riecheggiassero ancora nelle sue orecchie le grida confuse degli abitanti di Pompei che chiedevano aiuto, e il sordo brontolio dei frangenti nel mare agitato. Ma anche dopo che ebbe riflettuto e riconosciuto i suoni come i segni del risveglio della vita rumorosa di una grande città, continuò per molto tempo a credere nella realtà di ciò che aveva sognato. Più tardi si liberò dell'idea d'essere stato presente alla distruzione di Pompei quasi duemila anni prima, ma gli restò purtuttavia la convinzione che Gradiva era vissuta a Pompei ed era stata sepolta lì con gli altri nel 79 d.C Il risultato del sogno fu che ora per la prima volta egli piangeva Gradiva nelle sue fantasie come una persona perduta. Mentre era affacciato alla finestra, immerso in questi pensieri, la sua attenzione fu richiamata da un canarino che gorgheggiava la sua canzone da una gabbia nella finestra aperta della casa di fronte. Improvvisamente il giovane, che sembrava non essersi ancora risvegliato completamente dal sogno fu pervaso da una scossa. Egli pensò di vedere per la strada una figura simile a Gradiva e pensò perfino di riconoscere la sua caratteristica andatura. Senza pensare, si affrettò per la strada, come per raggiungerla; solo le risate e lo scherno dei passanti per il suo abbigliamento mattutino, lo fecero tornare rapidamente a casa. Di nuovo nella sua stanza, fu attirato ancora una volta dal canto del canarino in gabbia, che gli suggerì un parallelo con se stesso. Gli sembrava di essere in gabbia, per quanto fosse per lui più facile fuggire. Forse in conseguenza del sogno e forse anche sotto l'influsso della dolce aria primaverile, cominciò a delinearsi in lui la decisione di fare un viaggio in Italia in primavera. A tal riguardo si presentò presto un pretesto scientifico, anche se «l'impulso a fare questo viaggio era sorto da un sentimento che egli non riusciva a definire» [24]. Lasciamo per un momento da parte questo viaggio, organizzato per motivi così poco convincenti, ed esaminiamo più attentamente la personalità ed il comportamento del nostro eroe. Egli ci appare ancora incomprensibile e sciocco; non abbiamo idea di come si possa collegare la sua strana follia a sentimenti umani, destando così la nostra possibilità di comprendere. È privilegio dell'autore poterci lasciare in tale stato di incertezza. Il fascino del linguaggio e l'ingegnosità delle idee ci compensano provvisoriamente della fiducia che abbiamo in lui e della simpatia non ancora meritata che siamo pronti a sentire per il suo eroe. Di questo eroe veniamo più tardi a conoscenza che era predestinato dalla tradizione familiare a diventare un archeologo, che nell'isolamento e indipendenza successivi era stato completamente preso dai suoi studi e si era del tutto estraniato dalla vita e dai piaceri. Solo il marmo e il bronzo erano veramente vivi per lui, essi soli esprimevano lo scopo ed il valore della vita umana. Ma la natura, forse a scopo benevolo, aveva infuso nel suo sangue un correttivo assolutamente non scientifico: una fantasia estremamente vivace, che si rivelava non solo nei suoi sogni, ma spesso anche nella veglia. Questa frattura tra fantasia e intelletto ne doveva fare necessariamente un artista o un nevrotico: era una di quelle persone comunque il cui regno non è su questa terra. Questo spiega come mai si fosse interessato di un bassorilievo raffigurante una ragazza che cammina in un modo strano, avesse intessuto intorno a lei le sue fantasie, avesse immaginato il suo nome e la sua origine e collocato l'immagine che aveva creato nella Pompei sepolta più di mille ottocento anni prima. Infine, dopo uno strano sogno di angoscia, la fantasia sull'esistenza e morte di questa ragazza di nome Gradiva si mutò in un delirio, che doveva influenzare le sue azioni. Questi prodotti della fantasia ci sembrerebbero stupefacenti e inspiegabili se li riscontrassimo nella vita reale. Poiché il nostro eroe, Norbert Hanold, è un personaggio immaginario, possiamo forse porre una timida domanda al suo creatore, e chiedergli se la sua fantasia fosse stata determinata da altre forze, estranee alla sua scelta arbitraria. Avevamo lasciato il nostro eroe al momento in cui la canzone di un canarino lo induceva apparentemente a decidere di fare un viaggio in Italia, viaggio il cui scopo non gli era evidentemente chiaro. Apprendiamo in seguito che egli non aveva un piano prefissato o uno scopo di viaggio. Un'intima irrequietudine e insoddisfazione lo spinse da Roma a Napoli e poi ancora più giù. Egli si trovò nello sciame di coppie in luna di miele e fu costretto ad osservare le coppie innamorate di «Augusto» e «Greta», ma fu del tutto incapace di comprendere il loro riprovevole contegno. Giunse alla conclusione che fra tutte le follie dell'umanità «la prima, la più grande e la più incomprensibile è quella di sposarsi, e che gli assurdi viaggi di nozze in Italia sono il tocco finale di questa follia» [27]. Essendo stato disturbato nel sonno dalla vicinanza di una coppia di amanti a Roma, egli fuggì velocemente a Napoli, solo per trovarvi altri «Augusto» e «Greta». Avendo dedotto dalle loro conversazioni che la maggioranza di queste coppie di uccellini non aveva intenzione di fare il nido tra le rovine di Pompei, ma volava verso Capri, decise che avrebbe fatto ciò che essi non facevano, e solo pochi giorni dopo la sua partenza si trovò «contrariamente alle sue aspettative ed alle sue intenzioni» a Pompei. Ma non trovò lì la pace che cercava. Il ruolo svolto fino allora dalle coppie in luna di miele, che avevano turbato il suo stato d'animo e molestato i suoi pensieri, veniva ora assunto dalle mosche, che egli era propenso a considerare l'incarnazione di tutto ciò che è assolutamente inutile e malvagio. Le due specie di spiriti molestatori si fusero in un'unità: alcune delle coppie di mosche gli ricordavano gli sposi in luna di miele, ed egli sospettava che anch'esse si rivolgessero l'una all'altra nel loro linguaggio con un «carissimo Augusto» e «cara Greta». Alla fine non potè non accorgersi che «la sua insoddisfazione non dipendeva solo da ciò che lo circondava, ma nasceva in parte dentro di sé» [42]. Sentiva che «era scontento perché gli mancava qualcosa, ma non sapeva bene cosa». La mattina successiva entrò per l'ingresso di Pompei e, dopo essersi liberato della guida, passeggiò senza meta per la città ma non ricordò, fatto strano, di aver assistito alla sua distruzione solo poco tempo prima in sogno. Quando più tardi nell'ora «calda e sacra» di mezzogiorno, che gli antichi consideravano l'ora degli spiriti, gli altri visitatori si furono dileguati ed i cumuli di rovine si stendevano davanti a lui desolati e avvolti dalla luce del sole, egli scoprì che era capace di riportare se stesso nella vita che era stata sepolta — ma non con l'aiuto della scienza. «Ciò che insegnava era un modo archeologico, senza vita, di vedere le cose, e ciò che veniva dalla sua bocca era un linguaggio morto, filologico. Ciò non serviva in nessun modo a comprendere l'anima, i sentimenti, il cuore — o come volete si chiamino. Chi avesse tale desiderio, deve stare qui da solo, unica creatura vivente, nel silenzio caldo di mezzogiorno, tra le reliquie del passato, e guardare, ma non con occhi corporei, e ascoltare, ma non con orecchie fisiche. E allora... i morti si destarono e Pompei cominciò a vivere ancora una volta» [55]. Mentre animava così il passato con la sua fantasia, vide improvvisamente l'inconfondibile Gradiva del suo rilievo uscire da una casa e camminare agilmente sulle pietre di lava per attraversare la strada, proprio come l'aveva vista fare nel sogno quella notte, quando si era distesa come per dormire sui gradini del tempio di Apollo. «E per la prima volta arrivò alla sua coscienza qualcos'altro insieme al ricordo: senza essere consapevole dell'impulso che era dentro di lui, era venuto in Italia ed aveva viaggiato fino a Pompei, senza fermarsi a Roma o a Napoli, per vedere se poteva trovare una qualche traccia di lei. E "tracce" letteralmente, poiché con la sua andatura caratteristica doveva aver lasciato dietro di sé l'impronta diversa e tipica della punta dei piedi» [38]. A questo punto la tensione in cui ci ha tenuto finora l'autore si tramuta per un momento in un doloroso senso di stupore. Evidentemente non è solo il nostro eroe a perdere l'equilibrio; anche noi abbiamo perso l'orientamento di fronte all'apparizione di Gradiva, che prima era una immagine di marmo e poi una figura immaginaria. È un'allucinazione del nostro eroe, sviato dai suoi deliri? È un fantasma «reale»? O una persona vivente? Non che sia per noi necessario credere nei fantasmi, nel momento in cui compiliamo questo sommario. L'autore, che ha definito «fantasia» la sua storia, non ha ancora avuto occasione di informarci se intenda lasciarci nel nostro mondo, che si distingue nel suo essere prosaico e governato dalle leggi della scienza, o se desideri trasportarci in un mondo diverso e immaginario, dove gli spiriti ed i fantasmi sono reali. Da quanto ci hanno fatto conoscere gli esempi di Amleto e Mochetti, siamo pronti a seguirlo lì senza alcuna esitazione. In tal caso il delirio fantastico dell'archeologo si sarebbe dovuto misurare con un altro metro. Anzi, se pensiamo a quanto sia improbabile trovare una persona reale perfettamente somigliante ad una scultura antica, il nostro elenco di alternative si riduce a due: un'allucinazione o un fantasma di mezzogiorno. Un piccolo dettaglio del racconto elimina subito la prima possibilità. Una grande lucertola giaceva immobile, distesa al sole, ma scappò all'avvicinarsi del piede di Gradiva sfrecciando via attraverso le pietre di lava. Quindi non era un'allucinazione, ma qualcosa di esterno alla mente del sognatore. Ma poteva la realtà di una rediviva mettere in fuga una lucertola? Gradiva scomparve di fronte alla casa di Meleagro. Non ci sorprenderà sapere che Norbert Hanold persistette nel suo delirio che Pompei aveva ripreso vita intorno a lui a mezzogiorno, nell'ora degli spiriti, e che anche Gradiva era tornata in vita ed era entrata nella casa in cui aveva abitato prima del fatale giorno di agosto del 79 d.C. Delle ingegnose speculazioni sulla personalità del proprietario (dal quale aveva probabilmente preso il nome la casa) e sul suo rapporto con Gradiva gli balenarono nella mente a dimostrargli che ormai la sua scienza era completamente al servizio della sua fantasia. Egli entrò nella casa e improvvisamente ritrovò l'apparizione seduta su dei bassi gradini tra due colonne gialle. «C'era qualcosa di bianco disteso sulle sue ginocchia; egli non poteva scorgere chiaramente cosa fosse; sembrava un foglio di papiro...» Sulla base delle ultime teorie che aveva formulato sulla sua origine, le si rivolse in greco ed attese con trepidazione di sapere se, nella sua apparenza illusoria, essa possedesse anche la facoltà di parlare. Poiché non rispondeva, le parlò invece in latino. Allora, con un sorriso sulle labbra: «Se vuoi parlare con me», disse, «devi parlare in tedesco». Quale umiliazione per noi lettori! Quindi l'autore si è burlato di noi e con l'aiuto, quasi, di un raggio del sole pompeiano, ci ha attirato in un delirio di modeste proporzioni, così che saremo costretti ad emettere un giudizio più mite nei confronti del povero disgraziato sul quale realmente splendeva il sole di mezzogiorno. Ora, tuttavia, guariti della nostra breve confusione, sappiamo che Gradiva era una ragazza tedesca in carne e ossa — soluzione che eravamo propensi a respingere come la meno probabile. Per cui, con un tranquillo senso di superiorità, possiamo aspettare di apprendere quale fosse il rapporto tra la ragazza e la sua immagine di marmo e in che modo il nostro giovane archeologo arrivò alle fantasie che avevano fatto leva sulla personalità reale di lei. Ma il nostro eroe non fu strappato altrettanto rapidamente al suo delirio, poiché, come ci dice l'autore, «anche se era felice di credere, doveva accettare i numerosi misteri della faccenda» [140]. Inoltre questo delirio aveva probabilmente delle radici in lui di cui non sappiamo nulla e che non esistono in noi. Nel suo caso sembrerebbe certamente necessaria un'energica cura, prima di poterlo riportare alla realtà. Nel frattempo tutto quello che poteva fare era adattare il suo delirio alla meravigliosa esperienza che aveva appena avuto. Gradiva, che era morta con gli altri nella distruzione di Pompei, non poteva essere altro che uno spirito di mezzogiorno, ritornato in vita per la breve ora degli spiriti. Ma perché, dopo aver udito la sua risposta in tedesco, egli esclamò «Sapevo che la vostra voce avrebbe avuto questo suono»? Non solo noi, ma la ragazza stessa fu costretta a porre la domanda, e Hanold dovette riconoscere che non l'aveva mai sentita, anche se si era aspettato di sentirla nel sogno, quando la chiamò mentre si metteva a dormire sui gradini del tempio. La supplicò di fare ancora la stessa cosa che aveva fatto allora, ma ella si alzò, gli lanciò una strana occhiata e in un attimo scomparve tra le colonne del cortile. Una graziosa farfalla aveva poco prima volteggiato intorno a lei per un po' ; ed egli l'interpretò come una messaggera dell'Ade, che rammentava alla ragazza morta che doveva tornare, poiché l'ora degli spiriti stava per finire. Hanold ebbe ancora il tempo di parlarle prima che la ragazza svanisse: «Tornerai qui domani a mezzogiorno?». Tuttavia, ora che possiamo azzardare interpretazioni più equilibrate, ci sembra che la giovane donna abbia visto qualcosa di sconveniente nella osservazione a lei rivolta da Hanold e lo abbia lasciato con la sensazione di essere stata insultata; infatti, dopo tutto, poteva essere all'oscuro del sogno. Non è possibile che la sua sensibilità abbia individuato la natura erotica della sua domanda, il cui motivo agli occhi di Hanold risiedeva nel suo rapporto con il sogno? Dopo la scomparsa di Gradiva, il nostro eroe esaminò attentamente gli ospiti riuniti all'albergo Diomede per il pasto di mezzogiorno e proseguì con la stessa intenzione per l'albergo Suisse, e si potè così rassicurare che in nessuno dei due soli alberghi di Pompei a lui noti c'era qualcuno che somigliasse lontanamente a Gradiva. Naturalmente egli avrebbe respinto l'assurda idea di potere effettivamente incontrare Gradiva in uno dei due alberghi. Ed ora il vino premuto dal caldo suolo del Vesuvio lo aiutò a intensificare il turbine di sensazioni che lo accompagnò per tutta la giornata. Per il giorno successivo una sola cosa era stabilita: che Hanold doveva essere di nuovo alla casa di Meleagro a mezzogiorno; e, nell'attesa di quel momento, egli entrò in Pompei per una strada irregolare: dalle mura dell'antica città. Un rametto di asfodelo, curvo, con i boccioli bianchi a forma di campanelle, gli sembrò abbastanza significativo, come fiore del mondo degli inferi, lo colse e lo portò con sé. Ma mentre aspettava, tutta la scienza archeologica gli sembrava la cosa più inutile e indifferente al mondo, poiché un altro interesse si era impadronito di lui: il problema di «quale potesse essere la natura della apparizione corporea di un essere come Gradiva, che era nello stesso tempo morta e, anche se solo per l'ora di mezzogiorno, viva» [80]. Egli temeva che non l'avrebbe incontrata quel giorno, poiché forse il suo ritorno era concesso solo a lunghi intervalli; e quando la scorse ancora una volta tra le colonne, pensò che la sua apparizione fosse solo uno scherzo della sua immaginazione, e nel suo dolore esclamò: «Oh! se tu esistessi ancora e vivessi!». Ma questa volta era stato evidentemente troppo critico, poiché l'apparizione possedeva una voce, e quella voce gli chiese se intendeva portarle il fiore bianco, impegnandolo, sconcertato com'era ancora una volta, in una lunga conversazione. L'autore spiega tuttavia ai lettori, per i quali Gradiva è ormai una creatura vivente, che lo sguardo dispiaciuto e ripulsivo che ella gli aveva lanciato il giorno prima, aveva ceduto il posto ad un'espressione di curioso interesse. E davvero ella continuava ora a fargli domande, gli chiedeva spiegazioni della sua osservazione del giorno precedente e voleva sapere quando egli era stato accanto a lei, mentre si stendeva per dormire. In tal modo essa apprese del sogno, in cui era morta insieme alla città natale, e poi del rilievo in marmo e della posizione del piede che aveva tanto attratto l'archeologo. Ed ora ella si mostrò pronta a fargli vedere il suo passo, e questo dimostrò che l'unica divergenza dal ritratto originale di Gradiva consisteva nel fatto che i sandali erano stati sostituiti da scarpe leggere di pelle color sabbia, cosa che spiegò come un adattamento ai tempi attuali. Ella andava evidentemente penetrando nel suo delirio, di cui gli stava facendo svelare la portata, senza mai contraddirlo. Solo una volta sembrò che si distraesse dalla parte che stava recitando per una sua emozione; fu quando lui, pensando al rilievo, dichiarò che l'aveva riconosciuta al primo sguardo. Poiché a questo stadio della conversazione ella non sapeva ancora niente del rilievo, fu naturale per lei fraintendere le parole di Hanold; ma si riprese prontamente e solo a noi sembra che alcune delle sue osservazioni abbiano un doppio senso, come se, oltre al significato nel contesto del delirio, possano significare anche qualcosa di reale e contemporaneo — ad esempio, quando ella rimpianse che non era riuscito a trovare conferma dell'andatura di Gradiva nei suoi esperimenti per la strada: «Che peccato! Forse non avreste poi dovuto fare il viaggio fin qua!» [89]. Apprese anche che lui aveva dato il nome di Gradiva alla sua immagine sul rilievo, e gli disse il vero nome; Zoe. «Il nome ti si adatta a meraviglia, ma mi suona come un'amara presa in giro, dal momento che Zoe significa vita.» «Ci si deve chinare dinanzi all'ineluttabile», fu la sua risposta, «ed io mi sono da tempo abituata ad essere morta.» Promettendogli che sarebbe tornata il giorno successivo allo stesso posto a mezzogiorno, ella lo salutò dopo avergli chiesto ancora il rametto di asfodelo: «a chi è più fortunato la gente dà rose in primavera; ma a me è giusto che tu dia il fiore dell'oblio». Senza dubbio la malinconia si adattava a chi era morto da tanto tempo e tornato ancora in vita per poche brevi ore. Cominciamo ora a capire ed a sperare. Se la giovane donna nelle cui sembianze Gradiva era tornata in vita, aveva accettato così completamente il delirio di Hanold, lo aveva fatto probabilmente per aiutarlo a liberarsene. Non c'era altro modo: contraddirlo, avrebbe posto fine a qualsiasi possibilità. Anche la cura di una malattia reale del genere non potrebbe procedere in altro modo che percorrendo la stessa strada della struttura di delirio e poi esaminarla il più compiutamente possibile. Se Zoe è la persona adatta allo scopo, impareremo certamente subito come curare un delirio come quello del nostro eroe. Dovremmo anche rallegrarci di conoscere come nasca un simile delirio. Sarebbe una coincidenza strana e, tuttavia, non priva di esempi o paralleli, se la cura del delirio dovesse coincidere con il suo esame e se la spiegazione della sua origine si dovesse rivelare proprio mentre viene analizzato. In tal caso possiamo naturalmente sospettare che il nostro caso di malattia si riveli una «banale» storia d'amore. Ma non è da disprezzare il salutare potere dell'amore su un delirio — e l'infatuazione del nostro eroe per la scultura di Gradiva non era forse un esempio completo dell'essere innamorato anche se si trattava di essere innamorato di qualcosa appartenente al passato e privo di vita? Dopo la scomparsa di Gradiva, ci fu solo un suono lontano, come il richiamo ridente di un uccello in volo sulle rovine della città. Il giovane, ora solo, raccolse un oggetto bianco che era stato dimenticato da Gradiva: non un foglio di papiro, ma un album da disegno, con disegni a matita di varie scene di Pompei. Il fatto che abbia lasciato l'album, ci sembra un impegno a ritornare, poiché crediamo che nessuno dimentichi qualcosa senza qualche motivo segreto o qualche ragione nascosta. li resto della giornata procurò ad Hanold numerose strane scoperte e conferme, che egli non riuscì a sintetizzare in un tutto. Scoprì nel muro del portico dove Gradiva era scomparsa una stretta apertura, che era tuttavia abbastanza ampia da permettere a persone insolitamente magre di passare. Ammise che Zoe-Gradiva non doveva essere necessariamente sprofondata sotto terra in quel punto: idea che gli sembrava ora così irragionevole da vergognarsi di averci creduto una volta; ella aveva potuto benissimo servirsi della breccia per raggiungere la sua tomba. Una pallida ombra gli sembrava svanire alla fine della via delle Tombe di fronte a quella che è nota come la Villa di Diomede. Preso dallo stesso turbine di sensazioni del giorno precedente e immerso negli stessi problemi, egli passeggiava ora nei dintorni di Pompei. Si chiedeva quale potesse essere la natura corporea di Zoe-Gradiva, quale sensazione si sarebbe potuta provare toccando la sua mano. Uno strano impulso lo spingeva a decidere questa prova. Tuttavia una riluttanza egualmente forte lo tratteneva dal solo pensarci. Su un pendìo inondato di sole incontrò un anziano gentiluomo che, dall'equipaggiamento, doveva essere uno zoologo o un botanico e che sembrava impegnato in una caccia. Questo individuo si rivolse a lui e disse: «Si interessa anche lei alla faraglionensis? Non lo avrei mai sospettato, ma sembra piuttosto probabile che non stia solo sui faraglioni di Capri e che con tenacia la si possa trovare anche sul continente. Il metodo indicato dal nostro collega Eimer è veramente ottimo; l'ho usato già molte volte con risultati eccellenti. Per favore resti immobile...» [96]. Qui l'interlocutore s'interruppe e collocò una rete fatta di lunghi fili d'erba davanti ad una fessura della roccia da cui spiava la piccola testa blu iridescente di una lucertola. Hanold lasciò il cacciatore di lucertole pensando che era difficile credere quali scopi sciocchi e strani potessero indurre la gente a fare il lungo viaggio fino a Pompei — senza, naturalmente, includere nella critica se stesso e la sua intenzione di cercare nelle ceneri di Pompei le impronte di Gradiva. Inoltre, il volto del gentiluomo gli sembrava noto, come se lo avesse visto di sfuggita in uno dei due alberghi; dal modo di apostrofarlo, tuttavia, sembrava che parlasse ad una persona di sua conoscenza. Continuando a camminare, arrivò da una strada laterale ad un edificio che non aveva ancora scoperto e che risultò essere un terzo albergo, l'Albergo al Sole. Il padrone, non avendo altro da fare, colse l'occasione di mostrare la sua casa e i tesori esumati in essa contenuti. Egli sosteneva di essere stato presente quando nei dintorni del Foro era stata trovata la coppia di giovani amanti che, consapevoli dell'inevitabile condanna, avevano atteso la morte strettamente abbracciati. Hanold ne aveva già sentito parlare ed aveva scrollato le spalle, pensando che si trattasse di una favola creata da qualche fantasioso narratore; ma ora le parole del padrone dell'albergo destarono la sua fiducia, che aumentò quando gli sottopose un fermaglio di metallo, coperto da una patina verde che si diceva fosse stato ritrovato tra le ceneri accanto ai resti della ragazza. Egli acquistò senza ulteriori dubbi questo fermaglio e quando, mentre lasciava l'albergo, vide da una finestra aperta un rametto curvo di asfodelo coperto di fiori bianchi, considerò la vista dei fiori funerei una conferma della genuinità del suo nuovo acquisto. Ma con il fermaglio un nuovo delirio si impadronì di lui, o piuttosto il vecchio prese un nuovo sviluppo: auspicio non molto buono, sembrerebbe, per la cura che era stata iniziata. Una coppia di giovani amanti abbracciati era stata riesumata non lontano dal Foro, e proprio in quelle vicinanze, presso il tempio di Apollo, egli aveva visto in sogno Gradiva distendersi a dormire. Non era possibile che in realtà essa fosse andata avanti oltre il Foro e avesse incontrato qualcuno e poi fosse morta insieme a lui? Un sentimento doloroso, che potremmo forse paragonare alla gelosia, nacque da questo sospetto. Egli lo attutì riflettendo sull'incertezza della costruzione e tornò in sé al punto di essere in grado di fare il suo pasto serale all'albergo Diomede. Ivi la sua attenzione fu richiamata da due ospiti nuovi arrivati, un Lui e una Lei, che egli fu costretto a considerare fratello e sorella a causa di una certa somiglianza, nonostante il diverso colore di capelli. Erano le prime persone incontrate durante il viaggio che gli facessero un'impressione di simpatia. Una rosa rossa di Sorrento portata dalla ragazza destò in lui un qualche ricordo, ma non riuscì a capire quale. Alla fine andò a letto e fece un sogno. Fu una storia notevolmente assurda, ma chiaramente un miscuglio delle esperienze della giornata. «Gradiva era seduta da qualche parte al sole e faceva una trappola con fili d'erba per catturare una lucertola, e disse: "Per favore resti immobile. La nostra collega ha ragione; il metodo è veramente ottimo ed essa se ne è servita con risultati eccellenti".» Stornò questo sogno mentre ancora dormiva osservando criticamente che era pura follia, e riuscì a liberarsene con l'aiuto di un uccello invisibile che fece un breve richiamo ridente e portò via nel suo becco la lucertola. Nonostante tutta questa agitazione si svegliò a mente chiara e tranquilla. Un ramo di un albero di rose, con gli stessi fiori che aveva visto il giorno prima al seno della giovane donna, gli ricordò che durante la notte qualcuno aveva detto che la gente offre rose in primavera. Senza pensarci, egli colse alcune rose, e qualcosa ad esse collegata dovette avere un effetto rilassante sulla sua mente. Egli si sentì sollevato dei suoi sentimenti poco socievoli e andò a Pompei per la solita strada, carico delle rose, del fermaglio di metallo e dell'album da disegno, e preso da numerosi problemi riguardanti Gradiva. Il vecchio delirio cominciava a mostrare delle crepe: egli cominciava a domandarsi se essa potesse essere a Pompei non solo a mezzogiorno, ma anche in altre ore. La tensione si era tuttavia spostata sull'ultima aggiunta e la gelosia ad essa collegata lo tormentava sotto numerosi travestimenti. Egli avrebbe potuto quasi desiderare che l'apparizione restasse visibile solo ai suoi occhi, eludendo la percezione di altri; allora, nonostante tutto avrebbe guardato a lei come ad una proprietà esclusiva. Mentre passeggiava, in attesa del mezzogiorno, fece un incontro conturbante. Nella casa del Fauno si imbatté in due persone che evidentemente pensavano di non essere in vista, poiché erano abbracciate e le loro labbra erano unite. Egli si stupì di riconoscere in loro la simpatica coppia della sera precedente. Ma il loro comportamento non sembrava ora adattarsi ad un fratello e sorella: il loro abbraccio e bacio gli sembrava troppo lungo. Così, dopo tutto, erano una coppia di innamorati, forse una giovane coppia in luna di miele: ancora un Augusto e una Greta. Tuttavia, strano a dirsi, questa volta la loro vista gli dette solo soddisfazione, e con un senso di timore, come se avesse interrotto qualche segreto atto di devozione si ritrasse inosservato. Un atteggiamento di rispetto, che egli per molto tempo non aveva avuto, gli era tornato. Quando raggiunse la casa di Meleagro, fu ancora una volta sopraffatto da una così violenta paura di trovarla in compagnia di qualcun altro che, quando ella apparve, le uniche parole che trovò per salutarla furono: «Sei sola?». A fatica le permise di aiutarlo a rendersi conto che aveva colto le rose per lei. Le confessò l'ultimo delirio: che ella era la ragazza trovata nel foro abbracciata all'amante e che aveva posseduto il fermaglio verde. Essa gli domandò, non senza un tocco di presa in giro, se aveva trovato forse la cosa al sole: il sole a volte fa scherzi del genere. Egli ammise che sentiva che la testa gli girava, ed ella propose come cura di fare insieme un picnic. Gli offrì mezzo panino avvolto in carta velina e mangiò l'altra metà evidentemente con ottimo appetito. Nello stesso tempo i suoi denti perfetti balenavano tra le labbra e facevano un leggero scricchiolio mentre mordevano la crosta. «Sento come se avessimo già diviso un pasto come questo duemila anni fa», disse, «non ti ricordi?» [118]. Egli non riusciva a pensare ad una risposta, ma il miglioramento delle condizioni della sua testa, prodotto dal cibo, ed i molti indizi che ella dava della sua effettiva presenza, non restavano senza effetto su di lui. La facoltà di ragionare cominciò a mettersi in movimento e ad insinuare dubbi su tutto il delirio di Gradiva come fantasma di mezzogiorno — anche se non c'era da discutere sul fatto che essa stessa aveva appena detto di aver diviso con lui un pasto duemila anni prima. Gli venne in mente un esperimento che avrebbe risolto il conflitto, e lo eseguì con perizia e rinnovato coraggio. La sua mano sinistra, con le dita delicate, era posata sulle ginocchia e una di quelle mosche la cui impertinenza e inutilità aveva tanto destato la sua fantasia, si era posata su di essa. Improvvisamente la mano di Hanold si sollevò in aria e discese con un vigoroso schiaffo sulla mosca e sulla mano di Gradiva. Questo audace esperimento ebbe due effetti: dapprima la felice persuasione che egli aveva senza dubbio toccato una mano umana calda, vivente, reale, ma poi un rimprovero che lo fece balzare su impaurito dai gradini dove era seduto. Infatti dalle labbra di Gradiva, quando si fu ripresa dallo stupore, si udirono queste parole: «Senza dubbio sei fuori di te, Norbert Hanold!». Come è noto, il modo migliore di svegliare una persona addormentata o un sonnambulo è di chiamarlo per nome. Ma sfortunatamente non ci fu la possibilità di osservare gli effetti prodotti su Norbert Hanold dal fatto che Gradiva lo chiamasse per il suo nome, che egli non aveva detto a nessuno a Pompei. Infatti in questo momento critico apparve la simpatica coppia di innamorati della Casa del Fauno, e la giovane donna esclamò in tono di allegra sorpresa: «Zoe! Anche tu sei qui? E anche tu in luna di miele come noi? Non me ne hai mai scritto!». Di fronte a questa nuova prova della realtà vivente di Gradiva, Hanold scappò via. Né Zoe-Gradiva fu molto piacevolmente sorpresa da questa visita inaspettata, che la interrompeva in quello che era apparentemente un compito importante. Ma ella si riprese prontamente e dette una ampia risposta alla domanda, spiegando la situazione all'amica — e ancora di più a noi — e ciò le permise di liberarsi della giovane coppia. Si congratulò con loro, ma disse che lei non era in luna di miele. «Il giovane che è appena andato via soffre, come te, di una notevole aberrazione. Sembra credere che una mosca stia ronzando nella sua testa. Bene, credo che chiunque abbia qualche specie di insetto dentro. È mio dovere conoscere qualcosa di entomologia, così da poter offrire un po' d'aiuto in casi simili. Mio padre ed io stiamo al Sole. Qualcosa è entrata anche nella sua testa, e gli è venuta inoltre la brillante idea di portarmi qui con lui a condizione che mi divertissi da sola a Pompei e non facessi domande di nessun tipo su di lui. Mi sono detta che avrei scovato qualcosa di interessante qui anche da sola. Naturalmente non avevo contato di fare la scoperta che ho fatto — voglio dire la mia fortuna d'incontrarti, Gisa» [124]. Ma ora, aggiunse, doveva andare via in fretta, per far compagnia al padre che pranzava al Sole. E andò via dopo essersi presentata come la figlia dello zoologo e cacciatore di lucertole e dopo avere, con ogni sorta di osservazioni ambigue, confessato il suo intento terapeutico ed anche altri segreti progetti. Tuttavia non prese la direzione dell'Albergo al Sole, dove il padre la stava aspettando. Ma sembrò anche a lei che un'ombra stesse cercando la sua tomba vicino alla Villa di Diomede, scomparendo dietro uno di quei monumenti. Per tale motivo diresse il suo cammino verso la strada delle Tombe, con il caratteristico piede sollevato quasi perpendicolarmente ad ogni passo. In questo stesso luogo era scappato Hanold nella sua vergogna e confusione. Aveva vagato incessantemente su e giù nel portico del giardino, impegnato nel compito di eliminare i residui del problema con uno sforzo intellettuale. Una cosa gli era ormai definitivamente chiara: che era stato totalmente insensato o irragionevole nel credere di essersi imbattuto in una giovane donna di Pompei tornata in vita con sembianze più o meno fisiche. Non si poteva negare che questa chiara penetrazione nel suo delirio fosse un passo essenziale sulla strada del ritorno alla ragione. Ma, d'altro canto, questa donna vivente, con la quale altre persone comunicavano come se essa fosse altrettanto reale fisicamente, era Gradiva e conosceva il suo nome. Il suo intelletto, debolmente ridestato, non era abbastanza forte da risolvere questo enigma. Ed egli non era abbastanza calmo emotivamente da dimostrarsi capace di affrontare un compito così difficile, poiché avrebbe preferito essere stato sepolto insieme a tutto il resto duemila anni prima nella villa di Diomede in modo da essere completamente sicuro di non incontrare più Zoe-Gradiva. Tuttavia un violento desiderio di vederla di nuovo lottava contro ciò che restava dell'impulso di fuggire ancora presente in lui. Mentre voltava uno dei quattro angoli del colonnato, indietreggiò. Su un frammento rotto di una costruzione in muratura sedeva una delle ragazze che erano morte qui nella villa di Diomede. Questo, tuttavia, fu un ultimo tentativo, prontamente respinto, di fuggire nel regno del delirio. No, era Gradiva, venuta evidentemente per offrirgli l'ultima parte del trattamento terapeutico. Costei interpretò esattamente il suo primo movimento istintivo come un tentativo di lasciare l'edificio e gli dimostrò che era impossibile scappare, poiché era cominciato un tremendo scroscio di pioggia fuori. Essa fu spietata e cominciò il suo esame chiedendogli che cosa avesse cercato di fare dianzi colpendo la mosca sulla sua mano. Egli non ebbe il coraggio di usare un particolare pronome, ma ebbe il coraggio di fare qualcosa di più importante, di rivolgerle la domanda decisiva che per lui era essenziale: «Come qualcuno ha detto, avevo una certa confusione in testa e devo scusarmi per la mano... non riesco a capire come posso essere stato così insensato... ma non riesco neanche a capire come colei a cui la mano appartiene abbia potuto farmi rilevare la mia... la mia irragionevolezza chiamandomi con il mio nome» [134]. «E così la tua ragione non c'è arrivata, Norbert Hanold. Ma non posso dire di esserne sorpresa, mi hai abituato a questo da tanto tempo. Non era necessario che io venissi a Pompei per scoprirlo di nuovo, e tu avresti potuto trovarne conferma a qualche centinaio di miglia più vicino a casa.» «Cento miglia più vicino», spiegò, ma egli ancora non riusciva a capire, «attraversando diagonalmente la strada dove abiti, nella casa all'angolo. C'è una gabbia alla mia finestra, con un canarino.» Queste ultime parole, mentre le udiva, lo colpirono come un lontano ricordo: doveva essere lo stesso uccello la cui canzone gli aveva suggerito l'idea di fare un viaggio in Italia. «Mio padre vive in quella casa: il professore di zoologia, Richard Bertgang.» E così, dal momento che era la sua vicina, lo conosceva di vista e di nome. Proviamo un senso di delusione: la soluzione è banale e indegna delle nostre aspettative. Norbert Hanold mostrò di non aver ancora riacquistato la sua indipendenza di pensiero quando rispose: «Così lei... lei è la signorina Zoe Bertgang? Ma sembrava completamente diversa...». La risposta della signorina Bertgang ci rivela che c'erano stati altri rapporti tra i due oltre all'essere semplicemente vicini. Ella potè parlare a favore del familiare «tu», che egli aveva usato con naturalezza verso lo spirito di mezzogiorno, ed aveva poi ritirato parlando alla ragazza viva, reclamando antichi diritti: «Se ritieni più conveniente questo modo formale di rivolgerti a me, posso usarlo anch'io. Ma trovo che l'altro mi viene alle labbra più naturalmente. Non so se ero diversa tanto tempo fa quando eravamo soliti correre in giro insieme da amici o quando a volte, tanto per cambiare, ci picchiavamo. Ma se lei mi avesse guardato una volta sola attentamente negli ultimi anni, si sarebbe accorto che questo è il mio aspetto da molto tempo». Quindi c'era stata un'amicizia infantile tra i due, forse un amore infantile, che giustificava il «tu». Questa soluzione forse è altrettanto banale di quella che abbiamo sospettato al principio. Ci troviamo tuttavia ad un livello più approfondito, quando ci accorgiamo che questo rapporto infantile spiega inaspettatamente numerosi particolari del loro attuale contatto. Consideriamo, per esempio, lo schiaffo sulla mano di Zoe-Gradiva. Norbert Hanold ne trovava la ragione più convincente nella necessità di ottenere una risposta sperimentale al problema della realtà fisica dell'apparizione. Ma non era nello stesso tempo molto simile alla reviviscenza dell'impulso di «picchiarsi», il cui predominio nella loro infanzia era stato rivelato dalle parole di Zoe? E pensiamo ancora al modo in cui Gradiva aveva chiesto all'archeologo se non gli sembrava di aver diviso con lei un pasto come quello duemila anni prima. Questa domanda incomprensibile sembra improvvisamente acquistare un significato, se sostituiamo ancora una volta al passato storico quello personale — l'infanzia — di cui la ragazza aveva ancora vivaci ricordi, ma che l'uomo sembrava aver dimenticato. Ed ora cominciamo a scoprire che le fantasie del giovane archeologo su Gradiva, possono essere state una eco dei suoi ricordi d'infanzia dimenticati. In tal caso essi non erano capricciosi prodotti della sua immaginazione, ma erano determinati, senza che lui lo sapesse, dalle impressioni infantili che egli aveva dimenticato, ma che ancora erano attive in lui. Potremmo mostrare l'origine delle fantasie nei particolari, anche se possiamo solo indovinarle. Egli immaginava, ad esempio, che Gradiva dovesse essere di origine greca e che fosse la figlia di un personaggio influente, forse di un sacerdote di Ce-res. Ciò si adatta abbastanza bene al fatto che egli conosceva il nome greco di Zoe e la sua appartenenza alla famiglia di un professore di zoologia. Ma se le fantasie di Hanold erano ricordi trasformati, troveremo un indizio della fonte di queste fantasie nelle informazioni che ci dà Zoe Bertgang. Ascoltiamo ciò che ha da dirci. Essa ci ha già parlato della loro stretta amicizia infantile, ed ora apprenderemo dell'ulteriore corso preso da questa amicizia. «Allora, in realtà, fino all'incirca al tempo in cui la gente non so perché, comincia a chiamarci "Pescetti da frittura", avevo un grande affetto per lei e credevo che non avrei mai potuto trovare al mondo un amico più piacevole. Non avevo madre, né sorelle, né fratelli; mio padre trovava che una Caecilia sotto spirito fosse notevolmente più interessante di me; e tutti (lo credevo anch'io da bambina) devono avere qualcosa che occupi i loro pensieri e tutti i loro affari. Questo qualcuno era lei per me; ma quando l'archeologia si impadronì di lei, scoprii che tu... mi deve scusare, ma veramente questa innovazione del lei mi suona troppo ridicola e, inoltre, non si adatta a ciò che voglio esprimere — come dicevo, venne fuori che tu eri diventato una persona insopportabile che (almeno per quanto mi riguardava) non aveva più occhi, né lingua, né alcun ricordo della nostra amicizia d'infanzia, a cui la mia memoria si era fermata. Senza dubbio è questo il motivo per cui sembravo diversa da prima. Infatti quando ti incontravo in società — l'ultima volta è stato lo scorso inverno — tu non mi vedevi e ancor meno ti sentivo dire una parola. Non che questo fosse un trattamento particolare per me, poiché trattavi tutti allo stesso modo. Io ero solo aria per te, e tu — con il tuo ciuffo di capelli biondi che tante volte avevo scompigliato in passato — tu eri opaco, rinsecchito e muto come un cacatua imbalsamato, e nello stesso tempo grandioso come un... archaeopteryx; sì, è vero, così chiamano il mostro-uccello antidiluviano che hanno riportato alla luce. Una sola cosa non avevo sospettato: che c'era una fantasia altrettanto grandiosa nella tua testa al punto da guardare anche me, qui a Pompei, come qualcosa che è stata scavata e riportata in vita. E quando all'improvviso ti ho visto lì davanti a me così inaspettatamente, mi è costato un bel po' di fatica al principio capire quale incredibile ragnatela la tua fantasia aveva intessuto nel tuo cervello. Dopo mi ha divertita, e mi ha fatto piacere nonostante la sua pazzia... Poiché, come ti ho detto, non me lo sarei mai immaginato da te.» Così ella ci dice abbastanza chiaramente cosa ne è stato col passare degli anni dell'amicizia infantile. In lei crebbe finché se ne innamorò completamente, poiché una ragazza deve avere qualcosa a cui dare il suo cuore. La signorina Zoe, incarnazione dell'intelligenza e della chiarezza, ci rende la sua mente completamente trasparente. Mentre è in ogni caso regola generale che una ragazza sana rivolga in primo luogo il suo affetto verso il padre, Zoe, che non aveva altri in famiglia al di fuori del padre, era particolarmente disposta a questo. Ma il padre non era per niente disponibile: tutto il suo interesse era accaparrato dagli oggetti della sua scienza. Così ella fu costretta a guardarsi intorno tra le altre persone e si attaccò in modo particolare al suo giovane compagno di giochi. Quando anche lui smise di avere occhi per lei, il suo amore non ne venne scosso ma piuttosto aumentato, poiché egli era diventato come il padre, come lui era assorbito dalla scienza e a causa di questa separato dalla vita e da Zoe. Così le fu possibile restare fedele nella sua infedeltà, trovare il padre ancora una volta nell'amato, includerli entrambi nella stessa emozione, o forse identificarli nel suo sentimento. Come giustifichiamo questa analisi psicologica che potrebbe sembrare arbitraria? L'autore ci ha dato un unico particolare, ma altamente caratteristico. Quando Zoe descriveva la trasformazione del suo compagno di giochi che l'aveva tanto turbata, lo ha insultato paragonandolo ad un archaeopteryx, il mostro-uccello che appartiene alla archeologia della zoologia. In tal modo ella ha trovato un'espressione concreta dell'identità delle due persone. Si lamenta con le stesse parole dell'uomo che ama e del padre. Potremmo dire che l"archaeopteryx è una rappresentazione di compromesso o intermedia in cui il suo pensiero sulla follìa dell'uomo che amava, coincideva con l'analogo pensiero sul padre. Per il giovane le cose erano state diverse. L'archeologia si era impadronita di lui e gli aveva lasciato un interesse solo per le donne di marmo e di bronzo. La sua amicizia infantile invece di rafforzarsi in una passione, si era dissolta, ed i suoi ricordi ad essa collegati erano sprofondati in una tale dimenticanza che egli non riconosceva o non notava la sua antica compagna di giochi quando la incontrava in società. È vero che ad un esame approfondito dubitiamo che la «dimenticanza» sia l'esatta descrizione psicologica del destino di questi ricordi per il nostro giovane archeologo. C'è un tipo di dimenticanza che è caratterizzato dalla difficoltà con la quale la memoria è ridestata anche da un potente richiamo esterno, come se qualche resistenza interiore lottasse contro la sua riesumazione. Questo tipo di dimenticanza è stato chiamato in psicologia «rimozione»; e nel caso che l'autore ci ha presentato sembra appunto un esempio di rimozione. Non sappiamo se in generale il dimenticare un'impressione è legato alla dissoluzione dell'impronta del ricordo nella mente; ma possiamo decisamente sostenere che la rimozione non coincide con la dissoluzione o l'estinzione del ricordo. È vero che ciò che è represso non può in genere arrivare alla memoria senza più fatica; tuttavia trattiene la capacità di agire realmente e, sotto l'influenza di qualche fatto esterno, può un giorno produrre conseguenze che possono considerarsi prodotti di una modificazione del ricordo dimenticato e suoi derivati e che restano come tali incomprensibili. Ci è già sembrato di riconoscere nelle fantasie di Norbert Hanold su Gradiva derivati dei suoi ricordi rimossi nell'amicizia infantile con Zoe Bertgang. C'è da aspettarsi con particolare regolarità un simile ritorno di ciò che è stato colpito da rimozione, quando alle impressioni rimosse sono collegati i sentimenti erotici della persona, quando la sua vita erotica è stata assalita dalla rimozione. In tali casi è valido l'antico detto latino, anche se è stato in principio coniato per applicarlo all'espulsione di influenze esterne e non di conflitti interni: «Naturam furca expellas, semper redibit». Ma non ci dice tutto. Esso ci informa solo del fatto del ritorno dell'elemento naturale che è stato rimosso; non descrive la maniera molto importante di quel ritorno, che è eseguito con una specie di insidioso tranello. Proprio ciò che è stato scelto come strumento di rimozione — come la furca del detto latino — diventa il veicolo del ritorno: dentro e al di là della forza rimovente, ciò che è rimosso si dimostra vincitore alla fine. Questo fatto, che è stato così poco rilevato e che merita tanta attenzione, è illustrato, meglio di quanto si potrebbe fare con numerosi esempi, in una ben nota acquaforte di Félicien Rops; ed è illustrato nel caso tipico di rimozione della vita di santi e penitenti. Un monaco ascetico è fuggito, senza dubbio, dalle tentazioni del mondo, verso l'immagine del Salvatore crocifisso. Ed ora la croce scende come un'ombra e al suo posto, radiosa, si eleva l'immagine di una sensuale donna nuda, nello stesso atteggiamento della crocifissione. Altri artisti, con minore intuito psicologico, hanno raffigurato, in analoghe rappresentazioni di tentazione, il Peccato, insolente e trionfante, in qualche posizione accanto al Salvatore sulla croce. Solo Rops ha collocato il Peccato proprio al posto del Salvatore sulla croce. Sembra che egli sapesse che, quando ciò che è stato rimosso ritorna, emerge dalla stessa forza rimovente. Vale la pena di soffermarsi su ciò per rendersi conto come in casi patologici la mente umana diventi sensibile negli stati di rimozione a qualunque avvicinamento di ciò che è stato rimosso, e di come siano sufficienti anche delle somiglianze insignificanti perché ciò che è rimosso emerga dalla forza rimovente e divenga efficace attraverso di essa. Una volta ebbi in cura un giovane, ancora quasi un ragazzo, che dopo essere involontariamente venuto a conoscenza dei procedimenti sessuali, aveva sfuggito tutti i desideri sessuali che si destavano in lui. A tale scopo egli si era servito di diversi metodi di rimozione: aveva intensificato il suo zelo nello studio, aveva esagerato la sua subordinazione alla madre e in genere aveva assunto un carattere infantile. Sorvolerò qui il modo in cui la sessualità rimossa saltò fuori ancora una volta proprio nel suo rapporto con la madre, ma descriverò un caso più raro e strano di come un altro dei suoi baluardi crollò in un'occasione che difficilmente si Può considerare sufficiente. La matematica gode della massica reputazione come distrazione dalla sessualità. Questo fu proprio il consiglio che Jean-Jacques Rousseau dovette sentire da una signora che non era soddisfatta di lui: «Lascia le donne e studia la matematica!». Così anche il nostro fuggitivo si gettò con particolare ardore sulla matematica e sulla geometria che insegnavano a scuola, finché improvvisamente un giorno le sue facoltà di comprensione si paralizzarono di fronte ad alcuni problemi apparentemente innocenti. Fu possibile individuare due di questi problemi: «Due corpi si incontrano, uno alla velocità di... ecc.» e «Su un cilindro, il diametro della cui superficie è m, tracciare un cono... ecc.». Altri non li avrebbero certamente considerati come forti allusioni a fatti sessuali; ma egli sentì di essere stato tradito anche dalla matematica e cominciò a fuggire anche da essa. Se Norbert Hanold fosse una persona reale, che avesse in tal modo bandito con l'aiuto dell'archeologia l'amore e la sua amicizia infantile, sarebbe stato logico e consono alle regole che proprio una antica scultura ridestasse in lui il ricordo dimenticato della ragazza che aveva amato nella sua infanzia. Sarebbe stato il suo destino, e meritato, quello di innamorarsi dell'immagine marmorea di Gradiva, dietro alla quale, a causa di un'inspiegabile somiglianza, la Zoe viva, che egli aveva trascurato, faceva sentire la sua influenza. Sembra che la stessa signorina Zoe abbia condiviso la nostra opinione sul delirio del giovane archeologo, poiché la soddisfazione che esprime alla fine del suo «franco dettagliato e istruttivo discorso di punizione» difficilmente poteva basarsi su qualcosa altro che sulla consapevolezza che fin dal principio l'interesse di Hanold per Gradiva era riferito a lei stessa. Era questo che non si era aspettata da lui, ma che, nonostante il camuffamento del delirio, aveva individuato per quello che era. Il trattamento psichico che ella aveva eseguito, otteneva ora tuttavia il suo effetto benefico su di lui. Egli si sentiva libero, poiché il suo delirio era stato ora sostituito dalla cosa di cui poteva avere solo una copia deformata e insufficiente. Né egli esitò ancora a ricordarla e a riconoscerla come la gentile, allegra e intelligente compagna di giochi che essenzialmente non era cambiata affatto. Ma trovava molto strana qualche altra cosa. «Che uno deve morire per diventare vivo?», fece la ragazza, «ma senza dubbio ciò vale per gli archeologi» [141]. Evidentemente ella non gli aveva ancora perdonato la strada tortuosa attraverso l'archeologia che egli aveva seguito dalla loro amicizia infantile alla nuova relazione che si stava creando. «No, intendo dire il tuo nome... Perché Bertgang ha lo stesso significato di Gradiva e descrive "colei che risplende camminando".» Noi stessi non eravamo preparati a questo. Il nostro eroe comincia a gettare via la sua umiltà e a svolgere un ruolo attivo. Evidentemente egli era completamente guarito dal suo delirio e l'aveva superato; e questo lo dimostrava strappandone egli stesso gli ultimi fili della ragnatela. Questo è esattamente il modo in cui si comportano i pazienti, quando qualcuno ha allentato la costruzione dei loro pensieri ingannevoli svelando il materiale rimosso che nascondono. Una volta che hanno capito, essi stessi trovano le soluzioni degli enigmi finali più importanti della loro strana condizione, con numerose idee che improvvisamente gli vengono in mente. Noi avevamo già indovinato che l'origine greca dell'immaginaria Gradiva era l'oscura conseguenza del nome greco Zoe; ma non avevamo osato interpretare lo stesso nome «Gradiva» e l'avevamo lasciato passare come una libera creazione della fantasia di Norbert Hanold. Ed ecco che proprio quel nome risulta ora una derivazione, anzi una traduzione, del cognome rimosso della ragazza che egli aveva amato nell'infanzia e che sembrava aver dimenticato. Ormai l'origine dell'illusione e la sua soluzione erano complete. Ciò che l'autore aggiunge ora deve certamente servire come finale armonioso della sua storia. Non possiamo non sentirci rassicurati sul futuro, quando apprendiamo che il giovane, il quale prima era stato costretto a svolgere il ruolo pietoso di una persona che ha urgente bisogno di cure, avanzava sempre più sulla strada della guarigione e riusciva a destare in lei alcuni dei sentimenti per i quali egli stesso aveva sofferto prima. Così egli la rese gelosa nominando la simpatica giovane donna che aveva precedentemente interrotto il loro colloquio nella casa di Meleagro e confessando che era stata la prima donna per la quale egli aveva provato una forte attrazione. Allora Zoe si preparò a congedarsi freddamente da lui, osservando che ormai tutto era tornato alla ragione, eccetto lei stessa; egli poteva incontrare di nuovo Gisa Hartleben (o come diamine si chiamava ora) e prestarle assistenza scientifica nella sua visita a Pompei; lei comunque doveva tornare all'Albergo al Sole dove il padre l'attendeva per il pranzo; forse si sarebbero incontrati di nuovo una volta o l'altra a qualche ricevimento in Germania o sulla luna. Ma ancora una volta egli fece della noiosa mosca una scusa per impossessarsi prima della sua Suancia, e poi delle sue labbra, e nel mettere in moto l'aggressività che è dovere inevitabile dell'uomo nel fare l'amore. Solo un'ombra sembrò cadere sulla loro felicità, quando Zoe dichiarò che ora doveva veramente tornare da suo padre, altrimenti sarebbe morto di fame al Sole. «Tuo padre?... che succederà?...» [147]. Ma l'intelligente ragazza fu in grado di tranquillizzarlo prontamente. «Probabilmente non succederà nulla. Non sono una parte indispensabile della sua collezione zoologica. Se lo fossi stata, forse non sarei stata tanto sciocca da darti il mio cuore.» Tuttavia, nel caso eccezionale che suo padre avesse un'opinione diversa dalla sua, c'era un espediente sicuro. Hanold doveva semplicemente andare a Capri, prendere una Lacerto faraglionensis (egli poteva esercitare la tecnica sul suo mignolo), liberare qui l'esserino e riacchiapparlo sotto gli occhi dello zoologo e lasciarlo scegliere tra una faraglionensis sul continente e la figlia. È facile vedere che nel progetto c'era un'ironia tinta di amarezza: era quasi un ammonimento al suo fidanzato di non avvicinarsi troppo al modello sul quale ella lo aveva scelto. Qui di nuovo Norbert Hanold ci rassicura, mostrandoci, attraverso numerosi indizi apparentemente insignificanti, la grande trasformazione che si era verificata in lui. Egli propose di passare la luna di miele in Italia e a Pompei, come se non si fosse mai sdegnato alla vista delle coppie di Augusto e Greta in luna di miele. Egli aveva completamente perso il ricordo di tutti i suoi sentimenti contro quelle coppie felici, che avevano così inutilmente viaggiato per più di cento miglia dalla loro casa in Germania. L'autore è certamente nel giusto quando presenta una simile perdita di memoria come il segno più sicuro di un mutato atteggiamento. La risposta di Zoe al progetto di «luna di miele» suggerito dal «suo amico di infanzia, che in un certo senso era anche lui stato scavato di nuovo dalle rovine» [150], fu che essa non si sentiva ancora abbastanza viva da poter prendere una decisione geografica di quella sorta. Il delirio era stato ora conquistato da una magnifica realtà; ma prima che i due innamorati lasciassero Pompei, doveva essere onorato ancora una volta. Quando essi raggiunsero il Cancello di Ercole, dove, all'entrata per la Via Consolare, la strada è attraversata da alcune antiche pietre, Norbert Hanold si fermò e chiese alla ragazza di andare avanti a lui. Ella comprese «e tirando leggermente su il vestito con la mano sinistra, Zoe Bertgang, Gradiva rediviva, lo sorpassò fissandolo negli occhi, che sembravano in contemplazione di un sogno; così, con la sua agile andatura, attraversò nel sole le pietre del passaggio fino all'altro lato della strada». Col trionfo dell'amore trovò riconoscimento anche ciò che era bello e prezioso nel delirio. Tuttavia nel suo ultimo paragone (dell'«amico d'infanzia che era stato scavato dalle rovine») l'autore ci ha fornito la chiave del simbolismo di cui si è servito il delirio dell'eroe per mascherare il ricordo rimosso. Non c'è in realtà migliore analogia con la rimozione, attraverso la quale qualcosa viene nello stesso tempo preservata e resa inaccessibile alla mente di un seppellimento del tipo di cui fu vittima Pompei e dal quale riuscì ad emergere ancora una volta con il lavoro delle vanghe. Così il giovane archeologo fu costretto nella sua fantasia a trasferire a Pompei l'originale del rilievo che gli ricordava l'oggetto del suo amore giovanile. L'autore aveva ben ragione anzi di indugiare sulla preziosa analogia percepita dalla sua sottile intuizione, tra un particolare processo psichico di un individuo e un isolato evento storico della storia dell'umanità. 2. Ma, dopo tutto, ciò che originariamente intendevamo fare era solo esaminare due o tre sogni che si trovano qua e là in Gradiva con l'aiuto di certe tecniche analitiche. Come mai allora siamo arrivati a esaminare tutta la storia e i processi psichici dei due personaggi principali? In realtà non è stato un lavoro inutile, anzi era una premessa fondamentale. Parimenti, quando cerchiamo di comprendere i sogni reali di una persona reale, dobbiamo occuparci intensamente del suo carattere e della sua carriera, e dobbiamo arrivare a conoscere non solo le sue esperienze immediatamente precedenti il sogno, ma anche quelle che risalgono al lontano passato. Ritengo anzi che non siamo ancora pronti per dedicarci al nostro compito vero e proprio, ma che dobbiamo indugiare ancora un po' sulla storia e portare ancora a termine il lavoro preliminare. I miei lettori saranno rimasti certamente perplessi nel notare che finora ho trattato Norbert Hanold e Zoe Bertgang, in tutte le loro manifestazioni e attività psichiche, come se fossero delle persone reali e non delle creazioni dell'autore, come se la mente dell'autore fosse un mezzo assolutamente trasparente e non rifrangente o offuscante. E il mio procedimento deve essere sembrato tanto più strano dal momento che l'autore ha espressamente rinunciato a ritrarre la realtà nel chiamare la sua storia una «fantasia». Abbiamo tuttavia osservato che tutte le sue descrizioni sono così fedelmente riprese dalla realtà che non ci dovrebbe essere da obiettare se si definisse Gradiva come uno studio psichiatrico e non una fantasia. Solo in due punti l'autore si è concesso la libertà di porre delle premesse che non sembrano avere radici nelle leggi della realtà. Ciò si verifica la prima volta quando egli fa sì che il giovane archeologo si imbatta in quello che è certamente un antico rilievo, ma che tuttavia assomiglia così strettamente ad una persona vivente tanto tempo dopo, non solo nella caratteristica posizione del piede nell'atto di camminare, ma in ogni particolare della struttura facciale e dell'aspetto fisico, che il giovane è in grado di riconoscere nell'apparenza fisica di quella persona la scultura tornata in vita- E la seconda volta, quando fa sì che il giovane incontri la donna vivente proprio a Pompei; poiché la donna morta era stata collocata lì solo dalla sua fantasia e il viaggio a Pompei lo aveva in realtà allontanato dalla donna viva, che egli aveva appena visto nella strada della città in cui abitava. Tuttavia questa seconda disposizione dell'autore non implica un violento distacco dalle effettive possibilità, si serve semplicemente del caso, che indubbiamente svolge un ruolo in molte storie umane, e inoltre se ne serve a buon fine, poiché questo caso riflette la verità fatale, da lui posta, che la fuga è proprio lo strumento che riporta a ciò da cui si fugge. La prima premessa — quella su cui si basa tutto ciò che segue, la forzata rassomiglianza tra la scultura e la ragazza viva, che una scelta assennata avrebbe potuto limitare alla sola caratteristica della posizione del piede nell'atto di camminare — sembra tendere maggiormente verso la fantasia e nascere interamente dalla scelta arbitraria dell'autore. Potremmo qui avere la tentazione di permettere alla nostra stessa fantasia di forgiare un collegamento con la realtà. Il nome Bertgang potrebbe indicare il fatto che le donne di quella famiglia si erano già distinte nei tempi antichi per la singolarità della loro andatura aggraziata; e potremmo supporre che i tedeschi Bertgang discendevano da una famiglia romana, un membro della quale era la donna che aveva indotto l'artista ad immortalare nella scultura la sua caratteristica andatura. Poiché tuttavia le diverse variazioni della forma umana non sono indipendenti l'una dall'altra, e poiché in realtà anche tra di noi riappaiono continuamente i tipi antichi (come possiamo vedere nelle collezioni artistiche), non sarebbe totalmente impossibile che una moderna Bertgang riproducesse le sembianze dell'antica antenata anche in tutti gli altri particolari della struttura corporea. Ma invece di queste speculazioni, sarebbe certamente più saggio chiedere all'autore stesso da quali fonti abbia tratto questo elemento della sua creazione. Potremmo allora dimostrare ancora una volta che ciò che è apparentemente una decisione arbitraria si basa in realtà sulla legge. Ma poiché non possiamo avere accesso alle fonti della mente dell'autore, gli lasceremo inalterato il diritto di costruire su una premessa poco probabile qualcosa che si potrebbe verificare nella vita reale — diritto di cui, ad esempio, si è servito Shakespeare nel Re Lear. A parte questo, dobbiamo ripetere che l'autore ci ha presentato uno studio psichiatrico perfettamente esatto, sul quale possiamo valutare la nostra comprensione delle attività della mente — una cartella clinica e il rapporto della cura che avrebbero potuto essere intesi a sottolineare determinate teorie fondamentali della psichiatria. È strano che l'autore abbia fatto questo. Ma se, interrogato, negasse completamente un simile scopo? È facile trarre analogie e leggere dei significati nelle cose. Non siamo forse stati noi ad insinuare in questa affascinante e poetica storia un segreto significato ben lontano dalle intenzioni dell'autore? Può essere. Ritorneremo sul problema più avanti. Per il momento, tuttavia, abbiamo cercato di evitare una simile interpretazione tendenziosa, riferendo la storia quasi completamente nelle parole dell'autore. Lo riconoscerà chiunque voglia confrontare la nostra esposizione con il testo originale di Gradiva. Inoltre molte persone pensano forse che stiamo rendendo un cattivo servigio all'autore, nel definire il suo lavoro uno studio psichiatrico. Uno scrittore, essi diranno, dovrebbe evitare qualunque contatto con la psichiatria e lasciare ai medici la descrizione degli stati patologici. La verità è che nessuno scrittore veramente creativo ha mai obbedito all'ingiunzione. La descrizione della mente umana è anzi il dominio che più gli appartiene; da tempi immemorabili egli è stato il precursore della scienza e quindi anche della psicologia scientifica. Ma la frontiera tra gli stati psichici detti normali e patologici è in parte convenzionale e in parte così fluida che ognuno di noi probabilmente l'attraversa molte volte nel corso di una giornata. D'altra parte, la psichiatria avrebbe torto se cercasse di limitarsi permanentemente allo studio di gravi e oscure malattie che nascono da grosse lesioni al delicato apparato psichico. Altrettanto interessanti sono per lui le deviazioni dalla normalità più leggere e suscettibili di guarigione, che oggi siamo in grado di far risalire a disturbi nell'interazione delle forze psichiche. Anzi, proprio attraverso queste ultime si possono comprendere sia gli stati normali sia i fenomeni di malattia grave. Così lo scrittore creativo non può eludere lo psichiatra, né lo psichiatra lo scrittore creativo, e il trattamento poetico di un tema psichiatrico può risultare esatto senza alcun sacrificio alla sua bellezza. Ed è effettivamente esatta questa raffigurazione fantasiosa di un caso clinico e della sua cura. Ora che abbiamo terminato di raccontare la storia e soddisfatto la nostra attesa ansiosa, possiamo esaminarla meglio e riprodurla con la terminologia tecnica della nostra scienza; né, così facendo, ci sentiremo imbarazzati di fronte alla necessità di ripetere ciò che abbiamo detto prima. Spesso l'autore chiama «delirio» la condizione di Norbert Hanold, e noi non abbiamo motivo di rifiutare tale definizione. Possiamo enunciare due caratteristiche principali di un «delirio», che non lo descrivono esaurientemente, ma, tuttavia, lo differenziano chiaramente da altri disturbi. In primo luogo appartiene al gruppo di stati patologici che non producono effetto diretto sul corpo, ma si manifestano solo con indizi mentali. Inoltre esso è caratterizzato dal fatto che le sue «fantasie» prendono il sopravvento, cioè vengono credute e acquistano influenza sulle azioni. Se pensiamo al viaggio di Hanold a Pompei per cercare tra le ceneri le impronte caratteristiche di Gradiva, troveremo un ottimo esempio di una azione sotto l'influenza di un delirio. Uno psichiatra collocherebbe forse il delirio di Norbert Hanold nel grande gruppo della paranoia e forse la descriverebbe come una «erotomania feticistica» poiché la cosa più rilevante è l'innamorarsi della scultura e perché agli occhi dello psichiatra, con la sua tendenza a rendere tutto grossolano, l'interesse dell'archeologo per i piedi e per la loro posizione nelle persone di sesso femminile può sembrare «feticismo». Tuttavia tutti questi sistemi di nomenclatura e classificazione dei diversi tipi di delirio secondo l'argomento hanno in sé qualcosa di precario e di sterile3. Inoltre, poiché il nostro eroe è una persona capace di sviluppare un delirio sulla base di una preferenza così strana, un rigoroso psichiatra lo bollerebbe subito come degènere ed esaminerebbe l'eredità che lo aveva spietatamente spinto a questo destino. Ma qui l'autore non segue lo psichiatra, e ne ha buoni motivi. Egli desidera portare l'eroe più vicino a noi, per rendere più facile il «delirio sistematizzato»; la diagnosi di degènere, giusta o sbagliata che sia, pone subito il giovane archeologo ad una certa distanza da noi, poiché noi lettori siamo la gente normale e rappresentiamo lo standard umano. Neppure eventuali fattori ereditari e costituzionali possono interessare molto lo scrittore, che d'altra parte penetra profondamente nella composizione psichica personale che può dar luogo ad un tale delirio. Sotto un importante aspetto Norbert Hanold si comportava del tutto differentemente da un comune essere umano. Non si interessava alle donne vive; la scienza di cui era schiavo gli aveva sottratto quell'interesse e lo aveva trasferito sulle donne di marmo o di bronzo. Questa non deve essere considerata una caratteristica insignificante; fu anzi la premessa fondamentale per gli eventi successivi. Accadde infatti un giorno che una particolare scultura reclamasse tutto l'interesse che in genere viene rivolto solo alle donne vive, e così nacque il delirio. Vediamo poi svolgersi davanti ai nostri occhi il procedimento attraverso il quale il suo delirio viene curato tramite una felice svolta dei fatti, e il suo interesse spostato nuovamente dalla donna di marmo alla donna viva. L'autore non ci permette di seguire le influenze che spinsero il nostro eroe a distogliersi dalle donne, ci informa solo che il suo atteggiamento non si spiegava con una sua disposizione innata, che anzi presentava determinate esigenze di fantasia (e, potremmo aggiungere, erotiche). Come apprendiamo oltre nella storia, egli non aveva evitato gli altri bambini durante l'infanzia: a quel tempo aveva stretto amicizia con una bambina, era stato il suo compagno inseparabile, aveva diviso con lei i suoi piccoli banchetti, l'aveva anche picchiata e le aveva permesso di scompigliargli i capelli. L'erotismo immaturo dell'infanzia trova espressione proprio in rapporti come questo, in simili combinazioni di affetto e aggressività. Le sue conseguenze emergono solo più tardi, ma allora sono irresistibili, e durante l'infanzia in genere solo i medici e i poeti lo riconoscono come erotismo. Anche il nostro stesso scrittore ci dimostra chiaramente che è della stessa opinione: egli infatti fa sì che il suo eroe sviluppi improvvisamente un vivace interesse per i piedi delle donne e per le posizioni che assumono. Questo interesse doveva procurargli una cattiva fama sia tra gli scienziati che tra le donne della città in cui viveva, la fama di feticista dei piedi; ma noi non possiamo non far risalire l'interesse al ricordo della sua amica d'infanzia. Infatti non ci sono dubbi che anche nell'infanzia la ragazza mostrasse la stessa caratteristica andatura aggraziata, con le punte dei piedi sollevate quasi perpendicolarmente mentre camminava. E l'antico rilievo di marmo acquistò una tale importanza per Norbert Hanold proprio perché rappresentava lo stesso modo di camminare. Tra l'altro, possiamo aggiungere che in questa sua individuazione dell'origine dell'importante fenomeno del feticismo, l'autore è in piena concordanza con la scienza. Da Binet in poi abbiamo sempre cercato infatti di rintracciare il feticismo nelle impressioni erotiche dell'infanzia. Lo stato di costante fuga dalle donne produce una suscettibilità personale, o, come siamo soliti dire, una predisposizione alla formazione del delirio. Lo sviluppo dell'alterazione psichica si instaura nel momento in cui un'impressione casuale ridesta le esperienze infantili che sono state dimenticate e che hanno almeno delle tracce di natura erotica. Se prendiamo in considerazione ciò che segue, non possiamo tuttavia ritenere esatta la parola «ridesta». Dobbiamo ripetere l'accurata esposizione dell'autore in corretti termini tecnici psicologici. Quando Norbert Hanold vide il rilievo non si ricordò che aveva già visto una simile posizione del piede nell'amica d'infanzia; egli non ricordò nulla, ma tutti gli effetti prodotti dal rilievo derivavano da questo collegamento con l'impressione infantile. Così l'impressione dell'infanzia venne stimolata, divenne attiva e cominciò a produrre effetti, ma non arrivò alla coscienza, restò «inconscia», per usare un termine che è oggi diventato inevitabile nella psicopatologia. Speriamo che questo inconscio non venga coinvolto nelle dispute dei filosofi e degli scienziati, che spesso hanno solo valore etimologico. Per il momento non possediamo un termine migliore per i processi psichici che sono attivi e tuttavia non raggiungono la coscienza della persona considerata ed è questo che intendiamo dire quando parliamo di «inconscio». Quando alcuni studiosi cercano di confutare l'esistenza di un inconscio di questo tipo, affermando che è contraddittorio, possiamo solo pensare che essi non hanno mai avuto a che fare con i corrispondenti fenomeni psichici, che subiscono l'incantesimo dell'esperienza comune per cui tutto ciò che è psichico e diventa attivo e intenso, diventa nello stesso tempo anche cosciente, e che devono ancora imparare (ciò che il nostro autore sa molto bene) che ci sono dei processi certamente psichici i quali nonostante siano intensi e producano effetti, restano tuttavia separati dalla coscienza. Abbiamo detto precedentemente che i ricordi di Norbert Hanold concernenti i suoi rapporti d'infanzia con Zoe erano in uno stato di «rimozione»; e qui li abbiamo definiti ricordi «inconsci». Dobbiamo ora prestare un po' di attenzione al rapporto tra questi due termini tecnici, che, anzi, sembrano avere lo stesso significato. Non è difficile chiarire la cosa. «Inconscio» è il concetto più ampio, «rimosso» quello più ristretto. Tutto ciò che è rimosso è inconscio, ma non possiamo sostenere che tutto ciò che è inconscio sia rimosso. Se quando Hanold vide il rilievo si fosse ricordato dell'andatura di Zoe, ciò che precedentemente era stato un ricordo inconscio sarebbe diventato contemporaneamente attivo e cosciente, e questo avrebbe dimostrato che precedentemente non era stato rimosso. «Inconscio» è un termine puramente descrittivo, indefinito sotto certi aspetti e, in un certo senso, statico. «Rimosso» è un'espressione dinamica, che prende in considerazione l'interazione delle forze psichiche; esso implica la presenza di una forza che cerca di produrre svariati effetti psichici, tra cui quello di diventare cosciente, ma che c'è anche una forza opposta che è in grado di impedire alcuni di questi effetti psichici, compreso ancora una volta quello di diventare cosciente. La caratteristica di qualcosa che è rimosso consiste proprio nel fatto che nonostante la sua intensità non riesce ad entrare nella coscienza. Nel caso di Hanold quindi, dall'apparire del rilievo in poi, ci troviamo di fronte a qualcosa di inconscio che è rimosso, o, più brevemente, a qualcosa di rimosso. I ricordi di Norbert Hanold riguardanti i suoi rapporti infantili con la ragazza dall'andatura aggraziata erano rimossi. Ma questa non è ancora la visione esatta della situazione psicologica. Restiamo sulla superficie finché ci occupiamo solo dei ricordi e delle idee. Nella vita psichica hanno piuttosto valore i sentimenti. Nessuna forza psichica è importante se non possiede la caratteristica di destare sentimenti. Le idee sono rimosse solo perché sono associate alla liberazione di sentimenti che non dovrebbero esserci. Sarebbe più esatto dire che la rimozione agisce sui sentimenti, ma noi siamo consapevoli della loro presenza solo nella loro associazione con le idee. E così erano i sentimenti erotici di Norbert Hanold ad essere rimossi, e poiché il suo erotismo non conosceva e non aveva conosciuto altro oggetto che Zoe Bertgang nella sua infanzia, il suo ricordo di lei era stato dimenticato. L'antico rilievo aveva destato l'erotismo assopito e reso attivi i suoi ricordi infantili. A causa di una resistenza all'erotismo presente in lui, questi ricordi erano potuti diventare operativi solo allo stato inconscio. Ciò che appunto ora si verificava era una lotta tra il potere dell'erotismo e quello delle forze che lo rimuovevano: la manifestazione di questa lotta era un delirio. II nostro autore ha omesso di spiegare le ragioni che provocarono la rimozione della vita erotica del suo eroe; poiché naturalmente l'interesse di Hanold nella scienza era solo lo strumento impiegato dalla rimozione. Un medico qui dovrebbe scavare più profondamente, ma forse in questo caso non individuerebbe la ragione. Ma, come abbiamo già affermato con ammirazione, l'autore non ha mancato di mostrarci come il risveglio dell'erotismo rimosso venisse proprio dal campo degli strumenti che servivano a produrre la rimozione. Era giusto che un'antichità, la scultura marmorea della donna strappasse il nostro archeologo alla fuga dall'amore e lo ammonisse a pagare il debito alla vita, di cui siamo gravati sin dalla nascita. Le prime manifestazioni del processo posto in atto dal rilievo in Hanold erano fantasie che giocavano intorno alla figura in esso rappresentata. Gli sembrava che la figura avesse in sé qualcosa «di attuale», nel senso migliore della parola, ed era come se l'artista l'avesse catturata «dalla vita» mentre camminava per la strada. Egli aveva dato alla ragazza dell'antico rilievo il nome Gradiva, che aveva creato sul modello di un epiteto del Dio della guerra che si avvia a grandi passi verso la battaglia, «Mars Gradivus». Ella poteva essere stata la figlia di un personaggio influente, forse di un patrizio, che era stato legato all'ufficio del tempio di una divinità. Aveva pensato di poter rintracciare nei suoi lineamenti una origine greca, ed infine si era sentito costretto ad allontanarla dalla vita indaffarata di una capitale e a trasferirla nella più tranquilla Pompei, e lì l'aveva fatta camminare sulle pietre di lava che permettevano di attraversare la strada da un lato all'altro. Questi prodotti della sua fantasia sembrano abbastanza arbitrari, ma nello stesso tempo ingenui ed innocenti. E anzi anche quando per la prima volta avevano dato luogo ad una azione — quando l'archeologo, ossessionato dal problema della corrispondenza o meno della posizione dei piedi alla realtà, cominciò a fare osservazioni dalla vita e ad esaminare i piedi delle donne e delle ragazze a lui contemporanee — anche questa azione era protetta da motivi scientifici coscienti, come se tutto il suo interesse nella scultura di Gradiva fosse spuntato dal suolo del suo interesse professionale per l'archeologia. Le donne e le ragazze, scelte da lui per la strada come soggetti di esame, devono naturalmente avere assunto un'altra opinione, crudamente erotica, del suo comportamento, e noi non possiamo non pensare che avessero ragione. Noi non abbiamo alcun dubbio che Hanold ignorasse i motivi delle sue ricerche, quando ignorava l'origine delle sue fantasie intorno a Gradiva. Queste ultime, come abbiamo appreso in seguito, erano echi dei ricordi del suo amore infantile, derivazioni di quei ricordi, trasformazioni e deformazioni di essi, dopo che avevano fallito nell'arrivare alla coscienza non modificati. Il giudizio chiaramente estetico che la scultura aveva qualcosa «di attuale» in sé, sostituiva la sua consapevolezza che un'andatura di quel tipo apparteneva ad una ragazza che egli conosceva e che attraversava la strada attualmente. Dietro l'impressione della scultura presa «dalla vita» e la fantasia in cui la figura era greca, si trovava il ricordo del nome di Zoe, che in greco significa vita. Apprendiamo dall'eroe alla fine della storia, quando è ormai guarito dal suo delirio, che Gradiva è una buona traduzione del cognome Bertgang, che significa qualcosa come «qualcuno che risplende camminando». I particolari intorno al padre di Gradiva derivavano dalla consapevolezza di Hanold che Zoe Bertgang era la figlia di uno stimato professore universitario, cosa che può corrispondere nei tempi antichi a quello di un ufficio religioso. Infine la sua fantasia l'aveva trasferita a Pompei, non «perché sembrava richiederlo la sua natura calma e tranquilla», ma perché non si poteva trovare altra o migliore analogia nella sua scienza al suo insolito stato, in cui diveniva consapevole dei ricordi dell'amicizia infantile attraverso oscuri canali di informazione. Una volta che egli aveva fatto coincidere la propria infanzia con il passato classico (cosa che gli era molto facile fare), c'era una somiglianza perfetta tra il seppellimento di Pompei — la scomparsa del passato unita alla sua preservazione — e la rimozione, di cui egli era consapevole attraverso quella che si potrebbe chiamare percezione «endopsichica». In questo egli usava lo stesso simbolismo che l'autore fa usare coscientemente alla ragazza nei confronti della conclusione della storia: «Mi sono detta che sarei stata capace anche da sola di scavar fuori di qui qualcosa di interessante. Naturalmente non contavo di fare la scoperta che ho fatto...» [124]. E proprio alla fine ella aveva risposto al progetto di Hanold per la luna di miele con un riferimento al «suo amico d'infanzia che era stato anche lui in un certo senso scavato fuori dalle rovine un'altra volta». Così nei primissimi prodotti delle fantasie deliranti e delle azioni di Hanold troviamo già una doppia serie di determinanti, una derivazione da due fonti diverse, di cui una era nota allo stesso Hanold, l'altra ci viene svelata quando esaminiamo i suoi processi psichici. Una, vista dalla posizione di Hanold, di cui era consapevole, l'altra completamente inconscia. Una era interamente tratta dal gruppo di idee dell'archeologia, l'altra nasceva dai ricordi infantili rimossi che erano diventati attivi in lui e dagli istinti emotivi ad essi collegati. Si potrebbe dire che una giaceva in superficie e copriva l'altra, che era in un certo senso nascosta dietro di essa. Sembrerebbe che la motivazione scientifica servisse come pretesto per quella erotica inconscia, e che la scienza si fosse messa completamente al servizio del delirio. Non si deve tuttavia dimenticare che le cause determinanti inconsce non potevano produrre nulla che non soddisfacesse contemporaneamente quelle scientifiche, coscienti. I sintomi di un delirio — fantasie e azioni — sono in realtà i prodotti di un compromesso tra le due correnti psichiche, e in un compromesso si tiene conto delle richieste di entrambe le parti; ma ogni parte deve anche rinunciare parzialmente a ciò che voleva ottenere. Quando si produce un compromesso, esso deve essere stato preceduto da una lotta — in questo caso era il conflitto che abbiamo presunto tra l'erotismo rimosso e le forze che lo tenevano nella rimozione. In realtà nella formazione di un delirio questa lotta è senza fine. L'assalto e la resistenza si rinnovano dopo la costruzione di ogni compromesso, che, per così dire, non è mai completamente soddisfacente. Anche il nostro autore ne è consapevole ed è per questo che rende particolarmente agitato questo stadio del disturbo del suo eroe, come premessa e garanzia di ulteriori sviluppi. Incontreremo spesso e forse ancora più chiaramente nell'ulteriore sviluppo della storia queste importanti caratteristiche: la duplice motivazione delle fantasie e delle decisioni, e la costruzione di pretesti per azioni alla cui motivazione ha maggiormente contribuito ciò che è rimosso. E proprio così deve essere; l'autore ha quindi afferrato e rappresentato la principale e immancabile caratteristica dei processi mentali patologici. Lo sviluppo del delirio di Norbert Hanold proseguiva con un sogno, che, non essendo causato da alcun fatto nuovo, sembra essere sorto interamente dalla sua mente, così come era occupata dal conflitto. Ma fermiamoci prima di indagare se anche nella costruzione dei sogni l'autore dimostra di avere la profonda comprensione che gli abbiamo attribuito. Chiediamoci prima che cosa ha da dire la scienza psichiatrica riguardo alle sue ipotesi sull'origine del delirio e quale posizione assume nei confronti del ruolo svolto dalla rimozione e dall'inconscio nei confronti del conflitto e della formazione di compromessi. In breve, chiediamoci se questa rappresentazione fantasiosa della genesi di un delirio può resistere davanti al giudizio della scienza. E qui dobbiamo dare quella che sarà forse una risposta inaspettata. Infatti si tratta proprio della situazione inversa: è la scienza che non può resistere davanti al conseguimento dell'autore. La scienza lascia che si spalanchi un abisso tra le condizioni ereditarie e costituzionali di un delirio e le sue creazioni già formate: abisso che secondo noi l'autore ha colmato. La scienza non sospetta ancora l'importanza della rimozione, non riconosce che per spiegare il mondo dei fenomeni psicopatologici è assolutamente essenziale l'inconscio, non cerca il fondamento dei deliri in un conflitto psichico e non considera dei compromessi i loro sintomi. Allora il nostro autore è solo di fronte alla scienza unita? No, non è così (se posso cioè considerare le mie opere come appartenenti alla scienza), poiché da molti anni — e, fino a poco tempo fa, più o meno da solo4 — io stesso sostengo tutte le teorie che qui ho estratto dalla Gradiva di Jensen ed esposto in termini tecnici. Ho rilevato, soprattutto a riguardo degli stati noti come isteria e nevrosi ossessiva, che il fattore determinante individuale di questi disturbi psichici è la repressione di una parte della vita pulsionale e la rimozione delle idee che rappresentano l'impulso represso, e poco tempo dopo ho ripetuto le stesse teorie in rapporto ad alcune forme di delirio5. Se poi le pulsioni di questo rapporto siano sempre componenti della pulsione sessuale o possano anche essere di un altro tipo, è un problema indifferente nel caso particolare dell'analisi di Gradiva. Infatti nel caso scelto dal nostro autore, si trattava certamente della repressione di impressioni erotiche. Ho dimostrato la validità delle ipotesi del conflitto psichico e della formazione dei sintomi mediante compromessi tra le due correnti psichiche in lotta, nel caso di pazienti osservati e curati dal punto di vista medico nella vita reale, così come ho potuto farlo nel caso immaginario di Norbert Hanold6. Anche prima di me Pierre Janet, allievo del grande Charcot, e Josef Breuer, in collaborazione con me, avevano individuato l'origine dei prodotti delle malattie nervose, e particolarmente isteriche, nella forza dei pensieri inconsci7. Quando, dal 1893 in poi, mi sono dedicato allo studio dell'origine dei disturbi psichici, non mi sarebbe certamente mai venuto in mente di cercare una conferma alle mie scoperte negli scritti di un poeta. Fui quindi molto sorpreso di scoprire che l'autore di Gradiva, pubblicato nel 1903, avesse assunto a fondamento della sua creazione proprio quello che io stesso credevo di avere appena scoperto nelle fonti della mia esperienza medica. Come ha potuto l'autore arrivare alla stessa nozione del medico, o almeno a comportarsi come se possedesse la stessa nozione? Il delirio di Norbert Hanold, come dicevo, aveva fatto un passo avanti mediante un sogno, che egli fece nel mezzo dei suoi tentativi di scoprire un'andatura come quella di Gradiva per le strade della città in cui viveva. Si può esporre in breve il contenuto del sogno. Il sognatore si ritrovò a Pompei il giorno in cui l'infelice città venne distrutta e sperimentò i suoi orrori senza tuttavia essere egli stesso in pericolo; vide improvvisamente Gradiva che camminava e comprese subito, come se fosse una cosa del tutto normale, che dal momento che ella era a Pompei, viveva nella città natale, e «senza che egli l'avesse sospettato, viveva come una sua contemporanea». Egli fu preso dal timore per lei e le lanciò un grido ammonitore, dopo di che ella volse per un attimo il viso verso di lui. Ma proseguì per la sua strada senza prestargli attenzione, si distese sui gradini del tempio di Apollo e fu sepolta dalla pioggia di cenere dopo che la sua faccia ebbe perso colore, come se si stesse trasformando in marmo bianco, finché fu diventata proprio come una scultura. Svegliandosi egli interpretò i rumori della grande città che penetravano nella sua camera da letto come grida d'aiuto degli abitanti di Pompei disperati e tuoni dal mare selvaggiamente agitato. Per qualche tempo dopo che si fu svegliato non lo abbandonò la sensazione che ciò che aveva sognato gli era effettivamente accaduto, e come nuovo punto di partenza per il suo delirio gli restò dal sogno la convinzione che Gradiva aveva vissuto a Pompei ed era morta lì nel giorno fatale. Non è facile per noi dire che cosa intendesse l'autore con questo sogno e cosa lo avesse spinto a collegare proprio con un sogno lo sviluppo del delirio. È vero che zelanti studiosi hanno raccolto una quantità di esempi del modo in cui i disturbi psichici sono collegati ai sogni e nascono dai sogni8. Risulta an- che che nella vita di alcuni uomini eminenti, gli impulsi ad azioni e decisioni importanti siano derivati da sogni. Ma queste analogie non ci sono di grande aiuto; è meglio quindi che ci atteniamo al nostro caso attuale, al caso dell'archeologo Nor-bert Hanold, creato dal nostro autore. Da che lato dobbiamo prendere in considerazione questo sogno per poterlo inserire nel contesto generale, in modo che non resti solo un ornamento inutile della storia? A questo punto posso ben immaginare un lettore che esclami: il sogno si spiega molto facilmente! È un semplice sogno di angoscia causato dai rumori della città che sono stati erroneamente interpretati dall'archeologo come la distruzione di Pompei, dal momento che il pensiero dominante della sua mente era la ragazza pompeiana. In vista della scarsa stima prevalente delle funzioni dei sogni, tutto ciò che generalmente si chiede ad una spiegazione è d'individuare alcuni stimoli esterni che più o meno coincidono con una parte del contenuto onirico. Questo stimolo esterno a sognare sarebbe fornito dal rumore che svegliò il dormiente, e, con questo, si esaurirebbe l'interesse per il sogno. Avessimo almeno qualche motivo per ritenere che la città quel mattino fosse più rumorosa del solito! Se l'autore, ad esempio, non avesse tralasciato di informarci che Hanold, contrariamente al solito, aveva dormito con le finestre aperte quella notte! Che peccato che l'autore non si sia dato pena di farlo! E magari i sogni di angoscia fossero così semplici! Ma no, l'interesse per il sogno non si esaurisce così semplicemente. Non c'è nulla di essenziale per la formazione di un sogno in un collegamento con uno stimolo sensoriale esterno. Un dormiente può ignorare uno stimolo simile dal mondo esterno, o può lasciarsi svegliare da esso senza creare un sogno, o, come è accaduto in questo caso, può intesserlo nel suo sogno, se gli conviene per altre ragioni; e ci sono numerosi casi in cui è impossibile dimostrare che il contenuto del sogno sia stato determinato in questo modo da uno stimolo che agiva sui sensi dei dormiente. No, dobbiamo tentare un'altra via. Possiamo forse trovare un punto di partenza negli effetti postumi del sogno sulla vita da sveglio di Hanold. Fino a quel ! momento egli aveva avuto una fantasia nella quale Gradiva era stata pompeiana. Questa ipotesi diventò ora per lui una certezza, e ne seguì una seconda certezza: che era stata sepolta con il resto nell'anno 79 d.C.9. Malinconiche sensazioni si unirono a questo sviluppo della struttura del delirio, come un'eco dell'angoscia che aveva pervaso il sogno. Questo nuovo dolore per Gradiva non ci sembra molto comprensibile; Gradiva sarebbe ormai morta da molti secoli anche se fosse stata salvata dalla distruzione dell'anno 79 d.C. O forse non dovremmo discutere in questo modo con Norbert Hanold e con il suo autore? Anche qui sembra che non ci sia modo di comprendere. Tuttavia vale la pena di osservare che l'incremento acquistato dal delirio con questo sogno era unito ad un sentimento di tono altamente doloroso. A parte questo, tuttavia, ci troviamo nella stessa confusione di prima. Il sogno non è autoesplicativo, e dobbiamo risolverci a prendere in prestito dalla mia Interpretazione dei Sogni alcune delle regole ivi contenute per la spiegazione dei sogni ed applicarle a questo caso. Secondo una di queste regole i sogni sono inevitabilmente collegati agli eventi del giorno precedente il sogno. Sembra che il nostro autore desideri dimostrarci che ha seguito questa regola, poiché unisce direttamente il sogno alle «ricerche pedonali» di Hanold. Ora, queste non avevano altro significato che la ricerca di Gradiva, di cui egli cercava di riconoscere l'andatura caratteristica. Quindi il sogno avrebbe dovuto contenere un indizio di dove fosse possibile trovare Gradiva; e lo fa, mostrandola a Pompei. Ma questa non è una novità per noi. Secondo un'altra regola, se il credere nella realtà delle immagini oniriche persiste per un tempo insolitamente lungo, in modo che non ci si possa distogliere dal sogno, non si tratta di un giudizio errato causato dalla chiarezza delle immagini oniriche, ma di un atto psichico: si tratta di un'assicurazione, riferita al contenuto del sogno, che qualcosa in esso è realmente come è stato sognato; ed è giusto aver fede in questa assicurazione. Se ci atteniamo a queste due regole, dobbiamo concludere che il sogno dava alcune informazioni sui luoghi dove si poteva trovare Gradiva, e che quelle informazioni collimavano con lo stato effettivo di cose. Noi conosciamo il sogno di Hanold: otteniamo un significato ragionevole dall'applicazione ad esso di queste due regole? Strano a dirsi, l'otteniamo. Il significato è semplicemente mascherato in un modo particolare, cosicché non è immediatamente riconoscibile. Hanold apprese nel sogno che la ragazza che cercava viveva in una città e contemporaneamente con lui. Ora, questo era vero di Zoe Bertgang; solo che nel sogno la città non era la città universitaria tedesca, ma Pompei, e l'epoca non era l'attuale ma il 79 d.C. Si tratta, in un certo senso, di una deformazione mediante spostamento: è il sognatore che viene trasportato nel passato e non Gradiva nel presente. Tuttavia, in questo modo, viene stabilito il fatto nuovo ed essenziale: egli si trova nello stesso tempo e luogo della ragazza che sta cercando. Ma da dove sono venuti questo spostamento e questo travestimento che dovevano ingannare sia noi che il sognatore sul vero significato e contenuto del sogno? Ebbene, abbiamo già i mezzi a disposizione per dare una risposta soddisfacente a questa domanda. Ripensiamo a tutto ciò che abbiamo appreso sulla natura e sull'origine delle fantasie che precorrono il delirio. Esse sono surrogati e derivazioni dei ricordi rimossi ai quali una resistenza impedisce di arrivare inalterati alla coscienza, ma che possono ottenere la possibilità di diventare coscienti tenendo conto, con cambiamenti e deformazioni, della censura della resistenza. Quando questo compromesso è compiuto, i ricordi sono trasformati in fantasie, che possono essere facilmente fraintese dalla personalità cosciente, cioè intese in modo da inserirsi nella corrente psichica dominante. Supponiamo ora che le immagini oniriche si possano definire come creazioni dei deliri fisiologici dell'uomo — i prodotti del compromesso nella lotta tra il rimosso e il rimovente, che è probabilmente presente in tutti gli esseri umani, compresi quelli che durante il giorno sono perfettamente sani di mente. Comprenderemo allora che le immagini oniriche devono essere considerate come qualcosa di deformato, dietro al quale bisogna cercare qualche al-Ìtra cosa non deformata, ma in qualche modo biasimevole, come i ricordi rimossi di Hanold dietro alle sue fantasie. Possiamo dare espressione al contrasto così individuato, distinguendo ciò che il sognatore ricorda al risveglio come contenuto manifesto del sogno, da ciò che costituiva la base del sogno prima della deformazione imposta dalla censura, cioè il pensiero latente del sogno. Quindi interpretare un sogno consiste nel tradurre il contenuto manifesto del sogno nel pensiero latente, con processo inverso a quello della deformazione alla quale esso si è dovuto sottoporre da parte della censura, cioè della resistenza. Se applichiamo queste nozioni al sogno di cui ci stiamo occupando, scopriremo che i pensieri latenti potevano essere solo: la ragazza dall'andatura aggraziata che stai cercando vive realmente in questa città con te. Ma sotto quella forma il pensiero non poteva diventare cosciente; esso veniva bloccato dal fatto che una fantasia, come risultato di un precedente compromesso, aveva stabilito che Gradiva fosse pompeiana. Di conseguenza, se si doveva affermare il fatto reale che ella viveva nello stesso luogo e nello stesso tempo, non v'era altra scelta che quella di adottare la deformazione: «Tu abiti a Pompei al tempo di Gradiva». Quindi il contenuto manifesto del sogno realizzava quest'idea e la rappresentava come un fatto attuale effettivamente vissuto. Accade solo raramente che un sogno rappresenti o, potremmo dire, metta in scena un unico pensiero: generalmente i pensieri sono numerosi. Possiamo isolare un'altra componente del contenuto del sogno di Hanold, la cui deformazione si può facilmente eliminare, in modo da poter individuare l'idea latente da essa rappresentata. Anche a questa parte del sogno si può estendere l'assicurazione di realtà con la quale terminava il sogno. Nel sogno Gradiva mentre cammina viene trasformata in una scultura di marmo. Questa non è altro che una rappresentazione ingegnosa e poetica del fatto vero. Hanold aveva in realtà spostato il suo interesse dalla ragazza viva sulla scultura: la ragazza che amava era stata trasformata per lui in un rilievo di marmo. I pensieri onirici latenti, che erano costretti a restare inconsci, cercavano di trasformare nuovamente la scultura nella ragazza viva; di conseguenza gli dicevano qualcosa del genere: «Dopo tutto ti interessi della statua di Gradiva solo perché ti ricorda Zoe, che vive ora e qui». Ma se questa scoperta avesse potuto diventare cosciente, avrebbe segnato la fine del delirio. Siamo forse costretti a sostituire in questo modo ogni distinto elemento del contenuto manifesto del sogno con i pensieri inconsci? Strettamente parlando, sì; se stessimo interpretando un sogno effettivamente sognato, non potremmo evitare un tale compito. Ma in quel caso il sognatore dovrebbe anche darci numerosissime spiegazioni. Chiaramente non possiamo soddisfare questa esigenza nel caso della creazione dell'autore; tuttavia non dobbiamo trascurare il fatto che non abbiamo ancora sottoposto al processo di interpretazione o traduzione il contenuto principale del sogno. Il sogno di Hanold era un sogno d'angoscia. Il suo contenuto era terrificante, il sognatore provava angoscia mentre dormiva e restava successivamente in preda a sentimenti dolorosi. Ora questo non è affatto adatto al nostro tentativo di spiegazione, e dobbiamo ancora una volta ricorrere alla teoria dell' Interpretazione dei Sogni. Tale teoria ci ammonisce a non cadere nell'errore di attribuire l'angoscia che si può provare in un sogno al contenuto onirico, e a non considerare il contenuto del sogno come se fosse il contenuto di un'idea presentatasi nello stato di veglia. Apprendiamo che la situazione è del tutto diversa, che non può essere facilmente indovinata, ma che si può dimostrare con sicurezza. L'angoscia nei sogni d'incubo come l'angoscia nevrotica in genere, corrisponde ad uno stato emotivo sessuale, ad una sensazione erotica e sorge dalla libido attraverso i processi di rimozione10. Quando interpretiamo un sogno, quindi, dobbiamo sostituire alla angoscia l'eccitazione sessuale. Non sempre, ma spesso, la angoscia che nasce in questo modo ha un'influenza selettiva sul contenuto del sogno e introduce in esso elementi rappresentativi che, quando si osserva il sogno da un punto di vista cosciente ed errato, sembrano appropriati alla angoscia. Come ho detto, ciò non accade sempre, poiché ci sono numerosi sogni d'angoscia il cui contenuto non è assolutamente terrificante e nei quali è quindi impossibile dare una spiegazione dal punto di vista cosciente dell'angoscia che si è provata. Mi rendo conto che è difficile credere a questa spiegazione dell'angoscia nei sogni e che suona molto strana; ma posso solo consigliare il lettore di scendere a patti con essa. Sarebbe inoltre una cosa notevole se il sogno di Norbert Hanold si potesse conciliare con questa visione dell'angoscia e si potesse spiegare in tal modo. Su tale base dovremmo dire che i desideri erotici del sognatore furono stimolati durante la notte e fecero un grande sforzo per rendere cosciente il suo ricordo della ragazza che amava e liberarlo quindi dal delirio, ma che tali desideri furono nuovamente respinti e trasformati in angoscia, che a sua volta* introdusse nel contenuto onirico le immagini terrificanti provenienti dai suoi ricordi scolastici. In tal modo il vero contenuto inconscio del sogno, il suo appassionato desiderio per la Zoe che una volta egli conosceva, si trasformò nel contenuto manifesto della distruzione di Pompei e della perdita di Gradiva. Mi sembra che fino a questo punto la spiegazione sia plausibile. Ma si potrebbe giustamente osservare che, se i desideri erotici costituiscono il contenuto non deformato del sogno, si dovrebbe anche poter individuare almeno qualche traccia riconoscibile di questi desideri celati in una parte nel sogno deformato. Ebbene, anche questo è possibile, con l'aiuto di un suggerimento derivante da una parte successiva della storia. Quando Hanold incontrò per la prima volta la presunta Gradiva, si sovvenne del sogno e supplicò l'apparizione di stendersi di nuovo nella posa che egli aveva visto assumere allora". A quel punto, tuttavia, la giovane donna si alzò indignata e abbandonò il suo strano compagno, poiché aveva individuato lo sconveniente desiderio erotico al di là di ciò che egli aveva detto sotto il dominio del delirio. Credo che dobbiamo accettare l'interpretazione di Gradiva; anche in un sogno vero non possiamo sempre aspettarci di trovare un'espressione più esplicita di un desiderio erotico. Mediante l'applicazione di alcune delle regole dell'Interpretazione dei Sogni al primo sogno di Hanold ci è stato possibile renderlo comprensibile ed inserirlo nel tessuto della storia. Possiamo quindi pensare che l'autore debba aver osservato queste regole nel crearlo? Possiamo anche porre un'altra domanda: perché mai l'autore ha poi introdotto un sogno per produrre l'ulteriore sviluppo del delirio? Secondo la mia opinione è stata un'idea geniale, e ancora una volta corrispondente alla realtà. Abbiamo già appreso che nelle malattie reali spesso il delirio nasce in relazione ad un sogno e, dopo quanto abbiamo stabilito sulla natura dei sogni, non è necessario vedere in questo fenomeno un nuovo enigma. 11 sogno e il delirio sorgono dalla stessa fonte: si può dire che il sogno è il delirio fisiologico di una persona normale. Prima che il rimosso divenga abbastanza forte da irrompere sotto forma di delirio nella veglia, può facilmente conseguire un primo successo nelle condizioni più favorevoli dello stato di sonno, sotto forma di sogno con effetti duraturi. Infatti durante il sonno, insieme al generale abbassamento di attività psichica, c'è un rilassamento della forza della resistenza con la quale le forze psichiche dominanti si oppongono al rimosso. Questo rilassamento permette la formazione dei sogni e spiega perché i sogni ci offrano il migliore accesso alla conoscenza della parte inconscia della mente. Solo che, in genere, con il ristabilimento della carica psichica della veglia, il sogno scompare di nuovo e il terreno che era stato conquistato dall'inconscio viene nuovamente evacuato. 3. Nell'ulteriore sviluppo della storia si trova ancora un altro sogno che ci alletterà forse anche di più a tentarne un'interpretazione onde inserirlo nel corso degli eventi mentali dell'eroe. Ma non risparmieremmo molto a distoglierci dal racconto dell'autore e ad affrettarci immediatamente su questo secondo sogno; infatti chi desidera analizzare il sogno di un'altra persona, non può evitare di rivolgere la sua attenzione su tutte le esperienze interne ed esterne del sognatore fin nei minimi particolari. Sarà quindi meglio, probabilmente, attenersi strettamente allo svolgimento della storia e disseminarlo dei nostri commenti man mano che andiamo avanti. La creazione del nuovo delirio sulla morte di Gradiva durante la distruzione di Pompei nel 79 d.C, non fu la sola conseguenza del primo sogno, che abbiamo già analizzato. Immediatamente dopo il sogno, Hanold decise di fare il viaggio in Italia, che infine lo portò a Pompei. Ma, prima, gli accadde qualche altra cosa. Mentre era affacciato alla finestra, pensò di vedere una figura per la strada con il portamento e l'andatura della sua Gradiva. Nonostante fosse insufficientemente vestito, si affrettò a correrle dietro, ma non riuscì a raggiungerla e fu spinto di nuovo dentro casa dalle beffe dei passanti. Una volta tornato in camera sua, la canzone di un canarino in gabbia nella finestra della casa di fronte gli destò uno stato d'animo particolare, in cui anch'egli si sentiva un prigioniero anelante la libertà. E nello stesso momento in cui prese la decisione di fare il viaggio in primavera, la mise in atto. L'autore ha particolarmente messo in luce questo viaggio di Hanold lasciando che egli facesse una parziale introspezione dei suoi processi interiori. Hanold naturalmente si trovò un pretesto scientifico per il viaggio, ma questo non durò a lungo. Dopo tutto, egli si rendeva conto in realtà che «l'impulso a fare questo viaggio era nato da un sentimento che non riusciva a definire». Una strana irrequietudine lo rendeva insoddisfatto di tutto ciò in cui si imbatteva e lo spinse da Roma a Napoli, da Napoli a Pompei; ma anche in quest'ultima meta, il suo animo era ancora agitato. Lo irritava il comportamento delle coppie in luna di miele e lo faceva arrabbiare l'impertinenza delle mosche negli alberghi di Pompei. Ma alla fine non potè più nascondersi «che la sua insoddisfazione non poteva essere provocata unicamente da ciò che era intorno a lui ma che c'era qualcosa che nasceva dentro di sé». In questo stato d'animo egli era adirato anche con la sua padrona, la Scienza. Mentre sotto il caldo sole di mezzogiorno egli vagava per la prima volta dentro Pompei, «tutta la sua scienza non lo aveva semplicemente abbandonato, ma lo aveva lasciato senza il minimo desiderio di ritrovarla di nuovo. Egli la ricordava come qualcosa di molto lontano e sentiva che era stata una vecchia zia noiosa e arida, la più deprimente e indesiderata creatura al mondo» [55]. Così, mentre si trovava in questo stato d'animo spiacevole e confuso, gli si cominciò a chiarire uno dei problemi collegati al viaggio, proprio nel momento in cui egli vide per la prima volta Gradiva che camminava per Pompei. Qualcosa «arrivò alla sua coscienza per la prima volta: senza essere consapevole dell'impulso che era dentro di lui, era venuto in Italia ed aveva viaggiato fino a Pompei, senza fermarsi a Roma o a Napoli, per vedere se poteva trovare una qualche traccia di lei. E "tracce" letteralmente, poiché con la sua andatura caratteristica doveva aver lasciato dietro di sé l'impronta delle punte dei piedi, diversa dalle altre» [58]. Dal momento che l'autore si è tanto preoccupato di descrivere il viaggio, deve valere la pena di discuterne anche il rapporto con il delirio di Hanold e la posizione nella concatenazione degli eventi. Il viaggio venne intrapreso per motivi che il soggetto al principio non riuscì a riconoscere e che confessò a se stesso solo in seguito, motivi che l'autore descrive con altre parole come «inconsci». Questo è certamente tratto dalla vita reale. Non è necessario soffrire di delirio per comportarsi in questo modo. Anzi è un fatto che accade quotidianamente a tutte le persone, anche quelle sane, l'ingannare se stessi sui motivi di un'azione, purché un conflitto tra numerose correnti di sentimenti offra le condizioni necessarie per una tale confusione. Di conseguenza fin dal principio il viaggio di Hanold era inteso al servizio del delirio, e doveva portarlo a Pompei, dove egli avrebbe potuto continuare a cercare Gradiva. Si ricorderà che la sua mente era presa da quella ricerca sia prima che immediatamente dopo il sogno, e che il sogno stesso era semplicemente una risposta alla domanda dove fosse Gradiva, anche se era una risposta rimossa dalla coscienza. Qualche forza che non conosciamo, tuttavia, gli inibiva anche al principio di diventare consapevole dell'intenzione sorta dal delirio; quindi per le ragioni coscienti del viaggio, egli rimase con pretesti insufficienti che in ogni luogo dovevano essere rinnovati. L'autore ci confonde ancora di più le idee, facendo sì che i vari fatti, il sogno, la scoperta della presunta Gradiva per la strada e la decisione di fare il viaggio suscitata dal canarino che canta, si succedano l'un l'altro come una serie di fatti casuali senza alcun nesso interno reciproco. Attraverso alcune spiegazioni tratte dalle successive osservazioni di Zoe Bertgang questa zona oscura della storia ci diventa comprensibile. Hanold aveva visto infatti l'originale di Gradiva, la signorina Zoe in persona, che camminava per la strada e l'aveva quasi raggiunta. Se questo fosse accaduto, l'informazione ricevuta dal sogno (che ella in realtà viveva nella sua stessa epoca e nella sua stessa città) avrebbe per un caso fortunato ricevuto una conferma irresistibile, tale da provocare il crollo del suo conflitto interiore. Ma il canarino, il cui canto spinse Hanold ad un viaggio lontano, apparteneva a Zoe, e la gabbia stava alla sua finestra in linea diagonale dall'altro lato della strada rispetto alla casa di Hanold [135]. Hanold, che, secondo l'accusa della ragazza, aveva il dono della «allucinazione negativa», che possedeva l'arte di non vedere e non riconoscere le persone che erano effettivamente presenti, deve aver avuto fin dal principio una consapevolezza inconscia di ciò che noi apprendiamo solo più tardi. Gli indizi della vicinanza di Zoe (la sua comparsa per la strada e il suo uccellino che cantava così vicino alla finestra di lui) intensificarono l'effetto del sogno, e in questa posizione, così pericolosa per la sua resistenza ai sentimenti erotici, egli si dette alla fuga. Il viaggio fu una conseguenza delle nuove forze raccolte dalla resistenza dopo l'ondata di desideri erotici nel sogno; era un tentativo di sfuggire la presenza fisica della ragazza che amava. Praticamente fu una vittoria per la rimozione, proprio come la sua precedente attività, le sue «ricerche pedonali» su donne e ragazze, era stata una vittoria per l'erotismo. Ma in ogni caso, durante queste oscillazioni della lotta, veniva preservato il carattere di compromesso del risultato: il viaggio a Pompei, che doveva allontanarlo da Zoe viva, lo portava almeno al suo surrogato, Gradiva. Il viaggio, intrapreso sfidando i pensieri onirici latenti, seguiva tuttavia la strada verso Pompei indicata dal contenuto manifesto del sogno. Quindi ad ogni nuova lotta tra l'erotismo e la resistenza troviamo il trionfo del delirio. Questa visione del viaggio di Hanold come fuga dal ridestato desiderio erotico per la ragazza che egli amava e che gli era così vicina, è l'unica che si adatti alla descrizione dei suoi stati emotivi durante il soggiorno in Italia. Il ripudio dell'erotismo che lo dominava si esprimeva nel suo disgusto verso le coppie in luna di miele. Un breve sogno che egli fece nell'albergo a Roma e il cui spunto fu la vicinanza di una coppia di amanti tedeschi, «Augusto e Greta», di cui egli non potè non sentire la conversazione serale attraverso la sottile parete divisoria, getta una luce retrospettiva, in un certo senso, sul significato erotico del suo primo sogno. Nel nuovo sogno egli si trovava ancora a Pompei ed il Vesuvio era nuovamente in eruzione, costituendo così un collegamento con il sogno precedente, i cui effetti perduravano durante il viaggio. Tuttavia questa volta tra le persone ancora vive c'erano, non come nella precedente occasione se stesso e Gradiva, ma l'Apollo del Belvedere e la Venere capitolina, certamente come esaltazione ironica della coppia della stanza accanto. Apollo sollevava Venere, la portava fuori e l'adagiava su qualche cosa che sembrava nell'oscurità una carrozza o un carro, poiché emetteva uno «scricchiolio». A parte questo, l'interpretazione del sogno non richiede una particolare abilità [31]. Il nostro autore, che come da molto tempo ci siamo accorti, non introduce mai un solo elemento inutile o non intenzionale nella sua storia, ci ha dato un'altra prova della corrente asessuale che dominava Hanold durante il viaggio. Mentre egli vagabondava a lungo per Pompei, «stranamente non gli venne mai in mente che poco tempo prima aveva sognato di assistere alla sepoltura di Pompei nell'eruzione del 79 d.C.» [47]. Solamente quando vide Gradiva si ricordò improvvisamente del sogno e divenne nello stesso tempo consapevole della ragione, dovuta al delirio, del suo enigmatico viaggio. Come si potrebbe spiegare questo dimenticare il sogno, questa barriera della rimozione tra il sogno e la sua condizione psichica durante il viaggio se non supponendo che il viaggio non fu intrapreso come diretta ispirazione del sogno, ma come ribellione contro di esso, come emanazione della forza psichica che rifiutava di conoscere il significato segreto del sogno? Ma d'altra parte Hanold non riuscì a godere di questa vittoria sul suo erotismo. L'eccitazione psichica repressa restava abbastanza forte da vendicarsi di quello che lo sopprimeva con scontentezza e inibizione. 1 suoi desideri si trasformarono in agitazione e insoddisfazione, che gli fecero sembrare il viaggio privo di senso. Il suo esame delle ragioni del viaggio fu inibito sotto il dominio del delirio e fu ostacolato il suo rapporto con la scienza che in quel luogo avrebbe dovuto destare tutto il suo interesse. L'autore quindi ci mostrò il suo eroe dopo la fuga dall'amore in una specie di crisi, in uno stato di confusione e distrazione totale, in un'agitazione come quella che generalmente troviamo, all'apice di una malattia, quando nessuna delle due potenze in conflitto possiede più forze sufficientemente superiori all'altra perché il margine tra di esse permetta l'instaurazione di un vigoroso regime mentale. Ma qui interviene in soccorso l'autore e spiana le cose facendo apparire Gradiva a questo punto di congiunzione e facendole intraprendere la cura del delirio. Avendo il potere di guidare le creature della sua fantasia verso un felice destino, nonostante tutte le leggi della necessità alle quali le sottomette, egli dispone che la ragazza, per evitare la quale Hanold era fuggito a Pompei, venga trasferita proprio in quel luogo. In tal modo egli ripara alla sciocchezza che il giovane aveva fatto nel suo delirio — la sciocchezza di scambiare la casa della ragazza viva che egli amava, per il luogo di sepoltura della sua immaginaria sostituta. Alla comparsa di Zoe Bertgang come Gradiva, che segna l'apice della tensione nella storia, anche il nostro interesse cambia direzione. Finora abbiamo assistito allo sviluppo di un delirio; ora dobbiamo testimoniarne la cura. E possiamo chiederci se l'autore abbia fatto un'esposizione puramente fantasiosa del corso della cura o se l'abbia sviluppata secondo le possibilità effettivamente presenti. Le stesse parole di Zoe durante la conversazione con l'amica appena sposata, ci danno chiaramente motivo di attribuirle l'intenzione di portare a termine la cura [124]. Ma come lo aveva deciso? Superato Io sdegno destato in lei dalla proposta di stendersi giù a dormire di nuovo come aveva fatto «allora», ella ritornò il giorno dopo, sempre a mezzogiorno, nello stesso luogo e cominciò a carpire ad Hanold tutte le segrete informazioni, la cui ignoranza le aveva impedito di comprendere il giorno prima il suo comportamento. Apprese allora del sogno, della scultura di Gradiva e della particolarità dell'andatura, che apparteneva anche a lei. Accettò il ruolo di spirito richiamato alla vita per una breve ora, ruolo per il quale si era accorta di essere stata scelta dal delirio di lui, e, accettando i fiori dei morti che egli le aveva portato senza scopi coscienti, ed esprimendo il rimpianto che egli non le avesse offerto delle rose, gli accennava gentilmente con parole ambigue la possibilità di assumere un nuovo atteggiamento [90]. Questa ragazza insolitamente intelligente, quindi era decisa a portare al matrimonio il suo amico d'infanzia, dopo essersi accorta che l'amore del giovane per lei era la forza motrice del delirio. Il nostro interesse per il suo comportamento, tuttavia, cederà probabilmente, per il momento, alla sorpresa che possiamo provare per il delirio in sé. Secondo l'ultima forma da esso assunta, Gradiva, che era stata sepolta nel 79 d.C, era ora in grado come spirito di mezzogiorno di parlare con lui per un'ora e doveva poi sprofondare sotto terra o cercare di nuovo la sua tomba. Questa ragnatela mentale, che né il rendersi conto delle scarpe moderne indossate dall'apparizione, né la sua conoscenza del tedesco e la sua ignoranza delle lingue antiche avevano spazzato via, sembra certamente giustificare la definizione di «fantasia pompeiana» creata dall'autore della storia, ma sembra anche escludere qualsiasi possibilità di essere misurata con il metro della realtà clinica. Tuttavia, ad un esame più rigoroso, questo delirio di Ha-nold mi sembra perdere la maggior parte della sua inverosimiglianza. Anzi l'autore si è reso esso stesso responsabile di una parte di essa, basando la storia sulla premessa che Zoe era un duplicato del rilievo in tutti i particolari. Dobbiamo quindi evitare di trasferire l'inverosimiglianza di questa premessa sulla sua conseguenza, che cioè Hanold scambiasse la ragazza per Gradiva tornata in vita. Maggiore importanza viene attribuita alla spiegazione del delirio dal fatto che l'autore non ha messo a nostra disposizione degli elementi razionali. Inoltre l'autore ha addotto delle circostanze mitigatrici a favore degli eccessi del suo eroe introducendo l'elemento del riverbero abbagliante del sole nella campagna e dell'inebriante incantesimo dei vigneti sui pendii del Vesuvio. Ma il più importante dei fattori chiarificatori e discolpanti resta la facilità con cui il nostro intelletto è pronto ad accettare qualcosa di assurdo, purché soddisfi potenti impulsi emotivi. Si tratta di quel fenomeno, sorprendente e generalmente trascurato, per cui, sotto simili condizioni psicologiche, anche le persone più intelligenti reagiscono spesso come se fossero deboli di mente; chiunque non sia troppo presuntuoso può osservarlo in se stesso in qualunque momento. E accade ancora più spesso se qualcuno dei processi psichici implicati è collegato a motivi inconsci e rimossi. A questo riguardo cito volentieri le parole di un filosofo, che mi scrive: «Ho annotato i casi che mi sono capitati di errori strani ed azioni sventate, i cui motivi si scoprono successivamente (in modo del tutto irragionevole). È un fatto allarmante, ma tipico, scoprire quanta follia questo porti alla luce». Dobbiamo anche ricordare che tra le persone colte è ancora diffuso il credere agli spiriti, ai fantasmi e al ritorno dei morti, cose che trovano conferma nelle religioni alle quali siamo stati tutti attaccati almeno nell'infanzia, e che molti, pur essendo razionali sotto altri aspetti, ritengono possibile conciliare lo spiritualismo con la ragione. Anche un uomo diventato razionale e scettico, si può vergognare di scoprire quanto facilmente egli possa tornare per un attimo a credere negli spiriti sotto l'urto congiunto di una forte emozione e confusione. So di un medico al quale una volta era morta una paziente malata del morbo di Graves, e che non riusciva a liberarsi dal lontano sospetto di aver potuto contribuire all'infelice risultato con una prescrizione sventata. Un giorno, parecchi anni dopo, una ragazza entrò nel suo studio, ed egli, nonostante tutti i suoi sforzi, non potè non riconoscere in lei la paziente morta. Potè solo formulare un unico pensiero: «Così dopo tutto è vero che i morti possono tornare in vita». Il terrore non cedette il posto alla vergogna finché la ragazza non si presentò come la sorella di quella che era morta della stessa malattia di cui ella stessa soffriva. È stato osservato che le vittime del morbo di Graves hanno tra loro una notevole somiglianza facciale; e in questo caso a tale somiglianza tipica si aggiungeva quella familiare. Tuttavia, il dottore a cui capitò questo fenomeno ero proprio io, ed ho quindi motivi personali per non confutare la possibilità clinica del delirio temporaneo di Norbert Hanold sul ritorno in vita di Gradiva. Infine tutti gli psichiatri sanno che nei casi gravi di deliri cronici (nella paranoia) ricorrono gli esempi più eccezionali di assurdità ingegnosamente elaborate e ben fondate. Dopo il suo primo incontro con Gradiva, Norbert Hanold aveva bevuto il suo vino prima in uno poi nell'altro dei due ristoranti che conosceva a Pompei, mentre gli altri ospiti erano impegnati a consumare il pasto principale della giornata. «Naturalmente non gli venne mai in mente di pensare all'idea assurda» che lo stesse facendo per scoprire in quale degli alberghi Gradiva viveva e stava mangiando. Ma è difficile dire quale altro senso avessero potuto avere le sue azioni. Il giorno dopo il loro secondo incontro alla casa di Meleagro, egli ebbe diverse esperienze strane e apparentemente incoerenti. Egli scoprì una stretta apertura nel muro del portico, nel punto in cui Gradiva era scomparsa. Incontrò uno sciocco cacciatore di lucertole che gli si rivolse come se fosse un conoscente. Scoprì un terzo albergo, fuorimano, l'Albergo al Sole, il cui proprietario gli affibbiò un fermaglio metallico con una patina verde passandolo per un reperto trovato accanto ai resti di una ragazza pompeiana. E, infine, nel suo albergo notò una giovane coppia appena arrivata, che immaginò fratello e sorella e che trovò simpatici. Tutte queste impressioni vennero poi intessute insieme in un sogno «notevolmente assurdo», il cui contenuto era il seguente: «Gradiva era seduta da qualche parte al sole e faceva una trappola con fili d'erba per catturare una lucertola, e disse: "Per favore resti immobile. La nostra collega ha ragione; il metodo è veramente ottimo ed essa se ne è servita con risultati eccellenti"». Stornò questo sogno mentre ancora dormiva osservando criticamente che era pura follia, e cercò in tutti i modi di liberarsene. Ci riuscì con l'aiuto di un uccello invisibile che fece un breve richiamo ridente e portò via nel suo becco la lucertola. Dobbiamo avventurarci nel tentativo di interpretare anche questo sogno, cioè di sostituire ad esso i pensieri latenti dalla cui deformazione deve essere sorto? Esso è assurdo come solo un sogno può esserlo, e questa assurdità dei sogni è il fondamento della teoria che rifiuta di caratterizzare i sogni come atti psichici completamente validi e sostiene che sorgono da eccitazioni disordinate degli elementi psichici. Siamo in grado di applicare a questo sogno la tecnica che si può definire come il regolare procedimento di interpretazione dei sogni. Esso consiste nel non prestare attenzione ai nessi apparenti del sogno manifesto e nel concentrarsi su ogni elemento del suo contenuto separatamente, cercandone l'origine nelle impressioni, ricordi e libere associazioni del sognatore. Poiché, tuttavia, non possiamo interrogare Hanold, dovremo accontentarci di riferirci alle sue impressioni e possiamo a titolo di prova mettere le nostre associazioni al posto delle sue. «Gradiva era seduta da qualche parte al sole, prendeva lucertole e parlava.» Quale impressione del giorno precedente trova eco in questa parte del sogno? Certamente l'incontro con l'anziano gentiluomo, il cacciatore di lucertole, che era quindi sostituito nel sogno da Gradiva. Egli era seduto o disteso «su un pendio inondato di sole» e anch'egli aveva parlato ad Hanold. Inoltre le osservazioni di Gradiva nel sogno erano copiate dalle osservazioni dell'uomo: «Il metodo indicato dal nostro collega Eimer è veramente ottimo; l'ho usato già molte volte con risultati eccellenti. Per favore resti immobile». Gradiva usò le stesse parole nel sogno tranne che «il nostro collega Eimer» fu sostituito da una innominata «collega»; inoltre il «molte volte» del discorso dello zoologo fu omesso nel sogno e l'ordine delle frasi fu in qualche modo alterato. Sembra quindi che questa esperienza del giorno precedente fosse trasformata nel sogno con l'aiuto di alcuni cambiamenti e deformazioni. Perché questa particolare esperienza? E qual è il significato dei cambiamenti — la sostituzione di Gradiva all'anziano gentiluomo e l'introduzione della enigmatica «collega»? In una regola dell'interpretazione dei sogni si afferma: «Un discorso sentito in un sogno è sempre tratto da un discorso udito o fatto dal sognatore nella vita da sveglio». Qui sembra che sia stata osservata questa regola: il discorso di Gradiva è solo un'alterazione del discorso dell'anziano zoologo che Hanold aveva udito il giorno prima. Un'altra regola dell'interpretazione dei sogni ci informa che quando una persona viene sostituita da un'altra o quando due persone vengono fuse insieme (ad esempio, quando una di esse viene mostrata in un atteggiamento che è caratteristico dell'altra), significa che le due persone vengono messe sullo stesso piano, che tra esse c'è una somiglianza. Se ci azzardiamo ad applicare anche questa regola al nostro sogno, dovremmo arrivare a questa traduzione: «Gradiva prende le lucertole proprio come il vecchio uomo; è abile quanto lui nell'acchiappare lucertole». Non si può ancora dire che il risultato sia perfettamente chiaro, ma dobbiamo risolvere un altro enigma. A quale impressione del giorno precedente dobbiamo riferire la «collega» che nel sogno sostituisce il famoso zoologo Eimer? Fortunatamente in questo caso non abbiamo molto da scegliere. Una «collega» può solo significare un'altra ragazza, cioè la simpatica giovane donna che Hanold aveva scambiato per una sorella in viaggio con il fratello. «Ella portava una rosa rossa di Sorrento sull'abito, la cui vista gli ricordò qualcosa mentre osservava dall'angolo della sala da pranzo, ma non riusciva a ricordare cosa.» Questa osservazione dell'autore ci permette di considerarla la «collega» del sogno. Certamente ciò che Hanold non riusciva a ricordare erano le parole che gli aveva detto la presunta Gradiva quando, chiedendogli i fiori bianchi dei morti, aveva osservato che in primavera la gente offre alle ragazze più fortunate delle rose. Ma dietro a quelle parole c'era stato un cenno di corteggiamento. Allora che specie di caccia alle lucertole aveva compiuto con tanto successo la più fortunata «collega»? Il giorno successivo Hanold incontrò i presunti fratello e sorella stretti in un abbraccio appassionato e potè così correggere il precedente errore. Si trattava in realtà di una coppia di innamorati, e per di più in luna di miele, come abbiamo scoperto in seguito, quando hanno così inaspettatamente interrotto il terzo incontro di Hanold con Zoe. Se siamo ora disposti a pensare che Hanold, per quanto li avesse presi coscientemente per fratello e sorella, avesse immediatamente riconosciuto il loro vero rapporto (che fu esplicitamente rivelato il giorno dopo) nel suo inconscio, il discorso di Gradiva nel sogno acquista un chiaro significato. La rosa rossa era diventata il simbolo di una relazione amorosa. Hanold capiva che la coppia era già quello che lui e Gradiva dovevano ancora diventare: la caccia alle lucertole significava ora caccia all'uomo, e il discorso di Gradiva significava qualcosa del genere: «Lasciatemi sola: so quanto l'altra ragazza come conquistare un uomo». Ma perché era necessario che questo discernimento delle intenzioni di Zoe apparisse in sogno sotto forma del discorso del vecchio zoologo? Perché l'abilità di Zoe nel catturare uomini era rappresentata dall'abilità dell'anziano zoologo nel catturare lucertole? Ebbene, non è difficile trovare una risposta. Abbiamo indovinato da molto tempo che il cacciatore di lucertole non era altri che Bertgang, il professore di zoologia e padre di Zoe, che, tra l'altro, deve anche aver conosciuto Hanold, il che spiega come mai gli si rivolgesse come ad un conoscente. Ipotizziamo ancora una volta che nel suo inconscio Hanold riconoscesse subito il professore. «Aveva la vaga sensazione di aver già visto di sfuggita il volto del cacciatore di lucertole, probabilmente in uno dei due alberghi.» È questa allora la spiegazione dello strano camuffamento sotto il quale apparve l'intenzione attribuita a Zoe: ella era la figlia del cacciatore di lucertole ed aveva acquistato da lui la sua abilità. La sostituzione di Gradiva al cacciatore di lucertole nel contenuto del sogno è dj conseguenza una rappresentazione del rapporto tra i due personaggi, che Hanold conosceva nel suo inconscio; l'introduzione della «collega» al posto del «nostro collega Eimer» permetteva al sogno di esprimere la consapevolezza di Hanold che ella stava corteggiando un uomo. Fino a questo punto il sogno ha saldato insieme («condensato», come diciamo noi) due esperienze del giorno precedente in un'unica situazione, per esprimere (anche se in modo molto oscuro) due scoperte che non potevano diventare coscienti. Ma possiamo andare più in là, possiamo ridurre ancora di più la stranezza del sogno e dimostrare l'influenza delle altre esperienze del giorno precedente sulla forma presa dal sogno manifesto. Possiamo dichiararci insoddisfatti della spiegazione data finora del perché venne assunta nel nucleo del sogno proprio la scena della caccia alle lucertole, e possiamo supporre che ancora degli altri elementi dei pensieri onirici abbiano contribuito a creare l'enfasi relativa alle «lucertole» nel sogno manifesto. Ciò, anzi, è molto probabile. Si ricorderà che Hanold aveva scoperto una stretta apertura nel muro nel punto in cui era sembrato che Gradiva svanisse — una stretta apertura «che tuttavia era abbastanza ampia da permettere ad una figura insolitamente sottile» di passare. Questa osservazione durante il giorno lo aveva indotto ad apportare un cambiamento al suo delirio, un cambiamento nel senso che quando Gradiva scompariva dalla sua vista, non sprofondava sotto terra ma si serviva dell'apertura per raggiungere la sua tomba. Nei suoi pensieri inconsci egli può essersi detto di avere ora scoperto la spiegazione naturale della sorprendente scomparsa della ragazza. Ma l'idea di scivolare attraverso strette aperture e scomparire in esse non gli avrà ricordato il comportamento delle lucertole? Non si stava forse comportando in questo modo Gradiva, come un'agile piccola lucertola? Secondo la nostra opinione, dunque, la scoperta dell'apertura nel muro contribuì nel determinare la scelta dell'elemento «lucertola» nel contenuto manifesto del sogno. La presenza della lucertola nel sogno rappresentava sia questa impressione del giorno precedente sia l'incontro con il padre di Zoe, lo zoologo... E se ora, diventati audaci, cercassimo di trovare nel contenuto del sogno la rappresentazione di un'esperienza del giorno precedente che non è stata ancora utilizzata, cioè la scoperta del terzo albergo, dell'Albergo al Sole? L'autore ha trattato così lungamente questo episodio ed ha collegato ad esso tante cose, che resteremmo sorpresi se fosse il solo a non aver contribuito alla formazione del sogno. Hanold era entrato in questo albergo, che, a causa della sua collocazione fuorimano e della sua distanza dalla stazione ferroviaria, gli era rimasto ignoto, per acquistare una bottiglia di acqua minerale e raffreddare il suo sangue in ebollizione. Il padrone colse l'occasione per mostrargli i suoi oggetti antichi, tra cui un fermaglio che sosteneva essere appartenuto alla ragazza pompeiana che era stata trovata nelle vicinanze del Foro, strettamente abbracciata al suo amante. Hanold, che non aveva mai creduto fino allora all'aneddoto tante volte sentito, era ora costretto da una forza sconosciuta a credere alla verità di questa storia commovente e alla autenticità dell'oggetto; egli acquistò il fermaglio e lasciò l'albergo con il suo nuovo acquisto. Mentre usciva, vide in un bicchiere ad una finestra un rametto curvo di asfodelo coperto di boccioli bianchi, e assunse quella vista a conferma dell'autenticità del suo nuovo possesso. Egli era ora decisamente convinto che il fermaglio verde fosse appartenuto a Gradiva e che era lei la ragazza morta nelle braccia dell'amante. Placò la gelosia che di conseguenza lo attanagliava, decidendo che il giorno dopo avrebbe mostrato il fermaglio a Gradiva stessa e avrebbe atteso conferma del suo sospetto. Non si può negare che questo fosse uno strano nuovo elemento del delirio. Dovremmo, tuttavia, credere che non ce ne fosse traccia nel sogno della stessa notte? Varrà certamente la pena di spiegare l'origine di questo accrescimento del delirio e di cercare la nuova scoperta inconscia che fu sostituita dal nuovo elemento di delirio. Il delirio apparve sotto l'influenza del padrone dell'Albergo al Sole davanti al quale Hanold si comportò in maniera così stranamente credulona da sembrare quasi d'essere stato ipnotizzato. Il padrone gli mostrò una fibbia metallica da abito, affermando che era autentica e che era appartenuta alla ragazza trovata sepolta tra le braccia del suo amante; e Hanold, che era capace di essere abbastanza critico da dubitare sia della verità della storia che dell'autenticità del fermaglio, vi credette subito e acquistò un oggetto di troppo dubbia antichità. Il perché di questo comportamento è del tutto incomprensibile e nulla nella personalità del proprietario ci può suggerire una spiegazione. Ma c'è un altro enigma nell'episodio, e spesso due enigmi si risolvono l'un l'altro. Mentre lasciava l'albergo, vide un rametto di asfodelo in un bicchiere ad una finestra e lo prese come una conferma dell'autenticità del fermaglio metallico. Come era potuto succedere questo? Ma fortunatamente quest'ultimo punto è facile da risolvere. Il fiore bianco era certamente quello che aveva dato a Gradiva a mezzogiorno, ed è perfettamente vero che la sua vista alla finestra dell'albergo confermava qualcosa. Non certamente l'autenticità del fermaglio, ma qualcos'altro che gli era già diventato chiaro quando aveva scoperto questo albergo precedentemente ignorato. Già il giorno prima si era comportato come se stesse cercando di trovare nei due alberghi di Pompei la persona che gli era apparsa come Gradiva. Ed ora, avendone inaspettatamente trovato un terzo, si deve essere detto nel suo inconscio: «Allora è qui che sta lei!». Aggiunse perciò, mentre andava via: «Sì, è giusto! Ecco l'asfodelo che le ho dato! E così quella è la sua finestra!». Questa dunque la nuova scoperta che fu sostituita dal delirio e che non poteva arrivare alla coscienza perché presupponeva il postulato che Gradiva fosse una persona viva che egli una volta aveva conosciuto, e questo non poteva diventare cosciente. Ma come poteva avere luogo questa sostituzione del delirio alla nuova scoperta? Ciò che accadde, credo, fu che il senso di convinzione collegato alla scoperta riuscì a persistere e fu conservato, mentre la scoperta stessa, che non poteva essere ammessa alla coscienza, fu sostituita da un altro contenuto rappresentativo ad essa connesso mediante associazioni di idee. Così il senso di convinzione fu collegato ad un contenuto che in realtà gli era estraneo e questo, sotto forma di delirio, ottenne un riconoscimento che non era applicato ad esso. Hanold trasferì la sua convinzione che Gradiva viveva nella casa su altre impressioni che aveva ricevuto nella stessa casa: questo provocò la sua credulità nei confronti delle osservazioni del padrone di casa, nella autenticità del fermaglio metallico e nella veridicità dell'aneddoto sulla scoperta degli amanti abbracciati — ma solamente perché aveva collegato a Gradiva ciò che udiva nella casa. La gelosia già latente in lui fece presa su questo materiale e conseguenza ne fu il delirio (anche se in contraddizione con il primo sogno) che Gradiva fosse la ragazza morta tra le braccia dell'amante e che il fermaglio che egli aveva acquistato le fosse appartenuto. Si deve osservare che la sua conversazione con Gradiva e l’accenno di lei a corteggiarlo (il suo «dirlo con i fiori») aveva già prodotto in Hanold degli importanti cambiamenti. Si erano già destati in lui tratti di desiderio maschile — componenti della libido —, anche se è vero che non potevano ancora fare a meno di mascherarsi dietro pretesti coscienti. Ma il problema della «natura corporea» di Gradiva, che lo perseguitò per tutto il giorno, non può rinnegare la sua origine nella curiosità erotica di un giovane per il corpo di una donna, anche se è coinvolto in un problema scientifico dall'insistenza cosciente sulla strana oscillazione di Gradiva tra la vita e la morte. La sua gelosia era un ulteriore indizio dell'aspetto coscientemente attivo dell'amore di Hanold; egli espresse questa gelosia all'inizio della loro conversazione il giorno successivo e, grazie ad un nuovo pretesto, toccò il corpo della ragazza e, come usava fare in passato, la colpì.
È tempo ormai di chiederci se il metodo di formazione di un delirio, che abbiamo dedotto dal racconto dell'autore, sia noto da altre fonti o se invece sia almeno possibile. In base alle nostre nozioni mediche possiamo solo rispondere che è certamente il metodo esatto e forse l'unico metodo mediante il quale un delirio acquista quella ferma convinzione che è una delle caratteristiche cliniche. Se un paziente crede così fermamente nel suo delirio, ciò non avviene perché si è sconvolta la sua facoltà di giudizio e perché non si eleva da ciò che è falso nel delirio. Al contrario, c'è un granello di verità che si nasconde in ogni delirio, c'è qualcosa che veramente merita di essere creduta, e questo costituisce la fonte della convinzione del paziente il quale quindi è giustificato entro tali limiti. Questo elemento di verità tuttavia è rimosso da molto tempo. Se alla fine riesce a penetrare nella coscienza, questa volta in forma distorta, il senso di convinzione ad esso collegato viene iperintensificato quasi in via di compensazione, e viene ora collegato al sostituto deformato della verità rimossa e lo protegge da qualsiasi attacco critico. In un certo senso la convinzione viene spostata dalla verità inconscia all'errore cosciente che è ad essa legato, e resta fissata lì proprio in conseguenza di questo spostamento. Il caso della formazione di delirio che derivò dal primo sogno di Hanol Intendo ora tornare sul sogno ed estrarne un elemento piccolo ma interessante, che costituisce un collegamento tra due delle sue cause provocatrici. Gradiva aveva in un certo senso contrapposto i boccioli di asfodelo bianchi e la rosa rossa. La vista dell'asfodelo alla finestra dell'Albergo al Sole divenne una testimonianza importante a sostegno della scoperta inconscia di Hanold, che trovò espressione nel nuovo delirio; e parallelamente c'era il fatto che la rosa rossa sull'abito della ragazza simpatica aveva aiutato Hanold nel suo inconscio a cambiare opinione sul suo rapporto con il compagno, cosicché egli fu in grado di presentarla nel sogno come la «collega». Ma dove troviamo, si chiederà, nel contenuto manifesto del sogno qualcosa che indichi e sostituisca la scoperta della quale, come abbiamo visto, il nuovo delirio di Hanold aveva preso il posto: la scoperta che Gradiva si trovava col padre all'Albergo al Sole cioè nel terzo nascosto albergo di Pompei? Eppure è lì, nel sogno e nemmeno molto deformato, ed esito ad indicarlo semplicemente perché so che anche quei lettori che mi hanno seguito pazientemente sin qui, cominceranno a ribellarsi violentemente contro i miei tentativi di interpretazione. Ripeto che la scoperta di Hanold è pienamente annunciata dal sogno, ma così abilmente nascosta che deve per forza essere trascurata. È nascosta dietro un gioco di parole, un doppio senso. «Gradiva era seduta da qualche parte al sole.» Noi lo abbiamo correttamente riferito al luogo in cui Hanold incontrò il padre di lei, lo zoologo. Ma non poteva significare anche «al Sole», cioè Gradiva è all'Albergo al Sole? E non doveva forse il «da qualche parte», che non aveva alcun rapporto con l'incontro del padre di lei, suonare così ipocritamente indefinito proprio perché introduceva un'informazione precisa sul luogo in cui si trovava Gradiva? In base alle mie esperienze sui sogni reali, per quanto mi riguarda sono perfettamente sicuro che è questo il significato dell'ambiguità. Ma in realtà non mi sarei avventurato a presentare questa interpretazione ai miei lettori, se l'autore non mi avesse a questo punto offerto la sua potente assistenza. Egli fa pronunciare lo stesso gioco di parole alla ragazza il giorno dopo, quando vede la fibbia di metallo: «L'hai trovata forse al Sole, che produce cose di questo genere?». E poiché Hanold non capiva ciò che aveva detto, ella spiegò che intendeva dire l'Albergo al Sole, che lì chiamano «Sole», dove aveva già visto l'ipotetico oggetto antico. Ed ora facciamo l'audace tentativo di sostituire al sogno «notevolmente assurdo» di Hanold i pensieri inconsci latenti, che erano completamente diversi. Dicevano, ad esempio: «Essa sta al "Sole" con il padre. Perché sta facendo questo gioco <:on me? Si vuole beffare di me? O è possibile che mi ami e che voglia avermi per marito?». E certamente mentre dormiva ancora, venne una risposta a eliminare quest'ultima possibilità, come «pura follia», commento che apparentemente era diretto a tutto il sogno manifesto. I lettori più critici si chiederanno giustamente l'origine dell'interpolazione (di cui non ho ancora dato spiegazione) nell'allusione all'essere ridicolizzato da Gradiva. La risposta si trova ne L'Interpretazione dei Sogni, che spiega che se nei pensieri onirici c'è ridicolo, derisione o amare contraddizioni, ciò viene espresso dando al sogno manifesto una forma insensata, mediante l'assurdità del sogno. Questa assurdità non sta quindi a indicare una qualche paralisi dell'attività psichica, ma è un metodo di rappresentazione impiegato dal lavoro onirico. Come sempre succede nei punti particolarmente difficili, l'autore ancora una volta ci viene in aiuto. Il sogno assurdo aveva un breve epilogo, in cui un uccello emetteva un ridente richiamo e portava via la lucertola nel suo becco. Ma Hanold aveva udito un analogo richiamo ridente dopo la scomparsa di Gradiva. In realtà questo era venuto da Zoe, che con questa risata si era scrollata via la cupa serietà del suo ruolo sotterraneo. Gradiva aveva veramente riso di lui. Ma l'immagine onirica dell'uccello che porta via la lucertola può essere stato un ricordo del sogno precedente, in cui Apollo Belvedere portava via la Venere capitolina. Forse ci sono ancora dei lettori per i quali la traduzione della situazione della caccia delle lucertole con l'idea dell'adescamento non è sufficientemente chiarita. Altre prove a sostegno di essa si possono trovare nel fatto che Zoe durante la conversazione con l'amica appena sposata, aveva ammesso proprio ciò che i pensieri di Hanold sospettavano di lei — quando le disse che era sicura di «scavare fuori» qualcosa di interessante a Pompei. Qui ella stava sconfinando nel campo dell'archeologia, proprio come lui era sconfinato, con il paragone della caccia alle lucertole, nel campo della zoologia. Sembrava che stessero lottando l'uno contro l'altra, e che ognuno stesse cercando di assumere il carattere dell'altro. A questo punto possiamo dire d'aver finito di interpretare anche questo secondo sogno. Entrambi sono diventati comprensibili in base alla supposizione che un sognatore conosca nei suoi pensieri inconsci tutto ciò che ha dimenticato nei suoi pensieri coscienti, e che nei primi egli giudica esattamente ciò che negli altri fraintende in un delirio. Nel corso delle nostre argomentazioni siamo certamente stati costretti a fare alcune affermazioni che sono sembrate strane al lettore a causa della loro mancanza di familiarità; e probabilmente abbiamo spesso destato il sospetto di far passare per intendimento dell'autore quello che in realtà era solo il nostro. Intendo fare di tutto per dissipare questo sospetto, e quindi esaminerò con maggiori dettagli uno dei punti più delicati, cioè l'uso di parole e frasi ambigue, come: «Gradiva era seduta da qualche parte al sole». Chi legge Gradiva resterà sorpreso dalla frequenza con la quale l'autore fa pronunciare ai due personaggi principali delle osservazioni ambigue. Nel caso di Hanold, egli non intendeva queste osservazioni in senso ambiguo, mentre è l'eroina, Gradiva, che viene colpita dal loro secondo significato. Così, ad esempio, quando in risposta alla prima replica di lei, egli esclamò: «Sapevo che la tua voce avrebbe avuto questo suono», Zoe, che ignorava ancora tutto, non poteva non domandare come fosse possibile, dal momento che egli non l'aveva mai sentita parlare prima. Nella loro seconda conversazione, la ragazza fu per un attimo in dubbio sul suo delirio, quando egli le disse che l'aveva riconosciuta subito. Ella non poteva non prendere queste parole nel senso (corretto per quanto riguardava l'inconscio di lui) di riferirle alla loro lontana conoscenza infantile; mentre lui, naturalmente, non sapeva nulla di questa implicazione della sua osservazione e la spiegava solo riferendosi al proprio delirio dominante. D'altra parte, le osservazioni fatte dalla ragazza, la cui personalità mostra la più lucida chiarezza di mente in contrasto con il delirio di Hanold, presentano un'ambiguità intenzionale. Uno dei significati collima con il delirio di Hanold, in modo da poter penetrare nella sua comprensione cosciente, ma l'altro si eleva al di là del delirio, e ci dà in genere la traduzione nella verità inconscia che rappresenta. Riuscire ad esprimere nelle stesse parole il delirio e la verità è un trionfo di abilità e di acutezza. Il discorso di Zoe, in cui spiega la situazione all'amica e nello stesso tempo riesce a liberarsene, è pieno di ambiguità di questo tipo. In realtà è un discorso fatto dall'autore e rivolto più al lettore che alla «collega» di Zoe appena sposata. Nelle sue conversazioni con Hanold, l'ambiguità viene generalmente creata da Zoe usando lo stesso simbolismo che abbiamo trovato nel primo sogno di Hanold, cioè l'eguagliare la rimozione e la sepoltura, Pompei e l'infanzia. In tal modo nei suoi discorsi ella è in grado da un lato di restare nel ruolo scelto per lei dal delirio di Hanold, e dall'altro di raggiungere un contatto con le circostanze reali e risvegliarne la comprensione nell'inconscio di Hanold. «Mi sono da tempo abituata ad essere morta» [90]. «A me è giusto che tu dia il fiore dell'oblio.» In queste frasi c'è un vago preannuncio dei rimproveri che scoppieranno abbastanza chiaramente nel suo discorso finale, in cui lo paragonerà ad un archeopteryx. «Il fatto che uno deve morire per tornare vivo; ma senza dubbio ciò vale per gli archeologi.» Ella fece quest'ultima osservazione, dopo che era stato eliminato il delirio, come per dare una chiave ai suoi discorsi ambigui. Ma fece il migliore uso del suo simbolismo quando chiese: «Sento come se avessimo già diviso un pasto come questo duemila anni fa; non ti ricordi?» [118]. Qui sono inequivocabili la sostituzione all'infanzia del passato storico e il tentativo di ridestarne il ricordo. Ma da dove viene questa strana preferenza per i discorsi ambigui in Gradiva? Riteniamo che non sia un caso, ma una conseguenza necessaria delle premesse della storia. Non è altro che la controparte della determinazione duplice dei sintomi, nella misura in cui gli stessi discorsi sono sintomi e come tali derivano da compromessi tra il cosciente e l'inconscio. Semplicemente che questa duplice origine si nota più facilmente nei discorsi che, ad esempio, nelle azioni. E quando, come spesso è reso possibile dalla natura duttile del materiale discorsivo, ognuna delle due intenzioni retrostanti al discorso si può esprimere adeguatamente con le stesse parole, ci troviamo di fronte ad una «ambiguità». Nel corso del trattamento psicoterapeutico di un delirio o di un disturbo simile, spesso il paziente fa dei discorsi ambigui di questo tipo, che sono sintomi nuovi di brevissima durata; e può succedere che anche lo stesso dottore si trovi nella posizione di servirsene. In tal modo avviene non di rado che con il significato inteso per la coscienza del paziente, egli stimoli una comprensione del significato che ha relazione con la situazione inconscia. So per esperienza che il ruolo così svolto dall'ambiguità può sollevare numerosissime obiezioni da parte della persona non iniziata e creare enormi malintesi. Ma in ogni caso l'autore aveva il diritto di inserire nella sua creazione un quadro di questo elemento, caratteristico di ciò che succede nella formazione dei sogni e dei deliri. 4. Come ho già osservato, un nuovo interesse viene destato in noi dalla improvvisa apparizione di Zoe nelle vesti di medico. Siamo ora ansiosi di conoscere se la cura che ella ha condotto su di lui è concepibile o almeno possibile, e se l'autore ha esattamente individuato le condizioni per la scomparsa del delirio così come è riuscito a fare nel caso della sua genesi. Ci troveremo certamente a questo punto di fronte a chi nega che il caso presentato dall'autore possieda un simile interesse generale, confutando l'esistenza di qualsiasi problema in cerca di soluzione. Hanold, si obietterà, non aveva altra alternativa che quella di abbandonare il suo delirio, dopo che il suo soggetto, la presunta «Gradiva», gli aveva dimostrato che tutte le sue ipotesi erano sbagliate e dopo che gli aveva dato le spiegazioni più naturali di tutto ciò che era enigmatico, ad esempio, di come mai conoscesse il suo nome. Questa sarebbe la fine logica della storia; ma poiché la ragazza aveva incidentalmente rivelato il suo amore per lui, l'autore, certamente per fare contente le lettrici femminili, dispose in modo che la sua storia, altrimenti poco interessante, avesse la solita felice conclusione in un matrimonio. Sarebbe stato più coerente ed egualmente possibile, proseguirà l'obiezione, che il giovane scienziato, una volta che era stato rilevato il suo errore, avesse preso congedo dalla donna con cortesi ringraziamenti e le avesse detto, per spiegare il rifiuto del suo amore, che egli era capace di sentire un profondo interesse per le donne antiche di marmo o di bronzo, e per i loro originali se erano accessibili al contatto, ma che non sapeva che farsene delle ragazze sue contemporanee in carne ed ossa. L'autore in conclusione avrebbe del tutto arbitrariamente aggiunto una storia d'amore alla sua fantasia archeologica. Nel respingere questa impossibile teoria, osserviamo in primo luogo che i primi indizi del cambiamento di Hanold non apparvero solo nel suo abbandono del delirio. Contemporaneamente, e anzi prima della chiarificazione del delirio, si destò in lui un'inequivocabile brama d'amore, che si manifestò nel corteggiare la ragazza che lo aveva liberato dal delirio. Abbiamo già sottolineato i pretesti e i camuffamenti dietro ai quali trovavano espressione nel delirio la sua curiosità sulla «natura corporea» di lei, la sua gelosia e il suo brutale istinto maschile di possesso, dopo che il desiderio erotico rimosso lo aveva portato a fare il primo sogno. A ulteriore conferma possiamo ricordare che la sera dopo il suo secondo incontro con Gradiva, per la prima volta trovò simpatica una donna viva, per quanto nel non riconoscerla come una sposa novella egli stesse facendo ancora una concessione al suo antico orrore per le coppie in luna di miele. La mattina dopo, tuttavia, egli fu testimone casuale di uno scambio di tenerezze tra la ragazza ed il presunto fratello, e si ritirò con un senso di timore reverenziale, come se avesse interrotto un atto sacro. Aveva dimenticato la sua derisione verso «Augusto e Greta» e acquistato un senso di rispetto per l'aspetto erotico della vita. L'autore ha quindi creato il più stretto legame tra la chiarificazione del delirio e l'esplosione della brama d'amore, ed ha preparato la strada per l'inevitabile conclusione del corteggiamento. Egli conosce la natura essenziale del delirio meglio dei suoi critici: egli sa che una componente del desiderio di amore si era unita ad una componente di resistenza nel produrre il delirio, e rende la ragazza, che intraprende la cura, sensibile a quell'elemento del delirio di Hanold che le è gradevole. Solamente questa consapevolezza potè indurla a dedicarsi al trattamento; solo la certezza di essere da lui amata potè spingerla a confessare il suo amore per lui. La cura consisteva nell'offrir-gli dall'esterno i ricordi rimossi di cui egli non poteva liberarsi dall'interno; ma non avrebbe avuto effetto se nel suo corso la ragazza non avesse preso in considerazione i suoi sentimenti e se la sua ultima traduzione del delirio non fosse stata: «Vedi, tutto questo significa solo che tu mi ami». Il procedimento che l'autore fa adottare a Zoe per curare il delirio del suo amico d'infanzia mostra una lontana somiglianza — no, una completa concordanza nella sua essenza — con un metodo terapeutico che il Dr. Josef Breuer ed io abbiamo introdotto nella pratica medica nel 1895, e al cui perfezionamento io mi sono da allora dedicato. Questo metodo di cura, al quale in principio Breuer ha dato il nome di «catartico» e che io preferisco definire «analitico», consiste, se applicato a pazienti sofferenti di disturbi analoghi al delirio di Hanold, nel portare alla loro coscienza, entro certi limiti con la forza, l'inconscio la cui rimozione ha causato la loro malattia — proprio come fece Gradiva con i ricordi rimossi dei loro rapporti infantili. È vero che Gradiva ha potuto svolgere il suo compito più facilmente di un dottore: sotto molti aspetti si può dire che ella si trovasse nella posizione ideale. Il dottore, che non ha precedente conoscenza del suo paziente e che non possiede ricordi coscienti di ciò che lavora inconsciamente in lui, deve chiamare in aiuto una tecnica complicata per compensare questo svantaggio. Egli deve imparare come dedurre con grande certezza dalle associazioni e comunicazioni coscienti del paziente ciò che è rimosso in lui, come scoprire il suo inconscio nel momento in cui si tradisce dietro le parole e gli atti coscienti. Egli deve poi fare qualcosa come Norbert Hanold quando alla fine della storia ritraduce il nome «Gradiva» in «Bertgang». Il disturbo svanisce mentre viene riportato alle sue origini; anche l'analisi costituisce contemporaneamente la guarigione. Ma la somiglianza tra il procedimento di Gradiva e il metodo analitico di psicoterapia non si limita a questi due punti, cioè il rendere cosciente ciò che è stato rimosso e la coincidenza della spiegazione con la guarigione. Essa si estende anche a ciò che risulta essere l'essenza di tutto il cambiamento: al risveglio dei sentimenti. Tutti i disturbi analoghi al delirio di Hanold, quelle che in termini scientifici siamo soliti definire «psiconevrosi», hanno in sé come condizione necessaria la rimozione di una parte della vita pulsionale o, come possiamo dire con sicurezza, della pulsione sessuale. Ad ogni tentativo di portare le cause inconsce e rimosse della malattia alla coscienza, la componente pulsionale coinvolta è necessariamente chiamata ad una lotta rinnovata con le forze rimoventi, solo per venire a patti con esse nel risultato finale, spesso insieme a violente manifestazioni di reazione. Se riuniamo tutte le numerose componenti della pulsione sessuale sotto il termine «amore», il procedimento di cura si compie in una ricaduta nell'amore; e tale ricaduta è indispensabile, poiché i sintomi a causa dei quali è stato intrapreso il trattamento non sono altro che i prodotti di lotte precedenti connesse alla rimozione o al ritorno di ciò che è rimosso, e possono essere risolti ed eliminati da una nuova ondata delle stesse passioni. Ogni trattamento psicoanalitico è un tentativo di liberare l'amore rimosso che ha trovato un misero sfogo nel compromesso di un sintomo. Anzi la concordanza fra tali trattamenti ed il procedimento di cura descritto dall'autore di Gradiva raggiunge il suo apice in un altro punto, cioè nel fatto che anche nella psicoterapia analitica la passione ridestata, sia amore o odio, sceglie inevitabilmente a oggetto la figura del dottore. È a questo punto che cominciano le diversità, che hanno reso il caso di Gradiva un caso ideale irraggiungibile dalla tecnica medica. Gradiva era in grado di ricambiare l'amore che si stava facendo strada dall'inconscio alla coscienza, il medico no. Era stata proprio Gradiva l'oggetto del precedente amore rimosso; la sua figura offrì uno scopo desiderabile alla corrente d'amore liberata. Il dottore è stato uno sconosciuto e deve cercare di tornare ad essere uno sconosciuto dopo la guarigione; egli si trova spesso in imbarazzo quando deve consigliare i pazienti che ha guarito sul modo di usare nella vita reale la riacquistata capacità di amare. Ci allontaneremmo troppo dal nostro scopo attuale se volessimo indicare gli espedienti e i surrogati di cui si serve il medico per aiutarlo ad avvicinarsi con maggiore o minore successo al modello della guarigione per amore che ci ha mostrato il nostro autore. Ed ora arriviamo al problema finale, di cui abbiamo già più di una volta eluso la risposta. Le nostre teorie sulla rimozione, sulla genesi dei deliri e di analoghi disturbi, sulla formazione e spiegazione dei sogni, sul ruolo svolto dalla vita erotica e sul metodo di cura di tali disturbi, sono ben lungi dall'essere proprietà comune della scienza, escludendo le persone colte. Se la capacità di osservazione che ha permesso all'autore di costruire la sua «fantasia» in modo tale da permetterci di esaminarla come la storia di un caso vero ha natura di conoscenza, saremmo curiosi di sapere quali furono le fonti di tale conoscenza. Una persona del nostro gruppo — quello che, come ho detto al principio, si era interessato dei sogni di Gradiva e della loro possibile interpretazione — ha avvicinato l'autore chiedendogli esplicitamente se sapeva qualcosa di simili teorie scientifiche. Come era da aspettarsi, l'autore ha risposto negativamente e, anzi, piuttosto bruscamente. La sua fantasia, ha detto, gli ha ispirato Gradiva, ed egli ne ha provato piacere; se a qualcuno non piaceva, che la lasciasse stare. Egli non aveva il minimo sospetto di quanto in realtà fosse piaciuta ai suoi lettori. È possibile che la negazione dell'autore non si fermi a questo punto. Egli può anche negare forse qualsiasi nozione delle regole che secondo la nostra dimostrazione avrebbe seguito, e può respingere tutti gli scopi che abbiamo individuato nel suo lavoro. Non lo considero improbabile, ma in caso affermativo ci sono solo due spiegazioni possibili. Può essere che abbiamo fatto una totale caricatura di un'interpretazione introducendo in un innocente lavoro artistico degli scopi che non erano affatto nelle intenzioni del suo creatore, e così facendo abbiamo dimostrato ancora una volta quanto sia facile trovare ciò che si cerca e che occupa la propria mente — possibilità questa di cui si possono trovare gli esempi più strani nella storia della letteratura. Ogni lettore deve ora individualmente decidere se può accettare questa spiegazione. Per quanto ci riguarda, naturalmente, ci atteniamo all'altra opinione, alla restante alternativa. Secondo noi, non era affatto necessario che l'autore conoscesse queste regole e questi scopi e così ha potuto rinnegarli in buona fede, ma tuttavia noi non abbiamo scoperto nulla nel suo lavoro che non fosse già in esso contenuto. Probabilmente attingiamo dalla stessa fonte e lavoriamo sullo stesso oggetto, ma ognuno con un metodo diverso. E la concordanza dei nostri risultati sembra una garanzia dell'esattezza del lavoro di entrambi. Il nostro procedimento consiste nell'osservazione cosciente dei processi psichici delle altre persone, in modo da poterne dedurre e annunciare le leggi. Certamente l'autore procede in modo diverso. Egli rivolge l'attenzione sull'inconscio della propria mente, ne osserva i possibili sviluppi e li presta all'espressione artistica invece di reprimerli con la critica della coscienza. Così egli esperimenta su se stesso ciò che noi apprendiamo dagli altri, cioè le leggi alle quali devono obbedire le attività di questo inconscio. Ma non è necessario che egli definisca queste leggi e nemmeno che ne sia chiaramente consapevole; grazie alla tolleranza della sua intelligenza, esse vengono incorporate nelle sue creazioni. Noi scopriamo queste leggi analizzando i suoi scritti, allo stesso modo in cui le troviamo nei casi di effettiva malattia; ma sembra inevitabile la conclusione che entrambi, lo scrittore e il medico, abbiamo frainteso allo stesso modo l'inconscio oppure lo abbiamo entrambi compreso esattamente. Per noi questa conclusione è molto importante, ed è per questo che è valsa la pena di indagare con i sistemi della psicoanalisi medica sul modo in cui vengono rappresentate nella Gradiva di Jensen la formazione e la cura del delirio. Sembrerebbe che siamo arrivati al termine. Ma un lettore attento ci potrebbe rammentare che al principio abbiamo affermato che i sogni sono realizzazioni di desideri e che non lo abbiamo dimostrato. Ebbene rispondiamo che ciò che abbiamo descritto in queste pagine potrebbe dimostrare quanto sia poco giustificato il tentativo di esaurire la spiegazione che dobbiamo dare del sogno con l'unica formula per cui il sogno è una realizzazione di desideri. Tuttavia l'affermazione sussiste e si può facilmente dimostrare anche nel caso dei sogni di Gradiva. I pensieri onirici latenti — ne conosciamo ora il significato — possono essere dei tipi più diversi; in Gradiva sono «residui diurni», pensieri che sono stati lasciati dalle attività mentali della veglia inosservati e non sviluppati. Ma perché da essi si sviluppi un sogno è necessaria la collaborazione di un desiderio (generalmente inconscio); questo offre la forza motrice per costruire il sogno mentre i residui diurni forniscono il materiale. Nel primo sogno di Norbert Hanold c'erano due desideri a contendersi la formazione del sogno; uno di essi era effettivamente ammissibile per la coscienza, mentre l'altro apparteneva all'inconscio e operava sotto la rimozione. Il primo era il desiderio, comprensibile in qualsiasi archeologo, di essere stato presente come testimone oculare alla catastrofe del 79 d.C. Quale sacrificio sarebbe troppo grande per un archeologo, se potesse realizzare questo desiderio altrimenti che in sogno! L'altro desiderio, l'altro artefice del sogno, era di natura erotica: si potrebbe crudamente ed anche in maniera incompleta definire come il desiderio di trovarsi là quando la ragazza che amava si stendeva a dormire. Era questo il desiderio la cui repulsione fece diventare il sogno un sogno d'angoscia. Forse i desideri che sono stati la forza motrice del secondo sogno sono meno evidenti; ma se ricordiamo l'interpretazione, non esiteremo a definire anch'essi erotici. Il desiderio di essere preso prigioniero dalla ragazza che amava, di conformarsi ai suoi desideri e di sottomettersi a lei — poiché in questo modo si può ricostruire il desiderio nascosto dietro alla scena della caccia alle lucertole — era in realtà di natura passiva e masochista. Il giorno dopo il sognatore colpì la ragazza, come se fosse dominato dalla corrente erotica opposta. Ma dobbiamo fermarci qui, altrimenti dimenticheremo veramente che Hanold e Gradiva sono solo creature della mente dell'autore. Note1 Vedi Freud, L'interpretazione dei sogni, 1900 2 [1 numeri tra parentesi quadra si riferiscono alla pagina dell'edizione della Gradiva di Jensen del 1903.] 3 In realtà, il caso di N. H. si dovrebbe definire delirio isterico e non paranoico. Non sono infatti presenti indizi di paranoia. 4 Vedi l'importante opera di Bleuler, Affektivität, Suggestibilität, Paranoia e Diagnostische Assoziationsstudien di C. G. Jung, entrambe pubblicate nel 1906 a Zurigo. [Aggiunto nel 1912: Oggi, nel 1912, posso ritirare ciò che ho detto sopra, perché non è più vero. Da allora, il «movimento psicoanalitico» al quale ho dato vita, si è ampiamente diffuso e cresce continuamente. 5 Si veda al riguardo la mia Sammlung kleiner Schriften zur Neurosentehre, 1906. 6 Cfr. il «Caso di Dora». 7 Cfr. Breuer e Freud, in L'isteria, Roma, Newton Compton editori, 1971. 8 Sante de Sanctis, I sogni (1901). 9 Vedi il testo di Gradiva (15). 10 Cfr. il mio primo saggio sulla nevrosi d'angoscia (1895) e L'interpretazione dei sogni 11 «No, non ti ho sentito parlare. Ma ti ho chiamato mentre ti stendevi a dormire, e stavo accanto a te allora — il tuo viso era calmo e bello come marmo. Ti posso pregare di stenderti ancora una volta sul gradino, come facesti allora?» [70]. |