CONTRIBUTI ALLA PSICOLOGIA DELLA VITA AMOROSA

1910/1918

I. Un particolare tipo di scelta oggettuale nell'uomo (1910)

Finora abbiamo lasciato dipingere alla fantasia creativa dello scrittore «le condizioni necessarie per amare» che governano la scelta di un oggetto e il modo in cui armonizzano con la realtà le esigenze della sua immaginazione. Lo scrittore, infatti, può contare su certe qualità che gli consentono di svolgere un tale compito: soprattutto, su una sensibilità che lo metta in grado di cogliere gli impulsi nascosti dell'animo altrui e sul coraggio di lasciar parlare il proprio inconscio. Ma v'è un fatto che diminuisce il valore probatorio di quanto dice. Gli scrittori hanno l'obbligo di produrre piacere intellettuale ed estetico nonché certi effetti emotivi. Appunto per questo essi non possono riprodurre immutata la realtà, ma devono isolarne alcune parti ed eliminare quelle associazioni capaci di provocare sentimenti spiacevoli, sfumare alcuni lati e completarne altri: sono i privilegi della cosiddetta «licenza poetica». Possono inoltre mostrare solo un interesse secondario per l'origine e lo sviluppo degli stati d'animo che ritraggono. Diviene così inevitabile che la scienza, anche se con mano meno delicata ed offrendo certo un minore piacere, si occupi della stessa materia che gli artisti hanno trattato in modo da procurare per secoli gioia alla umanità. Queste osservazioni, si spera, serviranno a giustificare la trattazione della vita amorosa umana con metodo rigorosamente scientifico. La scienza, dopo tutto, è la rinuncia più completa al principio del piacere di cui sia capace la nostra attività mentale.

Nel corso del trattamento psicoanalitico si hanno numerose opportunità di raccogliere impressioni sul comportamento in amore dei nevrotici; nello stesso tempo possiamo ricordarci d'aver osservato un comportamento analogo (o di averne sentito parlare) negli individui di salute normale o perfino in quelli che sono in possesso di qualità fuori dell'ordinario. Quando il materiale scoperto ci consente di mettere insieme un gran numero di tali impressioni, allora emergono con tutta chiarezza diversi tipi. Comincerò con la descrizione di uno di questi tipi di scelta oggettuale maschile, perché caratterizzato da un certo numero di «precondizioni necessarie per amare», la cui combinazione è inintelligibile se non addirittura sconcertante, e perché permette una spiegazione assai semplice nell'ambito della psicoanalisi.

1. Possiamo dire che la prima di queste precondizioni per amare è assolutamente specifica, perché in tutti i casi in cui è presente si trovano anche le altre caratteristiche di questo tipo. Questa precondizione esige, per così dire, l'esistenza «di una terza persona offesa»: il soggetto in questione non sceglie mai come oggetto d'amore una donna non vincolata da alcuno — ossia, una nubile o una donna sposata ma attualmente senza legami — ma solo una donna su cui un altro uomo (fidanzato, marito o amico) possa rivendicare un diritto di possesso. In alcuni casi questa precondizione appare così necessaria che la donna può essere ignorata, o addirittura respinta, finché non appartiene ad alcun uomo, ma diventa oggetto di forti passioni non appena stabilisce una relazione con un altro.

2. La seconda precondizione è forse meno costante ma non meno importante. Essa, perché si realizzi questo tipo di amore nevrotico, deve presentarsi insieme con la prima precondizione, laddove quest'ultima frequentemente si manifesta anche da sola. Ma tale seconda precondizione consiste nel fatto che ad esercitare un'attrazione capace di farle assurgere allo status di oggetto di amore non sono le donne caste, dalla reputazione irreprensibile, ma solo quelle che godono di pessima fama circa il loro comportamento sessuale e la cui fedeltà e onestà siano dubbie. Questa ultima caratteristica può variare entro limiti piuttosto ampi: dalla lieve aura di scandalo che circonda una donna sposata non contraria al flirt, alla condotta apertamente licenziosa di una cocotte o di un'esperta nell'arte d'amare. Ma gli uomini appartenenti al tipo in questione non saranno soddisfatti senza qualcosa del genere. Questa seconda condizione necessaria può essere definita, con espressione piuttosto cruda, «amore per le prostitute».

Mentre la prima precondizione offre l'opportunità di soddisfare gli impulsi di rivalità e di ostilità verso l'uomo a cui viene strappata la donna amata, la seconda è connessa alla gelosia che appare come una necessità per gli amanti di questo tipo. Solo quando possono essere gelosi la loro passione raggiunge il culmine e la donna acquista tutto il suo valore. Essi non perdono alcuna occasione per provare queste potentissime emozioni. Lo strano è che non il legittimo possessore dell'amata, ma degli estranei, in relazione ai quali si possono nutrire sulla donna dei sospetti, diventano il bersaglio di questa gelosia. Nei casi clamorosi l'innamorato non dimostra alcun desiderio di possesso esclusivo per la donna e la sua posizione quale uno dei vertici del triangolo lo trova perfettamente a suo agio. Un mio paziente, il quale aveva sofferto terribilmente a causa delle avventure della sua amante, non si oppose minimamente al suo matrimonio e anzi si adoperò perché avvenisse; negli anni successivi non mostrò mai la minima gelosia verso il marito. Un altro paziente era stato, è vero, gelosissimo del marito della sua prima amante, e aveva costretto la donna a mettere fine ai suoi rapporti coniugali; ma nelle successive e numerose avventure galanti, si era comportato come gli altri membri di questo tipo e non aveva più considerato come un intruso il marito.

Queste sono, dunque, le condizioni necessarie nell'oggetto d'amore. Passiamo ora alla descrizione del comportamento dell'amante nei riguardi dell'oggetto scelto.

3. Nell'amore normale il valore della donna viene misurato col metro dell'integrità sessuale, ed è ridotto da una qualunque caratteristica che l'avvicini a una prostituta. Ecco perché appare una grave deviazione della normalità il fatto che le donne aventi questa caratteristica siano considerate dagli uomini del tipo in questione come oggetti d'amore di altissimo valore. Le loro relazioni amorose con queste donne si svolgono con un dispendio molto elevato di energia psichica ed essi dimenticano ogni altro interesse; considerano queste donne come le sole persone che possono essere amate, anche se la fedeltà che l'amante s'impone con decisione a parole non viene poi in pratica rispettata. Le caratteristiche tipiche delle relazioni amorose che abbiamo qui descritto mostrano molto chiaramente la loro natura coattiva, sebbene si tratti di qualcosa che in una certa misura si riscontra anche nell'amore normale. Tuttavia la fedeltà e l'intensità che caratterizzano questo legame non devono far credere che un'unica relazione amorosa di questo genere costituisca tutta la vita erotica della persona di cui parliamo o che questo tipo di relazione costituisca un fenomeno isolato. Al contrario, nella vita di questi uomini attaccamenti passionali del genere si ripetono più volte e presentano tutti le stesse peculiarità, quasi si trattasse di una serie di copie esatte: infatti, in virtù di eventi esterni quali il cambiamento di residenza e d'ambiente, si possono susseguire con frequenza tale da formare una lunga serie.

4. La cosa che più sorprende in questi amanti è la presenza di un forte desiderio di «salvare» la donna amata. L'uomo è convinto che la donna ha bisogno di lui, che senza di lui perderebbe ogni controllo morale e in breve si abbasserebbe a un livello deplorevole. Egli, quindi, la salva non abbandonandola. In taluni casi l'idea di doverla salvare può essere giustificata dalla instabilità sessuale e dalla compromessa posizione sociale di lei, ma non è meno evidente dove in realtà non esistono tali motivi. Un uomo del tipo in esame, il quale sapeva come conquistare le sue donne servendosi di astuti metodi di seduzione e di argomenti sottili, si sforzava mentre duravano queste relazioni, di mantenere sulla strada della virtù la donna che per il momento amava, dedicandole poesie, da lui composte.

Se esaminiamo le diverse caratteristiche del quadro qui delineato — e cioè che la donna amata deve avere precedenti legami ed essere di facili costumi perché l'uomo possa apprezzarla — appare assai improbabile che il bisogno dell'uomo di provare gelosia e la sua fedeltà, la quale peraltro non esclude la suddivisione in una lunga serie di istanze separate, come il suo forte desiderio di salvare l'amante, scaturiscano tutti dalla stessa fonte. Tuttavia l'esplorazione psicoanalitica condotta sulla storia della vita di questi uomini scopre senza difficoltà l'esistenza proprio di una singola fonte. La scelta oggettuale tanto stranamente condizionata, e questo singolarissimo modo di comportarsi in amore hanno la medesima origine degli amori delle persone normali. Derivano dalla fissazione infantile di teneri sentimenti sulla madre, e rappresentano una delle conseguenze di tale fissazione. Nell'amore normale sopravvivono solo poche caratteristiche che rivelano inconfondibilmente il prototipo materno della scelta oggettuale, come per esempio la preferenza mostrata dai giovani per le donne più mature; il distacco della libido dalla madre è avvenuto con relativa rapidità. Nel tipo in questione, invece, essa è rimasta fissata alla madre tanto a lungo, fin dopo l'inizio della pubertà, che le caratteristiche materne restano impresse sugli oggetti d'amore in seguito scelti, tutti surrogati facilmente riconoscibili della madre. In questo senso, non può non tornarci alla mente il modo in cui la testa del neonato, dopo il lungo travaglio del parto, si trova ad essere conformata dalla strettoia della pelvi materna.

Dobbiamo ora dimostrare la plausibilità della nostra asserzione secondo la quale i tratti caratteristici del tipo in questione — le sue condizioni per amare e il suo comportamento in amore — derivino in effetti dalla costellazione psichica connessa alla figura materna. Il compito sembrerebbe facilissimo quando si tratta della prima precondizione: la condizione in base alla quale la donna non deve essere libera da vincoli, e deve esistere una terza persona offesa. Appare immediatamente chiaro che per il bambino, il quale vive nell'ambito della famiglia, l'appartenenza della madre al padre diviene un fatto inseparabile dall'essenza della madre, e che il terzo offeso altri non è che lo stesso padre. La caratteristica di sopravvalutare la donna amata e di considerarla unica ed insostituibile, appare come una cosa naturale nel contesto dell'esperienza del bambino, perché nessuno può avere più di una madre, e il rapporto con lei si fonda su un evento che non presenta dubbi nella sua irripetibilità.

Se ci rendiamo conto che gli oggetti d'amore scelti da questo tipo d'uomo sono principalmente dei surrogati della madre, allora possiamo capire anche la formazione di una loro serie, che risalta tanto nettamente da contraddire la condizione di fedeltà ad una donna soltanto. La psicoanalisi ci ha permesso di scoprire in altri casi che l'elemento insostituibile attivo nell'inconscio appare di frequente suddiviso in una serie infinita: infinita perché nessun surrogato riesce a fornire l'appagamento desiderato. Si spiega così l'insaziabile desiderio di porre domande nei bambini di una certa età: la domanda da fare in realtà è una soltanto, ma non si affaccia mai sulle loro labbra. Si spiega così anche la loquacità di alcune persone affette da nevrosi: esse sono oppresse da un segreto che vorrebbe a tutti i costi venire alla luce, ma che, ad onta di ogni tentativo, non viene rivelato mai.

Dall'altro lato la seconda precondizione per amare — la condizione cioè che l'oggetto scelto sia di facili costumi — sembra opporsi decisamente a una derivazione dal complesso della madre. Al pensiero conscio dell'adulto piace considerare la madre come una persona d'ineccepibile purezza morale; e vi sono pochi dubbi che trova più offensivi quando provengono da altri, e tanto tormentosi quando sorgono dalla sua stessa mente, di quelli che si riferiscono sotto questo aspetto alla madre. Ma proprio il nettissimo contrasto tra «madre» e «donna di facili costumi» ci deve incoraggiare a indagare la storia dello sviluppo di questi due complessi e la relazione inconscia che esiste tra essi, poiché già da gran tempo abbiamo scoperto che quel che nel conscio si trova diviso in una coppia di opposti, nell'inconscio si presenta sovente come unita. L'indagine ci conduce quindi al periodo della vita in cui il bambino acquisisce per la prima volta una conoscenza più o meno completa dei rapporti sessuali tra gli adulti, ossia press'a poco agli anni pre-puberali. Brutali informazioni, che sono manifestamente intese a suscitare disprezzo e ribellione, lo mettono ora al corrente del segreto della vita sessuale e distruggono l'autorità degli adulti che appare incompatibile con la rivelazione delle loro attività sessuali. L'aspetto di queste scoperte che colpisce con maggiore violenza il bambino è il modo in cui esse si applicano ai propri genitori. Egli spesso respinge questa attinenza esprimendosi press'a poco in questi termini: «I vostri genitori e le altre persone possono fare qualcosa del genere, ma non i miei».

Quasi come un invariabile corollario a questa spiegazione sessuale, il ragazzo viene a conoscenza nello stesso tempo dell'esistenza di certe donne che praticano il rapporto sessuale come un mezzo per guadagnarsi la vita, e che per questa ragione sono oggetto di generale disprezzo. Il ragazzo invece è ben lungi dal provare questo disprezzo: non appena apprende che an-ch'egli può essere iniziato da queste disgraziate alla vita sessuale, che fino allora ha accettato come riservata esclusivamente ai «grandi», le considera con solo un misto di desiderio e d'orrore. Quando dopo di ciò egli non può più continuare a credere che i suoi genitori facciano eccezione alle universali ed odiose norme dell'attività sessuale, si dice con cinica logica che la differenza tra sua madre e una puttana non è dopo tutto così grande, dal momento che in fondo fanno entrambe la stessa cosa. L'illuminata informazione ricevuta ha in effetti destato le tracce mnestiche delle impressioni e dei desideri della prima infanzia, e questi hanno portato ad una riattivazione in lui di certi impulsi psichici.

Comincia a desiderare la stessa madre nel senso di recente scoperto, e ad odiare di nuovo il padre come un rivale che ostacola la realizzazione di questo desiderio; cade, come diciamo, sotto il dominio del complesso di Edipo. Non perdona alla madre di aver concesso i favori del rapporto sessuale al padre e non a lui, e considera questo un atto d'infedeltà. Se non passano presto, questi impulsi non possono che sfociare in fantasie aventi come soggetto le attività sessuali della madre nelle circostanze più diverse, e la conseguente tensione lo conduce con particolare rapidità a trovare sollievo nella masturbazione. Come risultato della costante operazione combinata delle due forze motrici, desiderio e sete di vendetta, le fantasie dell'infedeltà della madre sono di gran lunga le preferite; l'amante con cui ella commette l'atto d'infedeltà presenta quasi sempre le caratteristiche dell'Io del ragazzo, o più precisamente, della sua personalità idealizzata, cresciuto e portato così al livello del padre. Quello che altrove ho definito il «romanzo familiare» comprende le molteplici ramificazioni di questa attività immaginativa e il loro fondersi con gli interessi egoistici di questo periodo della vita.

Ora che conosciamo meglio questa parte dello sviluppo mentale, non possiamo più considerare contraddittorio e incomprensibile il fatto che la precondizione in base alla quale la propria amata deve somigliare ad una prostituta derivi direttamente dal complesso materno. Il tipo di amore maschile che abbiamo descritto reca le tracce di questa evoluzione ed appare chiaramente come una fissazione sulle fantasie del ragazzo durante la pubertà, fantasie che in seguito hanno trovato dopo tutto uno sbocco nella vita reale. Appare chiaro, quindi, che la masturbazione, assiduamente praticata negli anni della pubertà, abbia giocato la sua parte nella fissazione delle fantasie.

Il desiderio di salvare l'amata sembra avere un semplice rapporto superficiale, pienamente spiegato da ragioni consce, con le fantasie che sono riuscite a dominare la vita amorosa dell'uomo. A causa della sua tendenza all'incostanza e all'infedeltà, l'amata si caccia in situazioni pericolose, ed è dunque comprensibile che l'amante si dia pena di proteggerla da quei pericoli sorvegliandone la virtù e combattendone le cattive inclinazioni. Comunque lo studio dei ricordi di copertura, delle fantasie, e dei sogni notturni ci mostra che ci troviamo di fronte a una «razionalizzazione» particolarmente appropriata del motivo inconscio, un processo paragonabile ad una riuscita elaborazione secondaria di un sogno. Di fatto «il tema del salvamento» ha un significato e una storia suoi propri, ed è un derivato indipendente del complesso edipico o più esattamente del complesso riguardo ai genitori.

Quando un bambino sente dire che deve la vita ai suoi genitori, o che la madre gli ha dato la vita, i suoi sentimenti di tenerezza si uniscono ad impulsi d'emancipazione e di indipendenza, così da generare il desiderio di ricambiare questo dono ai genitori, di ripagarli con un altro di eguale valore. È come se la resistenza verso i genitori facesse dire al ragazzo: «Non voglio niente da mio padre, lo ripagherò per tutto quel che gli sono costato». Egli si crea allora la fantasia di difendere il padre dal pericolo e di salvargli la vita: in tal modo estingue il debito nei suoi riguardi. Questa fantasia viene molto spesso spostata sull'imperatore, sul re o su qualche altro grande uomo, e solo in seguito a tale deformazione viene ammessa alla coscienza e può essere usata perfino dagli scrittori. Nella sua applicazione al padre è il significato di sfida nella fantasia della salvezza ad essere di gran lunga il più importante; quando si tratta della madre prevale invece il significato di tenerezza. La madre ha dato vita al bambino e non è facile trovare un sostituto di eguale valore per questo straordinario dono.

Con un significato appena mutato, come quanto si verifica facilmente nell'inconscio ed è paragonabile al modo in cui nella coscienza un concetto sfuma in un altro, il salvare la madre assume il significato di darle o di fare per lei un bambino: inutile dire, un bambino come lui. Ciò non è troppo lontano dal senso originale del salvamento e il mutamento nel significato non è arbitrario. La madre gli ha dato la vita e in cambio egli gliene dà un'altra, quella di un bambino che gli somigli al massimo. Il figlio mostra la sua gratitudine desiderando avere dalla madre un figlio che gli somigli: in altre parole, nella fantasia del salvamento egli si identifica completamente col padre. Tutti i suoi istinti, quelli di tenerezza, di gratitudine, di desiderio, di sfida e d'indipendenza, trovano appagamento nell'unico desiderio di essere il proprio padre. Nel cambiamento di significato, non è andato perduto neppure l'elemento del pericolo; infatti lo stesso atto della nascita è il pericolo da cui fu salvato dagli sforzi della madre. La nascita è il primo di tutti i pericoli della vita ed è nello stesso tempo il prototipo di tutti quelli successivi che provocano in noi l'angoscia, e l'esperienza della nascita ha probabilmente lasciato in noi l'espressione d'affetto che chiamiamo angoscia. Per questa ragione il Macduff della leggenda scozzese, che non era nato dalla madre ma era stato strappato dal suo grembo, non conosceva angoscia.

Artemidorus, interprete di sogni dell'antichità, aveva certamente ragione nel sostenere che il significato di un sogno dipende dall'identità del sognatore. Sotto le leggi che governano l'espressione dei pensieri inconsci, il significato del salvare può variare secondo che l'autore della fantasia sia un uomo o una donna: in un uomo può significare fare un bambino, cioè determinarne la nascita; in una donna, dare alla luce un bambino. Questi diversi significati di salvezza nei sogni e nelle fantasie appaiono con particolare chiarezza quando sono collegati all'acqua. In un sogno un uomo salva una donna dall'acqua: significa che egli la vede come madre, il che alla luce di quanto detto, significa vederla come la propria madre. Una donna che salva qualcuno (un bambino) dalle acque si riconosce in tal modo come la madre che l'ha generato: si veda la figlia del Faraone nella leggenda di Mosè (Rank, 1909). Nelle fantasie di salvamento a volte esiste anche un significato di tenerezza diretto verso il padre. In tali casi, esse mirano ad esprimere il desiderio del soggetto di avere il padre come figlio, cioè di avere un figlio che somigli al padre.

In base a queste connessioni tra il tema del salvamento ed il complesso edipico, il desiderio di salvare l'amata costituisce un tratto caratteristico importante del tipo di amore in questione.

Non mi pare necessario giustificare il mio metodo di ricerca su questo argomento; come nella mia presentazione dell'erotismo anale, ho mirato anche qui in primo luogo ad individuare in mezzo al materiale d'osservazione i tipi estremi e nettamente definiti. In entrambi i casi troviamo un grandissimo numero di individui in cui sono riconoscibili solo alcune caratteristiche del tipo o solo quelle poco marcate, ed è ovvio che un'adeguata valutazione di questi tipi non sarà possibile finché non sarà stato esplorato l'intero contesto a cui appartengono.

II. Sulla tendenza universale alla devalorizzazione della vita amorosa (1912)

1.

Se lo psicanalista si chiede per quale disturbo la gente il più delle volte si rivolge a lui per aiuto, egli è costretto a rispondere che — non considerando le numerose forme d'angoscia — è l'impotenza psichica. Questo singolare disturbo colpisce gli uomini di natura fortemente libidinosa e si manifesta in un rifiuto opposto dagli organi esecutivi della sessualità a compiere l'atto sessuale, sebbene prima e dopo possano rivelarsi intatti e capaci di compiere l'atto, e benché sia presente una forte inclinazione psichica a compierlo. Il primo indizio per capire la condizione del paziente è offerto da lui stesso, il quale scopre che questo tipo di impotenza si manifesta solo quando il tentativo è compiuto con alcuni individui, mentre con altri non esiste nessun problema del genere. Egli diventa ora consapevole che l'inibizione della sua potenza virile è dovuta a qualche caratteristica dell'oggetto sessuale, e talora riferisce di sentire un ostacolo dentro di lui, la sensazione di una controvolontà che riesce ad interferire con la sua intenzione conscia. Egli però, non è in grado di indovinare la natura di questo ostacolo interno e quale sia la caratteristica dell'oggetto sessuale che lo mette in azione. Se questa esperienza si è ripetuta più volte, egli probabilmente è portato, dal processo familiare del «rapporto errato», a decidere che il ricordo della prima volta ha evocato la perturbante idea d'angoscia ed ha provocato la ripetizione del fallimento; la prima volta, invece, attribuisce il fatto a un'impressione «accidentale». Diversi studiosi hanno già scritto e pubblicato saggi psicoanalitici sull'impotenza psichica1. (Steiner, 1907; Stekel, 1908; Ferenczi, 1908). Ogni analista può trovare conferma delle spiegazioni fornite da costoro nella propria esperienza clinica: si tratta in effetti dell'influenza inibitoria di certi complessi psichici sottratti alla conoscenza del soggetto. Una fissazione incestuosa sulla madre o sulla sorella, che non sia stata mai superata, gioca una parte di primo piano in questo materiale patogeno ed è il suo contenuto più universale. È da considerare inoltre l'influenza di dolorose impressioni accidentali connesse all'attività sessuale infantile ed anche quei fattori che riducono in modo generale la libido che dovrebbe essere diretta sull'oggetto sessuale femminile2. (Stekel, 1908).

Quando la psicoanalisi indaga a fondo i casi lampanti di impotenza psichica si ottengono le seguenti informazioni sui processi psicosessuali in essi operanti: anche qui — come molto probabilmente in tutti i disturbi nevrotici — il fondamento della malattia è fornito da un'inibizione nella storia evolutiva della libido prima di assumere la forma che consideriamo come la sua conclusione normale. Nei casi di cui ci stiamo occupando, non è riuscita l'unione delle due correnti necessaria ad assicurare in amore un atteggiamento del tutto normale; parliamo della corrente affettuosa e di quella sensuale.

La prima è la più antica. Nasce sin dai primissimi anni dell'infanzia, si forma sulla base degli interessi dell'istinto d'auto-conservazione ed è diretta verso i membri della famiglia e verso coloro che si occupano del bambino. Sin dall'inizio porta seco contributi provenienti dagli istinti sessuali — componenti d'interesse erotico — che si possono già vedere più o meno chiaramente anche nell'infanzia e comunque sono in seguito scoperti nei nevrotici mediante la psicoanalisi. Questa corrente corrisponde alla scelta oggettuale primaria del bambino. In questo modo si viene a sapere che le pulsioni sessuali trovano i loro primi oggetti attaccandosi alle valutazioni fatte dagli istinti dell'Io, proprio come i primi appagamenti sessuali sono provati nell'attaccamento alle funzioni corporali necessarie per la conservazione della vita. L'«affetto» dimostrato dai genitori e da coloro che si occupano del bambino, affetto che raramente non tradisce la sua natura erotica («il bambino è un giocattolo erotico»), arricchisce notevolmente i contributi dati dall'erotismo alle cariche dei suoi istinti dell'Io, e li porta ad un livello tale che necessariamente avranno una parte importante nel suo successivo sviluppo, specie in certe circostanze propizie.

Queste fissazioni di tenerezza del bambino persistono per tutto il periodo infantile e sono costantemente accompagnate dall'erotismo, che di conseguenza viene deviato dalle sue mete sessuali. Quindi nell'età puberale ad esse si unisce la poderosa corrente «sensuale» che non sbaglia più bersaglio. Sembra seguire sempre i vecchi sentieri e caricare gli oggetti della scelta infantile primaria di quote di libido che ora sono più forti. Qui, però, urta contro gli ostacoli della barriera contro l'incesto eretti nel frattempo; di conseguenza cercherà appena possibile di passare da questi oggetti, che sono inadatti nella realtà, ad altri oggetti estranei con cui poter svolgere una vera vita sessuale. Questi nuovi oggetti saranno scelti sul modello (immagine) di quelli infantili, ma col passare del tempo attrarranno a sé l'affetto che era legato ai vecchi oggetti. L'uomo lascerà il padre e la madre — secondo il comando biblico — e si legherà alla moglie: affetto e sensualità sono allora uniti. La massima intensità di passione sensuale porterà con sé la più alta valutazione dell'oggetto: normale sopravvalutazione dell'oggetto sessuale da parte dell'uomo.

Due fattori decideranno la riuscita o meno di questo progresso nel corso evolutivo della libido. Primo, la quantità di frustrazione nella realtà che si oppone alla nuova scelta oggettuale e ne riduce il valore per la persona interessata. Non ha dopo tutto alcun senso compiere una scelta oggettuale se non si lascia al soggetto nessuna possibilità di scegliere o se non c'è la prospettiva di poter scegliere qualcosa di adatto. Secondo, v'è la quantità di attrazione che possono esercitare gli oggetti infantili a cui si deve rinunciare e che è in proporzione alla loro carica erotica nell'infanzia. Se questi due fattori sono abbastanza forti, entra in azione il meccanismo generale che crea la nevrosi. La libido volge le spalle alla realtà, viene dominata dall'attività immaginativa (il processo di introversione) rafforza le immagini dei primi oggetti sessuali e si fissa ad essi. L'ostacolo eretto contro l'incesto, però, costringe la libido ritornata a questi oggetti a restare nell'inconscio. L'attività masturbatoria svolta dalla corrente sensuale, che ora fa parte dell'inconscio, contribuisce a rafforzare questa fissazione. Se il progresso che non è riuscito nella realtà si completa ora nella fantasia, e se gli oggetti sessuali originari vengono sostituiti da altri nelle situazioni fantastiche che conducono all'appagamento masturbatorio, lo stato di cose resta inalterato. In conseguenza di questa sostituzione le fantasie possono accedere alla coscienza, ma nessun passo avanti è stato compiuto per quel che riguarda la collocazione della libido nella realtà. In tal modo può accadere che tutta la sensualità di un giovane si fissi sugli oggetti incestuosi nell'inconscio, o per dirla in altre parole, sulle fantasie incestuose inconsce. Ne segue allora come risultato un'impotenza totale, che è forse ulteriormente confermata da un simultaneo indebolimento reale degli organi che compiono l'atto sessuale.

Per determinare lo stato noto specificamente come impotenza psichica bastano anche condizioni meno gravi. Qui evidentemente l'intera carica della corrente sensuale non si nasconde dietro la corrente affettuosa ma resta abbastanza forte e non inibita da assicurare uno sbocco parziale nella realtà. L'attività sessuale di tali persone mostra i segni chiarissimi, comunque, di non avere dietro di sé l'intera forza motrice psichica dell'istinto. Essa è incostante, facilmente turbata, spesso non svolta in modo adeguato e non accompagnata da molto piacere. Ma soprattutto, è costretta ad evitare la corrente affettuosa. È stata così posta una restrizione alla scelta oggettuale. La corrente sensuale che è rimasta attiva cerca solo oggetti che non evochino le figure incestuose ad essa proibite; se una donna produce un effetto capace di destare un'alta ammirazione di carattere psichico, vediamo che questa impressione non si traduce in un'eccitazione sensuale ma in semplice affetto privo di tracce erotiche. In queste persone l'intera sfera dell'amore resta divisa nelle due direzioni rappresentate nell'arte dall'amore sacro e dall'amore profano (o animale). Quando amano, non desiderano, e quando desiderano, non possono amare. Cercano oggetti che non richiedono il loro amore, al fine di tenere lontana dagli oggetti che amano la loro sensualità, e, conformemente alle leggi della «sensibilità del complesso» e del «ritorno del rimosso», l'impotenza psichica compare tutte le volte che un oggetto scelto con lo scopo di evitare l'incesto richiama alla mente per qualche caratteristica, spesso anche secondaria, l'oggetto proibito.

La principale misura protettiva presa dagli uomini contro il verificarsi di un disturbo del genere a causa di questa scissione del loro amore, consiste in una devalorizzazione psichica dell'oggetto sessuale, riservando così la sopravvalutazione che normalmente gli si rivolge, all'oggetto incestuoso e ai suoi rappresentanti. Non appena si realizza la condizione di devalorizzazione, la sensualità può esprimersi liberamente e si possono sviluppare notevoli capacità sessuali e un alto grado di piacere. A questo risultato contribuisce anche un altro fattore. Le persone in cui non è avvenuta una adeguata confluenza delle correnti affettuose e sensuali, di solito non si comportano in amore in modo molto raffinato: hanno conservato infatti scopi sessuali perversi la cui irrealizzazione è avvertita come una grave perdita di piacere, mentre la loro realizzazione sembra possibile solo con un oggetto sessuale devalorizzato e disprezzato.

Possiamo ora capire i motivi che si nascondono dietro le fantasie del ragazzo delle quali abbiamo parlato nel primo di questi «Contributi», ossia quelle in cui la madre viene degradata al livello di una prostituta. Tali fantasie rappresentano degli sforzi, almeno nell'immaginazione, volti a colmare nell'amore l'abisso esistente tra le due correnti, e, degradando la madre, tendenti ad acquisirla come oggetto di sensualità.

2.

Nel paragrafo precedente abbiamo affrontato lo studio dell'impotenza psichica da un punto di vista medico-psicologico, del quale il titolo di questo scritto non dà alcuna indicazione. Apparirà chiaro, però, che questa introduzione era necessaria per consentirci di affrontare l'argomento principale.

Abbiamo ridotto l'impotenza psichica all'incapacità delle correnti sensuale e affettuosa di combinarsi nell'amore, e questo insuccesso è stato spiegato a sua volta come un'inibizione evolutiva dovuta agli influssi di forti fissazioni infantili e della successiva frustrazione nella realtà a causa dell'intervento della barriera contro l'incesto. Alla teoria che proponiamo si può muovere soprattutto un'obiezione: spiega perché certe persone soffrono di impotenza psichica, ma non risolve l'apparente mistero di come altre siano riuscite ad evitare questo disturbo. Giacché dobbiamo ammettere che tutti i fattori a noi noti — la forte fissazione infantile, la barriera contro l'incesto, la frustrazione negli anni dello sviluppo post-puberale — si trovano praticamente in tutti gli esseri umani civili, sarebbe lecito attendersi che l'impotenza psichica fosse un'afflizione universale e non un disturbo limitato ad alcuni individui.

Sarebbe facile sfuggire a questa conclusione attribuendo la causa della malattia al fattore quantitativo, ossia al contributo più o meno grande dato dai vari elementi che determinano il manifestarsi o meno della malattia. Ma pur accettando l'esattezza di questa risposta, non intendo farne una ragione per respingere la conclusione in sé. Anzi, avanzerò l'ipotesi che l'impotenza psichica sia molto più diffusa di quanto non si creda e che, infatti, in una certa misura questo comportamento caratterizzi la vita amorosa dell'uomo civilizzato.

Se allarghiamo il concetto d'impotenza psichica e non lo restringiamo alla sola incapacità di compiere l'atto del coito quando è presente il desiderio di ottenere piacere e l'apparato genitale è intatto, possiamo comprendere senz'altro tutti quegli uomini definiti psichicamente frigidi: costoro compiono sempre con successo l'atto sessuale, ma non ne ricavano alcun piacere particolare, e questo fatto è molto più comune di quanto non si creda. L'esame psicoanalitico di tali casi ci rivela gli stessi fattori etiologici riscontrati nell'impotenza psichica in senso stretto, senza giungere subito ad alcuna spiegazione della differenza esistente tra i loro sintomi. È legittimo istituire un'analogia tra questi uomini e l'immenso numero di donne frigide, e non c'è miglior modo di descrivere e capire il loro comportamento in amore che col paragonarlo al disturbo più evidente dell'impotenza psichica maschile3. (Sono, nello stesso tempo, dispostissimo ad ammettere che la frigidità nelle donne è un argomento complesso che può essere affrontato anche da un altro punto di vista.)

Se, però, volgiamo la nostra attenzione non alla estensione del concetto d'impotenza psichica ma alla gradazione della sua sintomatologia, non possiamo sfuggire alla conclusione che il comportamento in amore degli uomini nel mondo civilizzato d'oggigiorno porta in definitiva il marchio dell'impotenza psichica. Solo in una minoranza di persone colte le due correnti dell'affetto e della sensualità si sono perfettamente fuse; l'uomo sente quasi sempre che il suo rispetto per la donna agisce come una restrizione sulla propria attività sessuale, e sviluppa tutta la sua potenza solo quando si trova con un oggetto sessuale degradato e questo fatto è a sua volta determinato in parte dalla presenza di componenti perverse nelle sue mete sessuali, che non osa soddisfare con una donna che rispetta. Egli ha la sicurezza di provare un piacere sessuale completo solo quando può dedicarsi senza riserve ad ottenere quell'appagamento che con la propria moglie «bene educata», per esempio, non si permette di fare. Ciò costituisce la fonte del suo bisogno di un oggetto sessuale degradato, di una donna eticamente inferiore, che non conoscendolo nelle sue altre relazioni sociali non può giudicarlo, ed a cui non deve attribuire scrupoli estetici. È a questa donna che egli preferisce dedicare la sua potenza sessuale anche quando tutto il suo affetto è rivolto a un'altra di un genere superiore. È possibile, inoltre, che la tendenza tanto spesso osservata negli uomini dell'alta società di scegliere come amante permanente, o persino come moglie, una donna di una classe inferiore, non è altro che una conseguenza del loro bisogno di un oggetto sessuale devalorizzato a cui è vincolata psicologicamente la possibilità dell'appagamento completo.

Non esito ad attribuire la responsabilità anche di questa caratteristica comunissima della vita amorosa degli uomini civilizzati ai due fattori operanti nell'impotenza psichica in senso stretto: l'intensa fissazione incestuosa nell'infanzia e la frustrazione dovuta alla realtà nella adolescenza. Potrà sembrare non solo sgradevole ma anche paradossale, e pur tuttavia si deve dire che per essere veramente liberi e felici in amore si deve superare questo rispetto per le donne e venire a patti con l'idea dell'incesto con la madre o con la sorella. Chi si sottoponesse a un serio esame di coscienza riguardo a questa esigenza, scoprirebbe certamente che considera l'atto sessuale fondamentalmente come qualcosa di degradante che insudicia e contamina non solo il corpo ma anche l'anima. L'origine di questa bassa opinione, che egli certamente non vorrà ammettere di possedere, va ricercata nel periodo della sua giovinezza durante la quale la corrente sensuale era già decisamente sviluppata ma il suo appagamento con un oggetto esterno alla famiglia era proibito quanto lo era con un oggetto incestuoso.

Nel nostro mondo civile, le donne sono spesso sotto l'influsso di un analogo postumo della loro educazione, e, inoltre, della loro reazione al comportamento degli uomini. Per una donna, naturalmente, è altrettanto sfavorevole se un uomo l'avvicina senza tutta la sua potenza quanto lo è se alla sopravvalutazione di cui la fa oggetto quando egli è innamorato, si sostituisce dopo averla posseduta una sottovalutazione. Nelle donne praticamente non esiste questo bisogno di degradare l'oggetto sessuale. Questo fatto è connesso indubbiamente all'assenza in esse, di regola, di qualcosa di analogo alla sopravvalutazione sessuale riscontrata negli uomini. Ma il loro lungo astenersi dalla sessualità e l'indugio della loro sensualità nella fantasia ha per esse un'altra conseguenza importante. Spesso, infatti, essendo incapaci di rompere il nesso tra attività sessuale e proibizione, si rivelano psichicamente impotenti, cioè frigide, quando infine questa attività viene loro permessa. È qui l'origine del tentativo compiuto da molte donne di tenere nascosti per un po' anche i rapporti legittimi e della capacità che altre donne hanno di provare la sensazione normale non appena venga ristabilita la condizione della proibizione mediante un rapporto d'amore segreto: infedeli al marito, sono capaci di essere fedeli all'amante.

La condizione di divieto nella vita erotica delle donne è paragonabile, penso, al bisogno sentito dagli uomini di degradare l'oggetto sessuale. Sono entrambe conseguenze del lungo periodo, richiesto dall'educazione per motivi culturali, trascorso tra la maturità sessuale e l'attività sessuale. Ambedue hanno lo scopo di abolire l'impotenza psichica derivante dal fatto che non è avvenuta la fusione tra impulsi sensuali ed affettuosi. Che l'effetto delle stesse cause sia tanto diverso negli uomini e nelle donne può farsi risalire, probabilmente, ad un'altra differenza esistente nel comportamento dei due sessi. Di solito le donne civilizzate non infrangono il divieto di compiere l'attività sessuale durante il periodo d'attesa e in loro viene così a crearsi l'intimo rapporto tra proibizione e sessualità. Gli uomini normalmente, se possono soddisfare la condizione di degradare l'oggetto, ignorano tale proibizione e quindi si portano dietro anche durante la maturità questa condizione per amare. Vedendo gli strenui sforzi compiuti oggi nel mondo civile per riformare la vita sessuale, non sarà superfluo ricordare che quella psicoanalitica è altrettanto lontana dalla tendenziosità di qualsiasi altro tipo di ricerca. Essa non ha altro scopo che di gettar luce sui fatti spiegando le cose evidenti col risalire a quelle nascoste. Essa sarà ben lieta se le riforme si serviranno delle sue scoperte per sostituire situazioni negative con qualcosa di più vantaggioso; non può predire, però, se altre istituzioni non daranno luogo ad altri e forse più gravi sacrifici.

3.

Il fatto che il freno messo alla vita amorosa dalla civiltà comporti una tendenza universale a degradare gli oggetti sessuali, ci porterà forse a volgere la nostra attenzione dall'oggetto agli istinti stessi. Il danno causato dalla frustrazione iniziale del piacere sessuale è visibile nel fatto che la libertà concessa al piacere dopo il matrimonio non arreca piena soddisfazione. Ma nello stesso tempo, se la libertà sessuale è illimitata sin dall'inizio, il risultato non è migliore. Si può agevolmente dimostrare che il valore psichico dei bisogni erotici è ridotto non appena diventa facile il loro appagamento. Per accrescere la libido occorre un ostacolo; e quando le resistenze naturali all'appagamento non sono state sufficienti, gli uomini ne hanno eretto in ogni epoca di convenzionali al fine di poter godere le gioie dell'amore. Ciò è vero tanto per gli individui quanto per le nazioni. Ai tempi in cui non vi erano difficoltà che ostacolavano l'appagamento sessuale, per esempio durante il declino delle civiltà antiche, l'amore perdeva ogni valore e la vita diventava vuota, e forti formazioni reattive allora occorrevano per ristabilire gli indispensabili valori affettivi. A questo proposito possiamo dire che la corrente ascetica della Cristianità creò per l'amore valori psichici che l'antichità pagana non era stata mai capace di conferirgli. Questa corrente raggiunse la massima importanza con i monaci asceti, la cui vita trascorreva quasi interamente nella lotta contro la tentazione libidica.

La nostra prima inclinazione ci spinge senza dubbio a far risalire le difficoltà qui rivelate alle caratteristiche universali dei nostri istinti organici. In generale è anche vero che l'importanza psichica di un istinto aumenta in proporzione alla sua frustrazione. Pensate a degli esseri umani totalmente diversi ma tutti egualmente tormentati dalla fame. Mentre il loro imperioso bisogno di cibo aumenta, tutte le differenze individuali scompaiono e vengono sostituite dalle uniformi manifestazioni dell'unico istinto non placato. Ma è anche vero che con l'appagamento di un istinto il suo valore psichico diminuisce altrettanto decisamente? Immaginate, ad esempio, il rapporto tra un bevitore e il vino. Non è forse vero che il vino fornisce sempre al bevitore la stessa soddisfazione inebriante che in poesia è stata tanto spesso paragonata a quella erotica? Questo è un paragone accettabile anche dal punto di vista scientifico. Chi ha mai sentito di un bevitore che cambia continuamente bevanda? Al contrario l'abitudine rafforza il legame tra un uomo e il tipo di vino che beve. Si è mai sentito di un bevitore che prova la necessità di andare in un paese in cui il vino è più caro o il bere è proibito per poter frapporre ostacoli tali da rinvigorire la decrescente soddisfazione che ne ricava? Mai! Stando a quanto dicono i grandi alcolizzati come Böcklin4. (Floerke, 1902) circa il loro rapporto col vino, sembra che tra i due regni la più perfetta armonia, un modello di matrimonio felice. Perché il rapporto tra l'amante e l'oggetto sessuale è tanto diverso?

A mio avviso, per quanto strano ciò possa sembrare, dobbiamo ammettere la possibilità che qualcosa nella natura dell'istinto sessuale stesso impedisce la realizzazione di un appagamento completo. Se prendiamo in considerazione la lunga e difficile storia evolutiva dell'istinto, saltano immediatamente agli occhi due fattori che potrebbero forse ritenersi responsabili di questa difficoltà. In primo luogo, in conseguenza dell'inizio bifase della scelta oggettuale e dell'interposizione della barriera contro l'incesto, l'oggetto finale dell'istinto sessuale non è mai più l'oggetto originario ma solo un suo surrogato. La psicoanalisi ci ha insegnato che quando l'oggetto originario di un impulso di desiderio è stato perduto in conseguenza della rimozione, esso è sovente rappresentato da una serie infinita di oggetti surrogativi nessuno dei quali, però, offre l'appagamento completo. Questo può spiegare l'incostanza nella scelta oggettuale, la «brama dello stimolo» che tanto spesso costituisce un tratto caratteristico della vita amorosa degli adulti.

In secondo luogo sappiamo che l'istinto sessuale, originariamente, è suddiviso in un gran numero di componenti — o meglio, è formato da esse — alcune delle quali non possono essere incluse nella forma assunta successivamente dall'istinto, ma in una fase precedente vanno represse oppure adibite ad altri usi. Queste sono soprattutto le componenti istintive coprofile dimostratesi incompatibili coi nostri principi estetici civilizzati. Altrettanto dicasi di un gran numero di desideri sadici che fanno parte della vita erotica. Ma tutti questi processi evolutivi influenzano solo gli strati superiori della complessa struttura. I processi fondamentali che producono l'eccitazione erotica restano inalterati. Il processo escrementizio è intimamente e inseparabilmente legato a quello sessuale; la posizione dei genitali — inter urinas et faeces — resta il fattore decisivo e immutabile. A questo punto si potrebbe dire, parafrasando il notissimo detto di Napoleone, «Il destino è nell'anatomia». I genitali in se stessi non hanno partecipato a quell'aspetto dello sviluppo umano riguardante la bellezza: sono rimasti animali e quindi anche l'amore è rimasto, nella sua essenza, animale come è sempre stato. Gli istinti erotici sono difficili da educare. La loro educazione a volte dà troppo, a volte troppo poco. Il modo in cui la civiltà cerca di trasformarli ha come prezzo una sensibile perdita di piacere, la persistenza degli impulsi inutilizzati può essere individuata nell'attività sessuale sotto forma di non-appagamento.

Potremmo, quindi, essere costretti a riconciliarci con l'idea che è assolutamente impossibile adeguare le esigenze dell'istinto sessuale a quelle della civiltà e che, in conseguenza del suo sviluppo, la razza umana non può evitare la rinuncia e la sofferenza nonché il pericolo di estinguersi in un lontanissimo futuro. Questa tetra prognosi poggia, è vero, sulla sola congettura che il non appagamento che accompagna la civiltà è la necessaria conseguenza di certe peculiarità assunte dall'istinto sessuale sotto la pressione della civiltà stessa. La stessa incapacità dell'istinto sessuale di concedere una completa soddisfazione non appena accetta le prime richieste della civiltà diventa la fonte, tuttavia, delle più nobili conquiste culturali ottenute mediante una sublimazione sempre maggiore delle sue componenti istintuali. Infatti, quali motivi avrebbero gli uomini per adibire ad altri usi le forze istintive sessuali se, mediante una loro distribuzione, potessero ottenere un piacere pienamente soddisfacente? Essi non abbandonerebbero mai quel piacere e non compirebbero più alcun progresso. Sembra, perciò, che l'inconciliabile differenza tra le esigenze dei due istinti — quello sessuale e quello egoistico — abbia reso gli uomini capaci di conquiste sempre maggiori, benché soggetti, è vero, ad un costante pericolo al quale, sotto forma di nevrosi, oggi soccombono i più deboli.

La scienza non ha come fine quello di spaventare o di consolare. Ma per quel che mi riguarda, sono ben disposto ad ammettere che conclusioni di così vasta portata dovrebbero basarsi su fondamenta più solide e che forse i progressi nelle varie direzioni metteranno l'umanità in grado di correggere i risultati degli sviluppi che in questa sede ho trattato isolatamente.

III. Il tabù della verginità (1918)

Pochi particolari della vita sessuale dei popoli primitivi sono tanto estranei al nostro modo di pensare quanto la loro valutazione della verginità, ossia lo stato di integrità fisica della donna. L'alto valore che il pretendente attribuisce alla verginità della donna ci appare tanto saldamente radicato, tanto naturale, che non riusciamo quasi a trovare le ragioni di questo atteggiamento. L'esigenza che una ragazza non vada al matrimonio con ricordi di relazioni sessuali con un altro uomo non è altro, infatti, che una continuazione logica del diritto al possesso esclusivo di una donna e costituisce l'essenza della monogamia, l'estensione anche al passato di questo monopolio.

Premesso questo, non è difficile giustificare quel che in un primo momento sembrava un pregiudizio, basandoci sulle nostre idee. L'uomo che la vergine accetterà come partner per una relazione duratura (possibilità questa che non avrà mai con nessun altro), sarà quello che per primo soddisferà il suo desiderio d'amore, a lungo e faticosamente tenuto a freno, e che nel farlo supererà le resistenze costruite in lei dalle influenze dell'ambiente e dell'educazione. Questa esperienza crea nella donna uno stato di schiavitù che garantirà il suo possesso continuo e ininterrotto e la metterà in grado di resistere a nuove impressioni e tentazioni provenienti dall'esterno.

L'espressione «schiavitù sessuale» fu scelta da Krafft-Ebing (1892) per descrivere il fenomeno dell'insolita dipendenza e mancanza di autonomia di una persona in rapporto ad un'altra con cui ha una relazione sessuale. Questa schiavitù può talvolta spingersi al punto tale da far perdere ogni volontà indipendente e da costringere la persona in questione a compiere i più grandi sacrifici. L'autore, però, non manca di rivelare che una certa dipendenza «è assolutamente necessaria se si vuole che il legame duri a lungo». Una certa schiavitù sessuale è, infatti, indispensabile per difendere il matrimonio civilizzato e per frenare le tendenze alla poligamia che lo minacciano, e nelle nostre comunità sociali questo diventa un fattore di primaria importanza.

Von Krafft-Ebing fa discendere la formazione della schiavitù sessuale dall'unione tra una persona con «un alto grado dello stato d'innamoramento e di debolezza del carattere» ad un'altra di sfrenato egoismo. L'esperienza analitica, però, non si limita a questo semplice tentativo di spiegazione. Vediamo, anzi, che il fattore decisivo è la quantità di resistenza sessuale che viene superata, nonché il fatto che il processo di superamento di questa resistenza è concentrato ed avviene solo una volta. Questo stato di schiavitù è di conseguenza assai più frequente e più intenso nelle donne che negli uomini, anche se è vero che in questi ultimi si presenta oggi molto più spesso che nel passato. Nei casi in cui abbiamo potuto studiare la schiavitù sessuale per gli uomini, abbiamo visto che essa deriva da un superamento dell'impotenza psichica avvenuto grazie ad una particolare donna, alla quale l'uomo in questione è rimasto successivamente legato. Molti strani matrimoni e non pochi drammatici eventi — persino alcuni che hanno avuto gravi conseguenze — sembrano potersi spiegare con questo fatto.

Ritornando all'atteggiamento dei popoli primitivi, è inesatto dire che essi non attribuiscono alcun valore alla verginità e cercare di addurre come prova il fatto che compiano la deflorazione delle ragazze al di fuori del matrimonio e prima del rapporto matrimoniale. Al contrario, sembra che anche per essi la deflorazione sia un atto importante, fatto oggetto di tabù, di una proibizione che potremmo definire religiosa. Invece di riservare la deflorazione allo sposo, il costume esige che egli rifugga dal compierla5. (Crawley 1902, Ploss e Bartels 1891, Frazer 1911 e Havelock Ellis).

Non rientra nei miei propositi raccogliere tutte le prove che la letteratura ci fornisce sull'esistenza di questo costume di proibizione, di esaminare la sua distribuzione geografica ed enumerare tutte le forme sotto cui si presenta. Mi limiterò, perciò, ad affermare il fatto che la pratica di rompere l'imene fuori del matrimonio è assai diffusa tra le razze primitive attuali. Dice Crawley: «Questa cerimonia nuziale consiste nella perforazione dell'imene compiuta da un'apposita persona diversa dal marito; essa è comunissimi presso gli stadi di civiltà più bassi, e in particolare in Australia» (Crawley, 1902).

Se dunque la deflorazione non avviene col primo atto del rapporto matrimoniale, deve essere compiuta precedentemente, quali che siano stati il modo e l'agente. Citerò alcuni passi dal libro di Crawley che ci forniranno informazioni su questi punti, ma ci daranno anche modo di fare delle osservazioni critiche.

(Ibidem, 191) «Presso i Dieri e le tribù vicine (in Australia) è usanza universale rompere l'imene alle ragazze appena raggiunta la pubertà ("Journal of the Royal Anthropological Institute", 24, 169). Nelle tribù di Portland e di Glenelg quest'atto è compiuto sulla sposa da una vecchia; e talvolta per la deflorazione delle vergini ci si rivolge agli uomini bianchi» (Brough Smith, 2, 319).

(Ibidem, 307) «La rottura artificiale dell'imene a volte avviene nell'infanzia, ma di regola durante la pubertà... Spesso è accompagnata, come in Australia, da un atto cerimoniale di rapporto sessuale.»

(Ibidem, 348) (Spencer e Gillen, a proposito delle tribù australiane presso cui vigono le notissime restrizioni matrimoniali esogamiche, dicono:) «L'imene viene perforato artificialmente, e quindi gli uomini che vi assistono hanno accesso (cerimoniale, sia ben chiaro) alla ragazza in un ordine stabilito ... Quest'atto si svolge in due momenti: perforazione e rapporto».

(Ibidem, 349) «Presso i Masai (Africa Equatoriale) questa operazione sulla ragazza costituisce un preparativo importante del matrimonio (J. Thomson, 2, 258). Presso i Sakai (Malesia), i Batta (Sumatra) e gli Alfoer delle Celebes, la deflorazione viene effettuata dal padre della sposa (Ploss e Bartels, 2, 490). Nelle Filippine, c'erano uomini che svolgevano la professione di deflorare le spose, nel caso l'imene non fosse stato rotto nell'infanzia da una vecchia che talvolta era chiamata all'uopo (Featherman, 2, 474). Presso alcune tribù esquimesi la deflorazione della sposa era affidata all'angekok, ossia al prete (Ibidem, 3, 406).»

I rilievi critici cui ho accennato riguardano due punti. Primo: è un vero peccato che in queste relazioni non si faccia una più accurata distinzione tra la semplice rottura dell'imene senza rapporto sessuale, e il rapporto sessuale effettuato allo scopo di compiere questa rottura. V'è solo un passo in cui si dice chiaramente che la cerimonia consta di due azioni: la deflorazione (effettuata con le mani o con qualche strumento) e il rapporto sessuale che segue subito dopo. Il materiale raccolto da Ploss e Bartels (1891), sotto altri aspetti così ricco, è quasi inutile ai nostri fini, perché nella presentazione che essi ne fanno viene trascurata totalmente l'importanza psicologica dell'atto della deflorazione per mettere l'accento sui suoi risultati anatomici. Secondo: saremmo stati felici di conoscere le differenze esistenti tra il coito «cerimoniale» (puramente formale, rituale, o ufficiale) che ha luogo in queste occasioni, e il normale rapporto sessuale. Gli autori da me consultati o erano trattenuti dall'imbarazzo a trattare l'argomento, o hanno ancora una volta sottovalutato l'importanza psicologica di tali dettagli sessuali. È augurabile che le relazioni di prima mano dei viaggiatori e dei missionari siano più complete e meno ambigue, ma poiché questa letteratura, che per la maggior parte è straniera, mi è per il momento inaccessibile, non posso dire nulla di preciso sull'argomento. Possiamo tuttavia aggirare il problema tralasciando questo secondo punto se poniamo mente al fatto che uno pseudo-coito cerimoniale rappresenterebbe dopo tutto solo un surrogato, e forse un totale sostituto, dell'atto che in altri tempi sarebbe stato effettuato completamente6. (Cfr. Totem e tabù).

Possiamo addurre vari fattori per spiegare questo tabù della verginità, ed io li enumererò ed esaminerò brevemente. Quando una vergine viene deflorata, di solito perde sangue; il primo tentativo di spiegazione si fonda sull'orrore del sangue esistente presso i popoli primitivi i quali considerano il sangue come la sede della vita. Questo tabù del sangue si riscontra sotto forma di diversi tipi di riti che non hanno nulla a che fare con la sessualità: è evidentemente collegato al divieto di uccidere e costituisce una misura protettiva verso la primitiva sete di sangue, il primordiale piacere dell'uomo di uccidere. Secondo questa teoria il tabù della verginità è collegato a quello della mestruazione che vige quasi universalmente. I primitivi non possono dissociare dalle idee sadiche lo sconcertante fenomeno del flusso di sangue mensile. La mestruazione, specie quando avviene la prima volta, è interpretata come il morso di qualche spirito animale, forse come segno di un rapporto sessuale con questo spirito. Talora in qualche relazione vi sono dei cenni che ci consentono di riconoscere nello spirito quello di un antenato e allora, confortati anche dalle nostre scoperte7(in numerosi altri esempi di cerimonie nuziali non può esserci alcun dubbio che altre persone abbiano accesso alle grazie della sposina, oltre il novello sposo, per esempio i suoi assistenti e compagni - il nostro tradizionale «testimone»), ci rendiamo conto che la ragazza con la mestruazione è tabù perché proprietà dello spirito ancestrale.

Altre considerazioni, comunque, ci avvertono di non sopravvalutare l'influenza di un fattore quale l'orrore del sangue. Esso dopo tutto non è stato tanto forte da sopprimere pratiche come la circoncisione dei ragazzi e l'equivalente ancora più crudele con le ragazze (recisione della clitoride e delle labia minora) che fanno parte dei costumi di questi popoli, né da abolire la prevalenza di altre cerimonie che comportano spargimento di sangue. Non sorprenderebbe, quindi, neppure se questo orrore venisse superato a beneficio del marito in occasione della prima coabitazione.

V'è una seconda spiegazione, anch'essa estranea alla sessualità, che comprende tuttavia una sfera molto più generale. Essa afferma che l'uomo primitivo è vittima di una perpetua disposizione all'angoscia, proprio ciò che nella teoria psicoanalitica delle nevrosi noi attribuiamo alle persone che soffrono di nevrosi d'angoscia. Questa disponibilità all'angoscia si manifesta con maggiore forza in tutte le occasioni che differiscono in qualche modo dal normale, che implicano qualcosa di nuovo o inaspettato, qualcosa di non comprensibile o strano. Essa costituisce anche l'origine delle pratiche cerimoniali, estensivamente adottate nelle religioni più tarde, associate con l'inizio di ogni nuova impresa e di ogni nuovo periodo di tempo, i primordi della vita umana, animale e vegetale. I pericoli da cui l'uomo in angoscia si crede minacciato mai gli appaiono più vivi di quando si trova alle soglie di una situazione pericolosa, e quella è per altro l'unica volta che ha senso proteggersi da essi. Nel matrimonio il primo rapporto sessuale può certamente esigere, in virtù della sua importanza, di essere preceduto da tali misure precauzionali. Questi due tentativi di spiegazione, basati sull'orrore del sangue e sulla paura delle novità, non si contraddicono ma anzi si rafforzano a vicenda. Il primo rapporto sessuale è certamente un'azione critica, tanto più se comporta «spargimento» di sangue.

Una terza spiegazione — quella preferita da Crawley — attira l'attenzione sul fatto che il tabù della verginità fa parte di un campo più vasto che abbraccia l'intera vita sessuale. Non solo il primo coito con una donna è tabù, ma il rapporto sessuale in generale; si potrebbe quasi dire che le donne sono completamente tabù. Una donna non è solo tabù in particolari situazioni derivanti dalla sua vita sessuale, quali la mestruazione, la gravidanza, il parto e il puerperio; a prescindere da queste situazioni, il rapporto con le donne è soggetto a restrizioni tanto solenni e numerose che abbiamo ogni ragione di dubitare della presunta libertà sessuale dei selvaggi. È vero che, in particolari occasioni, la sessualità dell'uomo primitivo passa sopra ad ogni inibizione, ma nella maggior parte dei casi appare frenata dalle proibizioni più di quanto non avvenga ai livelli superiori di civiltà. Quando l'uomo affronta qualche impresa particolare come compiere una spedizione, o andare a caccia o in guerra, è costretto a tenersi lontano dalla moglie e in particolare a evitare i rapporti sessuali: altrimenti la donna gli paralizzerà le forze e gli porterà sfortuna. Anche nelle usanze della vita quotidiana esiste un'inconfondibile tendenza a tener separati i sessi. Le donne vivono con le donne, gli uomini con gli uomini; la vita familiare, nel senso in cui noi l'intendiamo, sembra appena esistere presso molte tribù primitive. Questa separazione talvolta è spinta ad un punto tale che agli appartenenti ad un sesso non è permesso di pronunciare ad alta voce il nome dei membri dell'altro sesso e le donne si creano un linguaggio fatto d'un lessico particolare. I bisogni sessuali di tanto in tanto infrangono di nuovo queste barriere di separazione, ma in alcune tribù persino gli incontri tra moglie e marito hanno luogo fuori della casa e in segreto.

L'uomo primitivo ovunque abbia eretto un tabù teme qualche pericolo e non c'è alcun dubbio che in tutte queste regole volte a evitarlo si manifesti una paura generalizzata delle donne. Questa paura si basa forse sul fatto che la donna è diversa dall'uomo, sempre incomprensibile e misteriosa, strana e quindi apparentemente ostile. L'uomo teme di essere indebolito dalla donna, di restare infetto dalla sua femminilità e quindi di apparire incapace. Il coito, scaricando le tensioni e provocando flaccidità, produce l'effetto che può rappresentare il prototipo di quel che l'uomo teme: e il rendersi conto dell'influenza che la donna esercita su di lui mediante il rapporto sessuale, la stima che ottiene da lui, possono giustificare l'aumento di questa paura. In tutto ciò non v'è nulla di desueto, nulla che non sia ancora vivo anche tra noi.

Molti osservatori delle razze primitive oggi esistenti hanno avanzato l'ipotesi che i loro impulsi in amore sono relativamente deboli e non raggiungono quell'intensità che di solito si riscontra negli uomini civili. Altri osservatori hanno contraddetto questa opinione, ma in ogni caso la pratica dei tabù di cui abbiamo qui parlato sta a testimoniare l'esistenza di una forza che si oppone all'amore respingendo le donne in quanto strane e ostili.

Crawley, con un linguaggio che differisce appena dalla terminologia corrente della psicoanalisi dichiara che ogni individuo è separato dagli altri da un «tabù di isolamento personale» e che sono proprio le differenze minori esistenti in persone altrimenti simili, a formare la base dei sentimenti di stranezza e di ostilità tra loro. Si sarebbe tentati di accettare quest'idea e far derivare da questo «narcisismo delle differenze minori» l'ostilità che in ogni relazione umana vediamo battersi con successo contro sentimenti di amicizia e sopraffare il comandamento che tutti gli uomini si devono amare. Nel richiamare l'attenzione sul complesso di castrazione e sulla sua influenza sulla considerazione in cui sono tenute le donne, la psicoanalisi crede d'aver scoperto una gran parte di quel che sta alla base del rifiuto narcisistico e del disprezzo delle donne da parte degli uomini.

A questo punto, però, ci accorgiamo di aver sconfinato dal nostro argomento. Il tabù generale relativo alle donne non chiarisce le regole particolari concernenti il primo atto sessuale con una vergine. A questo riguardo non siamo andati al di là delle prime due spiegazioni, basate sull'orrore del sangue e sulla paura della novità, ed anche queste, dobbiamo sottolinearlo, non raggiungono il nocciolo del tabù in questione. È chiarissimo che l'intenzione fondamentale di questo tabù è quella di negare o di risparmiare proprio al futuro marito qualcosa che non può essere dissociato dal primo atto sessuale, sebbene secondo le nostre osservazioni introduttive sia proprio questa relazione a portare la donna a legarsi in modo particolare a quest'uomo.

Non è questa la sede per esaminare l'origine e il significato ultimo dei riti dei tabù. Ho compiuto questo lavoro nel mio libro Totem e Tabù, dove ho tenuto nella dovuta considerazione la parte giocata dall'ambivalenza primitiva nella determinazione della formazione del tabù ed ho fatto risalire la genesi di quest'ultimo agli eventi preistorici che hanno portato alla fondazione della famiglia umana. Non possiamo più riconoscere un significato originale di questo genere nei tabù osservati attualmente presso le tribù primitive. Nella ricerca di questo, dimentichiamo troppo facilmente che anche nei popoli più primitivi esiste una cultura ben lontana da quella dei primordi, antica quanto la nostra dal punto di vista del tempo e, come la nostra, corrispondente a un successivo, anche se diverso, stadio di sviluppo.

Oggi, presso i popoli primitivi, troviamo tabù già elaborati in un intricato sistema simile a quello sviluppato tra noi dai nevrotici nelle loro fobie e troviamo i vecchi motivi sostituiti dai nuovi coi quali si integrano armoniosamente. Lasciando da parte questi problemi genetici ritorniamo, quindi, all'idea che l'uomo primitivo istituisce un tabù laddove teme un pericolo. In generale questo pericolo è di natura psichica, perché l'uomo primitivo in proposito non è spinto a fare due distinzioni che a noi sembrano di grande importanza. Egli non separa il pericolo materiale da quello psichico, il reale dall'immaginario.

Nella sua perenne visione animistica dell'universo, ogni pericolo deriva dall'intenzione ostile di qualche essere con un'anima come la sua, e questo è altrettanto vero per i pericoli provenienti dalle forze naturali che per quelli derivanti da altri esseri umani o dagli animali. Ma d'altro canto egli è abituato a proiettare i suoi impulsi interni d'ostilità sul mondo esterno, ad attribuirli cioè agli oggetti che trova sgradevoli oppure semplicemente strani. In questo modo anche le donne vengono considerate come una fonte di pericoli del genere, e il primo rapporto sessuale si presenta come un pericolo di particolare gravità.

Ora, io credo che esaminando più accuratamente il comportamento tenuto nelle stesse circostanze dalle donne della nostra attuale fase di civiltà, riceveremo qualche indicazione riguardo alla natura di questo grave pericolo e sul motivo per cui minaccia proprio il futuro marito. A conclusione di questo esame si può affermare che tale pericolo effettivamente esiste, sicché col tabù della verginità l'uomo primitivo si difende da un pericolo giustamente avvertito, anche se psichico.

Riteniamo normale la reazione della donna che dopo il rapporto sessuale bacia l'uomo, stringendolo a sé nel culmine della soddisfazione, e consideriamo questo fatto come un'espressione della sua gratitudine e un segno di duratura schiavitù. Ma sappiamo che di norma il comportamento della donna in occasione del primo rapporto sessuale è assai diverso: molto spesso ella resta fredda e insoddisfatta e prova soltanto disappunto; di solito occorre molto tempo e una frequente ripetizione dell'atto sessuale prima che cominci a trovarvi soddisfazione. Esiste una serie ininterrotta che va da questi casi di semplice frigidità iniziale, che presto scompare, al triste fenomeno della frigidità permanente ed ostinata che nessun tentativo affettuoso da parte del marito riesce a vincere. Credo che questa frigidità non sia stata ancora sufficientemente capita nelle donne e, fatta eccezione per quei casi che vanno ascritti all'insufficiente potenza dell'uomo, va chiarita servendosi, forse, di fenomeni collaterali.

Io non voglio parlare a questo punto dei tentativi, così frequenti, di evitare il primo atto sessuale, perché sono suscettibili di diverse interpretazioni e in generale, anche se non sempre, vanno visti come un'espressione della generale tendenza femminile ad assumere una linea difensiva. Di contro, io credo che l'enigma della frigidità femminile sia chiarito da certi casi patologici in cui, dopo il primo e in verità anche dopo gli altri atti sessuali, la donna dà libero sfogo alla sua ostilità verso l'uomo maltrattandolo e persino colpendolo. In un caso chiarissimo di questo genere che ho potuto analizzare a fondo, questo fatto si verificava benché la donna amasse moltissimo l'uomo, usasse ella stessa chiedere di fare all'amore e vi trovasse immancabilmente grande soddisfazione. Ritengo che questa strana e contraddittoria reazione sia il risultato proprio degli stessi impulsi che normalmente si manifestano solo come frigidità, soffocano cioè la reazione affettuosa senza essere in grado contemporaneamente di entrare in azione. Nei casi patologici troviamo diviso per così dire in due componenti quel che nel tipo di frigidità più comune è unito per produrre un effetto inibitorio, esattamente come il processo che abbiamo da tempo scoperto nei cosiddetti «sintomi difasici» della nevrosi ossessiva. Il pericolo sorgerebbe così dalla deflorazione di una donna e consisterebbe nel tirarsi addosso la sua ostilità ed il futuro marito è proprio la persona che avrebbe ogni ragione di evitare tale inimicizia.

Ora l'analisi ci mette in grado di dedurre senza difficoltà quali impulsi contribuiscono a determinare nelle donne questo comportamento paradossale in cui credo di trovare la spiegazione della frigidità. Il primo rapporto sessuale mobilita un certo numero di impulsi che sono fuori posto nell'auspicato atteggiamento femminile: alcuni, tra parentesi, non si ripresentano necessariamente nei rapporti sessuali successivi. Pensiamo in primo luogo al dolore provocato in una vergine dalla deflorazione, e siamo forse anche propensi a considerare decisivo questo fattore ed a rinunciare alla ricerca di altri. Non possiamo però attribuire tutta questa importanza al dolore; dobbiamo piuttosto sostituirlo col danno narcisistico che procede dalla distruzione di un organo e che viene persino rappresentato sotto forma razionalizzata nella coscienza che la perdita della verginità comporta una diminuzione del valore sessuale della donna. I costumi matrimoniali dei popoli primitivi, tuttavia, ci spingono a non sopravvalutare questo fatto. Abbiamo sentito che in alcuni casi il rito si divide in due fasi: alla rottura dell'imene (con la mano o con qualche strumento), segue un atto cerimoniale di coito o di pseudo-rapporto sessuale coi rappresentanti del marito, e questo ci dimostra che lo scopo dell'osservanza del tabù non si realizza evitando la deflorazione anatomica e che oltre alla reazione della donna al dolore, si vuol risparmiare al marito anche qualche altra cosa.

Troviamo un'altra ragione della delusione provata nel primo rapporto sessuale nel fatto che, almeno con le donne civilizzate, la realizzazione non soddisfa le attese. Prima che avvenga, il rapporto sessuale viene intimamente associato alle proibizioni: il rapporto legittimo e sanzionato non ha quindi lo stesso fascino. Quanto stretta sia questa associazione è dimostrato in modo quasi comico dai tentativi fatti da molte ragazze sul punto di sposarsi, di tener segreta la loro relazione sentimentale e di nasconderla persino ai genitori, quando in realtà non v'è alcuna necessità di farlo. Le ragazze spesso dicono apertamente che l'amore perde di valore se ne vengono a conoscenza gli altri. A volte questo sentimento può diventare tanto forte da impedire completamente lo sviluppo della capacità di amare nel matrimonio. La donna riacquista la sua capacità di sentimenti affettuosi solo in una relazione illecita che deve essere tenuta segreta e in cui ella è certa che la sua volontà non viene influenzata.

Neppure questo motivo, però, è abbastanza forte; inoltre, essendo legato alle condizioni di uno stadio civilizzato, non riesce a fornire una connessione soddisfacente con lo stato di cose esistente presso i popoli primitivi. Ancora più importante, quindi, diventa un altro fattore che è basato sull'evoluzione della libido. Abbiamo appreso dalle ricerche analitiche quanto siano universali e potenti le primissime collocazioni della libido, le quali riguardano i desideri sessuali infantili perduranti (nelle donne di solito una fissazione della libido sul padre o sul fratello che ne prende il posto), desideri che abbastanza spesso erano diretti verso fini diversi dal rapporto sessuale, o lo comprendevano solo come una meta appena percepita. Il marito è quasi sempre, per così dire, soltanto un sostituto, e mai l'uomo giusto; è un altro uomo — nei casi tipici il padre — che ha diritto all'amore della donna prima di ogni altro, e solo dopo viene il marito. Il rifiuto del sostituto perché insoddisfacente dipende dall'intensità e dall'ostinatezza di questa fissazione. La frigidità appartiene, quindi, ai fattori determinanti genetici delle nevrosi. Quanto più potente è l'elemento psichico nella vita sessuale di una donna, tanto maggiore sarà la capacità di resistenza mostrata dalla sua distribuzione libidica allo sconvolgimento che segue il primo atto sessuale e meno potente sarà l'effetto prodotto dall'essere posseduta fisicamente. La frigidità può allora stabilirsi come un'inibizione nevrotica, o fare da base per lo sviluppo di altre nevrosi ed anche una minima diminuzione di potenza nell'uomo contribuirà decisamente al compimento di questo processo.

I costumi dei popoli primitivi sembrano tener conto di questo motif del desiderio sessuale in tenera età lasciando il compito della deflorazione ad un anziano, ad un prete o uno stregone, ossia ad un sostituto del padre. Credo che da questo costume derivi la dibattutissima questione dello ius primae noctis del signore medievale. A. J. Storfer (1911) ha avanzato la medesima tesi ed ha inoltre, come aveva già fatto Jung (1909) prima di lui, interpretato la diffusa tradizione delle «notti di Tobia» (il costume di astenersi durante le prime tre notti di matrimonio) come un riconoscimento del diritto del patriarca. Risponde alle nostre attese, dunque, il trovare immagini di dèi tra i surrogati del padre a cui è affidato il compito della deflorazione. In alcune regioni dell'India, la sposa era costretta a sacrificare l'imene al fallo di legno, e, secondo quanto dice Sant'Agostino, la stessa usanza vigeva nella cerimonia matrimoniale romana (del suo tempo?), ma modificata tanto che la giovane sposa doveva solo sedersi sul gigantesco fallo di pietra di Priapo8. (Ploss e Bartels, 1891, I, XII, e Dulaure,1905, p. 142).

C'è un altro motivo, che raggiunge gli strati ancora più profondi, al quale si può attribuire la colpa principale della paradossale reazione verso l'uomo, e che, a mio avviso, influenza ulteriormente la frigidità femminile. Il primo rapporto sessuale attiva nella donna altri antichi impulsi insieme a quelli già descritti, che sono in assoluto contrasto col suo ruolo e la sua funzione femminili.

L'analisi di molte donne nevrotiche ci ha dimostrato che esse attraversano un primo periodo in cui invidiano ai fratelli il simbolo della loro virilità e si sentono svantaggiate e umiliate perché ne sono prive (in realtà perché il loro è di dimensioni ridotte). Includiamo questa «invidia del pene» nel «complesso di castrazione». Se in «virilità» comprendiamo l'idea di desiderare di essere maschi, allora la designazione «protesta virile» si addice a questo comportamento: questa espressione fu coniata da Adler con l'intenzione di attribuire a questo fattore la responsabilità della nevrosi in genere. Durante questa fase, le bambine spesso non fanno mistero della loro invidia né dell'ostilità che questa genera nei riguardi dei fortunati fratelli. Esse cercano persino di urinare stando in piedi come fanno i fratelli per dimostrare che sono eguali ad essi. Nel caso già presentato in cui la donna usava mostrare dopo il rapporto sessuale un'aggressività incontrollata verso il marito, che peraltro amava, ho potuto stabilire che questa fase aveva preceduto quella della scelta oggettuale. Solo più tardi la libido della bambina si diresse verso il padre e allora, invece di desiderare di avere un pene, voleva un bambino9. (Cfr. Sulle trasformazioni pulsionali in particolare nell'erotismo anale, 1917).

Non sarei sorpreso se in altri casi l'ordine degli impulsi fosse capovolto e questa parte del complesso di castrazione divenisse efficace solo dopo una riuscita scelta oggettuale. Ma nella ragazza la fase maschile durante la quale ella invidia il pene al ragazzo, è in ogni caso la più antica dal punto di vista dello sviluppo e si avvicina più al narcisismo originario che all'amore per l'oggetto.

Tempo fa mi capitò l'opportunità di analizzare in una sposa novella un sogno che era chiaramente una reazione alla perdita della verginità. Esso tradiva spontaneamente il desiderio della donna di castrare il marito e di impadronirsi del pene. Certo era possibile anche un'interpretazione più innocente, ossia che ella desiderava un prolungamento e la ripetizione dell'atto, ma parecchi particolari del sogno contrastavano con questo significato ed il carattere, nonché il successivo comportamento della donna, diedero prove a favore della tesi più grave. Oltre a questa invidia del pene, compare l'ostile rancore della donna nei riguardi dell'uomo e questa ostilità non sparisce mai completamente dalle relazioni esistenti tra i sessi ed è chiaramente rivelata nelle lotte e nelle opere letterarie delle donne «emancipate». Ferenczi ha avanzato un'ipotesi paleobiologica — non so se sia stato il primo a farlo — secondo cui questa ostilità femminile risale al periodo in cui i sessi si differenziarono. All'inizio, a suo avviso, la copulazione avveniva tra due individui simili, uno dei quali, però, diventò più forte e costrinse il più debole a sottomettersi all'unione sessuale. I sentimenti di rancore che sono sorti da questo assoggettamento persistono ancora nell'attuale disposizione delle donne. Non credo che sia dannoso servirsi di tali ipotesi, purché si eviti di attribuir loro troppo valore.

Dopo questa elencazione dei motivi determinanti la paradossale reazione femminile alla deflorazione, di cui persistono tracce nella frigidità, possiamo concludere dicendo che la sessualità immatura di una donna viene scaricata sul primo uomo che le fa conoscere l'atto sessuale. Stando così le cose, il tabù della verginità diventa abbastanza giustificato e diventa comprensibile anche la regola secondo cui proprio l'uomo che vivrà con questa donna dovrà evitare i pericoli della sua reazione. Nelle civiltà più avanzate l'importanza attribuita a questo pericolo diminuisce di frónte alla promessa di soggezione della donna e per altri motivi e stimoli; la verginità viene considerata come un patrimonio a cui il marito non è costretto a rinunciare.

Ma l'analisi di matrimoni infelici ci insegna che i motivi che spingono una donna a vendicarsi della deflorazione subita non sono del tutto scomparsi nemmeno nella vita psichica delle donne civilizzate. Penso che l'osservatore resti impressionato costatando il grandissimo numero di casi in cui la donna resta frigida e si sente infelice nel primo matrimonio, mentre dopo aver divorziato diventa una moglie affettuosa e capace di far felice il secondo marito. La reazione arcaica si è esaurita, per così dire, sul primo oggetto.

Il tabù della verginità, comunque, anche a prescindere da tutto ciò, non è ancora scomparso dalla nostra civiltà. È una cosa nota al popolo e gli scrittori si sono talvolta serviti di questo materiale. Una commedia di Anzengruber mostra come un giovane contadino sia trattenuto dallo sposare la fidanzata perché è «una ragazza che gli farà pagare con la vita la prima volta». Per tale motivo egli consente che lei sposi un altro ed è disposto a prenderla quando sarà diventata vedova e quindi non più pericolosa. Il titolo dell'opera, Das Jungferngift [«Il Veleno della Vergine»] ci fa pensare all'abitudine degli incantatori di serpenti, i quali fanno mordere ai serpenti velenosi un pezzo di stoffa al fine di poterli poi maneggiare senza pericolo10. (Una meravigliosa novella di Arthur Schnitzler - Das Schicksal des Freiherr von Leisenbogh merita di essere citata in questo scritto, nonostante la situazione piuttosto diversa. L'amante di un'attrice molto esperta nell'arte d'amare sta morendo in conseguenza di un incidente. Egli le crea una specie di nuova verginità, predicendo la morte del primo uomo che dopo di lui la possederà. Per un certo tempo la donna sotto il peso di questo tabù non osa iniziare un nuovo rapporto d'amore. Però, dopo essersi innamorata di un cantante, giunge alla soluzione di concedere prima una notte al barone von Leisenbogh, che la corteggia già da anni; e la maledizione cade su di lui: egli, appena viene a conoscenza del motivo della sua inattesa fortuna in amore, viene colpito da un collasso e muore.)

Il tabù della verginità e qualcosa della sua motivazione è stato presentato in modo esemplare in un notissimo personaggio drammatico, quello di Giuditta nella tragedia di Hebbel, Judith und Holofernes. Giuditta è appunto una di quelle donne la cui verginità è protetta da un tabù. Il suo primo marito durante la prima notte di nozze fu paralizzato da una misteriosa angoscia e in seguito non osò mai più toccarla. «La mia bellezza è come la belladonna», dice Giuditta. «Il godersela porta alla follia e alla morte.» Mentre la sua città viene assediata dal generale assiro, ella decide di sedurlo con la sua bellezza e quindi distruggerlo, servendosi così di un motivo patriottico per celarne uno sessuale. Dopo essere stata deflorata da questo potente uomo che si vanta della sua forza e della sua spietatezza, ella nella sua ira trova il coraggio di spaccargli la testa, diventando così la liberatrice del suo popolo. È notissimo che la decapitazione è un sostituto simbolico della castrazione. Giuditta è pertanto la donna che castra l'uomo che l'ha deflorata, il che era precisamente il desiderio espresso nel sogno della sposa novella di cui ho parlato. È chiaro che Hebbel ha sensualizzato intenzionalmente il racconto patriottico tratto dagli scritti apocrifi del Vecchio Testamento, poiché lì Giuditta dopo il ritorno può vantarsi di non essere stata profanata, né esiste nel testo biblico alcun cenno circa la stranissima notte nuziale. Ma probabilmente, con la fine sensibilità del poeta, Hebbel ha intuito l'antico motivo, che era andato perduto nel racconto tendenzioso, ed ha semplicemente ridato alla storia il suo contenuto originale.

In una penetrante analisi, Sadger ha dimostrato come Hebbel fosse influenzato nella scelta del materiale dal proprio complesso dei genitori, e come nella lotta tra i due sessi egli parteggiasse per la donna e cercasse sempre di capire gli impulsi più reconditi della sua mente. Sadger cita anche i motivi offerti dal poeta per spiegare le modificazioni apportate al materiale originale, e li considera, a ragione, artificiali e quasi intesi a giustificare, in apparenza, qualcosa di cui lo stesso poeta non è consapevole, qualcosa che in realtà nasconde. Io non intendo mettere in discussione la spiegazione che Sadger dà dei motivi per cui Giuditta, che secondo il racconto biblico è vedova, è divenuta, nell'opera di Hebbel, una vedova-vergine. Egli attribuisce il fatto allo scopo che si riscontra nelle fantasie infantili di negare il rapporto sessuale dei genitori e di trasformare la madre in una vergine intatta. Ma da parte mia aggiungo: dopo che il poeta ha messo in risalto la verginità della sua eroina, la sua immaginazione sensibile indulge sulla reazione ostile provocata dalla sua verginità violata.

Possiamo quindi dire, in conclusione, che la deflorazione non ha solo la conseguenza di legare in modo duraturo la donna all'uomo, ma provoca anche verso di lui un'arcaica reazione di ostilità, che può assumere forme patologiche assai spesso espresse sotto l'aspetto di inibizioni nell'atto erotico della vita coniugale, e a cui possiamo ascrivere il fatto che il secondo matrimonio riesce abbastanza spesso meglio del primo. Il tabù della verginità, che a noi sembra così strano, l'orrore con cui presso i popoli primitivi il marito evita l'atto della deflorazione, sono pienamente giustificati da questa reazione ostile.

È interessante che in qualità di analista ci si possa imbattere in donne in cui trovano espressione e restano intimamente collegate tra di loro le opposte reazioni di schiavitù e ostilità. Vi sono donne appartenenti a questa categoria che sembrano aver rotto tutti i rapporti coi mariti e che tuttavia possono compiere solo sforzi vani per liberarsi. Per quanto spesso cerchino di dirigere il loro amore verso un altro uomo, l'immagine del primo, che pure non è più amato, interviene con un effetto inibitorio. L'analisi ci insegna allora che queste donne restano, è vero, legate al primo marito in uno stato di schiavitù, ma non più per affetto. Non lo lasciano perché non hanno completato la loro vendetta, o, nei casi gravi, non hanno ancora portato alla coscienza gli impulsi vendicativi.