DUE VOCI DI ENCICLOPEDIA

1922

1. Psicoanalisi

Psicoanalisi è il nome: 1) di un procedimento per l'indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.

Storia.

Il miglior modo per comprendere la psicoanalisi è ancor quello di seguirne la genesi e lo sviluppo. Negli anni 1880 e 1881 il dottor Josef Breuer di Vienna, noto come internista e fisiologo sperimentale, si occupava del trattamento di una fanciulla che si era ammalata di una grave forma d'isteria mentre assisteva il padre infermo; il suo quadro clinico era costituito da paralisi motorie nonché da inibizioni e disturbi della coscienza. Seguendo un suggerimento della paziente, che era molto intelligente, Breuer la sottopose a ipnosi e ottenne che attraverso la comunicazione degli stati d'animo e dei pensieri da cui era dominata, ella ritornasse ogni volta nella condizione psichica normale. Con una coerente ripetizione del medesimo faticoso procedimento, egli riuscì a liberarla da tutte le sue inibizioni e paralisi, talché alla fine vide ricompensata la propria fatica da un grande successo terapeutico nonché da inaspettate nozioni sull'essenza dell'enigmatica nevrosi. Breuer tuttavia si astenne dall'approfondire ulteriormente la propria scoperta non pubblicando niente in merito per circa un decennio, finché l'influsso personale di chi scrive (Freud, che nel 1886 dalla scuola di Charcot aveva fatto ritorno a Vienna) lo indusse a riprendere l'argomento e a lavorarvi in comune con Freud stesso. I due, Breuer e Freud, pubblicarono poi nel 1893 una comunicazione preliminare, Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici, e nel 1895 un libro, Studi sull'isteria (giunto nel 1922 alla quarta edizione) in cui definirono "catartico" il loro metodo terapeutico.

La Catarsi.

Dalle indagini su cui si fondavano gli studi di Breuer e Freud emersero innanzitutto due risultati che neppure la successiva esperienza intaccò; primo: che i sintomi isterici hanno senso e significato in quanto sono il sostituto di atti psichici normali; e secondo: che la scoperta di questo senso sconosciuto coincide con l'eliminazione dei sintomi, per cui, in questo caso, l'indagine scientifica coincide con l'impegno terapeutico. Le osservazioni erano state fatte su una serie di pazienti posti in profonda ipnosi, come la prima malata di Breuer, e i successi apparirono splendidi, fino a quando, successivamente, ne emerse il lato debole. Le rappresentazioni teoriche di Breuer e Freud erano influenzate a quel tempo dalle teorie di Charcot sull'isteria traumatica e potevano appoggiarsi sugli accertamenti dello scolaro di questi, Janet; tali accertamenti, sebbene fossero stati pubblicati prima degli Studi, erano stati compiuti in un'epoca successiva al primo caso di Breuer.

Sin dall'inizio il momento affettivo fu messo in primo piano: i sintomi isterici nascevano per il fatto che a un processo psichico con forte carica affettiva veniva in qualche modo impedito di defluire (abreazione) sulla via normale che conduce alla coscienza e alla motilità, talché l'affetto, per così dire "incapsulato", prendeva una strada sbagliata e trovava un deflusso nell'innervazione somatica (conversione). Le occasioni in cui nascevano tali "rappresentazioni" patogene furono da Breuer e Freud designate come "traumi psichici" e, poiché spesso risalivano a tempi remoti, gli autori poterono dire che gli isterici soffrivano perlopiù di reminiscenze (irrisolte). La catarsi subentrava poi nel trattamento allorché si apriva la via che conduceva alla coscienza e al normale sfogo affettivo. L'ipotesi dell'esistenza di processi psichici inconsci costituiva, com'è palese, un elemento essenziale di questa teoria. Anche Janet si era avvalso dell'ipotesi di atti inconsci nella vita psichica, ma, come egli sottolineò durante successive polemiche contro la psicoanalisi, questo per lui non era stato che un termine ausiliario, une manière de parler, con cui non aveva voluto accennare ad alcuna nuova cognizione.

In una sezione degli Studi dedicata alla teoria Breuer comunicò alcune considerazioni speculative sui processi di eccitamento che si svolgono nella psiche. Tali idee sono rimaste normative per il futuro e ancor oggi non sono state apprezzate in tutto il loro valore. Ebbero fine con ciò i contributi di Breuer a questo campo della scienza; poco dopo infatti egli si ritirò dal lavoro comune.

Il passaggio alla psicoanalisi.

Già negli Studi si erano palesati alcuni contrasti tra le concezioni dei due autori. Breuer supponeva che le rappresentazioni patogene manifestassero un effetto traumatico per il loro essere nate durante "stati ipnoidi" in cui la prestazione psichica è sottoposta a restrizioni particolari; l'autore di questo scritto, invece, rifiutava questa spiegazione, reputando che una rappresentazione diviene patogena allorquando il suo contenuto si ribella alle tendenze dominanti della vita psichica, sì da provocare la difesa dell'individuo (Janet aveva attribuito agli isterici un'incapacità costituzionale a tenere insieme i propri contenuti psichici; fu su questo punto che le vie di Breuer e di Freud si separarono da quella di Janet). Anche le due innovazioni con cui poco dopo l'autore di questo scritto abbandonò il terreno della catarsi erano già state menzionate negli Studi. Dopo il ritiro di Breuer esse divennero punto di partenza per ulteriori sviluppi.

Rinuncia all'ipnosi.

La prima di queste innovazioni si fondava su un'esperienza pratica e comportava una modifica della tecnica, la seconda consisteva in un progresso nella conoscenza clinica della nevrosi. Risultò ben presto che le speranze terapeutiche riposte nel trattamento catartico in stato d'ipnosi in un certo senso restavano disattese. È vero che lo scomparire dei sintomi procedeva parallelamente alla catarsi, ma il risultato complessivo mostrava chiaramente di dipendere dal rapporto del paziente con il medico, comportandosi quindi come un successo di "suggestione", tanto è vero che quando questo rapporto si guastava, tutti i sintomi tornavano a manifestarsi come se mai avessero trovato una soluzione. Oltre a ciò l'esiguo numero delle persone che consentivano a esser trasposte in ipnosi comportava una restrizione assai significativa dal punto di vista medico nell'applicazione del procedimento catartico. Per tali motivi l'autore di questo scritto prese la decisione di rinunciare all'ipnosi. Al tempo stesso, però, dalle impressioni che aveva ricavato dall'ipnosi egli trasse i mezzi per sostituirla.

L'associazione libera.

Lo stato ipnotico aveva provocato nel paziente una tale espansione delle capacità associative, che immediatamente costui riusciva a trovare la via, inaccessibile alla sua riflessione cosciente, che dal sintomo conduce ai pensieri e ai ricordi con esso collegati. Il venir meno dell'ipnosi parve creare una situazione disperata, ma chi scrive si risovvenne della dimostrazione di Bernheim secondo cui quel che è vissuto nel sonnambulismo è soltanto apparentemente dimenticato e può in qualunque momento essere ricondotto alla memoria attraverso l'insistente assicurazione del medico che il paziente lo ha in mente. Lo scrivente tentò perciò d'indurre anche i suoi pazienti non ipnotizzati a comunicare le loro associazioni, al fine di trovare attraverso quel materiale la via che conduce a ciò che è stato dimenticato o respinto.

Più tardi egli si rese conto che tale insistenza non era necessaria, che quasi sempre affioravano nel paziente un numero considerevole di idee improvvise che non giungevano a essere comunicate, e anzi non pervenivano neppure alla coscienza solo in ragione di determinate obiezioni che il paziente rivolgeva a sé medesimo. Dall'aspettativa, a quel tempo non ancora verificata, ma più tardi confermata da una ricca esperienza, che tutto ciò che a partire da un determinato punto viene in mente al paziente dev'essere intimamente connesso con quel punto, nacque la tecnica di educare il paziente a rinunciare ad ogni atteggiamento critico e a impiegare il materiale d'idee improvvise in tal modo messo in evidenza per scoprire i nessi cercati. Alla svolta verso questa tecnica, destinata a sostituire l'ipnosi, contribuì certamente una grande fiducia nel rigoroso determinismo della vita psichica.

La "regola tecnica fondamentale".

Questo procedimento delle "associazioni libere" è stato da allora mantenuto nel lavoro psicoanalitico. Si avvia il trattamento invitando il paziente ad assumere un atteggiamento di autoosservazione attenta e spassionata, a leggere di volta in volta sempre e soltanto la superficie della propria coscienza, e a impegnarsi da un lato a essere completamente sincero e dall'altro a non escludere dalla comunicazione nessuna idea improvvisa, neppure quando: 1) la dovesse avvertire come troppo sgradevole; 2) dovesse reputarla insensata; 3) troppo irrilevante; 4) non pertinente a ciò che si ricerca. Accade regolarmente che proprio le idee improvvise che provocano le obiezioni testé menzionate si rivelino di particolare valore per la scoperta del materiale dimenticato.

La psicoanalisi come arte interpretativa

La nuova tecnica modificò a tal punto il quadro del trattamento, instaurò rapporti talmente nuovi tra medico e malato, e fornì un sì gran numero di risultati sorprendenti, che parve giustificato distinguere con un nome questo procedimento dal "metodo catartico". Per il proprio metodo di trattamento, estendibile ormai a molte altre forme di disturbi nevrotici, l'autore di questo scritto scelse il nome di psicoanalisi. La psicoanalisi era dunque innanzitutto un'arte dell'interpretazione e si prefiggeva il compito di approfondire la prima delle grandi scoperte di Breuer, quella cioè che i sintomi nevrotici sono sostituti, dotati di senso, di altri atti psichici omessi.

Si trattava ora d'intendere il materiale fornito dalle idee improvvise dei pazienti come se alludesse a un senso recondito, e d'indovinare questo senso. L'esperienza mostrò ben presto che il comportamento più opportuno da parte del medico analizzante era quello di abbandonarsi alla propria attività mentale inconscia con una attenzione fluttuante uniforme, evitando possibilmente la meditazione e la formulazione di aspettative coscienti, e senza volersi fissare particolarmente nella memoria alcunché di quello che udiva, per cogliere in tal modo l'inconscio del paziente con il suo stesso inconscio. Ad eccezione di circostanze particolarmente sfavorevoli, risultò allora che le idee improvvise del paziente procedevano a tentoni, in un certo senso come allusioni, verso un determinato tema, e che bastava che il medico osasse un altro passo innanzi per indovinare e poter comunicare ciò che era celato al paziente. Vero è che questo lavoro d'interpretazione non poteva venire inquadrato in norme rigorose e lasciava ampio spazio al tatto e all'abilità del medico; tuttavia, abbinando l'imparzialità all'esperienza pratica, si conseguivano generalmente risultati attendibili, ossia risultati che ripetendosi in casi analoghi finivano per confermarsi a vicenda. In un tempo in cui ancora così poco si sapeva dell'inconscio, della struttura delle nevrosi e dei processi patologici che queste celano, bisognava accontentarsi di poter disporre di questa tecnica anche se i suoi fondamenti teorici avrebbero potuto essere migliori. Anche nelle analisi di oggi tale tecnica viene peraltro applicata nella medesima maniera, soltanto con un senso di maggiore sicurezza e consapevolezza dei suoi limiti.

L'interpretazione degli atti mancati e delle azioni casuali.

Fu un trionfo per l'arte interpretativa della psicoanalisi quando riuscì a dimostrare che certi frequenti atti psichici dell'uomo normale, per i quali fino ad allora non si era neppure presa in considerazione una spiegazione psicologica, sono da intendere allo stesso modo dei sintomi dei nevrotici, ovvero hanno un significato ignoto al soggetto ma facilmente rintracciabile mediante l'analisi. I fenomeni in questione, la dimenticanza temporanea di parole e nomi peraltro ben noti, la dimenticanza di propositi, i frequenti lapsus verbali, di lettura e di scrittura, la perdita e lo smarrimento di oggetti, alcuni tipi di errori, atti di autolesione apparentemente accidentale, e infine movimenti che si eseguono d'abitudine, senza intenzione e come giocando, melodie che si canticchiano "soprappensiero", e altro ancora — tutto ciò fu sottratto alla spiegazione fisiologica, se mai questa era stata tentata, e dichiarato rigorosamente determinato, nonché riconosciuto come espressione d'intenzioni represse della persona o come cons-eguenza dell'interferire di due intenzioni, una delle quali permanentemente o provvisoriamente inconscia. Il valore di questo contributo alla psicologia era molteplice.

L'ambito della determinazione psichica si ampliò in maniera insospettata; si ridusse il baratro presunto tra l'accadimento psichico normale e quello patologico; in molti casi si giunse a scorgere agevolmente il giuoco delle forze psichiche che bisogna presumere dietro ai fenomeni. Si venne infine in possesso di un materiale che più di ogni altro è adatto a rendere credibile l'esistenza di atti psichici inconsci anche presso coloro cui l'ipotesi di una psiche inconscia appare peregrina o persino assurda. Lo studio degli atti mancati e delle azioni casuali, che la maggior parte degli individui hanno ampie occasioni di fare su sé medesimi, è ancor oggi la migliore preparazione per penetrare nella psicoanalisi. Nel trattamento analitico l'interpretazione degli atti mancati ha una sua funzione in quanto mezzo per svelare l'inconscio, accanto all'interpretazione delle idee improvvise, che pure ò incomparabilmente più importante.

L'interpretazione dei sogni.

Un nuovo accesso alle profondità della vita psichica si dischiuse quando la tecnica delle associazioni libere fu applicata ai sogni propri o a quelli dei pazienti in analisi. In effetti ciò che di più e di meglio sappiamo dei processi che si svolgono negli strati psichici inconsci ci deriva dall'interpretazione dei sogni. La psicoanalisi ha restituito al sogno l'importanza che nei tempi antichi gli era universalmente riconosciuta, ma con esso procede in maniera diversa. Non si affida all'acume dell'interprete dei sogni, ma anzi lascia questo compito in massima parte al sognatore stesso, interrogandolo sulle sue associazioni per ogni singolo elemento onirico. Continuando a seguire queste associazioni si giunge a conoscenza di pensieri che coincidono perfettamente con il sogno, ma che — a eccezione di un punto — sono riconoscibili come parti pienamente valide, del tutto intelligibili, dell'attività psichica vigile. Il sogno ricordato, in quanto contenuto onirico manifesto, si contrappone così ai pensieri onirici latenti rintracciati dall'interpretazione. Il processo che ha trasformato gli ultimi nel primo, appunto nel "sogno", e che viene fatto recedere dal lavoro interpretativo, può esser chiamato lavoro onirico.

Per il loro rapporto con la vita vigile i pensieri onirici latenti sono detti anche residui diurni. Dal lavoro onirico, cui a torto si attribuirebbe un carattere "creativo", i pensieri onirici latenti vengono sorprendentemente condensati, dallo spostamento di intensità psichiche vengono deformati, allestiti in modo da consentirne la raffigurazione in immagini visive; e, prima che assumano la forma del sogno manifesto, essi sono inoltre soggetti a un'elaborazione secondaria, che alla nuova configurazione vorrebbe conferire una sorta di senso e coerenza. In verità quest'ultimo processo non appartiene già più al lavoro onirico.

Teoria dinamica della formazione del sogno.

Non è stato troppo difficile afferrare la dinamica della formazione del sogno. La forza motrice che porta alla formazione del sogno non è data dai pensieri onirici latenti o residui diurni, bensì da una aspirazione inconscia, rimossa durante il giorno, con la quale i residui diurni hanno potuto mettersi in contatto e che, col materiale dei pensieri latenti, allestisce per sé medesima un appagamento di desiderio. In tal modo ogni sogno è da un lato un appagamento di desiderio dell'inconscio, dalì'altro, nella misura in cui riesce a preservare lo stato di sonno da turbamenti, un appagamento del normale desiderio di dormire che ha introdotto il sonno. Se si prescinde dal contributo inconscio alla formazione del sogno, e si riduce il sogno ai suoi pensieri latenti, esso può rappresentare tutto ciò di cui la vita vigile si è occupata: una riflessione, un ammonimento, un proposito, una preparazione al prossimo futuro, o altresì il soddisfacimento di un desiderio non appagato.

L'irriconoscibilità, la stranezza, l'assurdità del sogno manifesto è per una parte la conseguenza della trasposizione dei pensieri onirici in un diverso modo espressivo da designarsi come arcaico, per l'altra parte, però, l'effetto di un'istanza che esercita una funzione restrittiva e di rifiuto critico, istanza che neppure durante il sonno è completamente eliminata. Viene naturale pensare che questa censura onirica, che consideriamo la prima responsabile della deformazione dei pensieri onirici nel sogno manifesto, sia espressione delle medesime forze psichiche che durante il giorno avevano trattenuto, ossia rimosso, l'inconscio moto di desiderio.

Valeva la pena di approfondire la spiegazione dei sogni, perché il lavoro analitico ha mostrato che la dinamica della formazione del sogno è uguale a quella della formazione del sintomo. Qui come là riconosciamo un antagonismo tra due tendenze, una inconscia, solitamente rimossa, che tende al soddisfacimento — appagamento di desiderio —, e una appartenente con ogni probabilità all'Io cosciente, rifiutante e rimovente; risultato di questo conflitto è il formarsi di un compromesso — il sogno, il sintomo — in cui entrambe le tendenze trovano espressione, sia pure incompiuta. Il significato teorico di questa concordanza è illuminante. Dal momento che il sogno non è un fenomeno patologico, essa adduce la prova che i meccanismi psichici generanti i sintomi morbosi sono già presenti nella vita psichica normale, che il normale e l'abnorme ubbidiscono alle medesime leggi, e che i risultati dell'indagine compiuta su nevrotici o malati di mente non possono essere privi di significato per la comprensione della psiche sana.

Il simbolismo.

Durante lo studio del modo d'espressione creato dal lavoro onirico è emerso il sorprendente dato di fatto che nel sogno certi oggetti, certe attività e certi rapporti vengono rappresentati, in un certo senso indirettamente, da "simboli" che il sognatore adopera senza conoscerne il significato e a proposito dei quali, inoltre, la sua associazione generalmente non fornisce alcunché. La loro traduzione deve essere compiuta dall'analista, che a sua volta la può trovare soltanto empiricamente, provando a inserire questi simboli nel contesto. Risultò più tardi che l'uso linguistico, la mitologia e il folklore contengono le più ampie analogie con i simboli onirici. I simboli, a cui si riallacciano problemi interessantissimi e ancora irrisolti, sembrano essere parte di un antichissimo retaggio psichico. L'ambito della comunanza simbolica è più ampio di quello della comunanza linguistica.

Il significato etiologico della vita sessuale.

La seconda novità che emerse dalla sostituzione della tecnica ipnotica con le libere associazioni era di natura clinica, e fu scoperta durante la prolungata ricerca intesa a stabilire quali fossero le esperienze traumatiche da cui i sintomi isterici parevano derivare. Quanto più coscienziosamente si effettuava questa ricerca, tanto più ricco si rivelava il concatenamento di tali impressioni etiologicamente significative, ed esse risalivano sempre più addietro, fino alla pubertà o all'infanzia del nevrotico. Al tempo stesso venivano assumendo un carattere unitario, e infine fu necessario inchinarsi all'evidenza e riconoscere che, alla radice di ogni formazione del sintomo, si trovano impressioni traumatiche provenienti dalla vita sessuale del primo periodo dell'esistenza. Il trauma sessuale prese così il posto del trauma banale, e quest'ultimo divenne debitore del proprio significato etiologico al rapporto associativo o simbolico con il primo, che lo aveva preceduto.

Dal momento che l'esame contemporaneo di casi di nervosismo comune (classificati nelle due categorie della nevrastenia e della nevrosi d'angoscia) aveva rivelato che questi disturbi non solo possono essere ricondotti ad abusi attuali nella vita sessuale, ma possono anche essere eliminati se si sopprimono questi abusi, fu naturale concludere che le nevrosi come tali sono l'espressione di disturbi nella vita sessuale, che le cosiddette nevrosi attuali sono l'espressione (mediata chimicamente) di danni attualmente subiti, e che le psiconevrosi sono l'espressione (psichicamente elaborata) di danni subiti nel passato da questa funzione che, pur essendo biologicamente così importante, è stata fino ad ora gravemente trascurata dalla scienza. Nessuna affermazione della psicoanalisi ha incontrato un'incredulità così tenace e una resistenza così aspra come quella dell'enorme significato etiologico della vita sessuale per le nevrosi. È però importante sottolineare espressamente che anche la psicoanalisi, così come si è sviluppata fino ad oggi, non ha mai avuto motivo di recedere da questa sua asserzione.

La sessualità infantile.

In virtù della propria indagine etiologica, la psicoanalisi giunse a occuparsi di un tema di cui prima d'allora non era neppure sospettata l'esistenza. La scienza era avvezza a far iniziare la vita sessuale con la pubertà, giudicando le espressioni della sessualità dei bambini come rari indizi di abnorme precocità e degenerazione. La psicoanalisi svelò ora una gran quantità di fenomeni tanto strani quanto consueti, che indussero a far coincidere l'inizio della funzione sessuale nel bambino pressoché con l'inizio della vita extrauterina; e ci si chiese stupiti come fosse stato possibile trascurare tutto ciò. Vero è che le prime dilucidazioni sulla sessualità infantile si ottennero dall'esame analitico di adulti, e che perciò esse erano soggette a tutti i dubbi e a tutte le possibilità di errore che a tale tardiva retro-spezione potevano essere attribuite; tuttavia, quando successivamente (dal 1908 in poi) i bambini stessi cominciarono a essere analizzati e osservati spassionatamente, tutto quanto il contenuto della nuova concezione ottenne una diretta e concreta conferma.

Sotto certi aspetti la sessualità infantile presentava un quadro diverso da quella degli adulti e sorprendeva per numerosi tratti che negli adulti sarebbero stigmatizzati come "perversioni". Si dovette ampliare il concetto di sessualità fino a comprendervi molto di più che la tendenza all'unione dei due sessi nell'atto sessuale o alla provocazione di determinate sensazioni di piacere sui genitali. Questa estensione fu però ricompensata dal fatto che divenne possibile comprendere, a partire da un unico contesto, la vita sessuale infantile, quella normale e quella perversa.

L'indagine analitica di chi scrive incorse in un primo tempo nell'errore di sopravvalutare notevolmente la seduzione come fonte delle manifestazioni sessuali infantili e germe della formazione del sintomo nevrotico. Questo travisamento fu superato quando nella vita psichica del nevrotico fu possibile riconoscere l'enorme ruolo svolto dall'attività fantastica, la quale, per la nevrosi, aveva palesemente un'importanza maggiore della realtà esterna. Al di là di queste fantasie apparve poi il materiale che permette la seguente descrizione dello sviluppo della funzione sessuale.

Lo sviluppo della libido.

La pulsione sessuale, la cui espressione dinamica nella vita psichica chiamiamo libido, si compone di pulsioni parziali, in cui essa può nuovamente frammentarsi e che soltanto gradualmente si unificano in determinate organizzazioni. Fonte di queste pulsioni parziali sono gli organi del corpo, in particolare alcune precise zone erogene; ma anche tutti gli importanti processi funzionali che si svolgono nel corpo forniscono contributi alla libido. In un primo tempo le singole pulsioni parziali tendono all'appagamento l'una indipendentemente dall'altra, ma nel corso dello sviluppo vengono sempre maggiormente riunite e concentrate. Primo gradino dell'organizzazione sessuale (pregenitale) appare quello orale, in cui, conformemente all'interesse primario del poppante, la zona della bocca svolge la funzione principale. Lo segue l'organizzazione sadico-anale, in cui sono particolarmente rilevanti la pulsione parziale del sadismo e la zona anale; la diEerenza fra i sessi viene qui rappresentata dal contrasto tra attivo e passivo. Il terzo e definitivo gradino dell'organizzazione sessuale è la unificazione della maggior parte delle pulsioni parziali sotto il primato delle zone genitali. Di regola questo sviluppo viene percorso rapidamente e senza dar nell'occhio; singole componenti pulsionali si arrestano però ai gradini preliminari dell'esito finale e producono quindi le fissazioni della libido: tali fissazioni sono importanti in quanto disposizioni per un successivo irrompere di aspirazioni rimosse e hanno una precisa relazione con lo sviluppo di nevrosi e perversioni future (si veda [appresso] la voce sulla "teoria della libido").

Il rinvenimento dell'oggetto e il complesso edipico.

In un primo tempo la pulsione parziale orale trova il proprio soddisfacimento appoggiandosi all'appagamento del bisogno di cibo, e assume come proprio oggetto il seno materno. Poi si stacca, diventa indipendente e nel contempo autoerotica, ovvero assume come oggetto il proprio corpo. Anche altre pulsioni parziali si comportano dapprima autoeroticamente e vengono indirizzate solo più tardi verso un oggetto estraneo. Di particolare significato è il fatto che le pulsioni parziali della zona genitale attraversano regolarmente un periodo d'intenso soddisfacimento autoerotico. Non tutte le pulsioni parziali sono utilizzabili in egual misura per la definitiva organizzazione genitale della libido; alcune di esse (ad esempio quelle anali) vengono perciò lasciate in disparte, sono represse o subiscono complicate trasformazioni.

Già nei primi anni dell'infanzia (all'incirca dai 2 ai 5 anni) si ha una concentrazione degli impulsi sessuali, il cui oggetto nel maschietto è la madre. Questa scelta oggettuale costituisce, assieme al corrispondente subentrare della rivalità e dell'ostilità verso il padre, il contenuto del cosiddetto complesso edipico, cui spetta, nella vita di tutti gli esseri umani, un grandissimo significato per la configurazione definitiva della vita amorosa. Si è stabilito come elemento caratterizzante dell'uomo normale il fatto che egli impari a superare il complesso edipico, mentre il nevrotico rimane ad esso ancorato.

L'inizio in due tempi dello sviluppo sessuale.

Questo remoto periodo della vita sessuale volge normalmente alla fine verso il quinto anno di età e viene sostituito da un periodo di latenza più o meno completa, durante il quale vengono costruite le restrizioni etiche che fungono da protezione contro i moti di desiderio del complesso edipico. Nel successivo periodo della pubertà il complesso edipico torna a vivere nell'inconscio e va incontro alle sue ulteriori trasformazioni. Soltanto nell'epoca della pubertà le pulsioni sessuali si sviluppano in tutta la loro intensità; ma l'indirizzo di questo sviluppo e tutte le disposizioni ad esso inerenti sono già stati determinati dalla fioritura infantile della sessualità avvenuta precedentemente. Questo sviluppo in due tempi, interrotto dal periodo di latenza, della funzione sessuale, pare essere una particolarità biologica della specie umana e contenere l'elemento che determina l'insorgere delle nevrosi.

La dottrina della rimozione.

Il confronto tra queste conoscenze teoriche e le impressioni immediate del lavoro analitico comporta una concezione delle nevrosi che, grossolanamente, può essere così formulata: le nevrosi sono l'espressione di conflitti tra l'Io e quegli impulsi sessuali che all'Io appaiono incompatibili con la propria integrità o le proprie esigenze etiche. L'Io ha rimosso queste tendenze non egosintoniche, ossia ha loro sottratto il proprio interesse e ha loro impedito sia di diventare coscienti sia di procurarsi il soddisfacimento mediante scarica motoria. Quando nel lavoro analitico si tenta di rendere coscienti questi impulsi rimossi, si avvertono le forze rimoventi come resistenza. Ma l'azione della rimozione fallisce con particolare facilità dinanzi alle pulsioni sessuali. La loro libido, che ha subito in ingorgo, si procura nuove vie d'uscita dal lato dell'inconscio, regredendo verso precedenti fasi di sviluppo e orientamenti oggettuali, e irrompendo, ovunque si trovino fissazioni infantili, attraverso i punti deboli dello sviluppo della libido, fino a penetrare nella coscienza e a ottenere la scarica.

Ciò che in tal modo nasce è un sintomo, e quindi in fondo un soddisfacimento sessuale sostitutivo; ma neppure il sintomo può sottrarsi del tutto all'influsso delle forze rimoventi dell'Io, talché è costretto a tollerare modifiche e spostamenti — in questo è simile al sogno — che rendono irriconoscibile il suo carattere di appagamento sessuale. Il sintomo assume così il carattere di una formazione di compromesso tra le pulsioni sessuali rimosse e le pulsioni rimoventi dell'Io, di un appagamento di desiderio simultaneamente concesso alle due parti in conflitto, sia pure in modo incompleto per entrambe.

Ciò è rigorosamente vero per i sintomi dell'isteria, mentre sovente nei sintomi della nevrosi ossessiva la parte dell'istanza rimovente, creando formazioni reattive (misure cautelative contro il soddisfacimento sessuale), si esprime in modo più marcato.

La traslazione.

Qualora occorresse un'ulteriore dimostrazione della tesi secondo cui le forze motrici della formazione del sintomo nevrotico sono di natura sessuale, la si troverebbe nel fatto che durante il trattamento si instaura regolarmente un particolare rapporto emotivo del paziente nei confronti del medico, rapporto che va molto al di là del razionale e che variando dalla più tenera dedizione alla più cocciuta ostilità prende a prestito tutte le sue singolarità dai precedenti e ormai inconsci orientamenti amorosi del paziente. Questa traslazione, che sia nella sua forma positiva sia in quella negativa si pone al servizio della resistenza, si trasforma nelle mani del medico nel più potente ausilio del trattamento, e sostiene, nella dinamica del processo di guarigione, una parte cui non sarà mai dato troppo rilievo.

Le pietre miliari della teoria psicoanalitica.

L'ipotesi dell'esistenza di processi psichici inconsci, l'accettazione della dottrina della resistenza e della rimozione, il riconoscimento dell'importanza della sessualità e del complesso edipico, corrispondono ai contenuti principali della psicoanalisi e costituiscono i fondamenti della sua teoria; chi non sappia accettarli tutti quanti non dovrebbe annoverarsi tra gli psicoanalisti.

Ulteriori destini della psicoanalisi.

La psicoanalisi era più o meno giunta al punto sopra indicato grazie al lavoro di chi scrive, che per oltre un decennio ne fu l'unico esponente. Nel 1906 gli psichiatri svizzeri Eugen Bleuler e C. G. Jung cominciarono ad assumere un ruolo dinamico all'interno dell'analisi; nel 1907 a Salisburgo ebbe luogo un primo incontro dei suoi seguaci, e ben presto la giovane scienza si vide al centro dell'interesse sia degli psichiatri sia dei profani. Il tipo di accoglienza riservatole dalla Germania, sempre desiderosa di autorità, non tornò certo a onore della scienza tedesca e sollecitò perfino un fautore tiepido come Bleuler a intervenire vigorosamente in sua difesa. Tutte le condanne e liquidazioni ufficiali ai congressi non riuscirono tuttavia a frenare la crescita interna e l'espansione esterna della psicoanalisi, la quale, nel corso dei successivi dieci anni, si spinse assai oltre i confini europei divenendo particolarmente popolare negli Stati Uniti d'America; tutto ciò fu ottenuto non da ultimo grazie all'aiuto e alla collaborazione di Putnam (Boston), Jones (Toronto e più tardi Londra), Flournoy (Ginevra), Ferenczi (Budapest), Abraham (Berlino) e di molti altri.

L'anatema scagliato contro la psicoanalisi indusse i suoi seguaci ad associarsi in un'organizzazione internazionale, che quest'anno (1922) tiene a Berlino il suo ottavo congresso privato e che attualmente comprende i seguenti gruppi locali: Vienna, Budapest, Berlino, Olanda, Zurigo, Londra, New York, Calcutta e Mosca. Neppure la guerra mondiale ha interrotto questo sviluppo. Nel 1918-19 Anton von Freund (Budapest) ha fondato l'"Internationaler Psychoanalytischer Verlag", che pubblica riviste e volumi al servizio della psicoanalisi; nel 1920 Max Eitingon ha inaugurato a Berlino il primo "Policlinico psicoanalitico" per il trattamento di nevrotici privi di mezzi. Le traduzioni in francese, italiano e spagnolo, tuttora in corso, delle opere principali di chi scrive attestano il destarsi dell'interesse per la psicoanalisi anche nel mondo latino.

Negli anni tra il 1911 e il 1913 si staccarono dalla psicoanalisi due indirizzi che evidentemente tendevano a mitigarne gli aspetti sconvenienti. L'uno, capeggiato da C. G. Jung, tentò di rendere giustizia a esigenze etiche, spogliò il complesso edipico del suo reale significato reinterpretandolo in chiave simbolica, e trascurò nella pratica analitica la scoperta del periodo infantile dimenticato, che chiameremo "preistorico". L'altro, che ha per fondatore Alfred Adler di Vienna, ripresentò sotto altro nome vari elementi della psicoanalisi - per esempio la rimozione assunse in una versione sessualizzata il nome di "protesta virile"; tuttavia questo indirizzo prescinde per il resto dall'inconscio e dalle pulsioni sessuali e tenta di ricondurre sia lo sviluppo del carattere sia quello della nevrosi alla volontà di potenza, la quale aspira a trattenere con la sovracompensazione i pericoli che scaturiscono dalle "inferiorità organiche". Entrambi gli orientamenti, elaborati a sistema, non hanno avuto durevole influsso sulla psicoanalisi; di quello adleriano presto si è capito che troppo poco aveva in comune con la psicoanalisi, che voleva soppiantare.

Progressi recenti della Psicoanalisi.

Da quando è divenuta campo di lavoro di un sì grande numero di osservatori la psicoanalisi ha subito arricchimenti e approfondimenti di cui in questo articolo possiamo fare purtroppo soltanto brevissima menzione.

Il narcisismo.

Il suo più importante progresso teorico è certamente stato l'applicazione della teoria della libido all'Io rimovente. Si giunse a rappresentarsi l'Io stesso come un serbatoio di libido, detta narcisistica, da cui defluiscono gli investimenti libidici oggettuali e in cui questi possono venire nuovamente ritratti. Grazie a questa rappresentazione divenne possibile accingersi all'analisi dell'Io e intraprendere la separazione clinica tra nevrosi di traslazione e affezioni narcisistiche. Nelle prime (isteria e nevrosi ossessiva) è disponibile una certa quantità di libido che tende a trasferirsi su oggetti estranei e di questo ci si avvale per portare avanti il trattamento analitico; i disturbi narcisistici invece (dementia praecox, paranoia, melanconia) sono caratterizzati dal fatto che la libido è sottratta agli oggetti, ciò che li rende  praticamente  inaccessibili  alla  terapia  analitica.

Tale insufficienza terapeutica non ha tuttavia impedito all'analisi di avanzare considerevolmente verso una più profonda comprensione di queste sofferenze, che annoveriamo tra le psicosi.

Svolta nella tecnica.

Dopo che l'elaborazione della tecnica interpretativa ebbe per così dire soddisfatto la brama di sapere dell'analista, fu inevitabile che l'interesse si rivolgesse alla questione di quali siano le vie capaci di influenzare il paziente nel modo più efficace possibile. Risultò subito essere primo compito del medico quello di aiutare il paziente a riconoscere e poi a superare le resistenze che durante il trattamento si manifestano in lui e di cui egli stesso inizialmente non ha coscienza. Si riconobbe al tempo stesso che la parte essenziale del processo di guarigione consiste nel superare queste resistenze, e che, in mancanza di questo, è impossibile conseguire un duraturo cambiamento psichico nel paziente. Da quando il lavoro dell'analista si orienta in tal modo rispetto alla resistenza del malato, la tecnica analitica ha acquistato una precisione e una sottigliezza che possono competere con la tecnica chirurgica. È quindi decisamente sconsigliabile intraprendere trattamenti psicoanalitici senza un previo rigoroso periodo di addestramento, e il medico che vi si azzardi, confidando nel suo diploma riconosciuto dallo Stato, non è in niente superiore a un qualsiasi profano.

La psicoanalisi come metodo terapeutico.

La psicoanalisi non si è mai spacciata per una panacea né ha mai preteso di far miracoli. In uno dei campi più ardui dell'attività medica essa è, per alcune malattie, l'unico metodo terapeutico possibile, mentre per altre è quello che fornisce i risultati migliori o più duraturi; tutto ciò non avviene comunque mai senza un adeguato dispendio di tempo e di lavoro. Il medico che non si esaurisca totalmente nel compito del soccorso terapeutico, viene ampiamente ricompensato per le proprie fatiche dalle insospettate conoscenze che riesce a ricavare sugli intrichi della vita psichica e sui nessi tra lo psichico e il corporeo. Nei campi in cui al momento attuale la psicoanalisi non può offrire alcun rimedio, ma soltanto una comprensione teorica, essa prepara forse la strada affinché in futuro diventi possibile influenzare più direttamente determinati disturbi nevrotici. Suo campo di lavoro sono innanzitutto le due nevrosi di traslazione, isteria e nevrosi ossessiva, delle quali ha contribuito a scoprire la struttura interna e i meccanismi agenti; ma, oltre a queste, tutti i tipi di fobie, inibizioni, distorsioni del carattere, perversioni sessuali e difficoltà della vita amorosa. Secondo quanto dicono alcuni analisti (Jelliffe, Groddeck, Felix Deutsch) il trattamento analitico non è privo di prospettive neppure nel caso di gravi malattie organiche, giacché non di rado un fattore psichico concorre alla genesi e al persistere di queste affezioni. Poiché la psicoanalisi richiede dai suoi pazienti una certa plasticità psichica, nella sua scelta deve attenersi a determinati limiti d'età, e siccome comporta un lungo e intenso interessamento al malato singolo, sarebbe antieconomico sprecare queste energie con individui del tutto privi di valore che, tra l'altro, sono anche nevrotici. Soltanto l'esperienza clinica potrà insegnarci quali modifiche siano necessarie per rendere accessibile la cura psicoanalitica a strati più vasti di popolazione nonché per adattarla a più deboli intelligenze.

Confronto tra la psicoanalisi e i metodi ipnotici e suggestivi.

Il procedimento psicoanalitico si distingue da tutti i procedimenti suggestivi, persuasivi, e via dicendo, per il fatto che non intende reprimere d'autorità alcun fenomeno psichico del paziente. Ciò cui esso mira è approfondire la causa del fenomeno e annullarlo mutando durevolmente le condizioni che ne hanno determinato l'insorgenza. Nella psicoanalisi l'inevitabile influsso suggestivo del medico viene indirizzato al compito assegnato al malato di superare le proprie resistenze, ossia di svolgere quel lavoro che lo porterà alla guarigione. Contro il pericolo di falsificare suggestivamente le indicazioni mnestiche del malato ci si premunisce facendo un uso prudente della tecnica. Generalmente però è proprio suscitando le resistenze che ci si protegge contro gli effetti fuorvianti dell'influsso suggestivo. Scopo del trattamento può esser considerato quello di determinare, mediante l'abolizione delle resistenze e la ricognizione delle rimozioni del malato, l'unificazione e il rafforzamento più ampio possibile del suo Io, di risparmiargli il dispendio psichico necessario ad affrontare conflitti interni, di tirar fuori il massimo delle sue potenzialità date le sue disposizioni e attitudini, e di renderlo in tal modo il più possibile efficiente e capace di godimento. L'eliminazione dei sintomi morbosi non viene ambita come una meta particolare, ma risulta dall'esercizio regolare dell'analisi quasi come un acquisto accessorio. L'analista rispetta l'individualità del paziente, non tenta di rimodellarlo in base ai propri ideali, e si rallegra se può fare a meno di dare consigli e destare in compenso l'iniziativa dell'analizzato.

Suoi rapporti con la psichiatria.

Attualmente la psichiatria è una scienza essenzialmente descrittiva e classificatoria, tuttora orientata in senso somatico più che psicologico e incapace di dilucidare i fenomeni osservati. La psicoanalisi tuttavia non si trova in contrasto con essa, come il comportamento pressoché unanime degli psichiatri potrebbe far credere. In quanto psicologia del profondo, ossia psicologia dei processi della vita psichica sottratti alla coscienza, la psicoanalisi è anzi chiamata a fornire le indispensabili fondamenta alla psichiatria e ad aiutarla a superare i suoi attuali limiti. È presumibile che in futuro sarà creata una psichiatria scientifica cui la psicoanalisi avrà servito da introduzione.

Critiche e fraintendimenti della Psicoanalisi.

La maggior parte delle asserzioni che anche in opere scientifiche vengono addotte contro la psicoanalisi si fonda su un'informazione insufficiente che dal canto suo pare essere motivata da resistenze affettive. È infatti errato accusare la psicoanalisi di "pansessualismo" e sostenere che essa deduce tutto l'accadere psichico dalla sessualità e ad essa lo riconduce. La psicoanalisi ha al contrario operato sin dall'inizio una distinzione tra le pulsioni sessuali e altre pulsioni, provvisoriamente denominate "pulsioni dell'Io". Non le è mai passato per la mente di voler spiegare "tutto", e neppure le nevrosi le ha derivate soltanto dalla sessualità, bensì dal conflitto tra gli impulsi sessuali e l'Io. Nella psicoanalisi il termine libido non significa (eccetto che in C. G. Jung) energia psichica pura e semplice, ma forza motrice delle pulsioni sessuali. Certe asserzioni, come quella che ogni sogno rappresenterebbe l'appagamento di un desiderio sessuale, non sono mai state formulate. Accusare di unilateralità la psicoanalisi, che in quanto scienza dell'inconscio psichico ha il proprio campo di lavoro ben preciso e delimitato, è altrettanto privo di senso che rivolgere questo stesso rimprovero alla chimica. Un malinteso infame, e giustificato soltanto dall'ignoranza, è quello di credere che la psicoanalisi si attende la guarigione dalle sofferenze nevrotiche invitando il malato a "godersi la vita" sessualmente. È vero proprio il contrario: rendendo coscienti, mediante l'analisi, le voglie sessuali rimosse, è possibile ottenere su di esse quel controllo che la precedente rimozione non consentiva di raggiungere. A maggior ragione si può dire che la psicoanalisi libera il nevrotico dalle catene della sua sessualità. È inoltre decisamente non scientifico giudicare la psicoanalisi in base al criterio se essa sia o non sia idonea a minare le fondamenta della religione, dell'autorità e della moralità, giacché la psicoanalisi, come tutte le scienze, è assolutamente aliena da qualsivoglia partito preso e si propone, come unico scopo, quello di cogliere in modo non contraddittorio un aspetto della realtà. È infine lecito definire semplicistico il timore espresso da alcuni che i cosiddetti beni supremi dell'umanità, l'indagine, l'arte, l'amore, il sentire etico e sociale, perderebbero il loro valore o la loro dignità per il fatto che la psicoanalisi è in grado di dimostrarne la provenienza da moti pulsionali elementari e animali.

Le applicazioni mediche della psicoanalisi e i suoi nessi.

L'apprezzamento della psicoanalisi sarebbe incompleto qualora si trascurasse di aggiungere che, unica tra le discipline mediche, essa ha i più vasti rapporti con le scienze dello spirito ed è in procinto di acquisire per la storia della religione e della civiltà, per la mitologia e per la letteratura un significato analogo a quello che ha per la psichiatria. Ciò può sembrare strano se si considera che in origine la psicoanalisi non aveva altra meta se non la comprensione e l'influenzamento dei sintomi nevrotici. È tuttavia facile indicare il punto da cui fu gettato il ponte verso le scienze dello spirito. Quando l'analisi dei sogni consentì di penetrare i processi psichici inconsci e dimostrò che i meccanismi che creano i sintomi patologici agiscono anche nella vita psichica normale, la psicoanalisi si trasformò in psicologia del profondo e, come tale, fu idonea ad essere applicata alle scienze dello spirito; in tal modo si rivelò capace di risolvere un buon numero di questioni dinanzi alle quali la scolastica psicologia della coscienza doveva arrestarsi perplessa. Le relazioni con i problemi della filogenesi umana furono stabilite ben presto. Si riconobbe come sovente la funzione patologica non corrisponda ad altro che a una regressione verso un precedente stadio evolutivo della funzione normale. C. G. Jung fu il primo a rilevare espressamente la sorprendente concordanza tra le selvagge fantasie dei malati di dementia praecox e le formazioni mitiche dei popoli primitivi; l'autore di questo scritto fece notare che i due impulsi di desiderio di cui si compone il complesso edipico coincidono perfettamente, quanto al contenuto, con i due divieti principali del totemismo (non uccidere l'avo e non maritarsi con una donna del proprio clan), e trasse da questo fatto ampie conclusioni. Il significato del complesso edipico cominciò ad aumentare enormemente, s'intuì che nei tempi primordiali dell'umanità l'ordinamento statale, l'eticità, il diritto e la religione erano sorti tutti quanti come formazioni di reazione al complesso edipico. Otto Rank, applicando le vedute psicoanalitiche, gettò viva luce sulla mitologia e sulla storia della letteratura; lo stesso fece Theodor Reik per la storia dei costumi e delle religioni, mentre il pastore Oskar Pfister, di Zurigo, destò l'interesse dei curatori d'anime e degli insegnanti sottolineando il valore dei punti di vista psicoanalitici per la pedagogia. Non è questa la sede per dilungarsi in ulteriori disquisizioni su queste applicazioni della psicoanalisi; basti osservare che non si può ancora prevedere fin dove esse si estenderanno.

La Psicoanalisi come scienza empirica.  

La   Psicoanalisi non è un sistema del tipo di quelli filosofici, che partono da alcuni concetti fondamentali rigorosamente definiti, tentano di afferrare in base ad essi la totalità dell'universo, per poi, una volta compiuta tale operazione, non lasciare più posto a nuove scoperte e più adeguati approfondimenti. Essa aderisce, al contrario, ai dati di fatto del proprio campo di lavoro, tenta di risolvere i problemi immediati dell'osservazione, procede a tentoni avvalendosi dell'esperienza, è sempre incompiuta e disposta a dare una nuova sistemazione alle proprie teorie 0 a modificarle. Non meno che la fisica e la chimica, essa tollera che i suoi concetti supremi siano poco chiari e le sue premesse provvisorie, attendendosi che una determinazione più precisa dei medesimi risulti dal lavoro futuro.

2. Teoria della libido

Libido è un termine che nella teoria delle pulsioni designa l'espressione dinamica della sessualità. Già Moll (A. Moll, Untersuchungen uber die Libido sexualis, voi. 1, Berlino 1898).
l'ha usato in questo senso e l'autore di questo scritto l'ha introdotto in psicoanalisi. Nelle pagine che seguono verranno illustrati soltanto gli sviluppi, tuttora in corso, che la teoria delle pulsioni ha subito in psicoanalisi.

L'antagonismo tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io.

La psicoanalisi, che non aveva tardato a riconoscere di dover edificare tutto quanto l'accadere psichico sulla base del giuoco di forze delle pulsioni elementari, si trovava nella peggiore delle situazioni giacché in psicologia non esisteva una teoria delle pulsioni e nessuno le sapeva dire che cosa in verità sia una pulsione. Regnava il più completo arbitrio, e ogni psicologo soleva ipotizzare quali e quante pulsioni gli facevano più comodo. Il primo ambito di fenomeni che la psicoanalisi si mise a studiare furono le cosiddette nevrosi di traslazione (isteria e nevrosi ossessiva). I sintomi di queste nascevano per il fatto che moti pulsionali sessuali erano stati respinti (rimossi) dalla personalità (dall'Io) e si erano procurati, passando per la via traversa dell'inconscio, un modo d'espressione. Fu quindi possibile venire a capo della questione contrapponendo alle pulsioni sessuali le pulsioni dell'Io (o pulsioni di autoconservazione), in accordo con quel detto poetico, ormai divenuto popolare, secondo cui l'ingranaggio dell'universo è alimentato "dalla fame e dall'amore". La libido era l'espressione della forza dell'amore così come la fame lo era della pulsione di autoconservazione. La natura delle pulsioni dell'Io restò in un primo tempo indeterminata e inaccessibile all'analisi non meno di tutti gli altri caratteri dell'Io. Né sapevamo dire se e che tipo di differenze qualitative siano ipotizzabili tra i due tipi di pulsioni.

La libido originaria.

C. G. Jung tentò di far luce in queste tenebre per via speculativa, postulando soltanto un'unica libido originaria che poteva essere sessualizzata e desessualizzata, e che, nella sua essenza, coincideva perciò con l'energia psichica in quanto tale. Questa innovazione era metodicamente oppugnabile, causò molta confusione, degradò il termine "libido" a sinonimo superfluo, giacché poi, nella pratica, era comunque necessario distinguere tra libido sessuale e asessuale. La differenza tra le pulsioni sessuali e le pulsioni aventi altre mete non si poteva infatti abolire mediante una nuova definizione.

La sublimazione.

Dal ponderato studio degli unici impulsi accessibili all'analisi, e cioè degli impulsi sessuali, erano nel frattempo scaturite notevoli conoscenze particolari. Ciò che si chiamava pulsione sessuale era in alta misura composito e poteva essere nuovamente scomposto nelle sue pulsioni parziali. Ogni pulsione parziale era invariabilmente caratterizzata dalla propria fonte, ossia dalla regione del corpo o zona da cui traeva il proprio eccitamento. Inoltre in relazione ad essa si potevano distinguere un oggetto e una meta. La meta consisteva sempre nella scarica del soddisfacimento, ma poteva subire una conversione dall'attività alla passività. L'oggetto era meno saldamente connesso con la pulsione di quanto in un primo tempo si fosse creduto e facilmente veniva sostituito da un altro oggetto; inoltre, la pulsione, che aveva avuto un oggetto esterno, poteva venire rivolta contro la persona stessa del soggetto. Le singole pulsioni potevano rimanere indipendenti l'una dall'altra oppure — in maniera ancora meno immaginabile — combinarsi, confluire in un lavoro comune. Potevano anche reciprocamente sostituirsi e trasferirsi a vicenda i loro investimenti libidici, sì che il soddisfacimento dell'una prendeva il posto del soddisfacimento dell'altra. Il più significativo destino cui può andare incontro una pulsione parve essere la sublimazione, in cui vengono cambiati sia l'oggetto che la meta in modo tale che la pulsione originariamente sessuale trova ora il proprio soddisfacimento in una prestazione non più sessuale, socialmente 0 eticamente di maggiore valore. Tutti questi tratti ancora non si sono composti in un quadro d'insieme.

Il narcisismo.

Un progresso decisivo si ottenne quando osammo affrontare con l'analisi la dementia praecox e altre affezioni psicotiche, ciò che dette inizio allo studio dello stesso Io, fino ad allora conosciuto solo come istanza rimovente e renitente. Come processo patogeno della dementia praecox fu riconosciuto il fatto che la libido viene sottratta agli oggetti e introdotta nell'Io, mentre le manifestazioni più clamorose della malattia nascono dal vano tentativo della libido di trovare la via di ritorno verso gli oggetti. Era dunque possibile che la libido oggettuale si trasformasse in investimento dell'Io e viceversa. Ulteriori considerazioni mostrarono che questo processo era ipotizzabile su larghissima scala, che l'Io va considerato piuttosto come un grande serbatoio di libido da cui viene emanata la libido sugli oggetti, essendo comunque l'Io sempre disposto ad assumere su di sé la libido che da questi rifluisce. Le pulsioni di autoconservazione erano dunque anch'esse di natura libidica, erano pulsioni sessuali che, anziché oggetti esterni, avevano assunto a oggetto il proprio Io. Grazie all'esperienza clinica conoscevamo delle persone le quali, in guisa sorprendente, si comportano come se fossero innamorate di sé medesime, e a questa perversione era stato dato il nome di narcisismo. La libido propria delle pulsioni di autoconservazione fu ora chiamata libido narcisistica, e una notevole misura di tale amore per sé stessi fu riconosciuta come caratterizzante la situazione primaria e normale. La formulazione precedente relativa alle nevrosi di traslazione pur non dovendo essere corretta andava però modificata; anziché di un conflitto tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io si preferì parlare di un conflitto tra libido oggettuale e libido dell'Io oppure, poiché la natura delle pulsioni era la medesima, di un conflitto tra gli investimenti oggettuali e l'Io.

Avvicinamento apparente alla concezione junghiana.

Parve in tal modo che anche la lenta indagine psicoanalitica avesse finito per accostarsi alla speculazione junghiana relativa alla libido originaria, specialmente perché alla trasformazione della libido oggettuale in narcisismo si ricollega inevitabilmente una certa desessualizzazione, una rinuncia alle mete sessuali specifiche. Va invece tenuto presente che, se le pulsioni di autoconservazione dell'Io sono riconosciute come libidiche, questo non dimostra ancora che nell'Io non agiscano altre pulsioni.

La pulsione gregaria.

Da molte parti si afferma che esiste una particolare, connaturata "pulsione gregaria" non ulteriormente decomponibile, che determina il comportamento sociale degli uomini spingendo i singoli ad associarsi in comunità più grandi. La psicoanalisi deve contraddire questa affermazione. Anche se la pulsione sociale è connaturata, essa è tuttavia facilmente riconducibile a investimenti oggettuali originariamente libidici, e si sviluppa durante l'infanzia dell'individuo come formazione reattiva nei confronti di atteggiamenti ostili di rivalità. Essa si fonda su un particolare tipo di identificazione con gli altri.

Impulsi sessuali inibiti nella meta.

Le pulsioni sociali appartengono a una classe di moti pulsionali che non è ancora necessario chiamare sublimati, sebbene siano a questi assai prossimi. Essi non hanno rinunciato alle loro mete immediatamente sessuali, ma vengono trattenuti dal raggiungerle da resistenze interne, si accontentano di certe approssimazioni al soddisfacimento, e instaurano proprio per questo legami particolarmente solidi e duraturi fra gli uomini. Tale natura hanno in specie i rapporti di tenerezza in origine pienamente sessuali tra genitori e figli, i sentimenti di amicizia e i legami sentimentali che nel matrimonio traggono origine dall'attrazione sessuale.

Riconoscimento di due tipi di pulsione nella vita psichica.

Anche se il lavoro psicoanalitico tende solitamente a sviluppare le proprie teorie in maniera il più possibile indipendente da quelle delle altre scienze, per la teoria delle pulsioni esso si vede tuttavia costretto a cercare appoggio nella biologia. In base ad ampie considerazioni sui processi che danno luogo alla vita e che conducono alla morte, è probabile che si debbano riconoscere due tipi di pulsioni, corrispondenti ai processi opposti di costruzione e di distruzione nell'organismo. Il tipo di pulsioni che in fondo lavorano silenziosamente e che perseguirebbero lo scopo di condurre l'essere vivente alla morte hanno perciò meritato il nome di "pulsioni di morte"; rivolte verso l'esterno grazie all'azione congiunta di molteplici organismi elementari unicellulari, verrebbero a manifestarsi come tendenze distruttive o aggressive. Le altre sarebbero le pulsioni libidiche analiticamente a noi meglio note come pulsioni sessuali o di vita, e che potremmo compendiare nel modo migliore sotto il nome di Eros; il loro intento sarebbe quello di plasmare la sostanza vitale in unità sempre maggiori, garantire con ciò la continuazione della vita e guidarla verso più alti sviluppi. Negli esseri viventi le pulsioni erotiche e quelle di morte avrebbero dato luogo a regolari impasti, miscele; ma sarebbe anche possibile un loro "disimpasto". La vita consisterebbe nelle estrinsecazioni del conflitto o dell'interferenza tra questi due tipi di pulsioni e con la morte sarebbe arrecata all'individuo la vittoria delle pulsioni di distruzione, mentre la procreazione significherebbe per lui la vittoria dell'Eros.

La natura delle pulsioni.

Sulla base di questa concezione è possibile caratterizzare le pulsioni come tendenze inerenti alla sostanza vivente e miranti al ripristino di una condizione precedente; tendenze quindi storicamente condizionate, di natura conservatrice, espressione per così dire di un'inerzia o di un'elasticità dell'elemento organico. Ambedue i tipi di pulsioni, l'Eros e la pulsione di morte, entrerebbero in azione sin dal primo apparire della vita, e lavorerebbero l'una contro l'altra.