Un bambino viene battuto

Contributo alla conoscenza dell'origine delle perversioni sessuali

1919

1.

Si rimane sorpresi nell'osservare con quanta frequenza i soggetti che si sottopongono al trattamento analitico - per un'isteria o una nevrosi ossessiva - ammettano di essersi lasciati andare alla fantasia: «Un bambino viene battuto». Con ogni probabilità questa fantasia ricorre anche in molte altre persone che non si sono mai dovute sottoporre all'analisi per una malattia conclamata.

È una fantasia che produce sensazioni di piacere ed è per questo che il paziente vi è ritornato sopra un'infinità di volte in passato e, forse, ancora continua. Il momento culminante di questa situazione fantastica coincide, quasi regolarmente, con una soddisfazione a carattere masturbatorio - vale a dire ottenuta con la manipolazione dei genitali. In principio si trattava di un'azione volontaria, mentre, più tardi, l'atto si compie nonostante tutti gli sforzi del malato e con le caratteristiche dell'ossessione.                                                      ,

La fantasia viene confessata solo dopo molte reticenze e il ricordo della prima volta in cui comparve è nebuloso. Il suo trattamento psicoanalitico urta contro un'evidente resistenza. Il paziente, che ne dà il resoconto, prova un senso di colpa e di vergogna, forse superiore a quello suscitato dalla narrazione dei primi fatti della vita sessuale.

Alla fine si riesce a stabilire che le prime fantasie di questo genere sono comparse in un tempo molto remoto: sicuramente prima dell'età scolare e, comunque, non oltre i cinque o sei anni. Quando il bambino frequentava la scuola e assisteva alle punizioni inflitte dal maestro agli altri fanciulli, queste fantasie, se nel frattempo erano diventate latenti, tornavano a vivere. Se, invece, erano tuttora attive, si rafforzavano e modificavano sensibilmente il loro contenuto. Infatti, da allora, i bambini sottoposti alle percosse diventavano «un numero indefinito». L'influenza della scuola è così evidente, che, a tutta prima, i pazienti tendono a mettere le loro fantasie di punizioni in relazione diretta con queste impressioni della vita di scuola, successive al compimento del sesto anno di età. Però questa supposizione non si regge mai per molto tempo; infatti le fantasie esistevano già prima.

Sebbene nelle classi superiori alle elementari i bambini non siano più percossi, l'influsso di quegli episodi è sostituito, con efficacia addirittura maggiore, dagli effetti delle letture, la cui importanza viene ben presto riconosciuta. Nell'ambiente sociale dei miei pazienti, le nuove stimolazioni alle fantasie di percosse provenivano sempre dagli stessi libri, accessibili ai giovani, come La bibliothèque rose, La capanna dello zio Tom, ecc. Il fanciullo stesso cominciava a far concorrenza a queste opere di narrativa intessendo fantasie personali, nelle quali venivano inventate situazioni e luoghi (come collegi ecc.) in cui i bambini venivano percossi, castigati e sottoposti a punizioni di vario genere a causa della loro nequizia e del loro cattivo comportamento.

Questa fantasia («un bambino viene battuto») era sempre carica di un'intensa sensazione di piacere e si concludeva con una soddisfazione autoerotica. Per questo vien fatto di pensare che anche la vista di un altro bambino punito a scuola dovesse provocare Io stesso godimento. In effetti non era mai così: lo spettacolo offerto da una vera punizione suscitava, nel bambino che assisteva ad esso, una particolare eccitazione, probabilmente a carattere misto, in cui la ripugnanza entrava in larga misura. In qualche caso queste scene erano considerate addirittura insopportabili. D'altra parte le fantasie più complesse degli anni successivi rispettavano sempre la condizione che il castigo non causasse gravi lesioni ai bambini.

Necessariamente bisogna porsi una domanda: quale rapporto vi può essere tra l'importanza di queste fantasie e il possibile influsso di vere punizioni corporali, impiegate in famiglia come mezzo educativo? Comprovare l'esistenza di tale rapporto è stato impossibile, a causa della limitatezza del materiale. I soggetti che abbiamo potuto analizzare erano stati battuti molto raramente durante la fanciullezza; in tutti i casi, non erano stati educati con la sferza. Comunque è naturale che questi bambini si fossero resi conto, presto o tardi, della maggiore forza fisica dei genitori e degli educatori. Non vi è, poi, necessità di sottolineare il fatto che in tutte le famiglie i bambini vengono di tanto in tanto alle mani fra di loro.

Sarebbe molto utile poter approfondire le nostre conoscenze sulle prime, e più semplici, fantasie, che non possono essere nate dall'influenza di fatti accaduti a scuola o di scene tratte dai libri. Chi era il bambino sottoposto alle percosse? Era colui che creava la fantasia, oppure un altro? Era sempre lo stesso bambino o piuttosto un bambino sempre differente? Chi batteva il bambino? Forse un adulto? In tal caso, chi? Oppure il soggetto immaginava se stesso in atto di punire un altro bambino? Non sono mai riuscito a dare una risposta precisa a tutte queste domande. I pazienti mi dicevano soltanto, con incertezza: «Io so soltanto questo: un bambino viene battuto».

La domanda: «A che sesso apparteneva il bambino?» otteneva risposte un po' meno incerte, ma, comunque, sempre poco probanti. Certe volte la risposta era: «Sempre maschi», oppure «solo femmine», ma per lo più era: «Non lo so» o anche: «Che importanza ha?». In tutti i modi, non siamo mai riusciti a stabilire un rapporto costante fra il sesso del bambino che creava quelle immagini fantastiche e quello del bambino percosso. Qualche volta emergeva un determinato particolare della fantasia: «Un bambino piccolo viene battuto sul posteriore messo a nudo».

In queste condizioni, a tutta prima non si riusciva neppure a stabilire se il piacere legato a queste fantasie fosse da ascriversi al sadismo o al masochismo.

2.

Alla luce delle attuali conoscenze, fantasie di questo genere - comparse nella prima infanzia, forse in seguito a un fatto casuale, e coltivate negli anni seguenti per ottenere una soddisfazione autoerotica - sono da considerarsi come indizi fondamentali di una perversione. Si direbbe che una delle componenti della funzionalità sessuale, essendosi sviluppata con un certo anticipo sulle altre, acquisti una condizione di indipendenza rispetto ad esse e subisca un processo di fissazione, rimanendo esclusa ogni successiva evoluzione. Essa ci dà, in tal modo, la prova che la costituzione di un determinato individuo è specifica e abnorme. Però sappiamo che perversioni infantili di questo genere non persistono necessariamente per tutta la vita, ma, nel corso degli anni, possono andare incontro a rimozione, oppure ad esse può subentrare una formazione reattiva o una sublimazione. (Può darsi che la sublimazione insorga ad opera di particolari processi che sarebbero inibiti dalla rimozione.) Però, se questi processi non hanno luogo, la perversione rimane inalterata fino alla maturità e tutte le volte che in un adulto si osserva un'aberrazione sessuale (perversioni, feticismo, inversione) potremo essere sicuri che l'indagine anamnestica metterà in luce un evento del tipo che ho descritto, evento che ha determinato una fissazione nell'infanzia. In effetti, molto prima dell'avvento della psicoanalisi, taluni ricercatori, come Binet, già facevano risalire le bizzarre aberrazioni sessuali dell'età adulta a impressioni simili a quelle descritte da noi, risalenti proprio alla stessa età, cioè al quinto o sesto anno. Però, qui l'indagine si inceppa, a causa della limitatezza delle nostre cognizioni, perché le impressioni, che provocano la fissazione, appaiono prive di qualsiasi energia traumatizzante. Per lo più, si tratta di fatti banali e privi di interesse, per cui non si comprende perché l'impulso sessuale si sia fissato proprio su di essi. Comunque la loro importanza può nascere dal fatto di aver offerto - sia pure del tutto casualmente - un incentivo alla fissazione proprio di quella componente che, essendosi sviluppata in anticipo, era pronta a venire alla ribalta. In tutti i modi occorre essere preparati a giungere a una conclusione provvisoria, in attesa di scoprire, prima o poi, la sequenza dei nessi causali. Inoltre la costituzione congenita dei soggetti sembra rispondere in pieno alla situazione necessaria a che si verifichi un arresto di questo tipo.

Nel caso in cui la componente che si è sviluppata con troppo anticipo sia di tipo sadico, possiamo prevedere, sulla scorta di conoscenze tratte da altre fonti, che la rimozione, al suo sopraggiungere, porterà con sé una disposizione alla nevrosi ossessiva. E, questo, un presupposto che certo non contraddice i risultati dell'indagine. Questo nostro breve lavoro si basa su uno studio esauriente di sei casi (quattro femmine e due maschi). Due erano casi di nevrosi ossessiva, uno assai grave e inabilitante, l'altro di media gravità e molto accessibile all'influenza della terapia. Il terzo caso presentava chiari segni isolati di nevrosi ossessiva. Il quarto era un caso di isteria conclamata, con dolori e inibizioni. Il quinto caso, di cui avevo fatto l'analisi soltanto a causa di uno stato di incertezza nelle cose della vita, non poteva essere etichettato con una netta diagnosi clinica, dato che, al massimo, il paziente poteva essere definito «psicastenico»1. Non dobbiamo rattristarci per questa statistica: innanzitutto si sa che non sempre una disposizione si evolve in malattia e poi faremmo bene a limitarci a spiegare i fatti che si offrono alla nostra osservazione, evitando, di regola, di sobbarcarci anche il lavoro di dimostrare perché un dato fatto non è accaduto.

Lo stato attuale delle nostre conoscenze ci permette di arrivare fino a questo punto, non oltre, nell'interpretazione delle fantasie punitive. In effetti, l'analista rimane col fastidioso sospetto che questa non sia la soluzione definitiva del problema e si vede costretto ad ammettere, nel suo intimo, che queste fantasie rimangono in larga misura separate dal resto del contenuto della nevrosi e non trovano un'adeguata collocazione nella sua struttura. Però l'esperienza mi insegna che si è anche troppo pronti a trascurare impressioni di questo genere.

3.

A stretto rigore (e perché mai un problema come questo non dovrebbe essere affrontato con tutto il rigore possibile?), di un lavoro analitico potremo dire a buon diritto che è vera e propria psicoanalisi solo se sia riuscito a dissipare l'amnesia che sottrae all'adulto la conoscenza degli inizi dell'infanzia (cioè di un'età compresa tra i due e i cinque anni). Questo è un punto sul quale non si insisterà mai troppo. A dire il vero, i motivi per cui l'analista tende a trascurare questo monito sono comprensibili. Sarebbe bene ottenere risultati pratici in minor tempo e con meno fatica, ma, per il momento, la conoscenza teorica ci preme ancora molto più del risultato terapeutico e chiunque trascuri l'analisi dell'infanzia cadrà necessariamente nei più esiziali errori. L'insistere sull'importanza delle prime esperienze non comporta una svalutazione delle conseguenze delle esperienze successive. Però, mentre queste si fanno sentire attraverso le parole del paziente, i fatti relativi all'infanzia hanno bisogno della mediazione del medico per emergere.

I fattori libidici congeniti sono attivati da esperienze reali e si legano a determinati complessi nell'età infantile tra i due e i cinque anni. Le fantasie di punizioni, di cui stiamo parlando, compaiono solo verso la fine di questo periodo, o anche più tardi. Tuttavia è ammissibile che esse abbiano avuto una fase di sviluppo in un tempo più remoto e che non siano una manifestazione iniziale, bensì un prodotto terminale.

L'analisi conferma questo sospetto. Applicandola in maniera sistematica, si arriva a comprendere che tali fantasie seguono uno sviluppo storico alquanto complicato, durante il quale subiscono diversi mutamenti, sia per quanto riguarda la posizione dell'autore della fantasia, sia in rapporto all'oggetto, al contenuto e al significato della fantasia stessa.

Per rendere meglio comprensibili le varie trasformazioni delle fantasie, mi permetterò di limitare, per ora, la trattazione ai soli casi femminili, i quali, comunque, essendo quattro su sei, costituiscono la maggior parte del materiale di cui dispongo. Inoltre, le analoghe fantasie di soggetti di sesso maschile presentano determinati legami con altri elementi, dei quali preferisco non parlare in questo lavoro. In questa descrizione mi sforzerò di non essere più schematico di quanto non comporti inevitabilmente la discussione di un caso clinico. Se poi ulteriori osservazioni dovessero mettere in luce un quadro più complesso, rimarrò comunque con la certezza di aver trattato casi tipici e, per di più, assai comuni.

La prima fase delle fantasie, immaginate da soggetti di sesso femminile, deve risalire a un periodo dell'infanzia molto remoto. Taluni elementi rimangono stranamente vaghi, quasi come se fossero privi di importanza. Questa situazione giustifica in parte la laconicità delle pazienti, quando affermano: «Un bambino viene battuto». Però vi è un altro elemento che può essere stabilito con sicurezza e, in ogni caso, tale elemento è sempre lo stesso. Il bambino battuto non è mai l'autore della fantasia, ma è sempre un altro bambino (il più delle volte un fratellino o una sorellina, se ve ne sono). Dato che la vittima, nella fantasia, può essere un maschietto o una femminuccia, è evidente che manca un rapporto costante tra il sesso dell'autore della fantasia e quello del bambino battuto. Pertanto si tratta di una fantasia sicuramente non masochista. Si sarebbe tentati di considerarla sadica, se non fosse per il fatto che il bambino che crea la fantasia non è mai la persona che somministra la punizione. L'effettiva identità di questa persona inizialmente è oscura. Tutto quello che si può dire è che non si tratta di un bambino, ma di un adulto. Più tardi questo adulto, prima non ben definito, sarà nettamente e senza alcuna incertezza riconosciuto come il padre (della bambina).

Dunque la prima fase della fantasia è sintetizzata integralmente dalla frase: «Mio padre batte il bambino». Se poi dico: «Mio padre batte il bambino che odio», faccio già un'anticipazione di quello che verrà a galla solo molto più tardi. Per altro, a questo punto, si è incerti se sia giusto dare il nome di «fantasia» a questi processi psichici che rappresentano un primo passo verso lo sviluppo di una fantasia. Forse si tratta piuttosto di ricordi di avvenimenti, di cui la bambina è stata testimone, e di desideri nati in varie circostanze. Comunque questi dubbi non sono rilevanti. Il passaggio da questa prima fase alla successiva comporta profonde trasformazioni. La persona che percuote rimane, sì, sempre la stessa (cioè il padre), mentre colui che subisce la punizione è cambiato, perché adesso è sempre la stessa autrice della fantasia, la quale, ora, si accompagna sempre a un'intensa sensazione di piacere, di cui ci occuperemo in seguito. Adesso, dunque, l'espressione sintetica della fantasia è: «Sono percossa da mio padre» e, quindi, ha una connotazione decisamente masochista.

Questa seconda fase è la più importante e interessante di tutte; tuttavia possiamo dire che, in un certo senso, non ha mai avuto un'esistenza reale. Infatti non è mai riuscita a emergere nella coscienza, né mai è stata rievocata. Si tratta, dunque, di una ricostruzione dell'analisi, che, non per questo, è meno necessaria.

La terza fase rassomiglia alla prima; infatti è sintetizzata di nuovo dalla prima affermazione della paziente. La persona che infligge la punizione non è mai il padre, ma rimane indeterminata come nella prima fase, oppure si trasforma, in modo tipico, in una rappresentazione del padre, come, ad esempio, il maestro. L'autrice della fantasia non compare più nella scena e, se si insiste con le domande, le pazienti si limitano ad affermare: «Probabilmente io sono presente ed osservo la scena». Anziché un solo bambino, ve ne sono molti a ricevere la punizione. Il più delle volte (nelle fantasie delle bambine) sono i maschietti le vittime delle percosse, ma tra essi non vi è alcun bambino conosciuto personalmente dall'autrice della fantasia. Lo spettacolo immaginario delle percosse, semplice e monotono in origine, viene modificato ed elaborato in modo alquanto complesso e alle percosse vengono sostituiti castighi e umiliazioni di altro genere. Comunque, anche le più semplici fantasie appartenenti a questa fase hanno una caratteristica distintiva rispetto a quelle della prima fase, caratteristica che costituisce anche un legame con la fase intermedia. Queste fantasie, infatti, comportano sempre un'eccitazione sessuale, intensa e tale da non dare adito a incertezze, per cui rappresentano un mezzo per conseguire una soddisfazione onanistica*. Qual è la ragione per cui gli impulsi libidici della fanciulla sono caduti sotto il dominio di questa fantasia, ora avente un carattere sadico, in cui si immagina di vedere dei bambini, tutti estranei e sconosciuti, sottoposti alle nerbate?

Certamente non possiamo fingere di ignorare il fatto che, per ora, le particolarità della fantasia, come pure i rapporti precoci tra le tre fasi, attraverso le quali essa deve passare, sono per noi assolutamente incomprensibili.

4.

Se eseguiamo l'analisi del primo periodo, al quale risalgono le fantasie, troviamo l'immagine di un bambino tutto preso dai conflitti generati dal complesso parentale.

L'affetto della bambina è fissato sul padre, che probabilmente ha fatto quanto era in suo potere per accattivarselo, creando così i presupposti di un atteggiamento di odio e di rivalità verso la madre. Tale atteggiamento coesiste con una tendenza a un'amorevole dipendenza da lei, ma, col passare degli anni, può aprirsi a forza un varco nella coscienza, oppure può cedere di fronte a un atteggiamento di eccessiva devozione. Comunque la fantasia punitiva non è legata ai rapporti tra madre e figlia. In famiglia vi sono altri bambini, di poco più grandi o più piccoli, che sono odiati per molte ragioni, ma soprattutto perché l'amore dei genitori deve essere diviso con loro, per cui vengono respinti con tutta la selvaggia violenza che contraddistingue la vita emotiva dell'età infantile. Se il bambino in questione è un fratellino, o una sorellina, più piccolo, oltre che odiato sarà anche disprezzato; eppure è lui che attira su di sé quella quota supplementare di affetto che i genitori, nella loro cecità, sono sempre pronti a dare al figlio più piccolo: e questo è uno spettacolo che non può essere evitato. Ben presto il bambino impara che le percosse, anche se non fanno molto male, rappresentano una privazione di amore e un'umiliazione. Molti bambini, che si ritenevano fermamente sicuri dell'indefettibile affetto dei genitori, si sentono improvvisamente gettati giù dall'alto dei cieli della loro immaginaria onnipotenza. Quindi, l'idea del padre che percuote questi odiosi bambini è più piacevole, a prescindere dal fatto che tali scene siano accadute veramente o no. Il senso di questa idea è: «Mio padre non ama veramente quest'altro bambino: ama solo me». Questo, dunque, è il contenuto e il significato delle fantasie della prima fase. Naturalmente la fantasia soddisfa la gelosia del bambino e interessa il lato erotico della sua vita, ma è anche notevolmente rafforzata dall'egoismo del piccolo. Pertanto è dubbio che si possa attribuire a questa fantasia un valore esclusivamente sessuale e, quindi, sarebbe arrischiato definirla «sadica».

È noto che tutti gli indizi, che sono di base alle nostre distinzioni, cominciano a perdere di chiarezza a mano a mano che ci si approssima alla loro origine. Così, parafrasando la profezia fatta dalle tre streghe a Banco, potremmo forse dire: «Non chiaramente sessuale, né di per sé sadico; comunque è la materia da cui nasceranno sessualità e sadismo». In tutti i modi, in questo stadio non abbiamo alcuna buona ragione per credere che la fantasia già persegua lo scopo di un eccitamento genitale che possa sfogarsi attraverso un atto masturbatorio. Ora, che l'amore incestuoso del fanciullo è giunto a una prematura scelta dell'oggetto, la sua vita sessuale si trova già nello stadio dell'organizzazione genitale. È un fatto che si rileva più agevolmente nei maschi, ma che, indiscutibilmente, è osservabile anche nelle femmine. Le tendenze libidiche del bambino sono governate da quello che può essere paragonato a un presentimento di ciò che, più tardi, sarà lo scopo sessuale normale e definitivo.

È giusto che ci si chieda perché le cose stiano proprio così; comunque, tale situazione può essere considerata la prova del fatto che i genitali hanno già cominciato ad avere un ruolo nel processo di eccitazione. Nei maschi non manca mai il desiderio di generare un figlio con la madre, come, nelle femmine, è costante il desiderio di avere un bambino dal padre, nonostante che né gli uni né le altre riescano a farsi una chiara idea dei mezzi idonei alla soddisfazione di tali desideri. Si direbbe che il bambino sia convinto che i genitali c'entrino in qualche modo, sebbene, con le sue continue elucubrazioni, vada di solito a ricercare l'essenza della presunta intimità fra i genitori in rapporti di diverso genere, quali il dormire insieme, l'orinare l'uno in presenza dell'altro, ecc. Infatti questi materiali trovano più facile espressione in immagini verbali che non il mistero legato ai genitali. Ma viene un tempo in cui il gelo distrugge questa fioritura precoce. Nessuno di questi amori incestuosi potrà sfuggire alla rimozione. Soccomberanno ad essa in occasione di qualche avvenimento esterno, ricostruibile con l'analisi, che comporti una delusione, quali un affronto inaspettato, la nascita poco gradita di un fratellino (che è sentita come una mancanza di fedeltà), ecc. Oppure, indipendentemente da eventi del genere, il fenomeno si può verificare in seguito a mutamenti interiori, dovuti, ad esempio, al fatto che il desiderio rimane insoddisfatto troppo a lungo. In tutti i modi è chiaro che questi avvenimenti non sono la vera causa, perché questi amori presto o tardi devono crollare, anche se non possiamo sapere quale particolare condizione li farà cadere. È probabile che scompaiano perché hanno fatto il loro tempo, dato che il bambino deve entrare in una nuova fase di sviluppo che lo costringe, ricapitolando una svolta della storia del genere umano, alla rimozione della scelta incestuosa dell'oggetto, proprio come, in uno stadio precedente, era stato obbligato a fare questa scelta. In questa nuova fase, nella coscienza non può più emergere nessun prodotto dell'impulso incestuoso, tuttora presente nell'inconscio, e, inoltre, quanto già era nella coscienza ne viene espulso. Mentre si svolge il processo di rimozione, insorge un senso di colpa, la cui origine non è conosciuta, per quanto possa essere messa sicuramente in relazione con l'impulso all'incesto che, seguitando ad esistere nell'inconscio, ne può giustificare l'insorgenza. (Si ponga mente al ruolo sostenuto dal Fato nel mito di Edipo.)

Al tempo dell'amore incestuoso, la fantasia diceva: «Egli (mio padre) ama solo me e non l'altro, dato che lo picchia». Il senso di colpa non potrebbe scoprire una punizione più severa del rovesciamento di questo trionfo: «No: non ti ama, perché sei tu quella che tuo padre batte». In tal maniera, la fantasia della seconda fase - di essere battuta dal padre - è la diretta espressione del senso di colpa della bambina, dinanzi al quale l'amore per il padre è ormai venuto meno. Quindi la fantasia è diventata masochista. Per quanto ne so, è sempre così: è sempre il senso di colpa che trasforma il sadismo in masochismo. Tuttavia questo non è certo tutto il contenuto del masochismo. Il senso di colpa non può essere rimasto il solo padrone del campo: una parte deve anche competere all'impulso amoroso. Bisogna ricordare che stiamo trattando di bambini in cui la componente sadica era in grado, per ragioni costituzionali, di svilupparsi da sola e precocemente. Non per questo dobbiamo abbandonare la nostra concezione, perché sono proprio questi bambini che ritornano con particolare facilità all'organizzazione pregenitale, sadico-anale, della vita sessuale. Se l'organizzazione genitale, ancora non saldamente sviluppata, viene colpita dalla rimozione, ogni rappresentazione psichica dell'amore incestuoso ritorna all'incoscienza, o rimane inconscia; ma questa non è l'unica conseguenza: si ha anche un declassamento regressivo dell'organizzazione genitale, che scende a un livello inferiore. «Mio padre mi ama» era inteso in senso genitale; ora, in seguito alla regressione, la frase diventa: «Mio padre mi percuote (sono battuta da mio padre)». L'idea di essere percossi nasce dal concorso del senso di colpa e dell'amore sessuale. Non si tratta soltanto di una punizione di una relazione genitale vietata, ma anche del sostituto regressivo di tale relazione ed è proprio da questo che nasce l'eccitazione libidica che, da ora in poi, le si accompagna e trova sfogo in atti masturbatori. Troviamo qui, per la prima volta, l'essenza del masochismo.

Questa seconda fase - la fantasia del padre che batte il bambino - di solito rimane inconscia, forse a causa dell'intensità della rimozione. Tuttavia, per quanto non sia in grado di rendermene ragione, in uno dei miei casi, un maschio, tale fantasia era ricordata consciamente. Il soggetto, che ora è adulto, mantiene chiaro il ricordo di questo fatto: per masturbarsi ricorreva alla fantasia di essere percosso dalla madre, sebbene molto per tempo avesse sostituito sua madre con le madri dei compagni di scuola o con altre donne che le rassomigliassero in qualche modo. Non dimentichiamo che, quando la fantasia incestuosa di un maschio si trasforma in fantasia masochista, il processo comporta un elemento in più rispetto al fenomeno analogo nelle bambine. Infatti all'attività deve subentrare la passività ed è questa distorsione supplementare che può evitare alla fantasia la necessità di rimanere nell'inconscio, trattenutavi dalla rimozione. In questo caso, il senso di colpa sarebbe soddisfatto dalla regressione, anziché dalla rimozione, mentre nei casi femminili il senso di colpa, di per sé forse più intenso, potrebbe essere placato solo dal concorso dei due fattori. In due dei miei quattro casi femminili, sopra la fantasia masochista di percosse si era sviluppata una complessa sovrastruttura di sogni a occhi aperti, che assumeva una notevole importanza per la vita della persona interessata. La funzione di queste strutture poteva essere quella di provocare un senso di soddisfazione, anche quando il soggetto si asteneva dall'attività masturbatoria. In uno dei due casi, il contenuto della fantasia - ricevere delle percosse dal padre - riuscì ad affiorare alla coscienza, perché l'Io del soggetto era reso irriconoscibile da un leggero travestimento. Il protagonista di quelle vicende immaginarie era invariabilmente picchiato (o, solo più tardi, punito, umiliato, ecc.) dal padre.

Ripeto, tuttavia, che, di regola, la fantasia rimane inconscia e può essere ricostruita soltanto nel corso dell'analisi. Probabilmente questo giustifica quei pazienti che affermano di ricordare di aver dato inizio alla masturbazione prima della terza fase della fantasia (di cui parleremo tra breve) e che questa fantasia fu solo un'aggiunta tardiva, forse nata sotto l'impressione di scene scolastiche. Io ho sempre creduto a queste affermazioni, per cui tendo a supporre che la masturbazione da principio si trovava sotto il controllo di fantasie inconsce, cui subentrarono, in seguito, le fantasie coscienti.

Secondo me la terza fase della fantasia, in cui essa si mostra nella sua forma definitiva e più appariscente, è appunto un sostituto di questo genere. In essa l'autore delle fantasie appare in veste di spettatore, mentre la figura del padre persiste in quella del maestro o di altre persone provviste di autorità. Ora la fantasia è di nuovo rassomigliante a quella della prima fase e sembra aver riacquistato i caratteri del sadismo. Si direbbe che ora nella frase: «Mio padre batte il bambino, egli ama solo me», la prima parte assuma un significato dominante, mentre la seconda vada incontro alla rimozione. Tuttavia questa fantasia è sadica solo nella forma; la soddisfazione che ne deriva è masochista. La sua importanza sta nel fatto che la parte rimasta cosciente prende per sé la carica libidica legata alla parte rimossa, ma, con questa, prende su di sé anche il senso di colpa insito nel contenuto della parte rimossa. I numerosi bambini, che sono percossi dal maestro, in ultima analisi non sono altro che sostituti dello stesso autore della fantasia. Troviamo qui, per la prima volta, qualcosa di simile a una definizione costante del sesso delle persone che entrano in scena nella fantasia. I bambini che vengono battuti sono quasi sempre di sesso maschile, sia nelle fantasie dei maschi che in quelle delle femmine. Si intende che questa caratteristica non va interpretata come una rivalità fra i sessi, dato che, se così fosse, nelle fantasie dei maschi sarebbero le femmine a essere battute. Inoltre questo fatto non ha niente a che vedere col sesso del bambino che veniva battuto nella prima fase. Tuttavia, nei casi femminili, ci imbattiamo in una complicazione. Allorché le femmine si distolgono dall'amore incestuoso per il padre, che ha un significato genitale, è facile che abbandonino il loro ruolo femminile. Esse stimolano e attivano il loro «complesso di virilità» (Van Ophuijsen, 1917) e, da ora in poi, altro non desiderano che essere maschi. È per questa ragione che i bambini, vittime delle punizioni, sono sempre di sesso maschile. In tutte e due i casi, gli eroi di questi sogni a occhi aperti - che, in uno dei due casi, assurgevano quasi al livello di opere d'arte - erano sempre giovani maschi. In effetti, in queste creazioni della fantasia, le donne non comparivano affatto e vi fecero capolino soltanto dopo parecchi anni e anche allora in parti di secondo piano.

5.

Spero che le mie osservazioni analitiche siano abbastanza esaurienti; voglio dire soltanto che i sei casi che ho menzionato non comprendono tutto il materiale in mio possesso. Come qualsiasi analista, dispongo di moltissimi altri casi, che non sono stati studiati così a fondo. Osservazioni come queste trovano impiego in vari modi; sono utili allo studio dell'origine delle perversioni in generale e del masochismo in particolare e servono anche a valutare il ruolo che la differenza tra i sessi ha nel determinismo della nevrosi. Il risultato più evidente di questa nostra trattazione riguarda lo studio dell'origine della perversione. Ci avvediamo come la teoria, che mette in primo piano una maggiore intensità di ordine costituzionale o uno sviluppo prematuro di una singola componente sessuale, non venga intaccata, ma, d'altra parte, dobbiamo riconoscere che essa non comprende tutta la verità. La perversione non appare più come un fatto isolato nella vita sessuale del fanciullo, ma come un elemento integrante di quei processi dello sviluppo psichico, a noi ben noti, che sono caratteristici, per non dire normali. La perversione è legata all'amore incestuoso del bambino, ossia al complesso di Edipo. Essa, infatti, inizialmente rientra nella sfera del complesso stesso e, dopo che quest'ultimo si è risolto, rimane in molti casi unica erede della carica libidica che apparteneva al complesso e, quindi, anche del concomitante senso di colpa. Infine, la costituzione sessuale anomala ha dato prova della sua forza obbligando il complesso di Edipo a prendere una determinata direzione e, inoltre, a lasciare dietro di sé un residuo non comune.

Si sa che una perversione dell'infanzia può rappresentare il presupposto di una perversione consimile, che durerà tutta la vita, assorbendo l'intera vita sessuale del paziente. In altri casi la perversione può essere ridotta al rango di elemento di fondo di un'esistenza sessuale normale, alla quale, tuttavia, sottrae sempre una certa percentuale di energia. La prima di queste due possibilità era già conosciuta prima dell'avvento dell'analisi, ma l'indagine analitica, condotta su casi pienamente conclamati, viene quasi a colmare la differenza tra le due possibilità. Infatti si osserva come questi pervertiti, generalmente verso l'età puberale, compiano un tentativo inteso a realizzare un'attività sessuale normale; però questo conato non ha in sé sufficiente energia e abortisce dinanzi ai primi, inevitabili ostacoli, dopo di che i soggetti ritornano per sempre alla loro fissazione infantile.

Naturalmente sarebbe molto importante sapere se l'origine delle perversioni infantili dal complesso di Edipo sia da considerarsi sempre valida. A me la cosa non appare impossibile, ma una risposta definitiva esige ulteriori indagini. Esaminando la storia clinica di casi di perversione in adulti, si rileva che l'impressione decisiva, la «prima esperienza» di questi pervertiti, feticisti, ecc., non è mai molto anteriore al compimento del sesto anno. Tuttavia, a questa età il complesso di Edipo si è ormai risolto; l'esperienza che il soggetto ricorda, l'efficacia della quale è così incredibilmente intensa, potrebbe essere un'eredità del complesso. I rapporti tra questa esperienza e il complesso, che ormai è stato rimosso, rimangono necessariamente oscuri, finché l'analisi non sia riuscita a far luce sul periodo della vita antecedente alla prima impressione «patogena». Quindi si può immaginare, per esempio, quanto poco credito si possa dare all'affermazione che un caso di omosessualità è congenito, qualora, a sostegno di ciò, si adduca il fatto che il soggetto in questione, fin dall'ottavo o dal sesto anno di vita, si sentiva attratto esclusivamente da persone del suo sesso. Però, qualora si riesca a stabilire che nella maggioranza dei casi le perversioni si originano dal complesso di Edipo, l'importanza di questa opinione non potrà non risultare rafforzata. Infatti, a nostro vedere, il complesso di Edipo è realmente il nucleo delle nevrosi e la sessualità infantile, che trova la sua massima espressione in questo complesso, è la vera causa determinante le nevrosi. I residui di questo complesso, rimasti nell'inconscio, rappresentano una predisposizione all'insorgenza di nevrosi nell'adulto. Dunque le fantasie di percosse e altre fissazioni perverse altro non sarebbero che tracce lasciate dal complesso di Edipo, cicatrici, potremmo dire, rimaste dopo la cessazione del complesso, nello stesso modo in cui il ben noto «senso di inferiorità» corrisponde a una consimile cicatrice lasciata dal narcisismo.

Nell'esporre la mia opinione devo dichiarare che concordo senza riserve con Marcinowski (1918), che ha presentato le stesse idee con la massima perspicuità. E noto che questo illusorio senso di inferiorità, su base nevrotica, è soltanto parziale e, quindi, perfettamente compatibile con una sopravvalutazione di se stessi avente diversa origine. Ho già parlato altrove, e qui non intendo ripetermi, dell'origine del complesso di Edipo e del destino che costringe l'uomo, unico forse fra tutti gli animali, a cominciare due volte la vita sessuale: una prima volta, come tutte le altre creature, nella prima infanzia e poi ancora nell'età puberale. Tutti questi problemi sono legati all'eredità arcaica dell'uomo. Questa nostra discussione sulle fantasie punitive non ha contribuito molto a chiarire l'origine del masochismo. Innanzitutto sembra che si sia trovata la conferma dell'opinione che il masochismo non è la manifestazione di un istinto primario, ma invece trae origine dal sadismo che si è rivolto contro il soggetto stesso, evidentemente attraverso una regressione dall'oggetto all'Io. Si deve ammettere a priori che, specialmente nella donna, esistono istinti aventi una finalità passiva. Però la passività non è tutto il masochismo. Anche ad esso compete la caratteristica di comportare un dolore, elemento la cui concomitanza con la soddisfazione di un istinto è veramente strana. La trasformazione del masochismo in sadismo sembra dovuta all'influenza del senso di colpa che interviene nel determinismo della rimozione. Dunque la rimozione è operante in tre diverse maniere: rende inconsce le conseguenze dell'organizzazione genitale, costringe l'organizzazione stessa a regredire al precedente livello sadico-anale e trasforma il sadismo, proprio di questo stadio, in masochismo che è passivo e, sotto certi rispetti, narcisistico. Il secondo di questi tre effetti è reso possibile dalla debolezza dell'organizzazione genitale che bisogna postulare in questi casi. Il terzo è reso necessario dal senso di colpa che si oppone tanto al sadismo quanto alla scelta incestuosa dell'oggetto, concepita in senso genitale. Anche in questo caso l'analisi non ci fornisce ragguagli sull'origine del senso di colpa in sé: sembra che derivi dalla nuova fase di sviluppo in cui è entrato il bambino e, se seguita a esistere anche in avvenire, sembra corrispondere alla formazione simile a una cicatrice analoga al senso di inferiorità. Secondo il nostro attuale orientamento in fatto di struttura dell'Io, che è tuttora incerto, dovremmo attribuirlo a quell'ente psichico che si erige a coscienza critica del resto dell'Io, che produce il fenomeno funzionale di Silberer nei sogni e che si separa nettamente dall'Io nelle illusioni di essere sorvegliati.

Di sfuggita possiamo rilevare come l'analisi delle perversioni infantili, di cui stiamo trattando, giova anche alla soluzione di un vecchio enigma, che, a dire il vero, turba più coloro che non hanno accettato la psicoanalisi che non gli analisti stessi. Eppure ancora di recente lo stesso Bleuler considerava straordinario e inesplicabile il fatto che il punto focale del senso di colpa sia rappresentato, nei nevrotici, dalla masturbazione. Noi pensiamo, ormai da molto tempo, che questo senso di colpa sia legato alla masturbazione della prima infanzia, non a quella della pubertà, e che, essenzialmente, non dipenda dall'atto di masturbarsi, bensì dalla fantasia che, per quanto inconscia, si trova alla base della masturbazione, costituita dal complesso di Edipo.

Quanto alla terza fase della fantasia punitiva, evidentemente sadica, ho già parlato del significato che assume quale veicolo dell'eccitazione che spinge alla masturbazione e ho anche rilevato come essa susciti un'attività fantastica che, mentre continua la fantasia secondo la stessa direzione, esercita altresì un'azione neutralizzante, attraverso una compensazione. Tuttavia, la seconda fase, avente carattere masochistico, è di gran lunga la più importante. In questa fase, che rimane inconscia, il bambino immagina di essere battuto dal genitore. Tale importanza non deriva soltanto dal fatto che essa continua ad essere operante tramite la nuova fase che le subentra. Ci è possibile scoprire che essa ha anche degli effetti sul carattere, derivanti direttamente dalla forma inconscia della fantasia. Coloro che coltivano fantasie del genere, finiscono con l'acquistare una particolare sensibilità ed eccitabilità nei confronti di quelle persone che possono essere incluse nella classe dei padri. Questi individui vengono facilmente offesi da persone appartenenti a detta classe e in tal modo imparano a proprie spese qual è il significato della situazione immaginaria in cui sono percossi dal padre. Non mi stupirei se in futuro si potesse provare che la litigiosità delirante della paranoia trae origine da questa stessa fantasia.

6.

Mi sarebbe stato impossibile presentare un quadro abbastanza chiaro di queste fantasie punitive infantili, se non mi fossi limitato, con pochissime eccezioni, alla descrizione dei fatti quali si osservano in soggetti di sesso femminile. Ora riassumerò brevemente le mie conclusioni. La fantasia di percosse della bambina attraversa tre fasi, delle quali la prima e l'ultima sono ricordate coscientemente, mentre la seconda rimane inconscia. Le due fasi coscienti appaiono di natura sadica, mentre l'altra, inconscia, è sicuramente masochista. In questa la bambina è battuta dal padre; detta fantasia porta in sé la carica libidica e il senso di colpa. Nella prima e nella terza fantasia il bambino che viene percosso è sempre diverso dal soggetto; nella fase intermedia è sempre la stessa bambina; nella terza fase coloro che vengono battuti sono quasi esclusivamente maschi. Fin da principio chi infligge la punizione è il padre, più tardi sostituito da un suo surrogato preso dalla classe dei padri. La fantasia inconscia della fase intermedia inizialmente aveva un significato genitale e nasceva, per il tramite della rimozione e della regressione, da un desiderio inconscio di essere amati dal padre. Un altro fatto, che però è meno strettamente legato al resto, è quello che si verifica tra la seconda e la terza fase della fantasia: le bambine cambiano sesso, dato che nelle fantasticherie dell'ultimo periodo sono diventate maschi.

Nei maschi non sono riuscito ad approfondire altrettanto bene la conoscenza di queste fantasie punitive, forse perché il materiale a mia disposizione non era idoneo. Naturalmente prevedevo di trovare una perfetta analogia tra le fantasie dei maschi e quelle delle femmine, con la madre al posto del padre. La mia previsione sembrò avverarsi, perché nella fase, che pareva corrispondere a quella delle femmine, il bambino veniva percosso dalla madre (o, più tardi, da un suo sostituto). Ma questa fantasia, in cui lo stesso autore della fantasia immaginava di essere percosso, differiva dalla seconda fase delle bambine in quanto aveva la possibilità di diventare cosciente. Inoltre, se si tentava di tracciare un parallelo con la terza fase della fantasia delle bambine, si metteva in rilievo un'altra differenza, dato che la figura dell'autore della fantasia non era sostituita da molti bambini sconosciuti e mal definiti e tanto meno da molte bambine. Dunque la previsione di un completo parallelismo risultava fallace.

Soltanto alcuni, tra i miei casi di soggetti maschili con fantasie infantili di percosse, erano esenti da altre, rilevanti aberrazioni dell'attività sessuale. Molti di essi potevano essere definiti veri masochisti, affetti da questa perversione sessuale in maniera conclamata. Si trattava di individui che trovavano la loro soddisfazione sessuale esclusivamente nella masturbazione accompagnata da fantasie masochiste. Ve ne erano, però, taluni che erano riusciti a combinare il masochismo con un'attività sessuale normale, così che, pur avendo un comportamento masochistico, erano in grado di avere l'erezione e di eiaculare compiendo rapporti sessuali normali. Inoltre vi erano rari casi in cui il comportamento masochistico era perturbato da idee ossessive intollerabilmente intense. Ora, i pervertiti che riescono a soddisfarsi difficilmente vengono a farsi analizzare. Comunque, coloro che, appartenendo a una delle tre classi di masochisti testé definite, vanno a farsi visitare da un analista, devono avere i loro buoni motivi. Il masochista masturbatore scopre di essere impotente quando tenta di avere rapporti con una donna; quello che, fino ad ora, riusciva a compiere il coito aiutandosi con una fantasia o un comportamento masochista, può accorgersi improvvisamente che questo comodo sistema non funziona più, nel senso che i suoi genitali non reagiscono più allo stimolo masochista. Noi abbiamo l'abitudine di garantire fiduciosamente la guarigione agli impotenti che vengono a farsi curare, mentre dovremmo essere più cauti nella prognosi, finché non abbiamo chiarito la dinamica del disturbo. Infatti avremo una sgradita sorpresa, se l'analisi ci rivelerà che la causa dell'impotenza «puramente psichica» sta in un atteggiamento tipicamente masochistico, talora profondamente connaturato fin dall'infanzia.

Quanto ai masochisti di sesso maschile, ci accorgiamo, ora, che non è il caso di insistere sull'analogia con i casi femminili, ma che è preferibile giudicarli separatamente. Infatti scopriamo che i maschi, nelle fantasie masochiste, e anche nelle azioni compiute per tradurle in realtà, si immedesimano sempre nella parte di una donna. Questo significa che il loro atteggiamento masochista coincide con un atteggiamento femminile. È facile dimostrare tutto questo in base all'analisi dei particolari delle fantasie e, inoltre, parecchi malati se ne rendono conto spontaneamente, essendone convinti nel loro intimo. Non ha molta importanza, poi, se, per meglio colorire l'invenzione fantastica, costoro immaginano la scena di un bambino capriccioso, di un paggio, di un allievo che deve essere punito. D'altro canto, la persona che infligge il castigo è sempre una donna, sia nell'immaginazione che nella realtà. Questa constatazione ci lascia perplessi, per cui viene da chiedersi se l'atteggiamento femminile non costituisse fin dall'inizio il fondamento dell'elemento masochista della prima fantasia infantile.

Ma lasciamo stare ogni altra considerazione su questi casi di masochismo in adulti, la cui interpretazione è talmente indagi-nosa, e occupiamoci delle fantasie di percosse coltivate dai maschi nell'età infantile. Anche in questo caso l'analisi dei primi anni dell'infanzia ci consente di fare un'importante scoperta. La fantasia, in cui il soggetto immagina di essere percosso dalla madre - fantasia che è cosciente o che può diventare tale -, non è la fantasia primaria. Essa è preceduta da uno stadio, sempre inconscio, il cui contenuto è: «Sono battuto da mio padre». È dunque questo stadio preliminare l'effettivo corrispondente della seconda fase delle fantasie delle fanciulle. La ben nota fantasia cosciente: «Sono battuto da mia madre» sia al posto della terza fase delle fanciulle, quella in cui, come abbiamo già detto, i soggetti sottoposti alla punizione sono dei maschietti sconosciuti. Per ora non sono riuscito a evidenziare nei maschi uno stadio preliminare, avente carattere sadico, comparabile con la prima fase della fantasia delle fanciulle; tuttavia, non ne negherei assolutamente l'esistenza, dato che potrei avete la possibilità di studiare casi più complessi.

Nelle fantasie maschili (le definisco sinteticamente in questo modo, sperando di non essere frainteso), essere percossi significa essere amati - in senso genitale -, tenendo presente che vi è stato un declassamento conseguente alla regressione. Dunque la forma originaria della fantasia maschile inconscia non è quella provvisoria, che abbiamo già detto («Sono percosso da mio padre»), ma piuttosto: «Sono amato da mio padre». Un processo psichico, che ci è ben noto, ha trasformato questa fantasia nella fantasia cosciente: «Sono battuto da mia madre». Quindi la fantasia di percosse del maschio è passiva fin da principio, traendo origine da un atteggiamento femminile nei riguardi del padre. Essa corrisponde al complesso di Edipo, esattamente come la fantasia femminile (delle fanciulle). Però il parallelismo fra le due fantasie, che si prevedeva di trovare, non sussiste realmente, mentre vi è un'analogia di diverso genere. Infatti in entrambi i casi la fantasia punitiva nasce da un attaccamento incestuoso al padre.

Ai fini di una migliore intelligenza della materia, elencherò le altre analogie e differenze tra le fantasie punitive dei due sessi.

Nelle fanciulle la fantasia masochistica inconscia nasce da un normale atteggiamento edipico, mentre nei maschi nasce da un atteggiamento invertito, secondo il quale il padre viene scelto come oggetto d'amore. La fantasia femminile passa per uno stadio preliminare, la prima fase, in cui le percosse non hanno un particolare significato e vengono inflitte ad una persona oggetto di odio e gelosia. Queste caratteristiche sono assenti nelle fantasie maschili, ma si tratta di una differenza che osservazioni più approfondite potranno far superare. La fanciulla, quando passa dalla fantasia inconscia alla fantasia cosciente che le subentra, non modifica la figura del genitore, per cui il sesso della persona che infligge la punizione non muta. Cambia però il sesso e la figura della persona che viene battuta, per cui, alla fine, è un uomo che batte dei maschietti. Invece, il maschio cambia il sesso della persona che infligge la punizione, perché mette la madre al posto del padre. Però mantiene immutata la propria figura, per cui, in definitiva, la persona che somministra la punizione e quella che la subisce sono di sesso diverso. Nei casi femminili la situazione originaria, masochistica e passiva, diventa sadica per opera della rimozione e perde quasi del tutto la coloritura sessuale. Nei maschi la situazione permane masochistica ed ha maggiori analogie con la situazione originaria, avente un significato genitale, perché vi è una differenza di sesso tra la persona che percuote e quella che viene percossa. Il maschio si sottrae all'omosessualità mediante la rimozione e il ridimensionamento della fantasia inconscia. La nuova fantasia cosciente ha questo di notevole, che comporta un atteggiamento femminile, ma non una scelta omosessuale dell'oggetto. Del resto, nella fanciulla un processo psichico consimile permette di sottrarsi alle esigenze dell'aspetto erotico dell'esistenza. Nella sua fantasia si trasforma in uomo, però senza assumere un ruolo attivo di tipo maschile, e diventa il semplice spettatore di un avvenimento che prende il posto di un atto sessuale.

Possiamo a buon diritto ritenere che la rimozione della primitiva fantasia inconscia non provochi alterazioni di rilievo. Tutto ciò che viene rimosso dalla coscienza, o viene sostituito da qualche altra cosa, rimane intatto e potenzialmente attivo nell'inconscio. Invece l'effetto della regressione a uno stadio più primitivo dell'organizzazione sessuale è del tutto diverso. Riteniamo che, in questo caso, anche la situazione a livello inconscio subisca un mutamento. Infatti in entrambi i sessi la fantasia masochistica di essere battuti dal padre, ma non la fantasia passiva di essere amati da lui, seguita a esistere nell'inconscio anche dopo la rimozione. Inoltre, numerosi indizi portano a credere che tale rimozione sia alquanto deficiente. Il fanciullo, che ha cercato di evitare la scelta omosessuale dell'oggetto e che non ha cambiato sesso, si sente donna nelle fantasie coscienti e conferisce attributi e caratteri maschili alle donne che lo battono. La bambina, che ha addirittura rinunciato al suo sesso e che, in complesso, ha compiuto un lavoro di rimozione più approfondito, non si svincola per questo dal padre. Non arriva al punto di infliggere le punizioni, ma, essendosi trasformata in maschio, immagina per lo più che gli individui sottoposti alle percosse siano maschi.

Mi rendo conto di non aver chiarito a sufficienza le differenze, che ho descritto, nella natura delle fantasie dei due sessi. Comunque non cercherò di risolvere queste difficoltà introducendo nuovi elementi, in quanto non mi pare che il materiale a mia disposizione sia sufficiente. Però, comunque stiano le cose, desidero avvalermi di questo materiale per saggiare la validità di due teorie. Queste si contraddicono a vicenda, sebbene riguardino entrambe il rapporto tra rimozione e carattere sessuale, che considerano ciascuna dal suo punto di vista, molto stretto. Quanto a me, dirò subito che ho sempre considerato scorrette e ingannevoli tutte e due le teorie.

La prima di queste è anonima e mi è stata esposta, parecchi anni fa, da un collega col quale ero allora in rapporti di amicizia. È una teoria assai seducente nella sua disarmante semplicità, per cui mi stupisco di trovare, nella letteratura in argomento, soltanto qualche sporadico accenno ad essa. Prende le mosse dalla costituzione bisessuale dell'individuo ed afferma che il movente della regressione nasce dal conflitto tra i due caratteri sessuali. Il sesso dominante, che è maggiormente sviluppato, respinge nell'inconscio la rappresentazione psichica del sesso subordinato, per cui in ciascun individuo il nucleo dell'inconscio (vale a dire la parte rimossa) è rappresentato da quanto appartiene al sesso opposto. Una teoria come questa assume un significato intelligibile soltanto se si ammette che il sesso di un individuo debba essere determinato dalla conformazione dei genitali, perché, altrimenti, non si potrebbe sapere con certezza quale sia il sesso più forte in un individuo e si correrebbe il rischio di pervenire, con la nostra ricerca, a dei risultati che non sono tali effettivamente, ma rappresentano, invece, fatti basilari da prendersi come punto di partenza. In poche parole, secondo questa teoria, negli uomini l'elemento rimosso consisterebbe in impulsi istintuali femminili; nelle donne si verificherebbe l'opposto.

L'altra teoria ha un'origine più recente. Concorda con la prima nel considerare la lotta tra i due sessi quale fattore essenziale nella rimozione. Invece, per altri aspetti, le si oppone e, inoltre, si basa più su elementi sociologici che su fatti biologici. Questa teoria della protesta virile, enunciata da Alfred Adler, sostiene che ogni individuo si sforza di non rimanere al «livello femminile» (inferiore), ma di raggiungere il «livello maschile», il solo che può procurare soddisfazione. Adler attribuisce alla protesta virile sia la formazione del carattere, sia l'origine delle nevrosi. Disgraziatamente Adler distingue così poco i due processi, che invece devono essere tenuti separati, e, in complesso, dà una così scarsa importanza alla rimozione, che, nel suo tentativo di applicare la dottrina della protesta virile alla rimozione stessa, corre il rischio di essere frainteso. A mio vedere, questo tentativo ci permetterebbe soltanto di concludere che la protesta virile, ossia il desiderio di svincolarsi dalla linea femminile, dovrebbe essere in tutti i casi il movente della rimozione. Dunque il fattore attivo nella rimozione sarebbe sempre un impulso istintuale maschile, mentre l'elemento rimosso sarebbe sempre femminile. Però i sintomi deriverebbero anche da un impulso femminile, dato che non possiamo ignorare la caratteristica essenziale dei sintomi, cioè che essi sono elementi sostitutivi della parte repressa, i quali sono riusciti ad emergere nella coscienza nonostante la rimozione. Prendiamo ora le due teorie, delle quali si può dire che hanno in comune la sessualizzazione del processo di rimozione, e saggiamone la validità applicandole ai casi di fantasie di percosse che stiamo studiando. Nel caso dei maschi, la fantasia originaria («Sono battuto da mio padre») corrisponde a un atteggiamento femminile e, quindi, è l'espressione di quella parte della disposizione psichica che appartiene al sesso opposto. Se questa parte va incontro a rimozione, la prima teoria sembra giusta, dato che, secondo questa, gli elementi rimossi appartengono sempre al sesso opposto. Però le nostre previsioni vengono praticamente deluse quando constatiamo che la fantasia cosciente, sorta a rimozione ultimata, rivela tuttavia un atteggiamento femminile, sia pure rivolto verso la madre. Comunque noi non approfondiremo questi punti incerti, quando è possibile risolvere immediatamente la questione.

Non si può dubitare che, nei casi femminili, la fantasia originaria («Sono battuta -vale a dire: sono amata - da mio padre»), non rappresenti un atteggiamento femminile, espressione del sesso dominante e manifesto. Secondo la teoria, la fantasia dovrebbe sottrarsi alla rimozione, non avendo alcuna necessità di diventare inconscia. In realtà diventa inconscia e viene sostituita da una fantasia cosciente che nega il carattere sessuale manifesto della fanciulla. Dunque la teoria non serve a spiegare le fantasie di percosse ed è anche confutata dalla realtà dei fatti. Si potrebbe obiettare che queste fantasie comparivano, e subivano le descritte modificazioni, in fanciulli poco maschili e bambine poco femminili; oppure che la produzione di una fantasia passiva nei maschi, e la rimozione della stessa nelle femmine, fosse da imputarsi a caratteristiche femminili dei primi e maschili delle seconde. Saremmo anche disposti ad accettare questa tesi, ma, ciononostante, sarebbe sempre impossibile sostenere l'esistenza di quell'ipotetico rapporto tra il carattere sessuale manifesto e la scelta degli elementi destinati alla repressione. In definitiva, non ci resta che riconoscere che, negli individui di ambo i sessi, esistono impulsi sia maschili che femminili, i quali hanno le stesse probabilità di andare incontro alla rimozione, diventando inconsci. Il punto di vista della teoria della protesta virile appare, semmai, meglio sostenibile se si cerca di convalidarlo mediante l'esame delle fantasie punitive. Infatti, tanto nei maschi che nelle femmine, la fantasia di percosse è l'espressione di un atteggiamento femminile (vale a dire di uno stadio in cui il soggetto segue la «linea femminile»), ma, ben presto, sia l'uno che l'altro sesso si affretta a sbarazzarsi di questo atteggiamento, rimuovendo la fantasia. Cionondimeno, la protesta virile sembra raggiungere un completo successo solo con le femmine, anzi, è proprio in esse che possiamo ravvisare un perfetto esempio di protesta virile. Nel fanciullo il risultato non è del tutto soddisfacente: la linea femminile non è abbandonata ed egli certamente non riesce a liberarsi delle fantasie masochiste coscienti. Quindi potremmo anche accettare la teoria se fossimo in grado di accertare che la fantasia masochista è insorta dopo il fallimento della protesta virile. La fantasia della femmina, che deve la sua origine all'intervento della rimozione, ha, però, il significato e il valore di sintomo, e questo è un fatto sconcertante perché, avendo la protesta virile conseguito integralmente il suo scopo, dovrebbe venire a mancare la condizione necessaria alla formazione dei sintomi. Questa difficoltà può farci sospettare che il concetto di protesta virile non riesce a risolvere il problema delle nevrosi e delle perversioni e che la sua applicazione in quest'ambito è infruttuosa. Ma prima di arrivare a tanto, lasciamo da parte per un momento le fantasie punitive a carattere passivo e rivolgiamoci ad altre manifestazioni istintuali della vita sessuale infantile, che sono andate anch'esse incontro a rimozione.

È certo che esistono anche desideri e fantasie che, per loro natura intrinseca, si attengono alla linea maschile, come, ad esempio, le tendenze sadiche e i desideri sessuali che il bambino nutre per la madre in conseguenza del normale complesso di Edipo. È altrettanto certo che anche questi impulsi subiscono la rimozione. Se si ammette che la dottrina della protesta virile rende ragione, in modo soddisfacente, della rimozione delle fantasie passive (che più tardi diventano masochiste), allora tale dottrina, proprio in ragione di questo fatto, non potrà più essere impiegata nell'interpretazione del caso opposto (quello delle fantasie attive). Questo significa che la dottrina della protesta virile non è compatibile col fatto della rimozione. Dunque non possiamo attenderci che il principio della protesta virile abbia alcun valore nell'interpretazione delle nevrosi e delle perversioni, a meno che non si sia disposti a gettare via tutto quello che la psicologia ha realizzato fin dal tempo del primo trattamento catartico secondo Breuer, con tutti i suoi risultati.

La teoria psicoanalitica (teoria che si fonda sull'osservazione) sostiene fermamente l'opinione che non si devono sessualizzare i moventi della rimozione. L'eredità arcaica dell'uomo costituisce il nucleo della mente inconscia e qualsiasi parte di questa eredità, che deve essere abbandonata nel corso dell'evoluzione dell'individuo perché non è più necessaria o addirittura incompatibile con le nuove acquisizioni e persino nociva, viene inevitabilmente colpita dal processo di rimozione. Questa cernita è più completa con certi gruppi di istinti e meno con altri. Tra questi, il gruppo degli istinti sessuali, grazie a circostanze particolari di cui abbiamo parlato più volte, è uno di quelli che sa sfidare con successo la rimozione, riuscendo a potenziare la propria espressione cosciente tramite formazioni sostitutive a carattere patologico. È per questo che la sessualità infantile, sottoposta a rimozione, rappresenta una delle energie più efficaci per la formazione di sintomi e il complesso nucleare delle nevrosi è rappresentato proprio dalla costituente fondamentale di questa sessualità, ossia dal complesso di Edipo. Con questo mio lavoro spero di aver fatto intendere che bisogna prevedere che le aberrazioni sessuali, come pure quelle della vita adulta, sono propaggini di un medesimo complesso.