Un caso di brillante trattamento ipnotico1892/1893 |
Ho deciso di pubblicare qui uno strano caso di guarigione raggiunta con suggestione ipnotica, in quanto, per vari motivi, esso ha un'efficacia dimostrativa e chiarificatrice insolita rispetto alla maggior parte dei nostri successi terapeutici. Conoscevo da parecchi anni la signora che ebbi occasione di aiutare in un'importantissima circostanza della sua vita, ed in seguito ebbi la possibilità di seguirla ancora per parecchio tempo; il disturbo che poi la suggestione ipnotica eliminò era apparso per la prima volta un po' di tempo prima, e già era stato curato, ma senza un risultato positivo, coll'imposizione alla malata di una rinuncia a cui la seconda volta, con il mio aiuto, potè sottrarsi. L'esito della terapia fu molto positivo per la malata, e restò valido finché essa si sforzò di esercitare la funzione che il disturbo impediva; finalmente si potè, in questo caso, arrivare a dimostrare il meccanismo psichico che era alla base del disturbo, mettendolo a raffronto con processi neuropatici dello stesso tipo. Era, per uscire dall'enigma, il caso di una madre che, prima della suggestione ipnotica, non riusciva ad allattare il proprio bambino; gli avvenimenti relativi ad un figlio che aveva avuto prima e ad un altro che ebbe poi, consentirono di verificare i risultati terapeutici, opportunità che si presenta molto di rado. Questo caso clinico riguarda una giovane donna, tra i venti ed i trent'anni, che conoscevo fin da bambina; per le sue doti, il suo tranquillo equilibrio, la sua spontaneità, nessuno, neanche il suo medico personale, avrebbe potuto considerarla un soggetto nervoso. Ritengo, per le circostanze che ho riferito, che essa possa essere classificata, secondo l'indovinata espressione di Charcot, come un'«isterica occasionale». Com'è noto, appartenere a quella categoria non toglie affatto che si possano avere, nel complesso, ottime qualità ed una salute mentale per il resto eccellenti. Dei membri della sua famiglia conosco la madre, per niente nervosa, ed una sorella minore anch'essa sana; un fratello è stato affetto da una tipica forma di nevrastenia giovanile che gli ha impedito di realizzare le sue aspirazioni. Conosco bene sia le cause sia lo sviluppo di questa malattia, perché parecchie volte, nella mia pratica professionale, ho potuto osservare forme analoghe. Il normale perturbamento sessuale della pubertà, poi le fatiche dell'età scolastica e degli esami, una gonorrea ed immediatamente dopo l'insorgere improvviso di una dispepsia unita ad una tenace stipsi, pressoché incomprensibile, hanno agito su di una costituzione originariamente sana. Qualche mese dopo, una sensazione di pesantezza alla testa, cattivo umore, incapacità di lavorare, presero il posto della stipsi; e, d'allora in poi, si verificarono quelle modificazioni limitative del temperamento e quella tendenza egoistica che rendono il malato una vera disperazione per la famiglia. Non posso sapere con certezza se si possa considerare questa forma di nevrastenia, nei suoi vari aspetti, come ereditaria; non conosco altri parenti della mia cliente, e perciò lascio insoluto il problema se nella sua famiglia ci fosse una tendenza ereditaria alle nevrosi. Quando stava per nascere il primo figlio del suo felice matrimonio, la paziente sembrava intenzionata ad allattare da sé il bambino. Il parto non fu più difficoltoso di quanto generalmente non lo sia nelle donne che hanno il primo figlio in età non più giovanissima. Ma, nonostante fosse di costituzione sana, la puerpera non riuscì ad essere per il bambino una buona nutrice: aveva poco latte, la suzione le provocava dolore, aveva scarso appetito, si manifestò un violento fastidio per i cibi, passava nottate inquiete ed insonni; perciò, per evitare altri rischi alla madre ed al figlio, dopo quindici giorni si rinunciò al tentativo di allattamento e si affidò il bambino ad una nutrice; da allora, tutti i disturbi della madre vennero meno rapidamente. Voglio chiarire che io non fui presente, né come medico, né come diretto testimone, a questo primo tentativo di allattamento. Dopo tre anni nacque un altro bambino, e stavolta il ricorso ad una balia sembrava opportuno anche per altri elementi. I tentativi di allattamento da parte della madre risultavano abbastanza negativi, e si ripresentavano disturbi anche più gravi che nella volta precedente. La giovane donna rigettava qualunque cibo avesse ingerito, quando vedeva che le portavano il cibo a letto si irritava, non riusciva assolutamente a dormire, ed era tanto addolorata per la sua impotenza che tutti e due i medici di famiglia, il dottor Breuer e il dottor Lott, entrambi molto conosciuti nella nostra città, si rifiutarono di continuare i tentativi. Essi si limitarono a consigliare, come ultima possibilità, un tentativo di suggestione ipnotica, e mi fecero chiamare dalla mia conoscente, come medico, la sera del quarto giorno. Essa era a letto, aveva il volto congestionato ed era fuori di sé per la sua incapacità ad allattare il bambino, incapacità che ad ogni tentativo cresceva e che, tuttavia, combatteva con tutte le sue forze. In tutto il giorno non aveva preso niente per calmare il vomito. Aveva l'epigastrio contratto, sensibile alla pressione, palpando si percepiva la peristalsi gastrica, ogni tanto c'erano eruttazioni inodore, la paziente si lamentava di sentire in bocca un cattivo sapore; l'area di risonanza dello stomaco era aumentata considerevolmente. Non venni certo ricevuto a braccia aperte, come un taumaturgo, ma anzi con una palese avversione, e non potevo aspettarmi una gran fiducia. Cercai subito di provocare l'ipnosi con il sistema della fissazione e ricordando ininterrottamente, a parole, gli elementi del sonno. Tre minuti dopo la paziente si addormentò profondamente con sul volto un'espressione tranquilla. Non ricordo se cercai di provocare la catalessi e le altre espressioni di assoluta arrendevolezza. Lottai contro tutte le sue paure, e le sensazioni che erano alla base di queste, servendomi della suggestione. «Non deve temere, lei sarà un'ottima nutrice ed alleverà perfettamente suo figlio. Il suo stomaco è assolutamente calmo, la sua fame aumenta, lei ora ha voglia di mangiare», ecc. Poi la malata continuò a dormire per qualche minuto e, al risveglio, dimostrò di non ricordare nulla. Prima di andar via, dovetti tranquillizzare il marito, che temeva che l'ipnosi potesse danneggiare gravemente i nervi di una donna. La sera dopo seppi qualcosa che mi rassicurava sulla possibilità di successo, e che invece, stranamente, non aveva impressionato granché né la paziente, né i familiari. La sera la donna aveva mangiato senza alcun fastidio, poi si era tranquillamente addormentata, e anche la mattina aveva mangiato e allattato il bambino senza disturbi. Ma il pranzo, molto abbondante, era stato di troppo per lei. Appena questo le fu presentato essa provò nuovamente lo stesso fastidio di prima, il vomito si manifestò prima ancora che assaggiasse qualcosa, e non potè tenere il bambino al seno; quando io arrivai, tutti i sintomi oggettivi si ripresentavano esattamente come la sera prima. Il suo ragionamento, che ora fosse tutto finito, perché essa si era convinta che i disturbi potevano diminuire e venir meno anche per una mezza giornata, non ebbe alcun effetto. Provocai la seconda ipnosi, ed anche questa portò subito al sonnambulismo; stavolta il mio comportamento fu più energico e più deciso. Cinque minuti dopo che io me ne fossi andato, la paziente si sarebbe dovuta rivolgere con una certa irritazione ai parenti: dove avevano messo il cibo? volevano affamarla? come poteva nutrire il bambino se non le davano niente? ecc. La terza sera, al mio arrivo, la donna non volle sottoporsi ad un altro trattamento. Non le occorreva nulla; le era tornato l'appetito, aveva abbondante latte per il bambino ed allattarlo non le presentava più nessuna difficoltà, ecc. Il marito sembrava scarsamente rassicurato in quanto la sera precedente, subito dopo che io me n'ero andato, la donna era rimasta inquieta per parecchio tempo dopo aver mangiato e, cosa mai accaduta prima, aveva rimproverato la madre. Ma da allora tutto era andato benissimo. Perciò non dovetti fare più niente. La donna continuò ad allattare il bambino per otto mesi e, data la nostra amicizia, ebbi più volte occasione di constatare la buona salute della madre e del figlio. Fui solo meravigliato ed irritato dal fatto che, nei nostri discorsi, non si parlasse mai del mio intervento che si era dimostrato estremamente efficace. Ciononostante, un anno più tardi ci fu di nuovo bisogno di me, quando un terzo figlio richiedeva dalla madre cose che neanche stavolta lei poteva dare. Osservai che le condizioni della donna erano le stesse dell'anno prima, e che anche stavolta essa era irritata con se stessa perché non sapeva vincere, con la propria volontà, il disgusto per i cibi e gli altri sintomi. Il primo trattamento ipnotico rese la madre ancora più disperata. Dopo la seconda ipnosi il sintomo scomparve nuovamente del tutto, tanto che non fu necessaria una terza seduta. La donna potè continuare tranquillamente ad allattare questo bambino, che attualmente ha diciotto mesi e gode di una perfetta salute. Finalmente, di fronte a questo nuovo successo, i coniugi abbandonarono il loro riserbo e mi spiegarono la ragione del loro comportamento nei miei confronti. La donna mi confessò che si era vergognata per aver avuto bisogno dell'ipnosi per una cosa che non era riuscita a vincere con la propria volontà. Tutto considerato, suppongo che né lei, né il marito abbiano vinto la loro ostilità per l'ipnosi. A questo punto devo prendere in considerazione il meccanismo del disturbo da cui la suggestione ha liberato la mia paziente. Non dispongo, come per altri casi di cui parlerò altrove, di un'informazione diretta, e devo limitarmi ad avanzare delle ipotesi. Ad alcune rappresentazioni è connesso uno stato affettivo di attesa; queste rappresentazioni possono essere di due tipi; quelle come «io farò questo o quello», cioè i cosiddetti propositi, e quelle come «mi succederà questo o quello», cioè vere e proprie aspettative. Lo stato affettivo che vi è collegato è condizionato da due elementi: anzitutto, dall'importanza che io attribuisco al fatto; poi dal grado di insicurezza connesso all'attesa. L'incertezza soggettiva, la contro-aspettativa, risulta da un complesso di rappresentazioni che possiamo chiamare «dolorose rappresentazioni di contrasto». Queste rappresentazioni di contrasto, nel caso dei propositi, possono essere espresse in questo modo: non riuscirò a realizzare il mio proposito, perché questa o quell'altra cosa è troppo difficile per me, ed io mi sento impotente; inoltre so che, in queste circostanze, anche altre determinate persone non riuscirebbero. L'altro caso, il caso dell'attesa, è chiarissimo: la contro-aspettativa si basa sulla considerazione di tutte le altre possibilità che mi si possono presentare prima che io arrivi a quella che desidero. L'esame più approfondito di questo caso ci introduce nella sfera delle fobie, che rivestono così grande importanza nella sintomatologia delle nevrosi. Fermiamoci al primo tipo, quello dei propositi. Qual è il comportamento della normale attività rappresentativa di fronte alle rappresentazioni di contrasto contro il proposito? Essa le soffoca e le inibisce meglio che può, il che corrisponde all'assoluta fiducia in sé tipica dello stato di salute; inoltre essa le tiene fuori dall'associazione, e vi riesce al punto che in genere la stessa esistenza della rappresentazione di contrasto opposta al proposito scompare, e solo con la considerazione delle nevrosi diviene verosimile. Invece, nelle nevrosi, ed io non parlo solo dell'isteria, ma dello status nervosus in genere, c'è in via primaria una tendenza al cattivo umore, alla diminuzione della fiducia in se stessi che, come sintomo estremamente importante, ritroviamo nella melancolia. Bene, nelle nevrosi sono considerate molto importanti anche le rappresentazioni di contrasto nei confronti del proposito, probabilmente perché il loro contenuto si adatta bene allo stato d'animo, o forse perché delle rappresentazioni di contrasto che forse non si sarebbero presentate, si formano sulla base delle nevrosi. Nel semplice status nervosus questo intensificarsi delle rappresentazioni di contrasto è connesso all'attesa, nel senso di stato d'animo pessimistico in generale; nella nevrastenia dà luogo alle varie fobie del nevrastenico, collegandosi a sensazioni assolutamente accidentali. Trasferendosi sul proposito, questo elemento dà luogo ai disturbi compresi sotto la denominazione di folie du doute e che hanno per contenuto la sfiducia dell'individuo nelle proprie azioni. In questo punto le due grandi nevrosi, nevrastenia ed isteria, hanno un comportamento tipicamente diverso. Nella nevrastenia, si connette con un atto di coscienza la rappresentazione di contrasto, fortemente intensificata, alla rappresentazione della volontà; essa si sottrae a quest'ultima dando luogo alla singolare ipobulia del nevrastenico, che ne è consapevole. Nell'isteria il processo è diverso in due punti, o forse in uno soltanto. Dato che nell'isteria sussiste una tendenza alla dissociazione della coscienza, si porta la dolorosa rappresentazione di contrasto, apparentemente inibita, fuori dall'associazione, insieme al proposito, ed allora, spesso in modo inconscio per lo stesso malato, rimane come rappresentazione isolata. Bene, il fatto che per questa rappresentazione di contrasto, che quando si tratta di realizzare il proposito è inibita, sia possibile obiettivarsi sul piano dell'innervazione corporea, proprio come negli stati normali avviene per la rappresentazione della volontà, è decisamente una caratteristica isterica. La rappresentazione di contrasto viene così a costituire, potremmo dire, una «controvolontà», ed il malato è consapevole, con meraviglia, di una volontà decisa ma senza forze. Come abbiamo detto, è probabile che i due momenti si riducano ad uno solo, perché l'oggettivazione della rappresentazione di contrasto è possibile solo in quanto essa non viene inibita dal nesso col proposito, come invece inibisce quest'ultimo1. Nel caso che abbiamo considerato, una madre che non può allattare per difficoltà nervose, se fosse stata nevrastenica si sarebbe comportata in questo modo: si sarebbe consapevolmente spaventata per le funzioni cui doveva adempiere, avrebbe esasperatamente temuti i possibili rischi, ma, nonostante ciò, dopo molte incertezze, dopo molti dubbi e timori, avrebbe portato a termine l'allattamento senza difficoltà; oppure, nel caso fosse prevalsa la rappresentazione di contrasto, e non avendo fiducia in se stessa, lo avrebbe interrotto. L'isterica agisce in modo diverso; probabilmente non si rende conto del suo stesso timore, è decisa ad allattare e vi si accinge senza dubbio. Ma a questo punto agisce come se assolutamente non volesse allattare il bambino; e questa volontà provoca in lei tutti i sintomi oggettivi che una simulatrice fingerebbe per evitare il compito di allattare, cioè l'inappetenza, il disgusto per il cibo, la sofferenza al momento della suzione, ed inoltre vari sintomi oggettivi a carico del tratto digerente che invece la simulazione non può provocare, in quanto la controvolontà ha sul corpo un'azione più efficace che non la simulazione cosciente. In questo caso, invece della debolezza della volontà della nevrastenica, c'è una degenerazione della volontà, ed invece di una rassegnata indecisione, c'è meraviglia e sconforto per il conflitto che la malata non riesce a comprendere. Ritengo perciò di poter definire la mia paziente come una «isterica occasionale» in quanto, influenzata da una causa occasionale, era in grado di produrre una sindrome il cui meccanismo è così caratteristicamente isterico. In questo caso, si può considerare come occasionale l'eccitazione precedente al primo parto e l'esaurimento che lo seguì, perché il primo parto è appunto il trauma più violento cui è esposto l'organismo della donna, ed in seguito al quale essa tende a manifestare tutti i sintomi nevrotici latenti nella sua costituzione. Il caso di questa malata può essere considerato come esemplificativo e chiarificatore per quanto riguarda tutti quei casi in cui influenze nervose impediscono l'allattamento, o funzioni d'altro tipo. Dato che ho parlato solo di sfuggita del meccanismo psichico del caso che ho esposto, mi affretto ad assicurare che spesso, durante il trattamento ipnotico, sono riuscito ad individuare per i sintomi isterici un meccanismo psichico analogo2. Qui esporrò solo uno degli esempi più significativi. Curavo da anni una signora isterica dotata di una forte volontà per tutto ciò che non subiva l'influsso della sua malattia, ma oppressa da varie e gravi limitazioni e incapacità di carattere isterico. Tra l'altro, questa signora attirava l'attenzione per uno strano rumore, una specie di tic, che s'intrometteva nei suoi discorsi e che si potrebbe descrivere come uno speciale schiocco della lingua con improvvisa apertura delle labbra convulsamente serrate. Finalmente, dopo averla ascoltata per varie settimane, chiesi da quanto tempo ed in quali circostanze si fosse manifestato quel disturbo. Essa rispose: «Non potrei dire esattamente da quando, ma certamente da parecchio tempo». Pensai si trattasse di un tic, finché non mi venne in mente di chiedere la stessa cosa alla malata in stato di ipnosi profonda. Durante l'ipnosi, e senza bisogno di alcun suggerimento, la malata fu in grado di ricordare tutto, potrei dire che potè disporre della pienezza della sua coscienza, limitata, invece, nello stato di veglia. Rispose subito: «Il mio bambino più piccolo era tanto malato... la sera, finalmente, dopo aver avuto convulsioni per tutto il giorno si addormentò; mentre me ne stavo seduta vicino al letto, riflettevo: ora tu devi stare zitta per non svegliarlo, allora... per la prima volta schioccai la lingua. Poi la cosa scomparve, ma qualche anno dopo, mentre viaggiavo di notte per la foresta di*, si scatenò un violento temporale, ed un fulmine colpì un albero proprio davanti a noi, lungo la strada, ed il cocchiere fu costretto a fermare i cavalli; io pensai: ora non devi gridare, altrimenti i cavalli si spaventeranno; in quel momento il disturbo riapparve e da allora mi è rimasto». Potei dunque convincermi che quel suono provocato con la lingua non era propriamente un tic perché, una volta scoperta la sua origine, esso scomparve, e così fu per anni, finché mi fu possibile seguire la paziente. Ma proprio in questa occasione ebbi per la prima volta la possibilità di capire come i sintomi isterici si formino mediante l'oggettivazione di una dolorosa rappresentazione di contrasto, cioè mediante una controvolontà. La madre, sfinita dalla paura e dalle cure del bimbo malato, si propone di non emettere alcun suono per non svegliare il bambino che finalmente dorme. In questa condizione di sovraffaticamento la concomitante rappresentazione di contrasto, cioè che essa, nonostante tutto, lo farà, ha la prevalenza, arriva all'innervazione della lingua che forse la donna, nel proposito di rimanere in silenzio, aveva dimenticato di inibire, ed esce dalla fessura delle labbra provocando un rumore che d'allora, soprattutto per il ripetersi di un episodio analogo, resterà fissato per parecchi anni. Non comprenderemo esattamente questo processo finché non avremo ribattuto una precisa obiezione. Infatti ci si potrebbe chiedere perché proprio la rappresentazione di contrasto abbia avuto il sopravvento, in un comune esaurimento che costituisce la disposizione a processi di questo genere. Penso si possa rispondere formulando l'ipotesi che questo esaurimento sia solo parziale. Cioè, sono esauriti gli elementi del sistema nervoso che costituiscono le basi materiali delle rappresentazioni connesse alla coscienza primaria; non sono invece esaurite le rappresentazioni che restano fuori da questa catena associativa — dell'Io normale -, cioè le rappresentazioni inibite, represse, e perciò, nel momento della disposizione isterica, esse hanno la prevalenza. Ma chiunque abbia una certa esperienza dell'isteria osserverà che il meccanismo psichico che ora ho illustrato è in grado di spiegare non solo singole, sporadiche crisi isteriche, ma una parte notevole della sintomatologia isterica, ed alcuni suoi aspetti caratteristici più interessanti. Se consideriamo assodato il presupposto che, nel momento della disposizione isterica, proprio le dolorose rappresentazioni di contrasto, represse ed inibite dalla coscienza morale, hanno avuto il sopravvento, per mezzo dell'innervazione corporea, allora siamo anche in grado di capire le caratteristiche degli attacchi isterici deliranti. Non è un caso che, nelle epidemie medievali, gli attacchi isterici delle monache consistessero in gravi bestemmie ed in uno sfrenato erotismo, e non è un caso che, come osserva Charcot, ragazzi per bene, educati, abbiano attacchi isterici in cui si realizza senza alcuna difficoltà ogni bricconata e sgarberia. Quando il soggetto è in preda ad un esaurimento isterico, sono proprio tutte le varie rappresentazioni inibite, ed inibite a fatica, che vengono convertite in azione, per una specie di controvolontà. Forse in certi casi il legame è più stretto, perché l'attacco isterico si verifica proprio a causa della penosa inibizione; e, d'altronde, gli aspetti psicologici dell'attacco isterico qui non sono ancora stati presi in considerazione. Qui devo limitarmi a cercare di spiegare per quali motivi, in presenza di quella disposizione isterica, i sintomi si manifestano nel modo in cui effettivamente ci appaiono. Di solito, è per questo imporsi della controvolontà che l'isteria presenta quell'aspetto diabolico che tanto spesso l'accompagna e che è costituito dal fatto che ai malati è precluso proprio ciò che essi desidererebbero più intensamente, e nel modo che vorrebbero, e che devono calpestare ed oltraggiare proprio ciò che è loro più caro. Chi ha una certa conoscenza degli isterici sa che la perversione temperamentale dell'isteria, il desiderio di fare ciò che è male, di dover essere malati mentre si desiderava ardentemente essere sani, tutte queste coazioni, colpiscono assai spesso i caratteri più normali, che siano rimasti per un certo tempo senza protezione di fronte alle loro rappresentazioni di contrasto. Riguardo alla vita rappresentativa normale sembra assurdo sapere cosa ne sarà dei propositi inibiti. La risposta potrebbe essere che essi, appunto, non vengono più attuati. Ma dallo studio dell'isteria risulta che, nonostante tutto, essi hanno un'attuazione, cioè vengono messi da parte e conservano un'insospettata esistenza in una specie di zona d'ombra, finché non riemergono come folletti impossessandosi del corpo, che altrimenti si conforma alla prevalente coscienza dell'Io. Poco fa ho affermato che si tratta di un meccanismo caratteristico dell'isteria, ma devo aggiungere che non la riguarda in modo esclusivo. Lo si può ritrovare, in modo sorprendente, nel tic convulsivo, una nevrosi che, dal punto di vjsta dei sintomi, presenta parecchie analogie con l'isteria, per cui, nel complesso, può apparire come una manifestazione parziale dell'isteria, tanto che Charcot, se non ho del tutto frainteso quanto egli dice su questo punto, riuscì, dopo una lunga ricerca, a rilevare una sola differenza, cioè che il tic isterico può essere eliminato, ed invece il tic vero e proprio persiste. Com'è noto, abbiamo il quadro di un grave tic convulsivo in movimenti involontari che spesso, sempre secondo Charcot e Guinon, hanno carattere di smorfia o di atti che in origine avevano una qualche utilità, da coprolalia, ecolalia, e da rappresentazioni coatte del gruppo della folie du doute. Bene, siamo sorpresi nell'apprendere che Guinon, quantunque ometta di approfondire il meccanismo psichico di questo sintomo, racconti che in certi suoi pazienti le contrazioni e le smorfie si erano manifestate attraverso l'oggettivazione di rappresentazioni di contrasto. Questi malati dicevano che, in una certa occasione, avevano visto un tic del genere, o avevano visto un comico che di proposito alterava in quel modo la propria espressione, e che perciò avevano temuto di dover riprodurre quegli orrendi gesti. E realmente, da quel momento, essi avevano cominciato a riprodurli. Naturalmente, solo una piccola parte dei movimenti involontari dei soggetti afflitti da tic si manifesta in questo modo. Invece, si potrebbe provare la tentazione di riferire questo meccanismo d'insorgenza alla coprolalia, termine che, com'è noto, sta ad indicare la pronuncia involontaria, o, per meglio dire, non voluta, di parole oscene da parte delle persone afflitte da tic. L'origine della coprolalia consisterebbe nell'impressione, che il malato prova, di non riuscire ad evitare di emettere certi suoni, in genere un «hm, hm». A ciò si aggiungerebbe in seguito il timore di perdere il controllo anche di altri suoni, soprattutto delle parole che una persona per bene non deve assolutamente pronunciare; e da questo timore deriverebbe l'attuazione di quanto è temuto. Nelle anamnesi riferite da Guinon non trovo nessun elemento che possa confermare questa ipotesi, ed a me non è mai capitato di parlare con un paziente coprolalico. Nello stesso autore trovo invece la notizia di un altro caso di tic veramente eccezionale, perché la parola pronunciata involontariamente non fa parte del patrimonio verbale della coprolalia. Il caso riguarda un individuo adulto, che non poteva far a meno di uscirsene nell'esclamazione: «Maria!». Da studente, egli si era innamorato di una ragazza che aveva questo nome, che lo aveva colpito in modo particolare, presumibilmente creando in lui una disposizione alla nevrosi. Da allora, egli aveva cominciato a pronunciare ad alta voce, nelle ore di scuola, il nome della fanciulla amata, e questo nome era rimasto in lui come un tic, anche dopo che il rapporto sentimentale era cessato da un tempo equivalente alla metà di una vita umana. Ritengo improbabile che tutto ciò si sia svolto in modo diverso da questo: l'intenso sforzo di mantenere segreto quel nome in un momento di speciale eccitazione si era trasformato proprio in controvolontà, e, da allora, era rimasto il tic, proprio come è successo per la mia seconda malata. Se l'interpretazione del caso esemplificato è esatta, si prova la tentazione di imputare allo stesso meccanismo il tic coprolalico vero e proprio, perché le parole oscene sono segreti noti a tutti, ma la cui conoscenza tendiamo sempre a tener nascosta di fronte agli altri3. Note1 Fra la compilazione di queste righe e la correzione delle bozze mi è giunto uno scritto di H. Kaan, Der neurasthenische Angstaffekt bei Zwangsvorslellungen und der primordiale Griibelzwang (Vienna 1893) in cui sono espresse considerazioni analoghe. 2 Cfr. la contemporanea Comunicazione preliminare di J. Breuer e // meccanismo psichico dei fenomeni isterici di S. Freud [trad. it. in Nevrosi e psicosi, «PS, 172», 1985'', Roma, Newton Compton editori). 3 Dico solo che sarebbe utile studiare, anche al di fuori dell'ambito dell'isteria e del tic, l'oggettivarsi della controvolontà, tanto frequente anche nell'ambito del normale. |