Meccanismo psichico della dimenticanza

1898

Non c'è dubbio che noi tutti abbiamo sperimentato in noi stessi, od osservato in altri, il fenomeno della dimenticanza, che è mio desiderio descrivere e quindi spiegare in questo articolo. Detto fenomeno interessa in particolare l'uso dei nomi propri — nomina propria —, manifestandosi nella seguente maniera: nel bel mezzo di una conversazione, ci vediamo costretti a confessare alla persona con la quale stiamo discorrendo che non ci riesce di ricordare un nome che volevamo citare proprio in quel momento, e ci sentiamo obbligati a ricorrere all'aiuto — inefficace, di solito — del nostro interlocutore. «Qual è il suo nome? Lo conosco tanto bene. Ce l'ho sulla punta della lingua. M'è sfuggito proprio adesso.»

Gli sforzi successivi per ritrovare quel nome, che sentiamo di aver avuto in mente fino a un momento fa, si accompagnano a una netta sensazione di irritazione, simile a quella che si ha nell'afasia motoria. Nei casi tipici, due caratteristiche concomitanti ci si presentano, le quali sono degne di rilievo. In primo luogo, la volontaria, energica concentrazione di quella funzione che chiamiamo attenzione, per quanto a lungo possa essere protratta, si dimostra impotente a ritrovare il nome smarrito. In secondo luogo, invece del nome che cerchiamo, ne compare subito un altro, che riconosciamo sbagliato e respingiamo, ma che si ripresenta con insistenza. Oppure, anziché un nome sostitutivo, troviamo nella nostra memoria una singola lettera o una sillaba, che riconosciamo essere parte del nome di cui andiamo alla ricerca. Per esempio, diciamo: «Comincia per "B"». Alla fine, se, bene o male, ci riesce di scoprire che nome è, la maggior parte delle volte troviamo che non comincia con una «B», anzi non contiene affatto la lettera «B».

Come si sa, il miglior modo per ritrovare il nome smarrito consiste nel «non pensarci», ossia nel distogliere dall'impresa quella parte dell'attenzione sulla quale possiamo esercitare un controllo volontario. Dopo un po' il nome mancante «esplode» nella mente e non possiamo fare a meno di pronunciarlo ad alta voce, con grande stupore del nostro interlocutore, che ha già dimenticato l'episodio e che, in tutti i casi, aveva provato un ben scarso interesse per i nostri sforzi. «A dir la verità», è probabile che egli dica, «poco importa come si chiama quell'uomo; va' avanti col racconto.» Sinché la faccenda non è chiarita, anche dopo aver distolto volontariamente l'attenzione, ci sentiamo preoccupati a un punto tale da non essere giustificato dall'interesse effettivo della cosa1.

In qualche caso in cui mi è capitato di dimenticare un nome in questo modo, sono riuscito, mediante l'analisi psichica, a spiegarmi la sequenza di eventi, e ora descriverò particolareggiatamente il più semplice e chiaro caso del genere.

Una volta, durante le vacanze estive, feci un viaggio in carrozza dalla deliziosa città di Ragusa ad una vicina cittadina, nell'Erzegovina. Come è naturale, la conversazione col mio compagno di viaggio verteva sulle condizioni delle due regioni (Bosnia ed Erzegovina) e sul carattere dei loro abitanti. Io parlavo delle diverse caratteristiche dei turchi che vivono colà, quali mi erano state descritte anni prima da un amico e collega che aveva passato molto tempo tra di loro in qualità di medico. Poco dopo, la nostra conversazione passò all'argomento dell'Italia e della pittura, così che ebbi occasione di raccomandare vivamente al mio compagno di visitare Orvieto, una volta o l'altra, per vedere gli affreschi sulla fine del mondo e il Giudizio Universale, con i quali un grande artista ha decorato una delle cappelle della cattedrale. Però il nome di questo artista mi sfuggiva e non mi riusciva di rammentarlo. Esercitai le mie facoltà mnemoniche, ripassai nella mia memoria tutti i particolari della giornata trascorsa a Orvieto, convincendomi che nemmeno il più insignificante di essi era stato cancellato o era diventato indistinto. Anzi, riuscivo a rievocare l'immagine dei dipinti con una vivezza sensoriale superiore a quella che mi è abituale. Con particolare precisione mi vedevo dinanzi agli occhi l'autoritratto — col volto corrucciato e le dita intrecciate — che l'artista ha posto in un angolo di uno dei suoi dipinti, accanto al ritratto del suo predecessore in quel lavoro, il Beato Angelico. Però il nome dell'artista, che di solito mi è così familiare, si ostinava a rimanere nascosto, né il mio compagno di viaggio poteva essermi di aiuto. I miei ripetuti sforzi non ottennero alcun successo, se non quello di farmi venire in mente i nomi di altri due artisti, che pure sapevo che non potevano essere quelli giusti. Questi erano Botticelli e, in secondo luogo, Boltraffìo2. La ripetizione della sillaba «Bo» in entrambi i nomi sostitutivi forse avrebbe indotto un novellino a credere che essa facesse parte anche del nome smarrito; io, però, mi guardai bene dall'affidarmi a questa speranza.

Siccome, per tutta la durata del viaggio, non avevo la possibilità di consultare alcun testo, fui costretto a tenermi questa lacuna della memoria insieme all'intimo tormento che le si accompagnava e che mi riprendeva a frequenti intervalli tutti i giorni, finché non incontrai un italiano colto, che me ne liberò dicendomi il nome: Signorelli. Io stesso fui in grado di aggiungere il nome di battesimo dell'artista: Luca. Istantaneamente svanì il ricordo chiarissimo dei lineamenti del maestro, quali egli li dipinse nell'autoritratto.

Quali influssi mi avevano portato a dimenticare il nome di Signorelli, tanto familiare per me e che si imprime tanto facilmente nella memoria? E quali vie conducevano alla sua sostituzione con i nomi di Botticelli e di Boltraffìo"1. Per far luce su entrambi i quesiti mi bastò riesaminare brevemente le circostanze in cui si era manifestata la dimenticanza.

Poco prima di attaccare l'argomento degli affreschi della cattedrale di Orvieto, io stavo riferendo al mio compagno di viaggio certe cose sui turchi della Bosnia, che avevo udito dal mio collega, anni prima. Questa gente tratta i medici con particolare riguardo e, in netto contrasto col nostro popolo, dimostra un atteggiamento di rassegnazione verso i voleri del destino. Se il medico deve informare un capofamiglia che uno dei suoi congiunti sta per morire, la risposta sarà: «Herr (Signore), cosa possiamo dire? Se lo si potesse salvare, so che lei lo aiuterebbe». Il medesimo collega mi aveva anche detto dell'immensa importanza attribuita dai bosniaci al piacere sessuale. Una volta, un paziente gli aveva detto: «Herr, deve sapere che se questo deve finire, la vita, allora, non ha più valore». In quel tempo, sia al dottore che a me era sembrato che questi due tratti del carattere del popolo della Bosnia, illustrati dai due esempi, potessero considerarsi come intimamente legati tra di loro. Però, nel rievocare queste storie durante il viaggio in Erzegovina, io soppressi la seconda, in cui si accennava all'argomento della sessualità. Fu immediatamente dopo che il nome di Signorelli mi sfuggì ed apparvero, quali sostituti, i nomi di Botticelli e Boltraffìo.

L'influenza che aveva reso inaccessibile alla memoria il nome di Signorelli, o, secondo quanto sono abituato a dire, lo aveva «rimosso», non poteva derivare che dalla storia, che avevo soppressa, del valore dato alla morte e al godimento sessuale. Se le cose stanno così, dovremmo essere in grado di scoprire le idee intermedie che erano valse a collegare i due temi. L'affinità dei loro contenuti — il Giudizio Universale, «giorno dell'ira», da un lato, e sesso e morte dall'altro — sembra molto scarsa, e poiché ci trovavamo di fronte a un caso di rimozione dalla memoria di un nome, era per ciò stesso probabile che la connessione fosse tra nome e nome.

Ora, Herr vuol dire Signore e la sillaba Herr si trova anche in /Herzegowina3. Per di più non era certo privo di importanza che tutte e due le osservazioni dei malati contenessero un «Herr» quale appellativo rivolto al medico. Quindi la mia traduzione di «Signore» in «Herr» rappresentava il mezzo grazie al quale il racconto che avevo represso aveva trascinato con sé nella rimozione il nome che cercavo. È chiaro che tutto questo era stato facilitato dal fatto che, negli ultimi giorni a Ragusa, parlavo continuamente italiano e quindi mi ero abituato a tradurre mentalmente dal tedesco in italiano4.

Allorché cercavo di ricuperare il nome dell'artista, di sottrarlo alla rimozione, veniva immancabilmente a farsi sentire l'influenza del legame che il nome aveva contratto nel frattempo. Trovai un nome di artista, ma non quello giusto. Si trattava di un nome spostato e la base di tale spostamento era nei nomi contenuti nell'argomento rimosso. «Botticelli» contiene le stesse sìllabe finali di «Signorelli». Dunque le sillabe finali — le quali, a differenza della prima parte del nome, «Signor», non potevano avere un legame diretto col nome «Erzegovina» —  erano ritornate nella mia mente, ma l'influenza del nome «Bosnia», che di regola si associa a quello dell'Erzegovina, si era rivelata provocando la sostituzione con due nomi di artisti, che cominciano con la sillaba «Bo»: «Botticelli» e poi «Bol-traffio». Quindi ne risulta che vi fu un'interferenza tra la ricerca del nome di «Signorelli» e l'argomento di conversazione che si trovava dietro di essa, nel quale ricorrevano i nomi della Bosnia e dell'Erzegovina.

Il fatto che io avessi soppresso una volta, nel corso di una conversazione, l'argomento di cui sopra, non basta a spiegare come si siano prodotti questi effetti, tanto più che si trattava di un avvenimento provocato da motivi casuali. Piuttosto dobbiamo presumere che l'argomento in sé fosse intimamente legato a serie di pensieri che erano in stato di rimozione in me, vale a dire a serie di pensieri che, nonostante il forte interesse che provavo per essi, urtavano contro una resistenza che impediva loro di essere manipolati da un determinato agente psichico, per cui non potevano diventare coscienti. La ricerca condotta su me stesso fornisce la prova certa, che qui non è il caso di addurre, che in quel momento le cose stavano proprio così per quanto riguarda l'argomento della «morte e del sesso». Però posso richiamare l'attenzione su una delle conseguenze di questi pensieri rimossi. L'esperienza mi ha insegnato a pretendere che ciascun prodotto psichico sia integralmente delucidato e persino iperdeterminato. Conseguentemente, mi sembrò che il secondo nome sostitutivo, «Boltraffio», esigesse un'ulteriore determinazione; infatti, per il momento, solo le lettere iniziali trovavano una ragione nell'assonanza con «Bosnia». A questo punto mi ricordai che questi pensieri rimossi non mi avevano mai tanto assorbito quanto alcune settimane prima, dopo che avevo ricevuto una certa notizia. La località in cui tale notizia mi era pervenuta si chiamava «Trafoi» e questo nome è talmente simile alla seconda metà del nome di «Boltraffio», che non può non aver avuto un effetto determinante sulla sua scelta. Nel piccolo diagramma schematico che segue, ho cercato di riprodurre le connessioni che adesso sono venute alla luce.

Forse non è senza importanza, nel proprio interesse, riuscire a comprendere la storia di un evento psichico di questo genere, che rientra tra i disturbi più banali che possono interferire col controllo dell'apparato psichico, ma che, d'altra parte, è compatibile con una condizione di salute psichica per il resto del tutto normale. Ma l'esempio illustrato alla pagina seguente assume un altro, enorme interesse, allorché veniamo a sapere che esso può rappresentare addirittura il modello dei processi patologici ai quali devono la loro origine i sintomi psichici delle psiconevrosi (isteria, ossessioni e paranoia). In entrambi i casi ritroviamo gli stessi elementi e lo stesso gioco di forze tra detti elementi. Nello stesso modo che qui, e attraverso associazioni superficiali dello stesso genere, una serie rimossa di pensieri, nelle nevrosi, si impadronisce di una impressione recente, e innocente, e la trascina con sé nella rimozione. Lo stesso meccanismo che fa sì che da «Signorelli» emergano i nomi sostitutivi di «Botticelli» e «Boltraffio» (sostituzione tramite idee intermediarie o di compromesso), governa anche la formazione di pensieri ossessivi e di paramnesie paranoiche. Inoltre, abbiamo visto che certi casi di dimenticanza possiedono la caratteristica di provocare un disagio continuativo fino al momento in cui il problema si risolve; tale caratteristica rimane incomprensibile, se si prescinde da ciò, e, difatti, essa era incomprensibile per la persona con la quale discorrevo. Vi è però un'analogia assoluta tra questo fatto e il modo in cui gruppi di pensieri rimossi collegano la loro capacità di provocare uno stato affettivo a determinati sintomi, il cui contenuto, a nostro giudizio, sembra del tutto inadeguato allo scatenamento di tale stato affettivo. Infine, la risoluzione di tutta la tensione derivante dalla comunicazione da una fonte esterna del nome corretto, costituisce di per sé un buon esempio dell'efficacia della terapia psicoanalitica, che mira a correggere le rimozioni e gli spostamenti e che rimuove i sintomi ristabilendo l'oggetto psichico originale.

Pertanto, tra i diversi fattori che contribuiscono ad un'incapacità di ricordare o a una perdita di memoria, non bisogna trascurare il ruolo tenuto dalla rimozione, la cui presenza può essere dimostrata non soltanto nei nevrotici ma anche negli individui normali, in forme che, dal punto di vista qualitativo, sono le stesse. Si può affermare, in modo assolutamente generale, che la facilità (e, in definitiva, anche la fedeltà) con la quale una data impressione si ridesta nella memoria non dipende soltanto dalla costituzione psichica dell'individuo, dall'intensità dell'impressione quando questa era recente, dall'interesse riposto in essa in quel dato momento, dalla costellazione psichica del momento attuale, dall'interesse che attualmente è rivolto al suo ridestarsi, dalle connessioni assunte al momento da questa impressione, e così via, — non dipende, dico, soltanto da questi elementi, ma anche dall'atteggiamento favorevole o sfavorevole di un particolare fattore psichico, che si rifiuta di riprodurre tutto ciò che possa scatenare dispiacere o che possa condurre successivamente allo scatenamento di dispiacere. Pertanto la funzione della memoria, che noi amiamo considerare come un archivio aperto a chiunque ne sia curioso, è, in tal modo, assoggettata a restrizioni per opera di una tendenza della volontà, così come lo sono tutte le parti della nostra attività rivolte verso il mondo esterno. Il segreto dell'amnesia isterica è scoperto a metà allorché diciamo che gli individui isterici non sanno ciò che non vogliono sapere, e il trattamento psicoanalitico, che, nel corso del suo lavoro, si adopera per colmare tali lacune della memoria, ci porta a scoprire che alla rievocazione di tali ricordi perduti si oppone una certa resistenza che deve essere controbilanciata da un lavoro di proporzione adeguata alla sua intensità.

Naturalmente, nel caso di processi psichici che, nel complesso, sono normali, non si può affermare che l'influsso sulla rievocazione dei ricordi di questo fattore unilaterale debba sempre e regolarmente sovrastare tutti gli altri fattori, di cui si deve tener conto5.

A proposito della tendenziosità della natura dei nostri ricordi e delle nostre dimenticanze, non molto tempo fa ne ho sperimentato un esempio istruttivo — istruttivo per via di ciò che rivelava —, che desidero riportare qui. Avevo intenzione di andare a far visita, per un giorno intero, a un amico, che purtroppo sta molto lontano, e avevo la testa piena delle cose che dovevo dirgli. Prima, però, mi sentii in dovere di presentarmi a una famiglia di miei conoscenti a Vienna, un membro della quale si era trasferito nella città in cui dovevo recarmi, in modo da portare i loro saluti e messaggi a questo parente lontano. Mi dissero il nome della pensione in cui viveva, e anche il nome della strada e il numero civico, e, data la mia cattiva memoria, scrissero l'indirizzo su un biglietto che io misi nel portafogli. Il giorno dopo, arrivato da questo mio amico, cominciai: «Ho un solo dovere da compiere che potrebbe interferire col nostro stare insieme. Si tratta di una visita, e sarà la prima cosa che devo fare. Ho l'indirizzo nel portafogli». Però, con mio grande stupore, non ve lo trovai. E così, dopo tutto, dovevo ripiegare sulla mia memoria. La mia memoria per i nomi non è particolarmente buona, però è di gran lunga migliore di quella per le cifre e i numeri. Posso andare a fare delle visite mediche in una data casa per un anno intero, eppure, se ci dovessi andare con una carrozza pubblica, mi troverei in difficoltà a ricordare il numero civico. In questo caso, però, avevo preso nota del numero della casa nella mia mente, e in modo del tutto particolare: lo ricordavo chiarissimamente, e sembrava quasi si burlasse di me, perché, invece, nella mia memoria non restava alcuna traccia del nome della pensione né della via. Avevo dimenticato tutti gli elementi dell'indirizzo che avrebbero potuto servire da punto di partenza per scoprire la pensione, mentre, contrariamente al mio solito, avevo ritenuto il numero civico, che era inutile per questo scopo. In conseguenza non potei fare la visita. Ben presto mi consolai e mi dedicai interamente al mio amico. Quando fui di ritorno a Vienna, mentre stavo in piedi davanti alla scrivania, seppi, senza un attimo d'incertezza, dove avevo messo, nella mia «distrazione», il biglietto con l'indirizzo. Il fatto di aver nascosto inconsciamente questo biglietto era stato determinato dalla stessa intenzione che aveva provocato anche la mia strana dimenticanza.

Note

1 E neppure da alcun senso di dispiacere che si possa provare essendo inibiti in un'attività psichica.

2 II primo di questi nomi mi era conosciutissimo, mentre conoscevo a mala pena il secondo.

[Herzegowina: scrittura tedesca per Erzegovina.]

4 «Spiegazione stiracchiata e sforzata», si dirà. Questa impressione insorge necessariamente in quanto l'argomento represso lotta con tutti i mezzi per stabilire un rapporto con ciò che non è represso, e, a tal fine, non disdegna neppure la via dell'associazione esteriore. È la stessa situazione «forzata» che si ha quando si deve trovare una rima.
5 Sarebbe un errore credere che il meccanismo che ho posto in luce in queste pagine agisca solo in rari casi. Invece è molto comune. Per esempio, in un caso in cui intendevo descrivere lo stesso piccolo incidente a un mio collega, mi sfuggì di mente all'improvviso il nome della mia autorità in fatto di notizie sulla Bosnia. La ragione di ciò era la seguente. Poco prima avevo giocato a carte. La mia autorità si chiamava Pick. Ora Pick e Herz (picche e cuori) sono due dei quattro semi delle carte. Per di più le due parole erano collegate in un aneddoto nel quale questa stessa persona diceva, indicando se stessa: «Non mi chiamo Herz ma Pick». Herz appare nel nome Herzegowina e, nel suo significato di cuore, sotto l'aspetto di organo ammalato, aveva parte nei pensieri che ho descritto come rimossi.