Un ricordo d'infanzia tratto da "Poesia e verità" di Goethe |
"Quando si vuol richiamare alla memoria quel che ci accadde nel primo tempo dell'infanzia, succede spesso di scambiare ciò che abbiamo udito da altri con ciò che realmente possediamo per nostra esperienza e osservazione." Questa osservazione di Goethe compare in una delle prime pagine dell'autobiografia che egli cominciò a stendere all'età di sessant'anni. Prima di queste righe si leggono soltanto alcune informazioni sulla sua nascita, avvenuta "il 28 agosto 1749, al suono delle campane di mezzogiorno"; la costellazione degli astri gli era propizia e può ben esser stata la causa della sua sopravvivenza, giacché, quando venne al mondo, era "come morto" e soltanto con molti sforzi si riuscì a fare in modo che vedesse la luce. All'osservazione citata in apertura, segue una breve descrizione della casa e della stanza nella quale i bambini — egli e la sorellina minore — trascorrevano di preferenza il loro tempo. Tuttavia, subito dopo, Goethe racconta un aneddoto, l'unico in effetti che si può far risalire al "primo tempo dell'infanzia" (fino ai quattro anni?) e del quale egli sembra aver conservato un ricordo diretto. Il racconto del poeta dice in proposito: "...tre fratelli von Ochsenstein, figli del defunto sindaco, che abitavano di faccia, presero a volermi molto bene; si occupavano e si burlavano di me in tutti i modi. "I miei amavano raccontare le molte birichinate a cui mi avevano indotto quei signori, d'altronde cosi seri e solitari. Menzionerò solo una di queste birbonate. C'era stato il mercato delle stoviglie e non solo era stata rifornita la cucina per un certo tempo, ma anche a noi bimbi erano stati comprati, per giocare, analoghi utensili in scala ridotta. Un bel dopopranzo, mentre in casa tutto era tranquillo, mi baloccavo nel Geräms ([Il Gerams era una cancellata di legno che formava una specie di recinto che sporgeva sulla strada. Goethe qui precisa:] il posto di cui ho già parlato e che dava sulla strada) con le mie scodelle e pentolini, e poiché non c'era modo di cavarne altro, gettai un padellino sulla strada, godendomela a vederlo andare in pezzi in modo cosi buffo. I von Ochsenstein, accorgendosi che ci prendevo gusto, e anzi battevo le manine contento, mi gridarono: 'Ancora!' E io non indugiai a scaraventar subito sul selciato un pentolino, e dietro reiterati 'ancora!' uno dopo l'altro tutti gli scodellini, tegamini e brocchette. I miei vicini continuarono a manifestare la loro approvazione e io ero felicissimo di compiacerli. Ma la mia scorta era consumata, e quelli continuavano a gridare: 'Ancora!' Allora andai dritto in cucina, presi i piatti di terraglia, che nel rompersi diedero uno spettacolo ancora più divertente; e cosi continuai, avanti e indietro, portando un piatto alla volta, via via che riuscivo a raggiungerli uno dopo l'altro sulla piattaia, e poiché quelli non erano ancora soddisfatti, precipitai nella medesima rovina tutto il vasellame che mi riuscì di agguantare. Solo più tardi comparve qualcuno a frenarmi. La frittata era fatta, e in compenso di tante stoviglie rotte si ebbe perlomeno una storia buffa, di cui si sbellicarono fino alla fine dei loro giorni specialmente quei birbanti che l'avevano provocata." In epoca preanalitica, questo passo poteva essere letto senza trovarvi alcun motivo per rifletterci su, e senza scandalo; ma poi la coscienza analitica si è destata. Ci si è infatti formati, sui ricordi dei primi anni dell'infanzia, determinate opinioni e aspettative, alle quali si è attribuita volentieri validità universale. Non dev'essere un fatto indifferente o privo di significato - si è pensato -. che proprio questa e non quella singola circostanza della vita infantile si sia sottratta all'oblio generale che avvolge questa età. Si potrebbe anzi supporre che ciò di cui la memoria ha conservato traccia sia in effetti il fatto più significativo di quell'intera fase dell'esistenza, e cioè che o quel fatto tale importanza l'ha già posseduta a suo tempo, oppure l'ha acquisita a posteriori, per influenza di esperienze successive. Tuttavia l'alto valore di tali ricordi d'infanzia era palese soltanto in rari casi. Di regola essi sembravano indifferenti e anzi futili, e in un primo tempo non si riuscì a capire perché proprio questi ricordi fossero riusciti a dare scacco all'amnesia. Anche chi li aveva conservati per lunghi anni come proprio patrimonio mnestico non li apprezzava di più dell'estraneo al quale li raccontava. Per riconoscerne la significatività occorreva un certo lavoro interpretativo, che o dimostrò come bisognasse sostituire il loro contenuto con un contenuto diverso, o ne indicò la connessione con altre esperienze indubitabilmente importanti alle quali erano subentrati come cosiddetti "ricordi di copertura". In ogni elaborazione psicoanalitica della storia di un'esistenza si riesce a chiarire in tal modo il significato dei primissimi ricordi d'infanzia. Accade anzi di regola che proprio il ricordo che l'analizzato antepone agli altri, quello che cita per primo e col quale dà inizio alla sua confessione biografica, si dimostra il pili importante, quello che cela in sé la chiave d'accesso ai comparti segreti della sua vita psichica. Ma nel caso del piccolo episodio infantile che ci viene narrato in Poesia e verità, quel che viene offerto alla nostra aspettativa è troppo poco. I mezzi e le vie che ci guidano all'interpretazione con i nostri pazienti non ci sono naturalmente accessibili in questo caso; e l'evento in sé non sembra in grado di stabilire un rapporto accertabile con impressioni decisive di epoca successiva. Un tiro giocato ai danni dell'economia domestica, su istigazione di altri, non è sicuramente un'intestazione adeguata per tutto ciò che Goethe ha da raccontarci sulla sua ricca esistenza. Un'impressione di totale innocenza e di completa assenza di correlazione si impone nel caso di questo ricordo d'infanzia, e siamo propensi a far nostro il monito di non dilatare eccessivamente le pretese della psicoanalisi o di non tirarle fuori nel momento sbagliato. Cosi avevo da tempo allontanato dai miei pensieri questo piccolo problema, quando il caso mi portò un paziente nel quale un analogo ricordo d'infanzia si offriva in un contesto più perspicuo. Si trattava di un uomo di ventisette anni, di eccellente cultura e molto dotato, dominato a quell'epoca da un conflitto con la madre che coinvolgeva praticamente tutti gli interessi della sua esistenza e che aveva pregiudicato gravemente lo sviluppo delle sue capacità d'amare e della sua autonoma condotta di vita. Questo conflitto risaliva a un'epoca remota dell'infanzia: possiamo dire al suo quarto anno d'età. Egli era stato prima un bambino molto delicato, sempre malaticcio; eppure i suoi ricordi avevano trasfigurato quel brutto periodo in un paradiso, perché allora possedeva, senza doverla spartire con nessuno, l'illimitata tenerezza della madre. Quando non aveva ancora quattro anni nacque un fratellino — oggi ancora in vita — ed egli, per reazione a questo evento disturbante, si trasformò in un ragazzino caparbio e insubordinato che provocava di continuo la severità della madre. Non si rimise mai sul giusto binario. Quando si affidò alle mie cure — non da ultimo perché la madre, che era una bigotta, aveva orrore della psicoanalisi — la gelosia per il fratello minore, che a suo tempo si era manifestata persino in un attentato al lattante ancora in culla, era da tempo dimenticata. Ora egli trattava il fratello più giovane con grande riguardo, ma strane azioni casuali con le quali all'improvviso feriva gravemente animali che pure amava, come il suo cane da caccia, o uccelli di cui si occupava personalmente con grande cura, andavano certo intese come echi di quegli impulsi ostili contro il fratello minore. Questo paziente mi riferì dunque che una volta, circa all'epoca dell'attentato contro il bambino odiato, aveva gettato in strada, dalla finestra della casa di campagna, tutto il vasellame di cui era riuscito a impadronirsi. Lo stesso episodio, quindi, che Goethe ci racconta sulla propria infanzia in Poesia e verità! Faccio notare che il mio paziente era di nazionalità straniera e non era stato educato alla cultura tedesca; non aveva mai letto l'autobiografia di Goethe. Com'è naturale, questa comunicazione mi spronò a tentare di interpretare il ricordo d'infanzia di Goethe nel senso che la storia del mio paziente aveva dimostrato irrefutabile. Ma era possibile dimostrare che nell'infanzia del poeta erano esistite le condizioni richieste da questa interpretazione? Lo stesso Goethe attribuisce la responsabilità della sua birichinata infantile all'incitamento dei signori von Ochsenstein. Ma si deduce dal suo stesso racconto che i vicini già adulti lo avevano solamente incitato a proseguire la sua impresa. L'inizio di questa era partito spontaneamente da lui, e la motivazione che egli ne dà ("e poiché non c'era modo di cavarne altro", dal giuoco s'intende) si può interpretare agevolmente come l'ammissione del fatto che, al tempo in cui scriveva questi ricordi e probabilmente anche per lunghi anni prima, egli stesso non sapeva quale motivo lo avesse indotto ad agire in quel modo. Com'è noto, Johann Wolfgang Goethe e la sorella Cornelia erano i figli maggiori sopravvissuti a una schiera più folta di bambini che morirono precocemente. Il dottor Hanns Sachs è stato tanto gentile da fornirmi i dati che si riferiscono ai fratelli e alle sorelle di Goethe morti in tenera età. Fratelli e sorelle di Goethe: a) Hermann Jacob, battezzato il lunedi 27 novembre 1752, raggiunse l'età di sei anni e sei settimane, e fu sepolto il 13 gennaio 1759. b) Katharina Elisabetha, battezzata il lunedi 9 settembre 1754, sepolta il giovedì 22 dicembre 1755 (all'età di un anno e quattro mesi). e) Johanna Maria, battezzata il martedì 29 marzo 1757 e sepolta il sabato 11 agosto 1759 (all'età di due anni e quattro mesi). (Era certamente questa la bambina della quale il fratello vantò la bellezza e la simpatia.) d) Georg Adolph, battezzato la domenica 15 giugno 1760 e sepolto all'età di otto mesi il mercoledì 18 febbraio 1761. La sorella più vicina in età a Goethe, Cornelia Friederica Christiana, era nata il 7 dicembre 1750, quando il fratello aveva quindici mesi. Questa piccola differenza d'età esclude praticamente che potesse diventare oggetto di gelosia. Si sa che i bambini, quando le loro passioni si destano, non sviluppano mai reazioni così violente contro i fratelli e le sorelle presenti in quel momento, ma indirizzano la loro ostilità verso i nuovi venuti. E inoltre la scena della cui interpretazione ci occupiamo qui non è compatibile con la tenera età di Goethe al momento della nascita di Cornelia 0 subito dopo. Alla nascita del primo fratellino Hermann Jakob, Johann Wolfgang aveva tre anni e tre mesi. Circa due anni dopo, quando egli aveva pressappoco cinque anni, nacque la seconda sorella. Sia l'una che l'altra età entrano in considerazione se tentiamo di datare l'episodio del lancio del vasellame: forse più la prima che la seconda, perché fornirebbe anche maggior concordanza con il caso del mio paziente, che alla nascita del fratello aveva circa tre anni e nove mesi. Del resto il fratello Hermann Jakob, al quale è rinviato in tal modo il nostro tentativo di interpretazione, non fu affatto un ospite fuggevole nella cameretta dei bambini di casa Goethe, come accadde invece per il fratello e le sorelle minori. Potremmo stupirci del fatto che la biografia del grande fratello non contenga neppure una parola che lo ricordi. (Approfitto di questa occasione per ritirare un'affermazione inesatta, che non avrebbe dovuto sfuggirmi. Il fratello minore è ricordato e descritto in un passo successivo del primo libro di Poesia e verità, e precisamente là dove il poeta ricorda le fastidiose malattie infantili delle quali anche questo fratello "soffri non poco". "Era di natura dolce, tranquillo e ostinato, e non ci fu mai un vero e proprio rapporto tra noi. E superò a stento gli anni dell'infanzia). Egli raggiunse e superò l'età di sei anni, e Johann Wolfgang ne aveva quasi dieci quando egli mori. Il dottor Eduard Hitschmann, che è stato tanto gentile da mettere a mia disposizione le sue note a questo proposito, afferma: "Anche il piccolo Goethe ha visto morire un fratellino senza troppi rimpianti. O almeno sua madre cosi disse, secondo il racconto trasmessoci da Bettina Brentano: 'Sembrò strano alla madre che, alla morte del fratello minore, ch'era il suo compagno di giuochi, Wolfgang non versasse una lacrima; sembrava anzi nutrire una specie di rabbia per il lamento dei genitori e dei fratelli. Quando, più tardi, la madre chiese al piccolo caparbio se per caso non avesse voluto bene al fratello, egli corse in camera sua, estrasse da sotto il letto una quantità di carte sulle quali erano scritte lezioni e storièlle, e le disse che aveva fatto tutto ciò per insegnarlo al fratello.' Il fratello maggiore avrebbe quindi, giocato volentieri a recitare la parte del padre col fratellino minore, mostrandogli la propria superiorità." Potremmo dunque formarci l'opinione che il lancio del vasellame sia un'azione simbolica, o più esattamente un'azione magica, con la quale il bambino (Goethe, non meno del mio paziente) esprime violentemente il suo desiderio di eliminare l'intruso che lo disturba. Non c'è bisogno di contestare la gioia provata dal bambino nello sfracellare gli oggetti: quando un'azione è già di per sé causa di piacere, questo fatto non rappresenta un impedimento, ma semmai un allettamento a ripeterla anche al servizio di altre intenzioni. Ma noi non crediamo che basti il piacere provocato dal tintinnare e dall'infrangersi delle stoviglie ad assicurare a questi tiri infantili un posto durevole nella memoria dei loro autori diventati adulti. Non ci spaventa neppure l'idea di complicare la motivazione di un simile gesto con l'aggiunta di un altro fattore. Il bambino che frantuma il vasellame sa bene di fare qualcosa di male per cui gli adulti lo sgrideranno, e se non si lascia frenare da questa consapevolezza è perché probabilmente deve sfogare un rancore verso i genitori: vuole mostrarsi cattivo. Il piacere di spaccare e di vedere gli oggetti spaccati sarebbe comunque sufficientemente appagato se il bambino gettasse semplicemente per terra gli oggetti fragili. Il gettar fuori della finestra gli oggetti lanciandoli in strada resterebbe in tal caso senza spiegazione. Ma pare che questo "fuori" sia un elemento essenziale dell'azione magica e tragga origine dal significato nascosto di questa medesima azione. Il nuovo bambino dev'essere buttato fuori, se possibile attraverso la finestra, perché dalla finestra è entrato. Tutto l'atto avrebbe quindi un valore analogo alla reazione verbale di quel bambino che, come sappiamo, quando gli fu comunicato che la cicogna gli aveva portato un fratellino, fece la seguente dichiarazione: "La cicogna se lo riporti via." Non ci nascondiamo, allo stesso tempo, quanto permanga arduo — a prescindere da ogni incertezza interiore — fondare l'interpretazione di un atto infantile su un'unica analogia. Anche per questo mi ero trattenuto per anni dal comunicare la mia interpretazione della piccola scena tratta da Poesia e verità. Poi un giorno ricevetti un paziente che introdusse la sua analisi con le frasi seguenti, che trascrivo qui parola per parola: "Sono il maggiore di otto o nove fratelli. (È un errore momentaneo che balza agli occhi. Non è da escludere che il paziente sia già sotto l'influsso della tendenza a eliminare il fratello). Uno dei miei primi ricordi è che mio padre, seduto sul suo letto in abbigliamento da notte, mi dice ridendo che mi è arrivato un fratello. Io avevo a quell'epoca tre anni e nove mesi: è questa la differenza d'età tra me e il fratello venuto subito dopo. Poi so che di lì a breve - o forse era un anno prima? - (Questo dubbio, che intacca sotto forma di resistenza il punto essenziale del racconto, fu ritirato poco dopo spontaneamente dallo stesso paziente) ho gettato una volta in strada dalla finestra diversi oggetti, spazzole — o forse era una spazzola sola? — scarpe e altre cose ancora. Ho poi un ricordo ancora precedente. Quando avevo due anni pernottai con i miei genitori in una stanza d'albergo a Linz durante un viaggio per recarci nel Salzkammergut. Nella notte fui cosi irrequieto e feci tanto di quel baccano che mio padre dovette picchiarmi." Di fronte a questa dichiarazione lasciai cadere ogni dubbio. Quando nell'atteggiamento analitico due cose sono riferite una dopo l'altra, come in un solo respiro, dobbiamo interpretare questa contiguità come una connessione. Era quindi come se il paziente avesse detto: "Poiché ho appreso di avere un fratello, qualche tempo dopo ho gettato in strada quegli oggetti." Il gettar fuori spazzole, scarpe ecc. va quindi inteso come reazione alla nascita del fratello. Non è neppure un male che gli oggetti sbattuti fuori in questo caso non fossero vasellame, ma altre cose, probabilmente quelle che il bambino poteva appunto raggiungere... Il gettar fuori (dalla finestra, nella strada) si dimostra cosi l'elemento essenziale dell'azione, mentre il piacere di fracassare, il tintinnio dei cocci e il tipo di cose sulle quali si compie "l'esecuzione" si dimostrano componenti variabili e non essenziali. Naturalmente l'esigenza della connessione vale anche per il terzo ricordo d'infanzia del paziente, ricordo che — pur essendo cronologicamente il primo — è relegato al termine della piccola serie. Completarla è facile. Noi comprendiamo che il bambino di due anni era cosi inquieto perché non poteva sopportare che il padre e la madre stessero insieme nel letto. In viaggio non c'era altra soluzione, evidentemente, che farlo assistere a questa comunanza. Dei sentimenti che si agitarono allora nell'animo del piccolo geloso è rimasta l'esasperazione per la donna, da cui è derivato un disturbo permanente nello sviluppo delle sue capacità di amare. Quando, dopo queste due esperienze, dichiarai ai membri della Società psicoanalitica che mi aspettavo che eventi di questo tipo in bambini piccoli non fossero una rarità, la dottoressa von Hug-Hellmuth mise a mia disposizione due altre osservazioni che riporto qui di seguito: 1. "All'età di tre anni e mezzo circa il piccolo Erich aveva preso 'improvvisamente' l'abitudine di gettare dalla finestra tutto ciò che non gli andava a genio. Ma lo faceva anche con oggetti che non gli davano fastidio e di cui non gl'importava nulla. Proprio nella ricorrenza del compleanno del padre — aveva allora tre anni e quattro mesi e mezzo — gettò in strada da una finestra dell'abitazione, situata al terzo piano, un pesante mattarello, che si era trascinato dietro dalla cucina fin nella stanza. Alcuni giorni dopo fu la volta del pestello del mortaio, poi di un paio di pesanti scarponi del padre che dovette tirar fuori da un cassettone. ("Sceglieva sempre oggetti pesanti.") "A quell'epoca la madre, che era al settimo od ottavo mese di gravidanza, ebbe una fausse couche, dopo la quale il bambino pareva un altro, tanto era buono, dolce e tranquillo'. Quando la madre era al quinto o sesto mese le aveva detto più volte: 'Mammina, ti salto sulla pancia' o 'Mammina, ti schiaccio la pancia.' E poco tempo prima della fausse couche, in ottobre: 'Se proprio devo avere un fratello, che almeno venga dopo Gesù Bambino.'" 2. "Una giovane signora di diciannove anni riferisce spontaneamente cosi il suo ricordo d'infanzia più remoto: 'Mi vedo terribilmente maleducata, pronta a sbucar fuori, seduta sotto il tavolo in sala da pranzo. Sul tavolo c'è la mia tazza da caffe-latte che, nel momento in cui la nonna entrò nella stanza, volevo gettare dalla finestra (ancora adesso, ho chiaro davanti agli occhi il profilo della porcellana). 'Nessuno infatti si era curato di me, e nel frattempo si era formata sul caffelatte una «pelle» che ho sempre detestato e detesto ancora oggi. 'Quel giorno nacque mio fratello, che ha due anni e mezzo meno di me, perciò nessuno aveva tempo per me. 'Ancor oggi mi raccontano che quel giorno fui insopportabile. A mezzogiorno avevo fatto cadere dal tavolo il bicchiere preferito di papà, nel corso della giornata insozzai pili volte il mio vestitino e fui di pessimo umore dal mattino fino alla sera. Nella mia rabbia avevo distrutto anche una bambolina che usavo portare nel bagno con me.' " Questi due casi non esigono praticamente alcun commento. Confermano, senza bisogno di ulteriori sforzi analitici, che l'esasperazione del bambino per la comparsa attesa o già avvenuta di un concorrente si esprime nel gettare oggetti fuori dalla finestra oppure in altri atti cattivi e ispirati a sete di distruzione. Nel primo caso esaminato, gli "oggetti pesanti" simboleggiano senza dubbio la madre in persona, contro la quale si dirige l'ira del bambino fintantoché il nuovo fratellino non c'è ancora. Il piccolo di tre anni e mezzo sa della gravidanza della madre e non ha alcun dubbio che essa ospiti il nascituro nel suo stesso corpo. Dobbiamo a questo proposito richiamare alla memoria il "piccolo Hans" (Vedi la mia Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, 1908)) e la sua singolare angoscia per i carri sovraccarichi. (Una signora di oltre cinquant'anni mi ha fornito qualche tempo fa una conferma ulteriore di questo simbolismo della gravidanza. Le avevano raccontato più volte che da piccola, quando cominciava appena a parlare, aveva l'abitudine di tirare eccitata il padre verso la finestra quando un carro carico di mobili passava per strada. Tenendo conto dei suoi ricordi circa l'abitazione che occupavano allora, si può stabilire che all'epoca aveva meno di due anni e nove mesi. In questo periodo nacque il suo fratellino, e in seguito a questa nascita la famiglia cambiò abitazione. All'incirca nello stesso periodo aveva spesso, prima di addormentarsi, la sensazione angosciosa che qualcosa di enormemente grande veniva su di lei, e in quelle occasioni "le mani le diventavano grosse cosi"). Nel secondo caso che abbiamo riferito è degna di nota la tenera età della bimba: due anni e mezzo. Se torniamo ora al ricordo d'infanzia di Goethe e inseriamo al suo posto in Poesia e verità ciò che crediamo di aver indovinato dall'osservazione di altri bambini, si instaura una connessione impeccabile che non avremmo scoperto altrimenti. Ossia: "Io sono nato fortunato; il destino mi ha tenuto in vita benché sia stato dato per morto quando sono venuto al mondo. Ma il destino ha eliminato mio fratello, per modo che non ho avuto bisogno di spartire con lui l'amore della mamma." E poi i pensieri corrono a un'altra persona defunta in quell'epoca lontana, alla nonna che, come un quieto spirito amico, abitava in un'altra stanza della casa. È cosa, questa, che ho già detto altrove: se un uomo è stato il beniamino incontestato della madre, conserva poi per tutta la vita quel sentire da conquistatore, quella fiducia nel successo che non di rado trascina davvero il successo con sé. E Goethe avrebbe potuto a ragione porre come premessa della sua biografia un'osservazione del tipo: "le radici della mia forza stanno nel rapporto che ho avuto con mia madre". È cosa, questa, che ho già detto altrove: se un uomo è stato il beniamino incontestato della madre, conserva poi per tutta la vita quel sentire da conquistatore, quella fiducia nel successo che non di rado trascina davvero il successo con sé. E Goethe avrebbe potuto a ragione porre come premessa della sua biografia un'osservazione del tipo: "le radici della mia forza stanno nel rapporto che ho avuto con mia madre".
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