BREVE  COMPENDIO  DI  PSICOANALISI

1923

1.

La psicoanalisi è nata per così dire con il ventesimo secolo; la pubblicazione con cui si presenta al mondo come qualcosa di nuovo, la mia Interpretazione dei sogni, porta la data 1900. Ovviamente, però, la psicoanalisi non è balzata fuori dalla roccia, né è caduta dal cielo; essa si allaccia a cose precedenti che porta avanti, nasce da spunti che elabora. Perciò la sua storia deve iniziare con la descrizione degli influssi che furono determinanti per la sua origine, né può dimenticare i tempi e le condizioni che hanno preceduto il suo avvento.

La psicoanalisi è cresciuta su un terreno strettamente delimitato. Originariamente il suo unico scopo era quello di comprendere qualcosa della natura delle malattie nervose cosiddette "funzionali", al fine di superare l'impotenza che fino a quel momento avevano dimostrato i medici nel curarle. I neurologi di quel tempo erano stati educati ad attribuire grande valore ai fatti chimico-fisici e patologico-anatomici, e finirono per trovarsi sotto l'impressione delle scoperte di Hitzig e Fritsch, Ferrier, Goltz e altri, le quali paiono dimostrare una connessione intima, forse esclusiva, tra certe funzioni e determinate parti del cervello. Dell'elemento psichico non sapevano che farsene, non riuscivano a comprenderlo; lo abbandonarono così ai filosofi, ai mistici e... ai ciarlatani, reputando non scientifico l'occuparsene; per conseguenza non esisteva alcun accesso ai segreti delle nevrosi, principalmente a quelli dell'enigmatica "isteria", che costituisce in effetti il prototipo dell'intera specie. Ancora nel 1885, quando frequentai i corsi alla Salpètrière, appresi che per le paralisi isteriche ci si accontentava della formula che esse sono causate da leggeri disturbi funzionali di quelle medesime parti del cervello che, gravemente lese, causerebbero una paralisi organica corrispondente.

Di questa insufficiente comprensione soffrì, com'è ovvio, anche la terapia di questi stati morbosi. Essa consisteva in misure genericamente "ricostituenti", nel somministrare medicine e in tentativi spesso assai inopportuni e scortesi di influenzare psichicamente il paziente mediante intimidazioni, derisioni, esortazioni a valersi della propria volontà, o a "controllarsi". Terapia specifica degli stati nervosi fu dichiarato il trattamento elettrico, ma chi ne intraprendeva l'esecuzione in base alle dettagliate prescrizioni di Erb, aveva di che stupirsi circa lo spazio lasciato alla fantasia anche nell'ambito di una scienza che si professava esatta. La svolta decisiva si verificò quando negli anni ottanta i fenomeni dell'ipnotismo rinnovarono la loro pretesa di entrare a far parte della scienza medica, ma questa volta con maggior successo che le molte volte precedenti, grazie al lavoro di Liébeault, Bernheim, Heidenhain e Forel. Si trattava innanzitutto di riconoscere l'autenticità di questi fenomeni. Ammesso questo, si dovettero trarre dall'ipnotismo due conclusioni teoriche fondamentali e indimenticabili. Innanzitutto ci si persuase che alcune vistose trasformazioni del corpo non erano altro che il risultato di influssi psichici, in questo caso messi in azione personalmente; in secondo luogo, specialmente dal comportamento dei soggetti dopo l'ipnosi, si trasse la chiarissima impressione dell'esistenza di processi psichici che potevano soltanto essere chiamati "inconsci". È vero che l'"inconscio" come concetto teorico già da tempo costituiva materia di discussioni fra i filosofi, ma nei fenomeni dell'ipnotismo esso divenne per la prima volta corporeo, tangibile e oggetto di esperimento. A ciò si aggiungeva che i fenomeni ipnotici rivelavano un'inconfondibile rassomiglianza con le manifestazioni di alcune nevrosi.

Non è facile sopravvalutare l'importanza dell'ipnotismo per la genesi della psicoanalisi. Sia dal punto di vista teorico sia da quello terapeutico la psicoanalisi amministra un'eredità che le è stata affidata dall'ipnotismo.

L'ipnosi si rivelò inoltre un prezioso ausilio per lo studio delle nevrosi, ancora una volta in primo luogo dell'isteria. Grande impressione fecero gli esperimenti di Charcot. Supponendo che certe paralisi subentrate dopo un trauma (incidente) fossero di natura isterica, egli riuscì a produrre artificialmente paralisi dello stesso tipo mediante la suggestione di un trauma durante l'ipnosi. Ci si attese da quel momento in poi che in ogni caso gli influssi traumatici potessero concorrere alla genesi dei sintomi isterici. Charcot stesso non si adoperò ulteriormente per una comprensione psicologica della nevrosi isterica, ma il suo scolaro Pierre Janet riprese questi studi e riuscì a dimostrare con l'aiuto dell'ipnosi che le manifestazioni morbose dell'isteria stanno in un rapporto di stretta dipendenza con certi pensieri inconsci (idées fixes). Janet attribuì all'isteria un'incapacità costituzionale a tener coesi i processi psichici, da cui scaturirebbe, a suo parere, una disgregazione (dissociazione) della vita psichica.

La psicoanalisi, però, non si rifece affatto a queste indagini di Janet. Per essa fu determinante l'esperienza di un medico viennese, Josef Breuer, che indipendentemente da influssi stranieri intorno al 1881 studiò e guarì con l'aiuto dell'ipnosi una fanciulla altamente dotata che soffriva d'isteria. I risultati di Breuer furono comunicati al pubblico soltanto quindici anni più tardi, dopo che egli ebbe accettato come collaboratore l'autore di questo scritto (Freud). Il caso da lui trattato ha conservato fino ad oggi il suo singolare significato per la nostra comprensione delle nevrosi, per cui è indispensabile soffermarvisi. È necessario capire chiaramente in che cosa consistesse la peculiarità del caso di Breuer. La fanciulla si era ammalata mentre curava il padre che amava teneramente. Breuer potè dimostrare che tutti i suoi sintomi avevano a che fare con questa assistenza al capezzale del padre e in essa trovavano il loro chiarimento. Per la prima volta, dunque, un caso dell'enigmatica nevrosi era stato interamente penetrato e tutte le manifestazioni morbose si erano rivelate dotate di senso. Inoltre, i sintomi erano universalmente caratterizzati dal fatto di esser sorti in situazioni implicanti un impulso all'azione che non era stato mandato ad effetto, bensì era stato represso per altri motivi. In luogo di queste azioni omesse erano comparsi, appunto, i sintomi. Per l'etiologia dei sintomi isterici si era perciò rinviati alla vita emotiva (affettività) nonché al giuoco delle forze psichiche (dinamismo): entrambi questi punti di vista da allora in poi non sono mai più stati abbandonati.

I motivi occasionali dell'insorgere dei sintomi furono da Breuer equiparati ai traumi di Charcot. Degno di nota era che queste occasioni traumatiche e tutti gli impulsi psichici che ad esse si riallacciavano fossero perduti per la memoria dei malati, quasi non fossero mai esistiti, mentre i loro effetti, i sintomi appunto, sussistevano invariati, come se il tempo non avesse il potere di intaccarli. Questa era dunque una nuova dimostrazione dell'esistenza di processi psichici inconsci ma proprio perciò particolarmente potenti, processi che per la prima volta erano stati riscontrati nelle suggestioni postipnotiche. La terapia usata da Breuer consisteva nel sollecitare la malata, trasposta in ipnosi, a ricordare i traumi dimenticati e a reagire ad essi con forti manifestazioni affettive. Scompariva allora il sintomo che fino a quel momento aveva tenuto il posto di tali manifestazioni affettive. Il medesimo procedimento serviva quindi al tempo stesso sia all'indagine sia alla eliminazione del disturbo e anche quest'inconsueta combinazione fu mantenuta dalla successiva psicoanalisi.

Dopo che lo scrivente, nei primi anni novanta, ebbe confermato i risultati di Breuer su un maggior numero di malati, ambedue, Breuer e Freud, si decisero a pubblicare le loro esperienze e il tentativo di una teoria su di esse fondata (Studi sull'isteria, 1895). Quest'ultima sosteneva che il sintomo isterico nasce quando l'affetto di un processo psichico affettivamente fortemente investito viene deviato dalla normale elaborazione cosciente e perciò indirizzato su una falsa strada. Nel caso dell'isteria esso trapasserebbe in un'insolita innervazione somatica (conversione); ma, rinfrescando in ipnosi l'esperienza che lo ha provato, lo si potrebbe indirizzare diversamente e liquidare (abreagire). Gli autori chiamarono il loro procedimento catarsi (purificazione, liberazione dall'affetto incapsulato).

Il metodo catartico è l'immediato precursore della psicoanalisi; e, nonostante tutti gli ampliamenti dell'esperienza e le modificazioni della teoria, ne costituisce tuttora il nucleo. Questo metodo non era altro che una nuova via per incidere con la medicina su certe malattie nervose; e niente faceva presagire che sarebbe divenuto oggetto dell'interesse più generale e delle contestazioni più accanite.

2.

Poco dopo la pubblicazione degli Studi sull'isteria la collaborazione tra Breuer e Freud s'interruppe. Breuer, che in realtà era un internista, rinunciò al trattamento dei malati di nervi, mentre Freud cercò di perfezionare lo strumento lasciatogli dal collega più anziano; le innovazioni tecniche che introdusse e le scoperte che fece trasformarono il procedimento catartico nella psicoanalisi. Il passo più ricco di conseguenze fu certamente la decisione a rinunciare all'ausilio tecnico dell'ipnosi. Lo fece per due motivi; innanzitutto perché, nonostante avesse frequentato un corso d'insegnamento presso Bern-heim a Nancy, non riusciva a trasporre in ipnosi un numero sufficiente di pazienti, e, in secondo luogo, perché non era soddisfatto dei risultati terapeutici della catarsi fondata sulla ipnosi. Questi risultati erano certamente assai vistosi e si manifestavano dopo un breve periodo di trattamento, ma si rivelarono non duraturi ed eccessivamente dipendenti dal rapporto personale del paziente con il medico. La rinuncia all'ipnosi equivalse a una rottura con lo sviluppo precedente del suo metodo e a un nuovo inizio.

L'ipnosi era  tuttavia  servita  a  ricondurre  al  ricordo cosciente del malato ciò che egli aveva dimenticato. Bisognava sostituirla con un'altra tecnica. Freud pensò allora di usare al suo posto il metodo delle associazioni libere, ovvero egli chiese ai malati l'impegno di rinunciare ad ogni riflessione cosciente e di abbandonarsi con tranquilla concentrazione alle proprie idee spontanee, non volontarie, nell'ordine in cui esse si presentavano ("a tastare la superficie della loro coscienza"). I malati erano tenuti a comunicare queste idee improvvise al medico anche se avvertivano in sé delle obiezioni a farlo, come ad esempio quella che un certo pensiero era troppo sgradevole, troppo insensato, o troppo irrilevante o non pertinente. La scelta delle associazioni libere come mezzo per l'indagine del materiale inconscio dimenticato appare tanto sconcertante che una parola in sua giustificazione non sarà superflua. Nel fare questa scelta Freud era guidato dall'aspettativa che le cosiddette associazioni libere in realtà si sarebbero rivelate non libere, giacché una volta repressi tutti i propositi intellettuali coscienti, sarebbe risultato chiaramente che ciò che determina le idee improvvise è il materiale inconscio. L'esperienza dimostrò che questa aspettativa era legittima. L'applicazione delle associazioni libere, secondo la sopra indicata "regola analitica fondamentale", offriva un ricco materiale d'idee improvvise che poteva condurre sulle tracce di ciò che il malato aveva dimenticato. È vero che questo materiale non metteva in luce ciò che propriamente era stato dimenticato, ma vi alludeva in modo talmente cospicuo e trasparente che il medico, aggiungendo qualcosa e interpretando, riusciva a ricavarne (a ricostruire) ciò che era stato dimenticato. Con le associazioni libere e con l'arte dell'interpretazione si conseguivano dunque ormai i medesimi risultati che in passaton erano stati ottenuti trasponendo i malati in ipnosi.

Il lavoro era apparentemente diventato assai più pesante e complicato: tuttavia, il poter penetrare un giuoco di forze che a causa dello stato ipnotico si era sempre celato all'osservatore era una conquista di valore inestimabile. Si comprese che il lavoro diretto a scoprire il materiale patogeno dimenticato doveva lottare contro una persistente e intensissima resistenza. Le stesse obiezioni critiche con cui il paziente aveva voluto escludere dalla comunicazione le idee improvvise affiorate in lui, obiezioni contro cui si dirigeva la regola analitica fondamentale, erano state espressioni di questa resistenza. L'apprezzamento dei fenomeni della resistenza gettò una delle pietre miliari della dottrina psicoanalitica delle nevrosi, la teoria della rimozione. Era infatti oltremodo presumibile che le stesse forze che attualmente lottavano affinché il malato non prendesse coscienza del materiale patogeno, avessero in passato compiuto con successo questo stesso tentativo. In tal modo una lacuna nell'etio-logia dei sintomi nevrotici era stata colmata. Le impressioni e gli impulsi psichici, di cui i sintomi fungevano ora da sostituti, non erano stati dimenticati senza motivo o in seguito a un'incapacità costituzionale alla sintesi, come riteneva Janet, ma per l'influsso di altre forze psichiche avevano invece subito una rimozione, il cui esito e contrassegno era appunto il fatto che essi erano tenuti fuori dalla coscienza ed esclusi dalla memoria. Soltanto in seguito a questa rimozione erano divenuti patogeni, ossia si erano procurati un'espressione per vie insolite sotto forma di sintomi.

Motivo della rimozione e quindi causa di ogni malattia nevrotica doveva esser considerato il conflitto tra due gruppi di aspirazioni psichiche. Ora l'esperienza insegnò un dato di fatto del tutto nuovo e sorprendente sulla natura delle forze in lotta tra loro. La rimozione promanava invariabilmente dalla personalità cosciente (dall'Io) del malato e si appellava a motivi etici ed estetici; colpiti dalla rimozione erano quegli impulsi all'egoismo e alla crudeltà che genericamente possiamo chiamare malvagi, ma soprattutto lo erano gli impulsi di desiderio sessuale, sovente del tipo più sfacciato e proibito. I sintomi morbosi erano dunque un sostituto di soddisfacimenti proibiti, e la malattia parve corrispondere a un imperfetto dominio sugli aspetti immorali della natura umana.

Il progresso della conoscenza rese sempre più evidente la parte grandissima che spetta agli impulsi di desiderio sessuale nella vita psichica, e indusse ad approfondire l'indagine sulla natura e lo sviluppo della pulsione sessuale. Va detto però che ci imbattemmo anche in un altro risultato, meramente empirico, quando scoprimmo che le esperienze e i conflitti dei primi anni dell'infanzia hanno una parte la cui importanza non avremmo sospettato nello sviluppo dell'individuo e lasciano dietro di sé disposizioni incancellabili per il periodo della maturità. Giungemmo così a scoprire qualcosa che fino ad allora la scienza aveva per principio trascurato: la sessualità infantile, la quale sin dalla più tenera età si manifesta in reazioni del corpo nonché in orientamenti psichici. Per mettere d'accordo questa sessualità infantile con quella cosiddetta normale degli adulti e con la vita sessuale anormale dei perversi, il concetto stesso di sessualità dovette subire una precisazione e un ampliamento giustificati dalla storia evolutiva della pulsione sessuale.

Da quando l'ipnosi era stata sostituita dalla tecnica delle associazioni libere, il procedimento catartico di Breuer si era trasformato nella psicoanalisi, che per oltre un decennio fu sviluppata dal solo scrivente (Freud). Durante questo periodo la psicoanalisi giunse gradualmente in possesso di una teoria che parve dare sufficienti informazioni sulla genesi, il senso e l'intenzione dei sintomi nevrotici e fornì un fondamento razionale ai tentativi dei medici di eliminare la sofferenza. Voglio riepilogare ancora una volta gli elementi che costituiscono il contenuto di questa storia. Essi sono: l'accentuazione della vita pul-sionale (affettività), della dinamica psichica, dell'assoluta significatività e determinazione persino dei fenomeni psichici apparentemente più oscuri e arbitrari, la teoria del conflitto psichico e della natura patogena della rimozione, la concezione dei sintomi morbosi come appagamenti sostitutivi, il riconoscimento del significato etio-logico della vita sessuale, particolarmente dei suoi inizi che risalgono alla sessualità infantile. Dal punto di vista filosofico, questa teoria dovette assumere la posizione seguente: che lo psichico non coincide con il cosciente, che i processi psichici sono di per sé stessi inconsci, e che soltanto attraverso la prestazione di particolari organi (istanze, sistemi) vengono resi coscienti. Aggiungo, per completare quest'enumerazione, che tra gli orientamenti affettivi dell'infanzia fu messa in risalto la complicata relazione emotiva verso i genitori, il cosiddetto complesso edipico, in cui sempre più chiaramente si riconobbe il nucleo di ogni singolo caso di nevrosi; e infine che nel comportamento dell'analizzato nei confronti del medico si notarono certi fenomeni di traslazione affettiva che assunsero un'importanza ugualmente grande per la teoria e per la tecnica.

La teoria psicoanalitica delle nevrosi già in questo stadio del suo sviluppo conteneva alcuni elementi che si ponevano in contrasto con opinioni e inclinazioni dominanti e che potevano provocare lo sconcerto, il rifiuto e l'incredulità degli osservatori esterni: tali erano la sua posizione sul problema dell'inconscio, il riconoscimento di una sessualità infantile e l'accentuazione del fattore sessuale nella vita psichica in genere; ma altri elementi si sarebbero aggiunti a questi.

3.

Per comprendere alla meglio come in una fanciulla isterica un desiderio sessuale proibito possa tradursi in un sintomo doloroso, avevamo dovuto fare ipotesi approfondite e intricate circa la struttura e la prestazione dell'apparato psichico. C'era qui una palese sproporzione tra impegno e risultato. Se esistevano realmente i rapporti affermati dalla psicoanalisi, essi erano di natura fondamentale e dovevano potersi esprimere anche in fenomeni diversi da quelli isterici. Ma se questa conclusione era corretta, la psicoanalisi avrebbe cessato di essere interessante soltanto per i neurologi; in tal caso poteva pretendere l'attenzione di tutti coloro che s'interessano all'indagine psicologica. I suoi risultati non sarebbero stati validi soltanto nell'ambito della vita psichica patologica, e anzi non sarebbe stato lecito trascurarli neppure per la comprensione della funzione normale.

La dimostrazione di poter essere usata per chiarire attività psichiche diverse da quelle morbose la psicoanalisi riuscì a darla in relazione a due tipi di fenomeni: i tanto frequenti atti mancati quotidiani, dimenticanze, lapsus, sbadataggini eccetera, e i sogni di persone sane e psichicamente normali. I piccoli atti mancati, come la dimenticanza temporanea di nomi propri solitamente noti, il lapsus verbale, quello di scrittura e simili non erano stati fino ad allora degnati affatto di spiegazione oppure avevano dovuto trovare il loro chiarimento in stati di affaticamento, di deviazione dell'attenzione, e così via. Nella sua Psicopatologia della vita quotidiana (1901) lo scrivente dimostrò in base a numerosi esempi che questo tipo di eventi hanno senso e traggono origine dalla perturbazione di un'intenzione cosciente ad opera di un'altra intenzione, repressa, spesso direttamente inconscia. Perlopiù basta una rapida concentrazione 0 una breve analisi per rintracciare l'influsso perturbante. Data la frequenza di questi atti mancati, del lapsus verbale per esempio, è facile per ognuno convincersi sulla propria persona dell'esistenza di processi psichici non coscienti, che tuttavia sono capaci di incidere e si manifestano quanto meno sotto forma di inibizioni e modificazioni di altri atti di natura intenzionale. Più oltre condusse l'analisi dei sogni, che lo scrivente già nel 1900 presentò al pubblico nella sua Interpretazione dei sogni. Ne risultava che il sogno non è costruito diversamente da un sintomo nevrotico. Come quest'ultimo esso può sembrare peregrino e privo di senso; ma quando lo si esamini mediante una tecnica che poco differisce dalle associazioni libere applicate nella psicoanalisi, dal contenuto manifesto del sogno si giunge a un suo senso recondito, ai pensieri onirici latenti. Questo senso latente è sempre e in ogni caso un moto di desiderio raffigurato come appagato nel presente. Ma eccetto che nei bambini piccoli o quando ci si trova sotto la pressione di necessità fisiche impellenti, questo desiderio segreto non può mai venire pronunciato in maniera intelligibile. Deve prima subire una deformazione, la quale è opera delle forze restrittive e censuranti che albergano nell'Io del sognatore. Nasce così il sogno manifesto quale viene ricordato nello stato vigile, deformato fino all'irriconoscibilità per le concessioni fatte alla censura onirica; esso può tuttavia essere smascherato dall'analisi come espressione di una situazione di soddisfacimento o come l'appagamento di un desiderio, compromesso tra due gruppi di aspirazioni psichiche in lotta tra di loro, esattamente come abbiamo visto accadere per il sintomo isterico. La formula che il sogno è un appagamento (camuffato) di un desiderio (rimosso), coglie in fondo meglio di ogni altra l'essenza del sogno. Attraverso lo studio di quel processo (lavoro onirico) che trasforma il desiderio onirico latente nel contenuto onirico manifesto, abbiamo appreso quanto di meglio sappiamo sulla vita psichica inconscia.

Ebbene il sogno non è un sintomo morboso, bensì una prestazione della vita psichica normale. I desideri che esso raffigura come appagati sono i medesimi che nella nevrosi soccombono alla rimozione. Il sogno deve la possibilità della propria genesi soltanto alla favorevole circostanza che durante lo stato di sonno, che paralizza la motilità dell'uomo, la rimozione si riduce a censura onirica. Quando però la formazione del sogno sorpassa determinati limiti, il sognatore le pone fine e si sveglia spaventato. È quindi dimostrato che nella vita psichica normale esistono le medesime forze e che tra queste si svolgono i medesimi processi che nella vita psichica morbosa. Dall'Interpretazione dei sogni in poi la psicoanalisi ebbe una duplice importanza: non fu più soltanto una nuova terapia delle nevrosi, ma anche una nuova psicologia; pretese di esser presa in considerazione non soltanto dagli specialisti di malattie nervose, ma da tutti coloro che avevano a che fare con le scienze dello spirito.

Tuttavia l'accoglienza che il mondo scientifico riservò alla psicoanalisi non fu cordiale. Per un decennio circa nessuno si curò dei lavori di Freud. Pressappoco intorno al 1907 un gruppo di psichiatri svizzeri (Bleuler e Jung a Zurigo) attirò l'attenzione sulla psicoanalisi, e scoppiò allora, particolarmente in Germania, una tempesta d'indignazione, che nella scelta dei suoi mezzi e argomenti non andava certo per il sottile. La psicoanalisi condivise così il destino di tante novità, che poi col passare del tempo hanno incontrato la generale approvazione. Certo faceva parte della sua essenza dover suscitare contraddizioni particolarmente violente. Essa feriva in alcuni punti particolarmente sensibili i pregiudizi dell'umanità civilizzata, sottoponeva in certa misura tutti gli uomini alla reazione analitica poiché svelava ciò che per comune accordo era stato rimosso nell'inconscio; costringeva così i contemporanei a comportarsi come malati che nel trattamento analitico mettono in luce innanzitutto le loro resistenze. Bisogna anche concedere che non era facile convincersi dell'esattezza delle teorie psicoanalitiche o ottenere d'esser istruiti nell'esercizio dell'analisi.

L'ostilità generale non riuscì a impedire che nel corso del decennio seguente la psicoanalisi si estendesse costantemente in due direzioni; sulla carta geografica, in quanto l'interesse per essa si destava via via continuamente in nuovi paesi, e nel campo delle scienze dello spirito, in quanto trovò applicazione in sempre nuove discipline. Nel 1009 G. Stanley Hall invitò Freud e Jung a tenere presso la Clark University di Worcester, Massachusetts, di cui era rettore, alcune conferenze sulla psicoanalisi cui fu fatta cordiale accoglienza. Da allora la psicoanalisi è rimasta popolare in America, sebbene proprio in questo paese si coprano con il suo nome molta superficialità e numerosi abusi. Già nel 1911 Havelock Ellis potè costatare che non solo in Austria e in Svizzera, ma altresì negli Stati Uniti, in Inghilterra, in India, in Canada, e certamente anche in Australia, la psicoanalisi veniva coltivata e praticata.

In questo periodo di lotta e di prima fioritura furono fondati anche i primi organi di stampa dedicati esclusivamente alla psicoanalisi. Eccoli: lo "Jahrbuch fur psycho-analytische und psychopathologische Forschungen" (1909-14), diretto da Bleuler e Freud, redatto da Jung, le cui pubblicazioni furono sospese con lo scoppio della Guerra mondiale; il "Zentralblatt fùr Psychoanalyse" (1911), redatto da Adler e Stekel, che poco dopo fu sostituito dalla "Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse" (1913, oggi al suo decimo volume); inoltre dal 1912 "Imago", fondata da Rank e Sachs, una rivista dedicata all'applicazione della psicoanalisi alle scienze dello spirito. Il grande interesse dei medici angloamericani si espresse nel 1913 nella fondazione da parte di White e Jelliffe della "Psychoanalytic Review", ancor oggi esistente. Più tardi, nel 1920, venne alla luce 1'"International Journal of Psycho-Analysis", redatto da Ernest Jones e destinato specificamente all'Inghilterra. L'Internationaler Psychoanalytischer Verlag e l'impresa inglese corrispondente, The International Psycho-Analytical Press, presentano sotto il nome di Internationale Psychoanalytische Bibliothek (International Psycho-Analytical Library) una serie continua di pubblicazioni analitiche. La letteratura sulla psicoanalisi non si esaurisce naturalmente in queste pubblicazioni periodiche, in maggioranza mantenute da associazioni psicoanalitiche, ma è disseminata in innumerevoli settori della produzione scientifica e letteraria. Tra le riviste del mondo latino che alla psicoanalisi prestano, una particolare attenzione, va posta in rilievo la "Revista de Psiquiatria" diretta da H. Delgado a Lima (Perù).

Una differenza essenziale tra questo secondo decennio della psicoanalisi e il primo fu che lo scrivente non ne era più l'unico rappresentante. Una cerchia di scolari e seguaci che si allargava continuamente si era raccolta intorno a lui, e costoro dapprima si dedicarono alla divulgazione delle dottrine psicoanalitiche, ma poi si misero a estenderle, a integrarle, ad approfondirle. Com'era inevitabile, nel corso degli anni parecchi di questi seguaci si staccarono, andarono per la propria strada, o si dedicarono a un'opposizione che parve minacciare la continuità nello sviluppo della psicoanalisi. Tra il 1911 e il 1913 C. G. Jung di Zurigo e Alfred Adler di Vienna, con i loro tentativi di reinterpretare i dati di fatto analitici e con i loro sforzi di deviare dai punti di vista dell'analisi, provocarono un certo scompiglio; ma ben presto fu chiaro che queste secessioni non avevano causato danni duraturi. Il successo temporaneo da loro ottenuto si spiegava facilmente: al grosso pubblico non parve vero di essere liberato dalla pressione delle esigenze psicoanalitiche, non importa per quale via ciò avvenisse. La grande maggioranza dei collaboratori tenne duro e proseguì il lavoro attenendosi alle direttive stabilite. Incontreremo ripetutamente il loro nome nel corso del seguente brevissimo resoconto dei risultati che la psicoanalisi ha ottenuto nei molteplici campi della sua applicazione.

4.

Il rumoroso rifiuto con cui la psicoanalisi fu accolta da parte del mondo medico non ha potuto impedire che i suoi seguaci la sviluppassero inizialmente in conformità al suo intento originario, cioè come una patologia e terapia specifica delle nevrosi, compito questo che neppure al momento attuale è stato completamente risolto. Gli innegabili successi terapeutici, di gran lunga superiori a tutto ciò che fino ad allora era stato conseguito, incitavano a sempre nuovi sforzi, e le difficoltà che si presentavano man mano che ci si addentrava nella materia indussero ad apportare alcune radicali modifiche alla tecnica analitica, nonché a rettificare significativamente alcune ipotesi e premesse della teoria.

Nel corso di questo sviluppo la tecnica della psicoanalisi ha acquistato quella precisione e sottigliezza che è propria di tutte le branche specialistiche della medicina. Tale dato di fatto viene colpevolmente trascurato specialmente in Inghilterra e in America, dove persone che dai libri hanno acquisito una conoscenza solo letteraria della psicoanalisi si reputano qualificate a intraprendere il trattamento analitico senza sottoporsi a un particolare addestramento. I risultati di tal modo di procedere sono nefasti sia per la scienza sia per i pazienti, e hanno molto contribuito a screditare la psicoanalisi. La fondazione del primo policlinico psicoanalitico (ad opera di Max Eitingon a Berlino nel 1920) ha rappresentato quindi un passo di alto significato pratico. Questo istituto da un lato si sforza di rendere accessibili le terapie analitiche a vasti strati della popolazione, e dall'altro si assume il compito di preparare i medici alla professione di analisti pratici mediante un corso didattico che implica l'obbligo per il discente di sottoporsi egli stesso a una psicoanalisi.

Tra i concetti ausiliari che consentono al medico di venire a capo del materiale analitico, il primo posto spetta a quello di "libido". In psicoanalisi, libido significa anzitutto la forza (concepita come quantitativamente variabile e misurabile) delle pulsioni sessuali indirizzate all'oggetto: si intenda "sessuale" nell'accezione più ampia attribuita a questo termine dalla teoria analitica. Con il procedere dello studio, si presentò la necessità di affiancare a questa "libido oggettuale" una "libido narcisistica o dell'Io" indirizzata all'Io individuale, e gli effetti reciproci di queste due forze hanno permesso di render conto di un gran numero di processi normali e patologici della vita psichica!   Presto  si   giunse  alla  grossolana  distinzione tra le cosiddette "nevrosi di traslazione" e le affezioni narcisistiche, di cui le prime (isteria e nevrosi ossessiva) sono i veri e propri oggetti della terapia psicoanalitica, mentre le altre, le nevrosi narcisistiche, pur potendo essere indagate con l'aiuto dell'analisi, riserbano difficoltà di principio a un influsso terapeutico. È vero che la teoria psicoanalitica della libido non è affatto conclusa e che il suo rapporto con una dottrina generale delle pulsioni non è ancora chiarito; la psicoanalisi, infatti, è una scienza giovane, del tutto incompiuta, in procinto di compiere un rapido sviluppo; è tuttavia opportuno sottolineare qui quanto infondato sia il rimprovero di pansessualismo, tanto spesso sollevato contro di essa. Con ciò si vuole significare che la psicoanalisi non conosce altre forze motrici psichiche oltre a quelle sessuali, e ci si avvale a questo proposito di preconcetti popolari adoperando il termine "sessuale" non nel senso analitico, ma in quello volgare.

Tra le affezioni narcisistiche la concezione psicoanalitica dovrebbe annoverare anche tutte quelle malattie che in psichiatria vengono chiamate "psicosi funzionali". Non c'è dubbio che nevrosi e psicosi non sono separate da una netta barriera, così come non lo sono la salute e la nevrosi, ed era naturale avvalersi per la spiegazione dei tanto enigmatici fenomeni psicotici dei risultati conseguiti fino ad allora per le altrettanto oscure nevrosi. Lo stesso autore di questo scritto, nel periodo del suo isolamento, aveva reso più o meno comprensibile, grazie all'esame analitico, un caso di malattia paranoica, riscontrando in questa indubbia psicosi i medesimi contenuti (complessi) e un giuoco di forze simile a quello delle semplici nevrosi. In tutta una serie di psicosi Eugen Bleuler inseguì gli indizi di quelli che egli chiamava i "meccanismi freudiani", e C. G. Jung giunse di colpo a grande fama di analista quando, nel 1907, spiegò i più astrusi sintomi che si verificano negli stadi finali della dementia praecox mediante la storia individuale di questi malati. Il vasto lavoro di Bleuler sulla schizofrenia (1911) ha poi illustrato in maniera probabilmente definitiva la giustezza dei punti di vista psicoanalitici per la concezione di queste psicosi.

In questo modo la psichiatria divenne il più immediato campo d'applicazione della psicoanalisi e tale è rimasto da allora. I medesimi scienziati che maggiormente hanno contribuito a una approfondita conoscenza analitica delle nevrosi, come Karl Abraham a Berlino e Sàndor Ferenczi a Budapest (per citare solo i nomi più illustri), sono rimasti in testa anche nella dilucidazione analitica delle psicosi. La convinzione dell'unità e intima correlazione di tutti i disturbi a noi noti come fenomeni nevrotici e psicotici, si impone con sempre maggior vigore, nonostante gli psichiatri vi si ribellino in ogni modo. Si comincia a capire — in America forse meglio che altrove — che soltanto lo studio psicoanalitico delle nevrosi può dare avvio alla comprensione delle psicosi, che la psicoanalisi è destinata a rendere possibile in futuro la creazione di una psichiatria scientifica che non necessariamente debba accontentarsi da una parte di descrivere peregrini quadri morbosi e decorsi incomprensibili, e dall'altra di andare in cerca dell'influsso di massicci traumi anatomici e tossici su un apparato psichico inaccessibile alla nostra conoscenza.

5.

Mai però la psicoanalisi avrebbe attirato su di sé l'attenzione del mondo intellettuale o conquistato un posto in The History of our Times in ragione del suo significato per la psichiatria. Tale effetto fu determinato dalla relazione della psicoanalisi con la vita psichica normale, non con quella patologica. È vero infatti che in origine l'indagine analitica mirava soltanto ad approfondire le condizioni di insorgenza di alcuni stati psichici morbosi; tuttavia durante questo tentativo essa giunse a svelare circostanze di importanza fondamentale, e a creare addirittura una nuova psicologia, talché bisognava ammettere che la validità di tali scoperte non poteva assolutamente esser confinata all'ambito della patologia. Sappiamo già quando fu portata la dimostrazione decisiva della  correttezza di  questa conclusione.  Ciò avvenne quando, in base alla tecnica analitica, riuscimmo a interpretare i sogni, che appartengono certamente alla vita psichica delle persone normali e che tuttavia corrispondono in verità a produzioni patologiche capaci di nascere regolarmente in condizioni di salute. Se si tenevano fermi i chiarimenti psicologici acquisiti attraverso lo studio dei sogni, non rimaneva da fare che un passo per poter proclamare la psicoanalisi come la dottrina dei processi psichici più profondi non direttamente accessibili alla coscienza, come "psicologia del profondo", e per poterla applicare a quasi tutte le scienze dello spirito.

Questo passo consisteva nella transizione dall'attività psichica del singolo individuo alle prestazioni psichiche di comunità umane e di popoli, ossia nel passaggio dalla psicologia individuale alla psicologia delle masse; e a compierlo eravamo indotti da numerose sor prendenti analogie. Avevamo appreso, per esempio, che negli strati profondi dell'attività spirituale inconscia gli opposti non vengono distinti, ma anzi sono espressi dal medesimo elemento. Il glottologo Karl Abel già nel 1884 aveva asserito nello scritto Uber den Gegensinn der Urworte [Il significato opposto delle parole primordiali] che le più antiche lingue a noi note non procedono diversamente con gli opposti. L'antico egizio, ad esempio, in un primo tempo non ha che un solo termine per significare forte e debole, e soltanto più tardi le due parti dell'antitesi vengono distinte mediante lievi modifiche. Nelle stesse lingue più moderne si riscontrano evidenti residui di questo significato opposto delle parole: così, in tedesco, Boden significa la parte più alta e quella più bassa della casa [terreno o soffitta]; e, similmente il latino altus significa alto e profondo. L'equiparazione degli opposti nel sogno è dunque un tratto arcaico universale del pensiero umano.

Proviamo a trarre un esempio da un altro campo: è impossibile sottrarsi all'impressione dell'assoluta concordanza che può essere scoperta tra le azioni ossessive di certi nevrotici ossessivi e le attività religiose dei credenti di tutto il mondo. Alcuni casi di nevrosi ossessiva si comportano addirittura come la caricatura di una religione privata, tanto che verrebbe fatto di equiparare le religioni ufficiali a una nevrosi ossessiva che per la sua universalità risulta mitigata.   Questo   paragone,   certo   sommamente   ostico a tutti i credenti, è risultato però psicologicamente assai fecondo. La psicoanalisi infatti non ha tardato a riconoscere, per la nevrosi ossessiva, le forze che lottano tra loro fintantoché i relativi conflitti si procurano la singolare espressione costituita dal cerimoniale delle azioni ossessive. Niente di simile era stato presunto per il cerimoniale religioso, finché, riconducendo il sentimento religioso al rapporto con il padre come sua radice più profonda, fu possibile dimostrare anche qui un'analoga situazione dinamica. Questo esempio tra l'altro può servire da avvertimento al lettore che neppure l'applicazione della psicoanalisi a campi non medici può fare a meno di ferire pregiudizi tenuti in grande considerazione, da urtare suscettibilità profondamente  radicate, provocando  in  tal modo ostilità che hanno un fondamento essenzialmente affettivo.

Se possiamo supporre che i tratti più universali della vita psichica inconscia (i conflitti tra moti pulsionali, le rimozioni e i soddisfacimenti sostitutivi) sono dovunque presenti, e se esiste una psicologia del profondo che porta alla conoscenza di questi fatti, è ragionevole attendersi che l'applicazione della psicoanalisi ai più molteplici campi dell'umana attività spirituale produrrà ovunque risultati importanti e finora inattingibili. In un saggio assai ricco di contenuto Otto Rank e Hanns Sachs hanno tentato di verificare in qual misura il lavoro degli psicoanalisti abbia potuto soddisfare queste aspettative fino all'anno 1913. La mancanza di spazio mi vieta di tentare in questa sede di completare l'elenco di questi risultati. Posso soltantomettere in rilievo il più importante e aggiungervi alcuni particolari.

A prescindere da spinte interne poco note, si può dire che ciò che ha dato il maggiore impulso all'evoluzione civile dell'umanità è stato il reale bisogno esterno che ha impedito agli uomini di abbandonarsi comodamente al soddisfacimento delle proprie esigenze naturali, e li ha esposti a enormi pericoli. Questa frustrazione esterna ha costretto gli uomini a lottare con la realtà, e l'esito di questa lotta fu che in parte gli uomini si adattarono alla realtà, in parte la dominarono; ma la stessa frustrazione indusse anche gli uomini a lavorare e a convivere con i propri simili, il che già implicava la rinuncia a un buon numero di moti pulsionali socialmente non appagabili. Con gli ulteriori progressi della civiltà crebbero altresì le pretese della rimozione. La civiltà come tale è difatti costruita sulla rinuncia pulsionale, e ogni singolo individuo nel cammino che lo porta dall'infanzia alla maturità è costretto a ricapitolare personalmente questa evoluzione dell'umanità verso la rassegnazione ragionevole. La psicoanalisi ha dimostrato che sono prevalentemente, seppure non esclusivamente, i moti pulsionali sessuali quelli che soggiacciono a tale repressione della civiltà. Una parte di essi rivela la preziosa caratteristica di lasciarsi deviare dalle proprie mete più prossime e di porre le proprie energie a disposizione dello sviluppo civile sotto forma di tendenze "sublimate"; un'altra parte, però, sussiste nell'inconscio sotto forma di moti di desiderio insoddisfatti e urge verso un soddisfacimento qualsivoglia, sia pure deformato.

Abbiamo appreso che una parte dell'attività spirituale dell'uomo è volta a dominare il mondo esterno reale. Ebbene, la psicoanalisi aggiunge ora che un'altra parte.altamente apprezzata, della produzione psichica serve all'appagamento di desiderio, al soddisfacimento sostitutivo di quei desideri rimossi che sin dagli anni dell'infanzia dimorano insoddisfatti nell'animo di ognuno di noi. A queste creazioni, la cui connessione con un inconscio inafferrabile è sempre stata presunta, appartengono il mito, la poesia e l'arte; e in effetti il lavoro degli psicoanalisti ha abbondantemente illuminato i campi della mitologia, della letteratura e della psicologia degli artisti. A titolo di esempio basti menzionare qui l'opera di Otto Rank. È stato dimostrato che i miti e le fiabe ammettono un'interpretazione non meno dei sogni; sono state seguite le vie tortuose che dall'urgere del desiderio inconscio conducono alla realizzazione dell'opera d'arte; si è imparato a comprendere il potere affettivo che l'opera d'arte ha sul pubblico; dell'artista stesso si è spiegata sia la sua intima affinità sia la sua diversità rispetto al nevrotico, e si è mostrata la connessione tra il suo talento, le sue esperienze fortuite e la sua produzione. Né l'apprezzamento estetico dell'opera d'arte né la spiegazione di cosa sia il talento artistico fanno parte, beninteso, dei compiti della psicoanalisi. Pare tuttavia che la psicoanalisi sia in grado di dire l'ultima parola su tutte le questioni riguardanti la vita fantastica dell'uomo.

In terzo luogo, con nostro crescente stupore, la psicoanalisi ci ha fatto comprendere la parte straordinariamente importante svolta dal cosiddetto complesso edipico, ovvero dal rapporto affettivo del bambino verso entrambi i genitori, nella vita psichica umana. Questo stupore si ridimensiona nell'atto in cui ci rendiamo conto che il complesso edipico è il correlato psichico di due fondamentali dati di fatto biologici: la lunga dipendenza infantile dell'uomo, e la strana maniera con cui la sua vita sessuale raggiunge tra il terzo e il quinto anno d'età un primo apice, per poi ricominciare da capo nella pubertà, dopo aver attraversato un periodo di inibizioni. È risultato inoltre che un terzo aspetto estremamente serio dell'attività spirituale dell'uomo, quello che ha creato le grandi istituzioni della religione, dell'etica e di tutte le forme in cui si è espressa la convivenza statuale, mira in definitiva a permettere al singolo di padroneggiare il proprio complesso edipico e di trasferire la propria libido dai suoi legami infantili verso quelli sociali da ultimo desiderati. Le applicazioni della psicoanalisi alla scienza della religione e alla sociologia che hanno condotto a questo risultato (si vedano le ricerche dello scrivente, quelle di Theodor Reik e quelle di Oscar Pfister) sono ancora recenti e non hanno ottenuto sufficiente apprezzamento; ma certamente gli studi ulteriori non potranno che aumentare la certezza di queste importanti scoperte.

A mo' di appendice debbo ancor dire che neppure la pedagogia può fare a meno di utilizzare gli spunti offerti dall'esplorazione analitica della vita psichica infantile; e che tra i terapeuti si sono alzate voci (Groddeck, Jelliffe) le quali considerano promettente il trattamento psicoanalitico perfino in caso di gravi malattie organiche, dato che in molte di queste affezioni è implicato un fattore psichico su cui è possibile esercitare un influsso.

Possiamo quindi esprimere l'attesa che la psicoanalisi, il cui sviluppo e i cui risultati attuali sono qui stati illustrati in maniera concisa e non esauriente, penetrerà come fermento significativo nello sviluppo culturale dei prossimi decenni e ci aiuterà ad approfondire la nostra comprensione del mondo e a opporci a ciò che nella vita riconosciamo come deleterio. Non si dimentichi però che la psicoanalisi di per sé stessa non può fornire un'immagine compiuta del mondo. Se si accetta la distinzione, recentemente da me proposta, secondo cui l'apparato psichico si scompone in un Io rivolto verso il mondo esterno e fornito di coscienza, e in un Es inconscio e dominato dai propri bisogni pulsionali, si dovrà designare la psicoanalisi come una psicologia dell'Es (e dei suoi influssi sull'Io). In ogni ambito del sapere essa potrà quindi fornire soltanto dei contributi che dovranno essere integrati dalla psicologia dell'Io. Se spesso questi contributi contengono proprio l'essenziale di una certa realtà, ciò corrisponde soltanto all'importanza che l'inconscio psichico, per lungo tempo rimasto sconosciuto, ha ragione di pretendere nella nostra vita.