Un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica della malattia1915 |
Alcuni anni fa un noto avvocato mi consultò a proposito di un caso che gli aveva creato alcuni dubbi. Una giovane donna gli aveva chiesto di proteggerla dalle molestie di un uomo che l'aveva trascinata in una relazione amorosa. Ella asseriva che quest'uomo aveva approfittato della sua fiducia facendo sì che dei testimoni, non visti, li fotografassero mentre facevano all'amore, così che ora, tenendola sotto la minaccia di rendere pubbliche quelle fotografie, egli l'avrebbe avuta in pugno e avrebbe potuto causarle seri guai ed anche costringerla a dare le dimissioni dal posto che occupava. Il suo consulente legale aveva abbastanza esperienza da riconoscere l'impronta patologica di quest'accusa; comunque, osservò che, poiché spesso accade nella realtà anche ciò che più sembra incredibile, egli avrebbe gradito conoscere in merito l'opinione di uno psichiatra. Egli promise che sarebbe venuto nuovamente a trovarmi, in compagnia della giovane. (Prima di proseguire col racconto, devo confessare di aver alterato il milieu del caso per mantenere l'incognito delle persone interessate, ma non ho cambiato nient'altro. Ritengo sbagliato alterare qualsiasi dettaglio nella presentazione di un caso, per quanto valide possano essere le ragioni che spingono a farlo. Non si può mai dire quale aspetto di un caso possa essere colto da un lettore imparziale, e si corre il rischio di portarlo fuori strada.) Poco tempo dopo ho incontrato la paziente in persona. Era una ragazza di trent'anni molto bella e attraente, che dimostrava molto meno dell'età che aveva, ed era dotata di una spiccata femminilità. Ovviamente era alquanto irritata dall'interferenza di un medico, e non si diede pena di nascondere la propria diffidenza. Era chiaro che fu solo l'influenza del suo consulente legale, che era presente, ad indurla a raccontarmi la storia che segue, e che mi pose un problema del quale farò menzione più avanti. Né col suo comportamento, né con alcuna espressione che potesse rivelare la sua emozione, tradì la pur minima forma di vergogna o di timidezza, quale ci si sarebbe potuti aspettare da parte sua in presenza di un estraneo. Era completamente sotto l'influenza dell'apprensione causatale dall'esperienza fatta. Per molti anni aveva fatto parte del personale di una grande società, nella quale occupava un posto di responsabilità. Il suo lavoro le aveva dato grandi soddisfazioni ed era stato apprezzato dai superiori. Non aveva mai cercato di avere relazioni con uomini, ma aveva vissuto tranquillamente con la vecchia madre, di cui era l'unico sostegno. Non aveva né fratelli né sorelle; il padre era morto molti anni prima. Recentemente un suo collega di lavoro, uomo assai colto ed attraente, le aveva rivolto delle attenzioni e lei, a sua volta, si era sentita attratta verso di lui. Per ragioni esterne il matrimonio era fuori discussione, ma l'uomo non voleva saperne di rinunciare alla loro relazione per questo. Aveva insistito più volte nel dire che era senza senso sacrificare alle convenzioni sociali tutto ciò che entrambi più desideravano ed avevano il diritto di godere, qualcosa che avrebbe arricchito le loro vite più di qualunque altra cosa. Poiché egli aveva promesso di non esporla ad alcun rischio, alla fine aveva acconsentito ad andarlo a trovare, durante il giorno, nel suo appartamentino di scapolo. Lì essi si abbracciarono e baciarono sdraiati uno accanto all'altra, ed egli incominciò ad ammirare le bellezze che gli venivano parzialmente svelate. Nel bel mezzo di questa scena idilliaca la ragazza fu improvvisamente spaventata da un rumore, una specie di battito o di scatto. Veniva dalla direzione della scrivania, che stava davanti ad una finestra; lo spazio tra la scrivania e la finestra era occupato in parte da una pesante tenda. Aveva chiesto immediatamente all'amico cosa significasse quel rumore, e le era stato risposto, così riferì, che probabilmente proveniva dal piccolo orologio della scrivania. Quanto prima, comunque, mi arri-schierò a fare qualche commento su questa parte del racconto. Uscendo dalla casa la ragazza incontrò sulle scale due uomini, che si sussurrarono qualche parola all'orecchio quando la videro. Uno dei due portava qualcosa che assomigliava ad una piccola scatola aperta. La giovane si preoccupò molto per questo incontro, e sulla via del ritorno aveva già messo insieme i fatti seguenti: la scatola avrebbe benissimo potuto essere una macchina fotografica, e l'uomo un fotografo che era stato nascosto dietro la tenda mentre lei era nella camera; lo scatto era stato il rumore dell'otturatore; la fotografia era stata presa non appena egli l'aveva vista in una posizione particolarmente compromettente, che egli aveva voluto riprodurre. Da quel momento nulla potè far cessare i suoi sospetti sull'amante. Ella lo perseguitò con i rimproveri e lo tormentò per avere spiegazioni ed assicurazioni non solo quando si incontravano, ma anche per lettera. Invano egli cercò di convincerla che i suoi sentimenti erano sinceri e quei sospetti assolutamente privi di fondamento. Alla fine ella andò dall'avvocato, gli raccontò la sua esperienza, e gli consegnò le lettere che il presunto colpevole le aveva scritto sull'incidente. In seguito ebbi l'opportunità di vedere alcune di queste lettere. Mi fecero un'impressione molto favorevole; consistevano soprattutto di espressioni di rammarico per il fatto che una così bella e tenera relazione dovesse essere distrutta da questa «infelice idea morbosa». Non occorre quasi che io giustifichi la mia adesione a questo punto di vista. Ma il caso, per me, aveva un interesse particolare, più che semplicemente diagnostico. Nella letteratura psicoanalitica era già stata formulata una teoria secondo la quale i pazienti che soffrono di paranoia lottano contro l'intensificarsi delle loro tendenze omosessuali - un fatto che risale ad una scelta oggettuale narcisistica. Ed era stata formulata un'ulteriore interpretazione: che il persecutore sia, in fondo, una persona che il paziente ama o ha amato nel passato. Una sintesi delle due tesi ci porterebbe alla conclusione necessaria che il persecutore debba essere dello stesso sesso della persona perseguitata. Noi non sostenevamo, è vero, come universalmente accettata e valida senza eccezioni la tesi che la paranoia sia determinata dall'omosessualità; ma ciò soltanto perché le nostre osservazioni non erano abbastanza numerose; la tesi era di quelle che, in vista di certe considerazioni, diventano importanti solo quando si può loro rivendicare un'applicazione universale. Nella letteratura psichiatrica non mancano certo i casi in cui il paziente immagina di essere perseguitato da una persona del sesso opposto. Comunque, una cosa è leggere di tali casi, ed un'altra, del tutto differente, è entrare personalmente in contatto con uno di essi. Le mie osservazioni ed analisi e quelle dei miei amici avevano finora confermato senza alcuna difficoltà la relazione tra paranoia ed omosessualità. Ma il caso presente contraddiceva vistosamente questa tesi. La ragazza sembrava difendersi dall'amore per un uomo trasformando direttamente l'amante in un persecutore: non c'era alcun segno dell'influenza di una donna, nessuna traccia di lotta contro un attaccamento omosessuale. In queste circostanze la cosa più semplice sarebbe stata quella di abbandonare la teoria che il delirio di persecuzione dipenda invariabilmente dall'omosessualità, e, nello stesso tempo, rifiutare qualsiasi cosa derivi da quella teoria. O si doveva rinunciare alla teoria, oppure, in vista di questo distacco dalle nostre aspettative, schierarsi con l'avvocato e ritenere che non si trattasse di un esito paranoico, ma di una vera e propria esperienza, che era stata interpretata correttamente. Ma io vidi un'altra via d'uscita, per cui si sarebbe potuto posporre, per il momento, il verdetto finale. Ricordai quante volte accade di sbagliare sul conto di persone che sono psichicamente malate, e ciò semplicemente perché il medico non le ha studiate abbastanza diligentemente e a fondo, e quindi non sa abbastanza sul loro conto. Dissi perciò che non mi ero potuto formare un'opinione immediata e chiesi alla paziente di venirmi a trovare una seconda volta, quando fosse stata in grado di raccontarmi nuovamente la sua storia, con più tempo a disposizione ed aggiungendo qualsiasi dettaglio supplementare che potesse essere stato omesso. Grazie all'influenza dell'avvocato ottenni questa promessa, vincendo la riluttanza della paziente; ed egli mi aiutò anche in un altro modo, dicendole che al nostro secondo incontro la sua presenza non sarebbe stata necessaria. La storia che la paziente mi raccontò in questa seconda occasione non era in contrasto con la precedente, ma i dettagli supplementari che mi fornì risolsero tutti i dubbi e le difficoltà. Tanto per cominciare ella aveva fatto visita al giovanotto, nel suo appartamento, non una ma due volte. Ed era stato nella seconda occasione che era stata disturbata dal rumore sospetto. Nella versione originale aveva soppresso la prima visita, od omesso di parlarne, perché le sembrava che non avesse avuto importanza. Nulla di notevole era accaduto durante questa visita, ma qualcosa accadde il giorno dopo. Il suo reparto nella ditta era sotto la direzione di un'anziana signora che la paziente descriveva così: «Ha i capelli bianchi come mia madre». Quest'anziana direttrice aveva una gran predilezione per lei e la trattava con affetto, benché a volte la infastidisse; la ragazza si riteneva una sua favorita. Il giorno dopo la sua visita in casa del giovanotto, questi apparve nell'ufficio per discutere alcune questioni di affari con l'anziana signora. Mentre essi parlavano a bassa voce, la paziente si sentì improvvisamente sicura che egli le stesse raccontando la loro avventura del giorno precedente -anzi, che i due avessero avuto per qualche tempo una relazione, di cui fino a quel momento non aveva saputo nulla. Ora l'anziana signora dai capelli bianchi come quelli di sua madre sapeva tutto, ed il suo modo di parlare e di fare durante la giornata confermarono il sospetto della paziente. Alla prima occasione la ragazza interrogò con durezza l'amante a proposito di questo suo tradimento. Egli naturalmente protestò con gran vigore contro ciò che reputava un'accusa senza senso. Per il momento, infatti riuscì a convincerla del suo errore ed ella riacquistò abbastanza fiducia da ripetere la visita in casa di lui poco tempo dopo - penso fossero alcune settimane. Il resto lo sappiamo già dal primo racconto. In primo luogo questa nuova informazione rimuove ogni dubbio per quel che riguarda la natura patologica del suo sospetto. È facile vedere che l'anziana capo-reparto dai capelli bianchi era un sostituto della madre; che, nonostante la sua giovane età, l'amante aveva preso il posto del padre e che era stata la forza del suo complesso materno che aveva portato la paziente a sospettare l'esistenza di una relazione amorosa tra due partner così male assortiti, per quanto impossibile questo potesse sembrare. Inoltre ciò libera dall'apparente contraddizione con la possibilità, basata sulla teoria psicoanalitica, che lo sviluppo di un delirio di persecuzione sia determinato da un attaccamento omosessuale prepotente. Il persecutore originale - l'agente di cui la paziente vuole sfuggire l'influenza - è anche qui non un uomo, ma una donna. La capo-reparto era a conoscenza della relazione amorosa della ragazza, la disapprovava, e dimostrava la sua disapprovazione attraverso segni misteriosi. L'attaccamento della paziente al proprio sesso si opponeva ai suoi tentativi di adottare una persona dell'altro sesso come oggetto d'amore. L'amore per la madre era diventato il portavoce di tutte quelle tendenze che, giocando il ruolo di «coscienza», cercano di arrestare i primi passi di una ragazza sulla nuova strada della normale soddisfazione sessuale - sotto molti aspetti pericolosa; ed infatti riuscì a turbare il suo rapporto con gli uomini. Quando una madre ostacola o arresta l'attività sessuale della figlia, compie una funzione normale, le cui linee sono stabilite da eventi dell'infanzia, che ha motivi inconsci e potenti e che ha ricevuto la sanzione della società. È compito della figlia emanciparsi da questa influenza e decidere da sé, basandosi su motivi chiari e razionali, quale sarà la sua parte di godimento o di rifiuto del piacere sessuale. Se, nel tentativo di emanciparsi, diventa vittima di una nevrosi, ciò implica la presenza di un complesso materno, che generalmente è molto potente e certamente incontrollato. Il conflitto tra questo complesso e la nuova direzione presa dalla libido viene trattato in varie forme di nevrosi secondo la disposizione del soggetto. La manifestazione di una reazione nevrotica, comunque, sarà sempre determinata non dalla relazione esistente al momento attuale con quello che la madre è effettivamente, ma dalle relazioni infantili con la prima immagine della madre. Sappiamo che la nostra paziente è rimasta orfana di padre molto presto: possiamo anche supporre che non si sarebbe tenuta lontana dagli uomini fino all'età di trent'anni se non fosse stata sostenuta da un potente attaccamento emotivo alla madre. Questo sostegno si tramutò in un pesante giogo quando la sua libido incominciò ad indirizzarsi verso un uomo in risposta al suo insistente corteggiamento. Ella cercò di liberarsi, di gettar via il suo attaccamento omosessuale, e la sua predisposizione, che non richiede qui di essere discussa, ha fatto sì che ciò accadesse in forma di delirio paranoico. La madre divenne così il persecutore, il sorvegliante malevolo ed ostile. In tale veste avrebbe potuto essere sconfitta, se non fosse stato per il fatto che il complesso materno era ancora abbastanza forte da portare a termine il suo proposito di mantenere la paziente a distanza dagli uomini. Cosicché alla fine della prima fase del conflitto la paziente si era allontanata dalla madre senza essersi avvicinata all'uomo in modo definitivo. Anzi, entrambi tramavano contro di lei. Poi gli sforzi vigorosi dell'uomo riuscirono a portarla decisamente verso di lui. La ragazza, nella propria mente, aveva sconfitto l'opposizione della madre ed era disposta a concedere al suo amante un secondo incontro. Negli ultimi sviluppi la madre non riapparve, ma possiamo sicuramente dire che in questa [prima] fase l'amante non era divenuto il persecutore direttamente, ma via madre ed in virtù della sua relazione con lei, che aveva avuto il ruolo principale nel primo delirio. Si potrebbe pensare che a questo punto la resistenza fosse del tutto superata, che la ragazza, che finora era stata legata alla madre, fosse riuscita ad arrivare ad amare un uomo. Ma dopo la seconda visita apparve un nuovo delirio, che, facendo un uso ingegnoso di alcune circostanze accidentali, distrusse questo amore e portò così a compimento con successo lo scopo del complesso materno. Eppure sembra strano che una donna debba proteggersi dall'amore per un uomo tramite un delirio paranoico; ma prima di esaminare questo stato di cose più da vicino, diamo un'occhiata alle circostanze accidentali che costituiscono la base di questo secondo delirio, quello diretto esclusivamente verso l'uomo. Mentre giaceva parzialmente svestita sul divano accanto al suo amante, udì un rumore simile ad uno scatto o battito. Non ne conosceva la causa, ma ne diede un'interpretazione dopo aver incontrato per le scale due uomini, uno dei quali portava qualcosa di simile ad una scatola coperta. Ella si convinse che qualcuno, che agiva seguendo le istruzioni del suo amante, l'aveva guardata e fotografata durante il suo intimo tète-à-tète. Naturalmente non penso assolutamente che se non ci fosse stato quello sfortunato rumore il delirio non si sarebbe formato; al contrario, dietro questa circostanza accidentale si deve vedere qualcosa di inevitabile, qualcosa che si sarebbe dovuta manifestare comunque nella paziente, proprio come quando essa s'immaginò che ci fosse una liaison tra il suo amante e l'anziana capo-reparto, il suo sostituto materno. Nella riserva di fantasie inconsce propria di tutti i nevrotici e probabilmente di tutti gli esseri umani, ce n'è una che raramente manca e che si può scoprire tramite l'analisi: la fantasia dell'assistere al rapporto sessuale tra i genitori. Io chiamo questo tipo di fantasie -quali quella dell'osservazione del rapporto sessuale tra i genitori, della seduzione, della castrazione ed altre - «fantasie primarie», e altrove discuterò dettagliatamente la loro origine e la loro relazione con l'esperienza individuale. Il rumore accidentale, quindi, ebbe la semplice parte di causa scatenante, che attivò la tipica fantasia dell'origliare, che è una componente del complesso parentale. Piuttosto, sono in dubbio se si possa o no definire «accidentale» quel rumore. Come mi fece notare Otto Rank, tali rumori costituiscono una parte indispensabile della fantasia di ascolto, e riproducono i suoni che tradiscono il rapporto tra i genitori, ovvero quelli per cui il bimbo che ascolta ha paura di tradirsi. Ora, comunque, sappiamo come è la situazione. L'amante della paziente rappresenta ancora suo padre, ma ella stessa ha preso il posto della madre. Il ruolo dell'ascoltatore doveva quindi essere affidato ad una terza persona. Possiamo vedere con quali mezzi la ragazza si è liberata dalla sua dipendenza omosessuale dalla madre. Ciò è avvenuto attraverso un frammento di regressione: invece di scegliere la madre come oggetto d'amore, ella si è identificata con lei - ella stessa è divenuta la propria madre. La possibilità di questa regressione risale all'origine narcisistica della sua scelta oggettuale omosessuale e quindi alla predisposizione paranoica presente in lei. Si potrebbe individuare un processo che porterebbe allo stesso risultato di questa identificazione: «Se mia madre lo fa, anch'io posso farlo; ho esattamente lo stesso diritto che ha lei». Si può andare anche oltre nel confutare la natura accidentale del rumore. Comunque non chiediamo ai nostri lettori di seguirci, poiché l'assenza di qualsiasi indagine analitica approfondita rende impossibile, in questo caso, andare al di là di un certo grado di probabilità. Durante il nostro primo incontro la paziente disse di avere immediatamente chiesto una spiegazione del rumore, e di aver avuto la risposta che probabilmente si trattava del ticchettio del piccolo orologio sulla scrivania. Io, però, oserei spiegare quel che mi disse come un ricordo errato. Mi sembra molto più probabile che dapprima ella non abbia affatto reagito al rumore e che questo abbia acquistato importanza soltanto in seguito al suo incontro con i due uomini per le scale. Il suo amante, che probabilmente non aveva nemmeno sentito il rumore, può aver cercato, forse in seguito, quando lei lo assalì con i suoi sospetti, di spiegarlo in questo modo: «Non so che rumore tu possa aver sentito. Forse l'orologetto: a volte fa tic-tac in quel modo». Quest'uso differito di impressioni e questo spostamento di ricordi avvengono spesso nei pazienti affetti da paranoia, e sono una caratteristica di essa. Ma poiché io non ho mai incontrato l'uomo e non potei continuare l'analisi della donna la mia ipotesi non può essere provata. Potrei andare ancora più avanti nell'analisi di questo «incidente» apparentemente reale. Credo che l'orologio non abbia mai fatto quel tic-tac e che non si udì alcun rumore. Lo stato della donna giustificò la sensazione di un battito o di uno scatto nella propria clitoride. Ed è stato questo ch'ella, in seguito, ha proiettato come la percezione di un oggetto esterno. Esattamente la stessa cosa può accadere nei sogni. Una donna isterica, mia paziente, una volta mi raccontò un breve sogno che l'aveva destata, e a cui non poteva dare alcuna associazione spontanea. Aveva sognato semplicemente che qualcuno bussava, e quindi si era svegliata. Nessuno aveva bussato alla porta, ma durante le notti precedenti ella era stata svegliata da penose sensazioni di polluzione: quindi aveva un motivo per svegliarsi non appena provava il primo segno di eccitamento genitale. C'era stato un «battito» nella sua clitoride. Nel caso della nostra paziente paranoica, io sostituirei al rumore accidentale un processo di proiezione di questo genere. Certo non posso garantire che, nel corso della nostra breve conoscenza, la paziente, che aveva accettato con riluttanza di sottoporsi all'analisi, mi abbia fatto un resoconto veritiero di tutto ciò che avvenne durante i due incontri con l'amante. Ma una contrazione isolata della clitoride si accorderebbe con la sua dichiarazione che non ci fu alcun contatto dei genitali. Nel suo susseguente rifiuto dell'uomo, la mancata soddisfazione ha certamente avuto una parte importante, non meno della «coscienza». Prendiamo nuovamente in considerazione il fatto importante che la paziente si sia protetta dall'amore verso un uomo tramite un delirio paranoico. La chiave per comprendere questo va ricercata nella storia dello sviluppo del delirio. Come avevamo potuto immaginare, quest'ultimo era dapprima diretto verso una donna. Ma ora, su questa base paranoica, si è compiuto il passaggio da un oggetto femminile ad uno maschile. Tale progresso è insolito nella paranoia; di solito vediamo che la vittima delle persecuzioni rimane fissata sulle stesse persone, e quindi allo stesso sesso a cui appartenevano i suoi oggetti d'amore prima che avvenisse la trasformazione paranoica. Ma i disturbi nevrotici non precludono la possibilità di progressi di questo genere, e la nostra osservazione può essere tipica di molti altri. Ci sono molti processi simili che avvengono al di fuori della paranoia e che non sono ancora stati studiati da questo punto di vista; tra questi ve ne sono alcuni molto conosciuti. Per esempio il così detto attaccamento inconscio del nevrastenico ad oggetti d'amore incestuosi gli impedisce di scegliere una donna estranea come oggetto e restringe la sua attività sessuale alla fantasia. Ma entro i limiti della fantasia egli compie il progresso che gli è negato, e riesce a sostituire madre e sorella con oggetti estranei. Poiché il veto della censura non entra in azione con questi oggetti, egli può divenire conscio, nelle sue fantasie, della scelta di queste figure sostitutive. Questi dunque sono fenomeni di un tentativo di progresso dalla nuova posizione che di solito è stata acquisita per via regressiva; e possiamo porre accanto a questi gli sforzi fatti in alcune nevrosi per riguadagnare una posizione della libido che si aveva una volta e che si è in seguito perduta. In verità è difficile fare una distinzione concettuale tra queste due classi di fenomeni. Noi siamo troppo portati a pensare che il conflitto alla base di una nevrosi termini quando si è formato il sintomo. In realtà la lotta può andare avanti in molti modi anche dopo che questo è avvenuto. Nuove componenti istintuali emergono da entrambi i lati e la prolungano. Il sintomo stesso diventa un oggetto di questa lotta; alcune tendenze che lo vogliono conservare vengono in conflitto con altre che si sforzano di eliminarlo e di ristabilire lo status quo ante. Spesso si cercano metodi per neutralizzare il sintomo, provando a riguadagnare, tramite altre linee di avvicinamento, ciò che si è perduto ed è ora trattenuto dal sintomo. Questi fatti chiariscono l'affermazione fatta da C. G. Jung riguardo al fatto che una particolare «inerzia psichica», che ostacola il cambiamento e il progresso, è la condizione preliminare che sta alla base della nevrosi. Questa inerzia è, in effetti del tutto peculiare; non è di tipo generale ma è altamente specifica; non è nemmeno onnipotente nel proprio campo, ma lotta contro le tendenze verso il progresso e la guarigione che rimangono attive anche dopo la formazione di sintomi nevrotici. Se cerchiamo il punto di partenza di questa speciale inerzia, scopriamo che è la manifestazione di legami remoti -legami che è difficile analizzare - tra istinti ed impressioni e gli oggetti coinvolti in queste impressioni. Questi legami hanno l'effetto di portare lo sviluppo degli istinti interessati ad un punto morto. O, in altre parole, questa «inerzia psichica» specifica è solo un termine differente, benché non certo migliore, per quella che in psicoanalisi chiamiamo generalmente «fissazione». |