>Dinamica della traslazione

1912

L'argomento della traslazione, difficile da trattare esaurientemente, è stato recentemente affrontato in modo descrittivo su questo "Zentralblatt" da Wilhelm Stekel. Vorrei qui aggiungere alcune osservazioni che consentano di comprendere in che modo la traslazione si instauri necessariamente nel corso di una cura psicoanalitica e venga ad assumere la funzione che ci è nota durante il trattamento.

È bene che su una cosa facciamo chiarezza: ogni uomo ha acquisito, per l'azione congiunta della sua disposizione congenita e degli influssi esercitati su di lui durante gli anni dell'infanzia, una determinata indole che caratterizza il modo di condurre la vita amorosa, vale a dire le condizioni che egli pone all'amore, le pulsioni che con ciò soddisfa e le  mete che si prefigge. (Premuniamoci a questo punto contro l'equivoca accusa di aver negato l'importanza dei fattori congeniti (costituzionali), per il fatto di aver sottolineato con maggior forza l'importanza delle impressioni infantili. Un simile rimprovero proviene dalla ristrettezza di vedute con cui si è soliti procedere nella ricerca causale, ricerca che, in contrasto con l'abituale configurazione della realtà, si ritiene soddisfatta di un unico fattore determinante. La psicoanalisi ha molto insistito sui fattori accidentali dell'etiologia, e poco su quelli costituzionali soltanto perché in relazione ai primi era in grado di fornire qualche contributo nuovo, mentre degli ultimi sapeva all'incirca quanto è già noto abitualmente. Ci rifiutiamo di stabilire un'opposizione di principio tra le due serie di fattori etiologici; ammettiamo invece che esse agiscono sempre congiuntamente nella produzione dell'effetto osservato. Patrimonio naturale e fato decidono il destino di un uomo; di rado, forse mai, una sola di queste forze. La ripartizione dell'efficacia etiologica di ciascuna di esse si potrà effettuare soltanto nel caso singolo e in considerazione di aspetti particolari. La serie, in cui i due fattori si compongono in grandezze variabili, avrà certamente anche i suoi casi estremi. In base allo stato della nostra conoscenza valuteremo diversamente nel singolo caso la partecipazione della costituzione 0 quella dell'esperienza, e ci riserveremo il diritto di mutare il nostro giudizio col mutare della nostra intelligenza dei fatti. Del resto si potrebbe azzardare l'ipotesi che la costituzione stessa sia il sedimento degli influssi accidentali sulla serie infinitamente grande degli antenati.)

Ne risulta per cosi dire un cliché (o anche più d'uno), che nel corso della sua esistenza viene costantemente ripetuto, ristampato quasi, nella misura in cui lo consentono le circostanze esterne e la natura degli oggetti d'amore accessibili; cliché che tuttavia può in parte modificarsi in relazione a impressioni recenti. Ora, dalle nostre esperienze risulta che soltanto una parte di questi impulsi che determinano la vita amorosa ha compiuto il processo dell'evoluzione psichica nella sua interezza; questa parte è rivolta verso la realtà, è a disposizione della personalità cosciente e ne costituisce un elemento. Un'altra parte di questi impulsi libidici è stata frenata nell'evoluzione, distolta dalla personalità cosciente nonché dalla realtà, ha potuto dispiegarsi soltanto nella fantasia o è rimasta interamente sepolta nell'inconscio; essa è quindi ignota alla coscienza della personalità. Ora, se il bisogno d'amore di un individuo non è stato completamente appagato dalla realtà, egli è costretto ad avvicinarsi con rappresentazioni libidiche anticipatone ad ogni nuova persona che incontra, ed è del tutto verosimile che entrambe le componenti della sua libido, sia quella capace di giungere alla coscienza che quella inconscia, partecipino alla formazione di questo atteggiamento.

È dunque normalissimo e comprensibile che l'investimento libidico, parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall'individuo, si rivolga anche alla persona del medico. In conformità con le nostre premesse, questo investimento si atterrà a certi modelli, procederà da uno dei clichés esistenti nella persona interessata oppure, in altri termini, inserirà il medico in una delle "serie" psichiche che il paziente ha formato sino a quel momento. Se l'"imago paterna" (per usare la felice espressione di Jung) diventa il fattore determinante di questo inserimento, il risultato corrisponderà ai rapporti reali del soggetto con il medico. Ma la traslazione non è legata necessariamente a questo modello, essa può effettuarsi anche secondo l'imago materna o fraterna e cosi via. Le peculiarità della traslazione sul medico, grazie alle quali, per modo e misura, essa va oltre ciò che può essere giustificato oggettivamente e razionalmente, diventano comprensibili tenendo conto appunto che non solo le rappresentazioni anticipatorie coscienti, ma anche quelle trattenute o inconsce hanno prodotto questa traslazione.

Su questo comportamento della traslazione non ci sarebbe altro da dire o da almanaccare, se non rimanessero inspiegati due punti che sono di particolare interesse per lo psicoanalista. In primo luogo non comprendiamo perché la traslazione appaia tanto più intensa nei nevrotici in analisi che negli altri; in secondo luogo rimane enigmatico perché nell'analisi la traslazione si opponga a noi come la resistenza più forte al trattamento, mentre in trattamenti diversi dobbiamo riconoscere in essa il supporto dell'effetto terapeutico, la condizione del suo esito positivo. L'esperienza ci permette pure di confermare, ogniqualvolta lo desideriamo, che quando le associazioni libere di un paziente vengono meno (Intendo dire, quando mancano effettivamente, e non quando vengono sottaciute, per esempio a causa di un comune sentimento di dispiacere), l'arresto può essere sempre eliminato mediante l'assicurazione ch'egli si trova in quel momento sotto il dominio di un'associazione che ha a che fare con la persona del medico o con qualcosa che lo riguarda. Appena si è data questa spiegazione, l'arresto associativo scompare, oppure la situazione nella quale le associazioni erano venute meno si trasforma in una situazione in cui queste vengono tenute sotto silenzio.

A prima vista sembra un enorme svantaggio della psicoanalisi come metodo il fatto che in essa la traslazione, che altrove è la più potente leva del successo, si tramuti nel mezzo più forte della resistenza. Ma se esaminiamo la situazione più da vicino, possiamo almeno eliminare il primo dei due problemi. Non è vero che la traslazione compaia durante il trattamento psicoanalitico in modo più intenso e irrefrenabile che fuori di esso. Negli istituti psichiatrici, in cui i malati nervosi non vengono trattati con l'analisi, si osservano le intensità più alte e le forme più vergognose di una traslazione che giunge all'asservimento, e che possiede inoltre la più inequivocabile coloritura erotica. In un tempo in cui non esisteva nulla di simile alla psicoanalisi, un'osservatrice acuta come Gabriele Reuter ha descritto il fenomeno in un libro molto notevole, che del resto rivela, sotto ogni aspetto, il migliore punto di vista sulla natura e sulla genesi delle nevrosi. Queste caratteristiche della traslazione non vanno dunque messe in conto alla psicoanalisi, ma attribuite alla nevrosi stessa. Il secondo problema rimane per ora intatto.

A questo problema, cioè alla domanda perché la traslazione si opponga a noi come resistenza nella psicoanalisi, dobbiamo ora accostarci più da vicino. Teniamo presente la situazione psicologica del trattamento: condizione preliminare, regolare e indispensabile, dell'insorgere di tutte le psiconevrosi è il processo che Jung ha definito appropriatamente introversione della libido. (Sebbene alcune espressioni di Jung diano l'impressione ch'egli veda in questa introversione qualche cosa di caratteristico della dementia praecox, qualche cosa che non entrerebbe in considerazione allo stesso modo in altre nevrosi. ) Ciò significa che la parte di libido capace di giungere alla coscienza e rivolta alla realtà viene ridotta, mentre la parte distolta dalla realtà e inconscia, che eventualmente può ancora alimentare le fantasie del soggetto ma appartiene all'inconscio, viene nella stessa misura aumentata. La libido si è data (totalmente o in parte) alla regressione e ha rianimato le imagines infantili. (Sarebbe comodo dire che la libido ha di nuovo investito i "complessi" infantili. Ma sarebbe inesatto; l'unica cosa giusta è dire: le parti inconsce di questi complessi. La straordinaria complessità dell'argomento trattato in questo lavoro induce alla tentazione di approfondire un gran numero di problemi contigui, che per la verità sarebbe necessario chiarire prima di poter parlare in termini inequivocabili dei processi psichici che qui dobbiamo descrivere. Tali problemi 'sono: la delimitazione reciproca dell'introversione e della regressione, l'inserimento della dottrina dei complessi nella teoria della libido, i rapporti dell'attività fantastica con il conscio e l'inconscio, nonché con la realtà ecc. Non ho bisogno di giustificarmi se in questa sede ho resistito a queste tentazioni.)

In questo cammino la segue ora il trattamento analitico, il quale si propone di rintracciare la libido, di renderla nuovamente accessibile alla coscienza e capace infine di porsi al servizio della realtà. Dove l'indagine analitica urta contro la libido ritiratasi nei suoi anfratti, scoppierà certamente un conflitto; tutte le forze che hanno dato origine alla regressione della libido si solleveranno come "resistenze" contro il lavoro analitico, per conservare questo nuovo stato di cose. Se infatti l'introversione o regressione della libido non fosse stata giustificata da una determinata relazione con il mondo esterno (o, detto in termini più generali, dalla frustrazione del soddisfacimento, e se essa non fosse stata addirittura vantaggiosa in quel momento, non si sarebbe potuta realizzare affatto. Le resistenze che hanno questa origine non sono però le sole e nemmeno le più forti. La libido a disposizione della personalità aveva sempre subito l'attrazione dei complessi inconsci (o, più esattamente, degli elementi di questi complessi appartenenti all'inconscio), ed era pervenuta alla regressione perché l'attrazione della realtà si era attenuata. Ora, per liberare la libido occorre superare quest'attrazione dell'inconscio, occorre dunque eliminare la rimozione, nel frattempo stabilitasi nell'individuo, delle pulsioni inconsce e delle loro produzioni. Di qui risulta quella parte della resistenza, di gran lunga la più cospicua, che tanto spesso consente alla malattia di perdurare anche quando il distacco dalla realtà ha ormai perduto il suo temporaneo fondamento. L'analisi deve lottare con le resistenze che scaturiscono da entrambe le fonti. La resistenza accompagna il trattamento ad ogni passo; ogni singola associazione, ogni atto della persona in trattamento deve fare i conti con la resistenza, e rappresenta un compromesso tra le forze tendenti alla guarigione e quelle, or ora descritte, che si oppongono ad essa.

Se ora seguiamo un complesso patogeno a partire dalla sua rappresentanza nel conscio (sia che esso appaia come sintomo, sia che esso non appaia affatto) sino alla sua radice nell'inconscio, giungiamo presto in una regione dove la resistenza si fa sentire cosi chiaramente che l'associazione successiva non può non tenerne conto e appare necessariamente come un compromesso tra le richieste della resistenza e quelle del lavoro di investigazione. A questo punto, e la nostra esperienza ne reca testimonianza, subentra la traslazione. Quando un elemento qualsiasi tratto dal materiale del complesso (dal suo contenuto) si presta a essere traslato sulla persona del medico, si instaura questa traslazione che, nel dar luogo all'associazione successiva, si annuncia attraverso i segni di una resistenza, per esempio attraverso un arresto. Deduciamo da tale esperienza che questa idea di traslazione è penetrata nella coscienza prima di ogni altra possibile associazione perché soddisfa anche la resistenza. Un processo di questo genere si ripete innumerevoli volte nel corso di un'analisi. Quando ci si avvicina a un complesso patogeno, la parte del complesso idonea alla traslazione viene sempre spinta avanti per prima nella coscienza, e difesa con il più grande accanimento. (Dal che non è però lecito dedurre in linea generale una particolare importanza patogena dell'elemento scelto per la resistenza di traslazione. Quando in una battaglia si combatte con particolare accanimento per il possesso di una determinata chiesetta o di una singola fattoria, non è necessario supporre che la chiesa sia un santuario nazionale, o che la casa custodisca i tesori dell'armata. Il valore degli oggetti può essere puramente tattico, acquistare significato forse soltanto in quella battaglia.)

Vinto questo ostacolo, il superamento degli altri clementi del complesso crea poche difficoltà. Quanto più si prolunga una cura analitica e quanto più chiaramente il malato si rende conto che le deformazioni del materiale patogeno non offrono da sole alcuna garanzia contro l'individuazione di esso, tanto più coerentemente egli si serve di quel tipo di deformazione che evidentemente gli offre i vantaggi maggiori, vale a dire della deformazione ottenuta per traslazione. Questo fatto tende a creare una situazione nella quale in definitiva tutti i conflitti devono essere affrontati nell'ambito della traslazione.

La traslazione nella cura analitica ci appare cosi in primo luogo, sempre e soltanto, come l'arma più forte della resistenza, e da ciò possiamo trarre la conclusione che l'intensità e la perseveranza della traslazione siano effetto ed espressione della resistenza. Se è vero che il meccanismo della traslazione è liquidato quando abbiamo fatto risalire quest'ultima alla disponibilità della libido rimasta in possesso di images infantili, si perviene tuttavia al chiarimento della sua funzione nella cura, soltanto se si approfondiscono le sue relazioni con la resistenza.

Donde deriva il fatto che la traslazione si presta in modo cosi eccellente ad essere mezzo della resistenza? Si direbbe che non sia difficile dare la risposta. È chiaro infatti che l'ammissione degli impulsi di desiderio proibiti diventa particolarmente difficile se dev'essere resa dinanzi alla persona alla quale è diretto l'impulso stesso. Quest'obbligo genera situazioni che nella realtà appaiono praticamente insostenibili. Ma è proprio questo che vuol raggiungere l'analizzato quando fa coincidere l'oggetto dei suoi moti sentimentali con la persona del medico. Una riflessione più approfondita dimostra però che questo vantaggio apparente non può offrire la soluzione del problema. Un rapporto di tenera e devota dedizione può infatti per altro verso aiutare a vincere tutte le difficoltà della confessione. In analoghe circostanze della realtà si è soliti dire infatti: "Davanti a te non mi vergogno, a te posso dire tutto." La traslazione sul medico potrebbe dunque servire altrettanto bene a facilitare la confessione e non si capisce perché dovrebbe renderla più difficile.

La risposta a questa domanda, che ci siamo qui posti più di una volta, non si ricava da un'ulteriore riflessione, ma è data dall'esperienza che si ottiene esaminando le singole resistenze di traslazione nella cura. Alla fine ci si accorge che non si può capire l'impiego della traslazione come resistenza finché ci si limita a pensare alla "traslazione". Bisogna decidersi a distinguere una traslazione "positiva" da un'altra "negativa", la traslazione di sentimenti affettuosi da quella di sentimenti ostili, e a trattare separatamente i due tipi di traslazione sul medico. La traslazione positiva si scompone poi a sua volta in traslazione di sentimenti amichevoli o affettuosi, capaci di pervenire alla coscienza, e in traslazione delle propaggini di tali sentimenti nell'inconscio. A proposito di questi ultimi l'analisi dimostra che essi risalgono regolarmente a fonti erotiche, per cui siamo costretti ad ammettere che tutti i rapporti sentimentali di simpatia, amicizia, fiducia e simili, da cui nella nostra vita traiamo vantaggio, per quanto puri e non sensuali possano apparire alla nostra autopercezione conscia, sono geneticamente collegati con la sessualità e si sono sviluppati da brame puramente sessuali attraverso un'attenuazione della meta sessuale. Originariamente non abbiamo conosciuto che oggetti sessuali e la psicoanalisi ci dimostra che anche le persone che nella vita reale ci limitiamo a stimare o ammirare possono continuare ad essere oggetti sessuali per il nostro inconscio.

La soluzione dell'enigma è dunque che la traslazione sul medico è idonea alla resistenza nella cura solo se si tratta di traslazione negativa o di traslazione positiva di impulsi erotici rimossi. Se "eliminiamo" la traslazione rendendola cosciente, non facciamo altro che distogliere queste due componenti dell'atto emotivo dalla persona del medico; l'altra componente, capace di giungere alla coscienza e irreprensibile, continua a sussistere ed è in psicoanalisi portatrice di successo, esattamente come in altri metodi di cura. Da questo punto di vista siamo pronti ad ammettere che i risultati della psicoanalisi si fondano sulla suggestione; ma per suggestione bisogna intendere, "con Ferenczi, l'influsso esercitato su una persona attraverso i fenomeni di traslazione possibili nel suo caso. Provvediamo all'indipendenza definitiva del malato, usando la suggestione come mezzo che gli consenta di compiere un lavoro psichico, il cui esito sarà certamente un miglioramento durevole della sua situazione psichica.

Ci si può chiedere ancora perché i fenomeni di resistenza della traslazione compaiano soltanto nella psicoanalisi e non anche in trattamenti condotti in modo indifferente, per esempio negli istituti psichiatrici. La risposta è la seguente: essi si presentano anche in queste altre situazioni, basta saperli riconoscere come tali. L'erompere della traslazione negativa è anzi molto frequente negli istituti  psichiatrici.   Il  malato,  non  appena  passa  sotto  il  dominio della traslazione negativa, lascia l'istituto, in condizione immutata o in fase di ricaduta. Negli istituti la traslazione erotica non agisce in modo cosi inibente perché là, come nella vita, essa viene mascherata anziché portata alla luce, ma si manifesta in modo molto chiaro come resistenza alla guarigione, e precisamente non perché induca il malato ad abbandonare l'istituto — al contrario ve lo trattiene — bensì perché lo tiene lontano dalla vita. Infatti, dal punto di vista della guarigione è davvero del tutto indifferente che il malato superi nell'istituto questa o quella angoscia o inibizione; ciò che conta veramente è ch'egli se ne liberi anche nella realtà della sua vita.

La traslazione negativa meriterebbe una valutazione approfondita che non può esserle concessa nell'ambito di questa esposizione. Nelle forme curabili di psiconevrosi la si trova a fianco della traslazione affettuosa, spesso rivolta contemporaneamente alla medesima persona, ed è per questo stato di cose che Bleuler ha coniato la felice espressione di ambivalenza. Tale ambivalenza di sentimenti sembra essere, entro certi limiti, normale, ma un alto grado di ambivalenza è di certo un contrassegno particolare di persone nevrotiche. Nella nevrosi ossessiva una precoce "separazione delle coppie di contrari” sembra essere caratteristica della vita pulsionale e rappresentare una delle sue premesse costituzionali. L'ambivalenza degli orientamenti sentimentali dei nevrotici ci spiega nel modo migliore la loro capacità di porre le loro traslazioni al servizio della resistenza. Là dove la capacità di traslazione è diventata essenzialmente negativa, come nei paranoidi, cessa la possibilità dell'influsso terapeutico e della guarigione.

Ma in tutte queste riflessioni abbiamo sinora valutato soltanto un lato del fenomeno della traslazione; è necessario rivolgere la nostra attenzione a un altro aspetto dello stesso problema. Chi abbia ricavato un'impressione esatta del modo in cui l'analizzato viene catapultato fuori dai suoi rapporti reali con il medico non appena cada sotto il dominio di una cospicua resistenza di traslazione, di come egli si prende poi la libertà di trascurare la regola psicoanalitica fondamentale secondo la quale ognuno deve comunicare senza sottoporre a critica tutto ciò che gli viene in mente, di come dimentica i proponimenti con i quali aveva cominciato la cura, e di come gli diventano indifferenti connessioni e conclusioni logiche che poco prima lo avevano estremamente colpito, chi abbia osservato tutto questo sentirà il bisogno di spiegarsi questa impressione anche in base ad altri fattori oltre a quelli sinora citati. Questi ultimi in realtà non sono da cercare lontano: essi si ricavano ancora una volta dalla situazione psicologica in cui la cura ha trasposto l'analizzato.

Seguendo le tracce della libido che è andata perduta per la coscienza del malato, siamo penetrati nell'ambito dell'inconscio. Le reazioni che otteniamo portano infatti alla luce anche alcune delle caratteristiche dei processi inconsci, come abbiamo imparato a conoscerli attraverso lo studio dei sogni. Gli impulsi inconsci non intendono essere ricordati, come la cura vorrebbe, bensì tendono a riprodursi in modo corrispondente all'atemporalità e alla capacità allucinatoria dell'inconscio. Come nel sogno, il malato attribuisce attualità e realtà agli esiti del risveglio dei suoi impulsi inconsci; egli vuole mettere in atto le sue passioni senza tener conto della situazione reale. Il medico vuole obbligarlo a inserire questi impulsi emotivi nel contesto del trattamento e in quello della storia della sua vita, a sottoporli alla considerazione intellettuale e a identificarli secondo il loro valore psichico. Questa lotta tra medico e paziente, tra intelletto e vita pulsionale, tra conoscenza e volontà di agire si svolge quasi esclusivamente nell'ambito dei fenomeni di traslazione. È su questo terreno che dev'essere vinta la battaglia, e la vittoria si esprime nella guarigione definitiva dalla nevrosi. È innegabile che il controllo dei fenomeni di traslazione crea allo psicoanalista le maggiori difficoltà, ma non bisogna dimenticare che proprio essi ci rendono il servizio inestimabile di rendere attuali e manifesti gli impulsi amorosi, occulti e dimenticati, dei malati. Infatti, checché se ne dica, nessuno può essere battuto in absentia o in effigie.