Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi

1925

I miei lavori e quelli dei miei allievi sostengono con decisione sempre maggiore l'esigenza che l'analisi dei nevrotici si spinga nella sua investigazione fino al periodo più remoto della loro infanzia, all'epoca della prima fioritura della loro vita sessuale. In effetti, se si esplorano le prime manifestazioni della costituzione pulsionale congenita e gli effetti delle primissime impressioni vitali, è possibile riconoscere con precisione le forze motrici delle nevrosi successive e mettersi al riparo da quegli errori cui facilmente potremmo essere indotti se ci basassimo sui rimodellamenti e le sovrapposizioni della maturità. Questa esigenza non ha soltanto significato teorico ma anche importanza pratica, in quanto separa le nostre fatiche dal lavoro di quei medici, che essendo orientati in senso esclusivamente terapeutico, si servono dei metodi analitici soltanto per un tratto del loro cammino. Un'analisi come quella che noi proponiamo, e che si spinge fino a epoche cosi remote, è lunga e difficile, e pretende sia dal medico sia dal paziente cose che non sempre la pratica è in grado di fornire. Essa, inoltre, conduce in contrade oscure nelle quali non riusciamo ancora a orientarci. Insomma, penso di poter assicurare gli analisti che il loro lavoro scientifico non corre alcun pericolo per i prossimi decenni di diventare meccanico e per ciò stesso poco interessante.

Nelle pagine seguenti comunicherò un risultato dell'esplorazione analitica che acquisterebbe un'enorme importanza qualora si potesse dimostrare che è universalmente valido. Perché non ne rinvio la pubblicazione a quando una più vasta esperienza mi abbia fornito questa prova, dato che essa è necessaria? Perché nelle condizioni in cui lavoro è subentrato un mutamento le cui conseguenze non posso ignorare. Una volta non appartenevo alla schiera di coloro che non riescono assolutamente a tenere per sé una presunta novità non

ancora convalidata o rettificata. L'interpretazione dei sogni e il Frammento di un'analisi d'isteiia (il caso di Dora) sono stati da me trattenuti, se non per nove anni, secondo la ricetta oraziana, almeno per quattro o perfino per cinque anni, prima di essere dati in pasto al pubblico. Ma allora il tempo si dilatava davanti a me sterminato — "oceans oi time", come dice un caro poeta ["Oceani di tempo": il poeta è Romain Rolland] — e il materiale mi affluiva con tale dovizia che riuscivo a stento a difendermi dalle esperienze. Ero anche l'unico a lavorare su questo nuovo terreno e la mia riservatezza non rappresentava né un pericolo per me né un danno per gli altri.

Ora tutto è mutato. Il tempo davanti a me è limitato e non lo trascorro interamente nel lavoro, sicché non ho più tante occasioni di fare nuove esperienze. Se mi sembra di vedere qualcosa di nuovo, non ho più la certezza di poterne attendere la conferma. E poi tutto ciò che da solo si spingeva verso la superficie è già stato raccolto; il resto va strappato dalle profondità con lenta fatica. Infine, non sono più solo, e anzi una schiera di fervidi collaboratori è pronta a far uso anche di ciò che è incompiuto e ancora malcerto; posso perciò affidare a costoro quella parte del lavoro di cui altrimenti mi sarei occupato io stesso. Mi sento dunque giustificato, questa volta, a comunicare qualcosa che ha un assoluto bisogno di essere sottoposto a verifica prima che si possa dire se è valido o meno.

Quando indagammo le prime configurazioni psichiche della vita sessuale infantile, assumemmo di norma a oggetto della nostra indagine il bambino di sesso maschile, il maschietto; pensavamo che nelle bimbe la cose si svolgessero in modo abbastanza simile, seppure con qualcosa di diverso; non riuscivamo però a vedere chiaramente in qual punto del corso evolutivo fosse rintracciabile questa differenza.

Nei maschi, il primo stadio da noi individuato con certezza è la situazione del complesso edipico. È una situazione, questa, che comprendiamo senza difficoltà giacché in essa il bambino si attiene al medesimo oggetto che già nel precedente periodo dell'allattamento e dello svezzamento aveva investito con la sua libido non ancora genitale. Anche il fatto che in questa situazione egli senta il padre come un rivale e un disturbatore che vorrebbe mandar via o soppiantare, si deduce senza difficoltà dalle circostanze di fatto. Che l'impostazione edipica del maschio appartenga alla fase fallica, e che subisca un tracollo con il timore dell'evirazione, e cioè con l'interesse narcisistico per i propri genitali, l'ho già esposto in altro luogo (Vedi il mio scritto II tramonto del complesso edipico, 1924). Le cose diventano più difficili da comprendere a causa della complicazione seguente: anche nei maschi, in accordo con la loro disposizione bisessuale, il complesso edipico assume un doppio senso, attivo e passivo. Il maschio vuole anche soppiantare la madre come oggetto d'amore del padre, ed è ciò che noi chiamiamo impostazione femminea.

Sulla preistoria del complesso edipico nei maschi siamo ancora ben lontani dall'aver raggiunto la chiarezza assoluta. Conosciamo di essa un periodo d'identificazione col padre di natura affettuosa, a cui manca ancora il senso della rivalità a causa della madre. Un altro elemento che a mio parere non manca mai in questa preistoria è l'attività masturbatoria rivolta ai genitali, quell'onanismo dei bambini piccoli la cui repressione più o meno brutale da parte di chi si cura di loro pone in essere il complesso di evirazione. La nostra ipotesi è che questo onanismo sia legato al complesso edipico e fornisca la scarica all'eccitamento sessuale di tale complesso. È incerto se tale relazione sussista fin dall'inizio o se invece l'onanismo non compaia spontaneamente come attività d'organo, per connettersi solo in seguito al complesso edipico; quest'ultima possibilità è di gran lunga la più verosimile. Problematico è ancora il significato dell'enuresi notturna e dell'eliminazione di questa abitudine mediante l'intervento degli educatori. Noi tendiamo a stabilire la semplice connessione secondo cui in una persistente enuresi notturna sarebbe ravvisabile l'esito dell'onanismo: la sua repressione verrebbe avvertita dal maschio come inibizione dell'attività genitale, nel senso dunque di una minaccia di evirazione; tuttavia, resta da dimostrare che questa ipotesi valga per tutti i casi. Infine l'analisi ci permette di intravedere come lo spiare di nascosto un coito dei genitori in un'epoca molto remota dell'infanzia possa dar luogo al primo eccitamento sessuale, e, grazie ai suoi effetti posticipati, possa divenire il punto di partenza di tutto lo sviluppo sessuale. L'onanismo, cosi come entrambe le impostazioni del complesso edipico, si riallacciano più tardi a quella impressione, che il bambino ha in seguito interpretato. E tuttavia non possiamo ammettere che tali osservazioni del coito siano un caso normale, e ci imbattiamo qui nel problema delle "fantasie primarie". È dunque evidente che anche nella preistoria del complesso edipico maschile ci sono ancora molte cose non chiarite, che attendono il vaglio; dobbiamo cioè decidere se si debba presupporre sempre la medesima origine o se invece dai più diversi stadi preliminari si giunga alla fin fine alla medesima situazione finale.

Il complesso edipico delle bimbe pone un problema in più rispetto a quello dei maschi. Per entrambi la madre è stata all'inizio il primo oggetto, e non ci siamo stupiti che il maschio lo conservi nel complesso edipico; come mai invece la bambina vi rinuncia, per assumere il padre come oggetto? Nell'affrontare questa questione ho avuto modo di fare alcune scoperte che possono chiarire immediatamente la preistoria della impostazione edipica delle bambine.

È capitato ad ogni analista d'imbattersi in donne che con particolare intensità e tenacia rimangono attaccate al padre, nonché al desiderio (che di questo attaccamento rappresenta il culmine) di avere da lui un figlio. Si è supposto con valido fondamento che questa fantasia di desiderio sia anche la forza motrice del loro onanismo infantile, e si ritrae facilmente l'impressione di trovarsi qui davanti a un fatto elementare, non ulteriormente decomponibile, della vita sessuale infantile. Un'analisi approfondita indica però qualcos'altro, e cioè che proprio questi sono i casi in cui il complesso edipico ha una lunga preistoria ed è in un certo senso una formazione secondaria.

Secondo un'osservazione del vecchio pediatra Lindner, il bambino scopre la zona genitale che dona piacere (cioè il pene o la clitoride) mentre succhia con delizia (ciuccia). (Vedi i miei Tre saggi sulla teoria sessuale,1905).  Preferisco non pronunciarmi sulla questione se davvero questa nuova fonte di piacere che il bambino si è conquistata surroghi per lui la recente perdita del capezzolo materno, come indicherebbero fantasie più tarde (fellatio). Come che sia, la zona genitale prima o poi viene scoperta e pare non vi sia alcun motivo valido per attribuire un contenuto psichico alle prime attività che la riguardano. Il passo successivo della fase fallica (che in tal modo ha inizio) non consiste però nel nesso che viene stabilito tra questo onanismo e gli investimenti oggettuali del complesso edipico, bensì in una scoperta densa di conseguenze riservata alla bambina. La bambina ha modo di osservare il pene, grosso e vistoso, di un fratello o di un compagno di giuochi; riconosce subito in esso il corrispettivo, in grande, del proprio organo piccolo e nascosto, ed ecco che nasce in lei l'invidia del pene.

Vi è un interessante contrasto nel comportamento dei due sessi: quando, analogamente, il maschietto scopre per la prima volta la regione genitale della bambina, rimane titubante, sembra essere dapprima poco interessato; non ha visto niente, oppure rinnega quel che ha visto, lo attenua, va in cerca di informazioni capaci di armonizzarlo con le proprie aspettative. Solo più tardi, quando una minaccia di evirazione incomberà su di lui con tutto il suo peso, l'osservazione fatta in passato acquisterà importanza; il suo ricordo, o il rinnovarsi di essa, desta in lui una tremenda tempesta affettiva ed egli è indotto a credere nella verità di quella minaccia finora derisa. Questa coincidenza provoca due reazioni che, se si fissano, ognuna singolarmente, o entrambe riunite, o insieme con altri elementi, determineranno durevolmente il suo rapporto con la donna: egli può reagire o con orrore per quella creatura mutilata o con trionfante disprezzo per essa. Ma questi sviluppi appartengono al futuro, seppure non lontano.

Per la bimba la cosa è diversa. Il suo giudizio e la sua decisione sono istantanei. Essa l'ha visto, sa di non averlo, e vuole averlo. (Cade qui opportuno correggere un'affermazione che ho fatto anni addietro. Pensavo allora che l'interesse dei bambini per il sesso non venisse risvegliato, come avviene nella pubertà, dalla differenza tra i sessi, bensì dal problema donde vengano i bambini. Ciò risulta dunque esser falso, almeno per le femmine. Nel maschio può succedere talvolta cosi, talaltra nell'altro modo, o in entrambi i sessi decideranno le occasioni che casualmente si presenteranno).

Da questo punto si diparte il cosiddetto "complesso di mascolinità" della donna; se essa non riesce a superarlo rapidamente, gravi difficoltà possono derivarne al normale sviluppo che le è assegnato verso la femminilità. La speranza che nonostante tutto un giorno o l'altro le si sviluppi un pene che la faccia diventare uguale all'uomo, può mantenersi incredibilmente a lungo e diventare motivo di bizzarri comportamenti, altrimenti inspiegabili. Oppure compare quel processo, a cui darei il nome di "rinnegamento", che nella vita psichica infantile non pare essere né raro né particolarmente pericoloso, e che invece nell'adulto darebbe il via a una psicosi. La bambina rifiuta di accettare il dato di fatto della propria evirazione, si ostina nella convinzione di possedere un pene, ed è costretta in seguito a comportarsi come se fosse un maschio.

Le conseguenze psichiche dell'invidia del pene, ammesso che tale invidia non si esaurisca totalmente nella formazione reattiva del complesso di mascolinità, sono molteplici e portano lontano. Con il riconoscimento della ferita inferta al suo narcisismo si produce nella donna — quasi fosse una cicatrice — un senso d'inferiorità. Dopo essere andata oltre il primo tentativo di chiarirsi la mancanza del pene, considerandola come una punizione personale, e dopo aver compreso la generalità di questo carattere sessuale, la donna comincia a condividere il disprezzo dell'uomo per questo sesso minorato in un punto decisivo, e, almeno in questo giudizio, si trova assimilata all'uomo. (Ho già riconosciuto nella mia prima presa di posizione critica che questo è il nucleo di verità della teoria di Adler, la quale non esita a spiegare tutto il mondo mediante questo solo punto - "inferiorità organica", "protesta virile", "ripiegamento dalla linea femminile" - vantandosi di aver privato del suo significato la sessualità a favore della volontà di potenza! Il solo organo "inferiore", che senza dubbio merita questo nome, sarebbe dunque la clitoride. D'altra parte si sente dire che certi analisti si vantano di non aver mai trovato la minima traccia del complesso di evirazione, nonostante le loro decennali fatiche: anche se è solo negativa, di fronte a un'impresa come questa non possiamo far altro che inchinarci: bisogna esser davvero dei maestri per non vedere o occultare i fatti fino a questo punto. Le due teorie offrono un'interessante coppia di opposti: qui nessuna traccia del complesso di evirazione, là nient'altro che le sue conseguenze.)

Anche se l'invidia del pene ha rinunciato al suo oggetto precipuo, essa non cessa di esistere, e anzi, spostata appena, sopravvive in una proprietà del carattere: la gelosia. Certamente la gelosia non è propria soltanto di uno dei due sessi e possiede un più ampio fondamento; io penso tuttavia che essa abbia una parte di gran lunga maggiore nella vita psichica della donna, perché si giova di un enorme rafforzamento proveniente dall'invidia, deviata, del pene. Ancor prima di aver capito che la gelosia può avere questa derivazione, avevo costruito per la fantasia onanistica cosi frequente nelle bambine secondo cui "un bambino viene picchiato" una prima fase in cui la fantasia ha il significato che un altro bambino, di cui si è gelosi in quanto rivali, ha da essere picchiato. (Vedi il mio scritto "Un bambino viene picchiato", 1919).  Questa fantasia sembrerebbe un relitto del periodo fallico della bambina. La particolare fissità, che mi aveva stupito nella monotonia della formula "un bambino viene picchiato", ammette verosimilmente un'interpretazione più specifica. Il bambino che qui viene picchiato-accarezzato non dev'essere in fondo nient'altro che la clitoride, cosi che quest'asserzione contiene, come suo significato più profondo, l'ammissione della masturbazione, la quale è legata al contenuto della formula fin dall'inizio, nella fase fallica, e poi giù giù nelle epoche più tarde.

Una terza conseguenza dell'invidia del pene si manifesta nel fatto che si allentano i rapporti di tenerezza con l'oggetto materno. Non è ben chiara la connessione, però è da ritenere che alla fin fine quasi sempre la bambina consideri responsabile della mancanza del pene la madre, che l'ha mandata per il mondo con un equipaggiamento cosi insufficiente. Sotto il profilo storico la successione dei fatti è spesso la seguente: subito dopo la scoperta dell'insufficienza dei propri genitali, sorge nella bambina una gelosia contro un altro bambino che presumibilmente la madre ama di più; donde un motivo per staccarsi dall'attaccamento alla madre. Con ciò si accorda il fatto che poi questo bambino preferito dalla madre diventi il primo oggetto della fantasia di percosse sfociante nella masturbazione.

C'è un altro effetto sorprendente dell'invidia del pene — o della scoperta dell'inferiorità della clitoride — ed è certamente il più importante di tutti. In passato avevo spesse volte riportato l'impressione che la donna in generale sopporti la masturbazione peggio dell'uomo, che più spesso tenti di opporvisi e non sia in grado di servirsene, mentre l'uomo nelle medesime circostanze farebbe ricorso senza esitazione a questa pratica. È ovvio che l'esperienza fornirebbe innumerevoli eccezioni a questa affermazione qualora si volesse assumerla come regola. Le reazioni degli individui dell'uno e dell'altro sesso nascono in effetti da una commistione di tratti maschili e femminili. Ciononostante sono rimasto dell'opinione che la masturbazione sia un'attività più aliena alla natura della donna che a quella dell'uomo e che si possa, per la soluzione del nostro problema, prendere in considerazione l'ipotesi che la masturbazione, almeno della clitoride, sia un'attività di tipo mascolino, mentre lo spiegamento della femminilità richiederebbe come condizione l'abolizione della sessualità clitoridea. Le analisi della lontana epoca fallica mi hanno poi insegnato che nella bambina, subito dopo i primi segni dell'invidia del pene, sorge un'intensa corrente contraria all'onanismo, che non può venir ricondotta esclusivamente all'influsso degli educatori. Questo impulso è chiaramente un prodromo di quel soprassalto di rimozione che all'epoca della pubertà metterà da un canto gran parte della sessualità virile, per far posto all'estrinsecarsi della femminilità. Può darsi che questa prima opposizione contro l'attività auto-erotica non raggiunga il suo scopo. Non lo raggiunse in effetti neppure nei casi da me analizzati. Il conflitto prosegui e la bambina, allora come in seguito, fece di tutto per liberarsi dalla coazione all'onanismo. Alcune manifestazioni successive della vita sessuale femminile rimangono incomprensibili se non si individua questo importante motivo.

Non posso spiegarmi questa rivolta della bimba contro l'onanismo fallico se non con l'ipotesi che il piacere che essa prova in questa attività le venga malamente guastato da un fattore concomitante. Non c'è bisogno di cercare questo fattore troppo lontano: deve trattarsi dell'umiliazione narcisistica connessa con l'invidia del pene, l'avvertire che su questo punto non si può più competere col maschio e perciò è meglio tralasciare di mettersi in concorrenza con lui. In tal modo il riconoscimento della differenza anatomica tra i sessi sospinge la bimba dalla virilità e dall'onanismo maschile verso nuove strade che conducono allo spiegamento della femminilità.

Fino ad ora non si è parlato del complesso edipico, ed esso d'altronde non ha avuto fin qui parte alcuna. Ora però la libido della bimba scivola necessariamente (lungo la già indicata equazione simbolica pene = bambino) in una nuova posizione. Ella rinuncia al desiderio del pene per mettere al suo posto il desiderio di un bambino, e, avendo di mira questo scopo, assume il padre come oggetto amoroso. La madre diventa oggetto di gelosia, dalla bimba è emersa una piccola donna. Se mi è concesso dar credito a un singolo rilievo analitico, vi dirò che in questa nuova situazione essa può giungere a sensazioni fisiche che sono da giudicare come il prematuro destarsi dell'apparato genitale femminile. Quando questo attaccamento al padre deve più tardi essere abbandonato in quanto destinato al fallimento, può subentrare un'identificazione con il padre, col che la ragazzina tornerebbe al proprio complesso di mascolinità, rimanendovi magari fissata.

Ho ormai detto l'essenziale di ciò che avevo da dire e mi soffermo a considerare i risultati complessivi. Ci siamo fatti un'idea della preistoria del complesso edipico nella bambina. Il corrispettivo nel maschietto è ancora in parte ignorato. Nella bambina il complesso edipico è una formazione secondaria: gli effetti del complesso di evirazione lo precedono e lo preparano. Per quanto riguarda il rapporto tra i complessi edipico e di evirazione, esiste un contrasto fondamentale tra i due sessi. Mentre il complesso edipico del bambino crolla a causa del complesso di evirazione (Vedi il mio scritto II tramonto del complesso edipico,1924), il complesso edipico della bambina è reso possibile e introdotto dal complesso di evirazione. Per spiegare questa contraddizione, basta considerare come il complesso di evirazione operi sempre conformemente al proprio contenuto, inibendo e limitando la virilità, e promuovendo la femminilità. La differenza fra l'uomo e la donna in questo segmento dello sviluppo sessuale è una comprensibile conseguenza della diversità anatomica tra i genitali e della situazione psichica che a ciò si collega, e corrisponde alla diversità tra un'evirazione compiuta e un'evirazione puramente minacciata. Il nostro risultato è dunque fondamentalmente ovvio e avrebbe potuto addirittura essere previsto.

Il complesso edipico, tuttavia, è talmente importante che non può essere indifferente il modo in cui si entra in esso o da esso ci si libera. Nei maschi — come ho esposto in dettaglio nella pubblicazione cui ho testé rimandato e alla quale soprattutto qui mi riallaccio — il complesso non viene rimosso facilmente, esso si sfracella letteralmente sotto lo shock della minaccia di evirazione. I suoi investimenti libidici sono abbandonati, desessualizzati e in parte sublimati, i suoi oggetti vengono incorporati nell'Io, ove formano il nucleo del Super-io conferendo a questa nuova struttura le sue proprietà caratteristiche. Nei casi normali, o per meglio dire nei casi ideali, il complesso edipico non esiste più nemmeno nell'inconscio, il Super-io è diventato il suo erede. Poiché il pene — nel senso di Ferenczi — deve il suo straordinario investimento narcisistico al significato organico che ha per la continuazione della specie, la catastrofe del complesso edipico (ossia la rinuncia all'incesto, l'instaurazione della coscienza morale e dell'etica) può essere intesa come una vittoria della generazione sull'individuo. È questo un interessante punto di vista, se si riflette che la nevrosi è fondata sulla lotta dell'Io contro le pretese della funzione sessuale. Tuttavia, se si abbandona il solido ancoraggio della psicologia individuale non si ottiene certo un immediato chiarimento di queste intricate relazioni.

Nella bimba viene meno il motivo che distrugge il complesso edipico. L'evirazione ha avuto effetto già prima, spingendo la bambina nella situazione del complesso edipico. Quest'ultimo sfugge perciò alla sorte che gli è destinata nei maschi, può lasciare il campo lentamente, venir dissolto per rimozione, spostare in avanti i suoi effetti nella vita psichica normale della donna. Si esita a dichiararlo, ma non ci si può sottrarre all'idea che per la donna il livello di ciò che è eticamente normale sia differente. Il suo Super-io non diventa mai cosi inesorabile, cosi impersonale, cosi indipendente dalle sue origini affettive come esigiamo che sia nell'uomo. I tratti di carattere che da tempo immemorabile la critica ha rinfacciato alla donna — che essa mostra minor senso di giustizia dell'uomo, minore inclinazione a sottomettersi alle grandi necessità della vita, che troppo spesso si lascia guidare nelle sue decisioni da sentimenti di tenerezza o di ostilità — troverebbero amplissimo fondamento nelle modificazioni (di cui ho parlato poco sopra) subite dalla donna nella formazione del suo Super-io. L'opposizione dei sostenitori del femminismo, i quali ci vogliono far accettare per forza una completa equiparazione di fatto e di giudizio tra i due sessi, non ci farà fuorviare da tali conclusioni, ben disposti a concedere peraltro che anche la maggior parte degli uomini rimangono assai al di sotto dell'ideale maschile, e che tutti gli esseri umani, in conseguenza della loro disposizione bisessuale, nonché della trasmissione ereditaria incrociata, uniscono in sé caratteri virili e femminili, cosicché la virilità e la femminilità pure rimangono costruzioni teoriche dal contenuto indeterminato.

Sono incline ad attribuire un certo valore a ciò che ho fin qui esposto sulle conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, ma sono consapevole che questa opinione può esser mantenuta solo se le scoperte fatte sulla base di un numero esiguo di esperienze saranno confermate generalmente e risulteranno tipiche. In caso  contrario  tutto  ciò  rimarrà  ugualmente  un  contributo  alla conoscenza   delle   molteplici   vie  aperte   allo   sviluppo   della   vita sessuale.

Nei pregevoli e densi lavori sui complessi di mascolinità e di evirazione nella donna dovuti a Karl Abraham, a Karen Horney, e a Helene Deutsch, si trovano numerose affermazioni che si avvicinano molto alla descrizione da me fornita, nulla però che collimi del tutto con essa, cosicché anche sotto questo aspetto mi sento giustificato a pubblicare questo scritto.