Nicola Abbagnano

Storia della filosofia

Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2006
Capitolo XI. IL POSITIVISMO SOCIALE (vol. IV, pp. 475-511)
629. Caratteri del positivismo.

Il positivismo è il romanticismo della scienza. La tendenza propria del romanticismo a identificare il finito e l'infinito, a considerare il finito come la rivelazione e la realizzazione progressiva dell'infinito, è trasferita e realizzata dal positivismo nel seno della scienza. Con il positivismo, la scienza si esalta, si pone come l'unica manifestazione legittima dell'infinito, perciò si carica di un significato religioso e pretende soppiantare le religioni tradizionali.

Il positivismo è parte integrante del movimento romantico dell'Ottocento. Che il positivismo sia incapace di fondare i valori morali e religiosi e specialmente il principio stesso da cui dipendono, la libertà umana, è un punto di vista polemico, che la reazione antipositivistica, spiritualista e idealista, della seconda metà dell'Ottocento ha fatto prevalere nella storiografia filosofica. Si può anche ritenere giustificato, in tutto o in parte, questo punto di vista. Ma sta di fatto che nei suoi fondatori e nei suoi epigoni, il positivismo si presenta come l'esaltazione romantica della scienza, la sua infinitizzazione, la sua pretesa di valere come l'unica religione autentica, quindi l'unico fondamento possibile della vita umana singola ed associata. Il positivismo accompagna e stimola la nascita e l'affermazione dell'organizzazione tecnico-industriale della società, fondata e condizionata dalla scienza. Esso esprime le speranze, gli ideali e l'esaltazione ottimistica, che hanno provocato e accompagnato questa fase della società moderna. L'uomo ha creduto in quest'epoca di aver trovato nella scienza la garanzia infallibile del proprio destino. Ha rigettato perciò, ritenendola inutile e superstiziosa, ogni garanzia sovrannaturale e ha posto l'infinito nella scienza, costringendo nelle forme di essa la morale, la religione, la politica, la totalità della sua esistenza.

Si possono distinguere due forme storiche fondamentali del positivismo: il positivismo sociale di Saint-Simon, Comte e Stuart Mill, nato dall'esigenza di costituire la scienza a fondamento di un nuovo ordine sociale e religioso unitario; e il positivismo evoluzionistico di Spencer nato dall'esigenza di giustificare il valore religioso della scienza con una misteriosa realtà infinita che ne sarebbe il fondamento. Nonostante le loro comuni pretese antimetafisiche, entrambe queste forme del positivismo sono metafisiche, e la loro metafisica è quella stessa del romanticismo. Nessuna di esse è necessariamente un materialismo. Il materialismo, che alcuni epigoni deducono dal positivismo evoluzionistico, è esso stesso una metafisica romantica: la deificazione della materia e il culto religioso della scienza.

630. La filosofia sociale in Francia.

I temi fondamentali del positivismo sociale sono già evidenti nell'opera del conte Claude-Henri de Saint-Simon (1760-1825). Industriale e affarista, Saint-Simon conobbe gli alti e bassi di un fastoso mecenatismo e di una nera miseria. Il suo primo scritto, le Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei, è del 1802. Ad esso seguirono: Introduzione ai lavori scientifici del secolo XIX (1807); Nuova enciclopedia (1810); Memoria sulla scienza dell'uomo (1813, ma rimasta inedita e pubblicata nel 1853); Riorganizzazione della società europea (1814, in collaborazione con Augustin Thierry). Gli avvenimenti del 1814-15 dettero a Saint-Simon l'occasione per una serie di scritti politico-economici. Nel 1817 egli pubblicava L'Industria, che è una delle sue opere principali, alla quale seguirono: L'Organizzatore, 1819-20; Il sistema industriale, 1821-22; Il catechismo degli industriali, 1823-24; Il nuovo cristianesimo, 1825.

L'idea fondamentale di Saint-Simon è quella della storia come un progresso necessario e continuo. «Tutte le cose che sono accadute e tutte quelle che accadranno formano una sola e medesima serie, di cui i primi termini costituiscono il passato e gli ultimi l'avvenire». La storia è retta da una legge generale che determina la successione di epoche critiche e di epoche organiche. L'epoca organica è quella che riposa su un sistema di credenze ben stabilito, si sviluppa in conformità di esso e progredisce nei limiti da esso stabiliti. A un certo punto, questo stesso progresso fa mutare l'idea centrale su cui l'epoca era imperniata e determina cosi l'inizio di un'epoca critica. In questo modo l'età organica del politeismo è stata messa in crisi dal nascere del monoteismo; e l'età organica del Medioevo è stata messa in crisi dalla Riforma e soprattutto dalla nascita della scienza moderna.

II progresso scientifico, distruggendo le dottrine teologiche e metafisiche, ha tolto il suo fondamento all'organizzazione sociale del Medioevo. A partire dal XV secolo si è determinata la tendenza a fondare ogni ragionamento su fatti osservati e discussi e questa tendenza ha condotto alla riorganizzazione su base positiva dell'astronomia, della fisica e della chimica. Tale tendenza dovrà essere estesa a tutte le altre scienze e quindi alla scienza generale, che è la filosofia. Ci sarà dunque un'epoca in cui la filosofia sarà positiva e la filosofia positiva sarà il fondamento di un nuovo sistema di religione, di politica, di morale e d'istruzione pubblica. Solo in virtù di questo sistema il mondo sociale potrà riacquistare la sua unità e la sua organizzazione, che non possono ormai più fondarsi su credenze teologiche o su teorie metafisiche. Saint-Simon si fa annunciatore e profeta di questa organizzazione sociale fondata sulla filosofia positiva.

In essa domineranno un nuovo potere spirituale e un nuovo potere temporale. Il nuovo potere spirituale sarà quello degli scienziati, cioè degli uomini «che possono predire il più gran numero di cose». La scienza difatti è nata come capacità di previsione, com'è dimostrato dalla storia dell'astronomia; e la verificazione di una predizione è ciò che dà ad un uomo la reputazione di scienziato. Dall'altro lato, l'amministrazione degli affari temporali sarà affidata agli industriali, cioè agli «imprenditori di lavori pacifici che occuperanno il più gran numero di individui». Saint-Simon è persuaso che «questa amministrazione, per l'effetto diretto dell'interesse personale degli amministratori, s'occuperà in primo luogo di mantenere la pace fra le nazioni e in secondo luogo di diminuire il più possibile l'imposizione in modo da impiegare i prodotti nel modo più vantaggioso per la comunità». E dimostra con una parabola la necessità di affidare alla classe tecnica e produttiva il potere politico. Se la Francia perdesse improvvisamente i tremila individui che coprono le cariche politiche, amministrative e religiose più importanti, lo stato non ne avrebbe nessun danno; sarebbe facile infatti sostituire questi individui con altrettanti aspiranti, che non mancano mai. Ma se la Francia perdesse improvvisamente i tremila più esperti e abili scienziati, artisti e artigiani che essa possiede, il danno per la nazione sarebbe irreparabile. Poiché questi uomini sono i cittadini più essenzialmente produttori, quelli che danno i prodotti più importanti, dirigono i lavori più utili alla nazione e la rendono produttiva nelle scienze, nelle arti e nei mestieri, la nazione senza di essi diventerebbe un corpo senza anima: «cadrebbe immediatamente in uno stato di inferiorità di fronte alle nazioni di cui è ora la rivale e continuerebbe a restare subalterna nei loro riguardi fintanto che non avesse riparato alla perdita e non le fosse rispuntata una testa» (Organisateur, 1819).

La società perfettamente ordinata, giusta e pacifica che Saint-Simon preconizza, non gli appare come un ideale regolativo, come un dover essere che deve orientare e dirigere l'azione umana, ma come una realtà futura inevitabile, lo sbocco di un processo storico necessario. Il suo progetto di Riorganizzazione della società europea (1814) differisce proprio in questo (oltre che per i particolari mezzi che addita) dall'opuscolo di Kant Per la pace perpetua (1796). L'organo della pace dovrà essere, secondo Saint-Simon, un parlamento generale che decida intorno agli interessi comuni dell'intera Europa e al quale siano subordinati i parlamenti nazionali che dovranno governare le singole nazioni. «Verrà senza dubbio un tempo in cui tutti i popoli dell'Europa sentiranno che bisogna regolare i punti d'interesse generale prima di scendere agli interessi nazionali; allora i mali cominceranno a diminuire, i torbidi a calmarsi, le guerre a spegnersi. È lì che noi tendiamo senza posa, è lì che il corso dello spirito umano ci trascina. Ma che cosa è pili degno della prudenza umana, il trascinarvisi o il corrervi?». L'alternativa è dunque tra il trascinatisi e il corrervi, ma il corso degli eventi è fatale. E questo corso ha un significato essenzialmente religioso. L'ultimo scritto di Saint-Simon, il Nuovo cristianesimo (1825), definisce l'avvento della società futura come un ritorno al cristianesimo primitivo. Dopo aver accusato di eresia cattolici e luterani, perché gli uni e gli altri sono venuti meno al precetto fondamentale della morale evangelica, per cui gli uomini devono considerarsi fratelli epperò lavorare al miglioramento dell'esistenza morale e fisica della classe più povera, Saint-Simon afferma che «i nuovi cristiani devono sviluppare lo stesso carattere e seguire la stessa marcia dei cristiani della chiesa primitiva». Soltanto con la persuasione e la dimostrazione essi devono lavorare alla costruzione della nuova società cristiana, senza adoperare in nessun caso la violenza o la forza fisica. «Io credo, aggiunge Saint-Simon, che il cristianesimo è un'istituzione divina e che Dio accorda una protezione speciale a quelli che indirizzano i loro sforzi a sottomettere tutte le istituzioni umane al principio fondamentale di questa dottrina sublime». E così l'idea fondamentale del romanticismo, quella della rivelazione progressiva, è da lui stesso chiaramente posta innanzi come l'ultima ispirazione del suo pensiero.

Il sansimonismo ebbe in Francia una diffusione notevole: esso contribuì potentemente a formare la coscienza dell'importanza sociale e spirituale (quindi, religiosa) delle conquiste che la scienza e la tecnica raggiungono. Questa coscienza determinò da un lato un'attività proficua allo sviluppo industriale (ferrovie, banche, industrie, anche l'idea dei canali di Suez e di Panama furono dovuti a sansimonisti); dall'altro determinò correnti socialistiche miranti ad un'organizzazione più armonica e giusta della vita sociale.

Fra queste correnti una delle più significative è quella che fa capo a Charles Fourier (1772-1835) autore di numerosi scritti, bizzarri nella forma e nel contenuto e ricchi di spunti utopistici quanto di acute osservazioni morali e storiche (Teoria dei quattro movimenti e dei destini generali, 1808; Trattato di associazione domestica e agricola o Teoria dell'unità universale, 1822; Il nuovo mondo industriale, 1829; Tranello e ciarlatanismo delle due sètte, St.-Simon e Owen, 1831; La falsa industria, 1835). L'idea dominante di Fourier è che esista nell'universo un piano provvidenziale nel quale rientrano l'uomo, il suo lavoro e la sua organizzazione sociale. A meno che non si voglia ammettere che la provvidenza divina sia insufficiente, limitata e indifferente alla felicità umana, bisogna ritenere che Dio abbia composto per noi «un codice passionale o sistema d'organizzazione domestica e sociale, applicabile a tutta l'umanità che ha dappertutto le stesse passioni»; e che ha dovuto anche fornire all'uomo un metodo fisso e infallibile per l'interpretazione di questo codice. «Questo metodo, aggiunge Fourier, non può essere che il calcolo analitico e sintetico dell'attrazione passionale, giacché l'attrazione è la sola interprete conosciuta tra Dio e l'universo» (Œuvres, 1841, III, p. 112). In altri termini, l'organizzazione sociale deve rendere attraente il lavoro cui l'uomo è chiamato e quindi il posto che egli occupa in esso. Deve quindi non reprimere le passioni e l'ineliminabile tendenza al piacere, ma utilizzarle nel loro massimo rendimento. L'organizzazione che si presta a questo scopo è, secondo Fourier, quella della falange cioè di una società di circa 1600 persone, che vivono in un falansterio, a regime comunistico, con libertà di rapporti sessuali e regolamentazione della produzione e del consumo dei beni. Fourier è contrario al carattere arcigno, rigoristico e costrittivo dei tentativi di questo genere fatti in Inghilterra da Owen. Egli ritiene che il suo «sistema di attrazione industriale», una volta organizzato, renderà attraente il lavoro dei campi e delle industrie. «Esso fornirà delle esche più seducenti, forse, di quelle che sono adesso le esche delle feste, dei balli e degli spettacoli; nello stato societario, il popolo troverà tanta soddisfazione e stimolo nei suoi lavori che non consentirà a lasciarli, in cambio di feste, balli o spettacoli offerti nelle ore delle sedute industriali» [Ib., III, pp. 14-15).

631. Proudhon.

Contrasta con le tendenze comunistiche di Fourier l'indirizzo sociale di Pierre Joseph Proudhon (1809-65). Il primo scritto di Proudhon Che cosa è la proprietà? (1840) contiene la definizione famosa: «la proprietà è un furto». Ma questa definizione si riferisce non all'origine della proprietà, ma al fatto che essa rende possibile l'appropriazione dell'altrui lavoro. Proudhon vuole perciò non l'abolizione della proprietà capitalistica, ma solo l'abolizione del-

La rivoluzione francese ha, secondo Proudhon, iniziato questo processo di adeguamento, che occorre continuare e portare a termine. E l'opera di Proudhon è anche un insieme di progetti intorno all'organizzazione futura della società. Nel Piccolo catechismo politico pubblicato in appendice al primo volume di La giustizia Proudhon vede nello stato «la riunione di più gruppi, differenti di natura e di oggetto, formati ciascuno per l'esercizio di una funzione speciale e la creazione di un prodotto particolare, poi riuniti sotto una legge comune e un identico interesse» (Ib., I, p. 481). Il limite reciproco del potere di questi gruppi garantisce nello stesso tempo la giustizia e la libertà. Inoltre, l'idea rivoluzionaria della giustizia, rinnovando il diritto civile come il diritto politico, vede nel lavoro e soltanto nel lavoro la giustificazione della proprietà. «Essa nega che sia legittima la proprietà fondata sull'arbitrio dell'uomo e considerata come una manifestazione dell'io. Perciò ha abolito la proprietà ecclesiastica, non fondata sul lavoro, e ha convertito, fino a nuovo ordine, in salario il beneficio del prete. Ora che cosa è la proprietà, cosi bilanciata dal lavoro e legittimata dal diritto? La realizzazione della potenza individuale. Ma la potenza sociale si compone di tutte le potenze individuali: dunque anch'essa esprime un soggetto» {Ib., I, p. 501).

Tra le manifestazioni della filosofia sociale dell'Ottocento, la dottrina di Proudhon è fra quelle che danno maggior rilievo alla libertà dell'uomo nella storia. Pur ammettendo il progresso come realizzazione progressiva di un ordine immutabile, Proudhon riconosce l'essenza del diritto rivoluzionario nella possibilità dell'uomo di opporsi a quest'ordine stesso. Come questa possibilità si concili con l'ammessa realtà della giustizia, è un problema che a Proudhon non si presenta. È tuttavia il problema che doveva, verso la fine dell'Ottocento, mettere in crisi l'idea stessa del progresso.

632. Comte: vita e scritti.

Dalla filosofia di Saint-Simon prende le mosse il fondatore del positivismo, Auguste Comte. Nato a Montpellier il 19 gennaio 1798, Comte studiò alla Scuola Politecnica di Parigi e fu dapprima insegnante privato di matematica. Amico e collaboratore di Saint-Simon, assumeva nel 1822 una posizione indipendente nello scritto Piano dei lavori scientifici necessari per organizzare la società. Qualche anno dopo, interrompeva l'amicizia con Saint- Simon (durata circa 6 anni, 1818-24) e procedeva ad un'elaborazione indipendente della sua filosofia. Questa elaborazione fu interrotta tra il 1826 e il 1827 da una violenta crisi cerebrale che lo portò al manicomio e di cui trionfò (come egli stesso dice, Phil, pos., III, Pref. personnelle, ed. 1869, p. 10) grazie alla «potenza intrinseca della sua organizzazione». Nel 1830 usciva il primo volume del Corso di filosofia positiva e successivamente sino al 1842 uscirono gli altri cinque. La carriera accademica di Comte fu infelice. Aspirò inutilmente ad una cattedra di matematica alla Scuola Politecnica di Parigi. Nel 1833 ottenne un posto di ripetitore di matematica e di esaminatore dei candidati presso quella scuola: un posto precario, che perdette dopo la pubblicazione dell'ultimo volume del Corso per l'ostilità che avevano incontrato negli ambienti accademici le idee che vi erano esposte. Comte visse da allora in poi e sino alla morte con aiuti e sussidi di amici e discepoli, avendo anche rinunziato ad ogni provento delle sue opere. Separato dalla moglie, conobbe nel 1845 Clotilde de Vaux, con la quale visse per qualche anno in perfetta comunione spirituale e che dopo la morte (1846) fu per lui quello che Beatrice era stata per Dante. Egli vide in questa donna «l'angelo incomparabile che l'insieme dei destini umani aveva incaricata di trasmettere degnamente il risultato generale del perfezionamento graduale della nostra natura morale» (Pol. pos., I, preface, ed. 1890, p. 8).

L'orientamento religioso del suo pensiero, già evidente nella prima opera, si accentuò ancora fino a diventare dominante nella seconda opera capitale, il Sistema di politica positiva o Trattato di sociologia che istituisce la religione dell'umanità (4 voli., 1851-54). Questa seconda parte della sua carriera ha il compito, come egli stesso dice (Ih., IV, conci, totale, ed. 1912, p. 530) di trasformare la filosofia in religione, come la prima parte aveva trasformato la scienza in filosofia. In questa fase, Comte si presenta come il profeta di una nuova religione, di cui formula un catechismo (Catechismo positivista, 1852) e di cui si preoccupa di fissare il calendario (Calendario positivista, 1849-60). Egli si considerava il pontefice massimo di questa nuova religione che avrebbe dovuto completare e portare a termine la «rivoluzione occidentale» cioè lo sviluppo positivista della civiltà occidentale.

Comte moriva a Parigi il 5 settembre 1857. Altri scritti notevoli oltre quelli già menzionati sono: Considerazioni filosofiche sulle scienze e sugli scienziati, 1825; Considerazioni sul potere spirituale, 1826; Discorso sullo spirito positivo, 1844; Discorso sull'insieme del positivismo, 1848; Appello ai conservatori, 1855; Sintesi soggettiva o Sistema universale delle concezioni proprie dell'umanità. Parte I, Sistema di Logica positiva o Trattato di Filosofia matematica, 1856. Sono state inoltre pubblicate le Lettere di Comte a Valat e a Stuart Mill (1877); e il Testamento (1844).

La parte dell'opera di Comte che ha avuto maggiore risonanza, diretta o polemica, è la dottrina della scienza. Ma l'intento di Comte è veramente la costruzione di una filosofia della storia, che si trasforma, nella seconda fase della sua vita, in una religione dell'umanità cioè in una divinizzazione della storia. Nella filosofia della storia Comte ritiene di avere come suo diretto precursore Condorcet; ma nomina con lode il predicatore Bossuet, al quale attribuisce il merito di avere per la prima volta concepito «i fenomeni politici come realmente soggetti, sia nella loro coesistenza che nella loro successione, a certe leggi invariabili, il cui uso razionale può permettere, in diversi aspetti, di determinare gli uni con gli altri» (Phil, pos., VI, p. 258). Dall'altro lato, Comte si vanta di aver seguito una severa «igiene cerebrale» leggendo il meno possibile, perché «la lettura nuoce molto alla meditazione alterando insieme la sua originalità e la sua omogeneità». E dichiara candidamente: «Io non ho mai letto in nessuna lingua né Vico né Kant né Hegel, ecc.; non conosco le loro opere tranne che per qualche relazione indiretta e alcuni estratti molto insufficienti» (Ib., pref., pp. 34-35, n. 1). Vero è che questa dichiarazione è del 1842 e che essa è accompagnata dal proposito di apprendere la lingua tedesca per venire meglio a contatto con gli sforzi sistematici delle scuole germaniche. Ma anche le opere successive di Comte, specialmente la Politica positiva, non mostrano tracce apprezzabili di letture di autori stranieri che si connettono direttamente alla sua filosofia della storia.

Questa filosofia si muove tuttavia, inconsapevolmente, proprio nell'aura del romanticismo. Comte stesso afferma che fin dall'età di quattordici anni, cioè appena uscito dal liceo, aveva provato «il bisogno fondamentale d'una rigenerazione universale, ad un tempo politica e filosofica» (Ib., p. 7); e questo bisogno è stato in realtà la molla di tutta la sua attività di scrittore, portandolo a considerare la scienza positiva come la soluzione definitiva ed ultima di tutti i problemi del genere umano. Fin dal principio, Comte si è rivolto alla scienza, non per quelle che sono le caratteristiche e limitate finalità della scienza stessa, ma perché vedeva nella scienza la rigenerazione totale dell'uomo e la realizzazione di tutto ciò che di più alto e perfetto possa esserci: vedeva cioè, nella scienza, l'infinito racchiuso e rivelato.

633. Comte: la legge dei tre stati e la classificazione delle scienze.

Quella che agli occhi di Comte è la sua scoperta fondamentale e che in realtà è il punto di partenza di tutta la sua filosofia, è la legge dei tre stati. Secondo questa legge, che Comte dichiara di aver ricavato da considerazioni storiche oltre che dall'osservazione dello sviluppo organico dell'uomo, ciascuna branca della conoscenza umana passa successivamente per tre stati teorici differenti: lo stato teologico o fittizio, lo stato metafisico od astratto, lo stato scientifico o positivo. Vi sono dunque tre metodi diversi per condurre la ricerca umana e tre sistemi di concezioni generali. Il primo è il punto di partenza necessario dell'intelligenza umana; il terzo il suo stato fisso e definitivo; il secondo è unicamente destinato a servire di transizione.

Nello stato teologico, lo spirito umano dirigendo essenzialmente le sue ricerche verso la natura intima degli esseri e le cause prime e finali, cioè verso le conoscenze assolute, si rappresenta i fenomeni come prodotti dell'azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega tutte le anomalie apparenti dell'universo. Nello stato metafisico, che è solo una modificazione del primo, gli agenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità o astrazioni personificate, inerenti ai diversi enti del mondo e concepite capaci di generare da sé tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione consisterebbe quindi nell'assegnare a ciascuno l'entità corrispondente. Infine, nello stato positivo, lo spirito umano, riconoscendo l'impossibilità di raggiungere nozioni assolute, rinuncia a cercare l'origine e il destino dell'universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni e si applica unicamente a scoprire, mediante l'uso ben combinato del ragionamento e dell'osservazione, le loro leggi effettive: cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza. «La spiegazione dei fatti, ridotta allora ai suoi termini reali, non è più ormai che il legame stabilito tra diversi fenomeni particolari e alcuni fatti generali — di cui il progresso della scienza tende sempre più a diminuire il numero» (Phil, pos., I, p. 10).

Questa legge dei tre stati sembra a Comte immediatamente evidente di per se stessa. Essa inoltre è appoggiata dall'esperienza personale. «Chi di noi non ricorda, contemplando la sua propria storia, che è stato successivamente, rispetto alle nozioni più importanti, teologo nella sua infanzia, metafisico nella sua giovinezza e fisico nella sua virilità?». L'esempio più ammirabile della spiegazione positivistica è quello della legge di Newton sull'attrazione. Tutti i fenomeni generali dell'universo sono spiegati, per quanto possono esserlo, dalla legge della gravitazione newtoniana giacché questa legge permette di considerare tutta l'immensa varietà dei fatti astronomici come un solo e medesimo fatto guardato da punti di vista diversi e consente di unificare con esso i fenomeni fisici.

Ora, sebbene varie branche della conoscenza umana siano entrate neila fase positiva, la totalità della cultura intellettuale umana, e quindi dell'organizzazione sociale che su di essa si fonda, non sono state ancora permeate dallo spirito positivo. In primo luogo, Comte nota che accanto alla fisica celeste, alla fisica terrestre, meccanica e chimica, e alla fisica organica, vegetale e animale manca una fisica sociale cioè lo studio positivo dei fenomeni sociali. In secondo luogo, la mancata penetrazione dello spirito positivo nella totalità della cultura intellettuale produce uno stato di anarchia intellettuale e quindi la crisi politica e morale della società contemporanea. È evidente che se una delle tre filosofie possibili, la teologica, la metafisica o la positiva, ottenesse in realtà una preponderanza universale completa, ci sarebbe un ordine sociale determinato. Ma poiché invece le tre filosofie opposte continuano a coesistere, ne risulta una situazione incompatibile con una effettiva organizzazione sociale. Comte si propone perciò il compito di portare a termine l'opera iniziata da Bacone, Cartesio e Galilei e di costituire il sistema delle idee generali che deve definitivamente prevalere nella specie umana, ponendo termine cosf alla crisi rivoluzionaria che tormenta i popoli civilizzati (Phil, pos., I, p. 43).

Tale sistema di idee generali o filosofia positiva presuppone però che sia determinato il compito particolare di ciascuna scienza e l'ordine complessivo di tutte le scienze: presuppone una enciclopedia delle scienze che muovendo da una classificazione sistematica fornisca il prospetto generale di tutte le conoscenze scientifiche. Comte comincia per escludere dalla sua considerazione le conoscenze applicate della tecnica e delle arti, limitandosi alle conoscenze speculative; e anche di queste considera solo quelle generali ed astratte, escludendo quelle particolari e concrete. Posto ciò, egli cerca di determinare una scala enciclopedica delle scienze che corrisponda alla storia delle scienze stesse. Le scienze si possono classificare considerando in primo luogo il loro grado di semplicità o, ciò che è lo stesso, il grado di generalità dei fenomeni che costituiscono il loro oggetto. I fenomeni più semplici sono infatti anche i più generali; ed i fenomeni semplici sono anche quelli più facilmente osservabili. Perciò, graduando le scienze secondo l'ordine della semplicità e generalità decrescenti si viene a riprodurre, nella gerarchia cosf formata, l'ordine di successione con cui le scienze sono entrate nella fase positiva.

Seguendo questo criterio si possono in primo luogo distinguere i fenomeni dei corpi bruti e i fenomeni dei corpi organizzati come oggetti di due gruppi principali di scienze. I fenomeni dei corpi organizzati sono evidentemente più complicati e più particolari degli altri; dipendono dai precedenti che a loro volta non ne dipendono. Di qui la necessità di studiare i fenomeni fisiologici dopo quelli dei corpi inorganici. La fisica si trova dunque divisa in fisica organica e fisica inorganica. A sua volta la fisica inorganica, secondo lo stesso criterio della semplicità e della generalità sarà dapprima fisica celeste (o astronomia sia geometrica, sia meccanica) e poi fisica terrestre che a sua volta sarà fisica propriamente detta e chimica. Una divisione analoga sarà fatta per la fisica organica. Tutti gli esseri viventi presentano due ordini di fenomeni distinti, quelli relativi all'individuo e quelli relativi alla specie: ci sarà dunque una fisica organica o fisiologica e una fisica sociale che è fondata su di essa. L'enciclopedia delle scienze sarà dunque costituita da cinque scienze fondamentali: astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. La successione di queste scienze è determinata da «una subordinazione necessaria e invariabile, fondata, indipendentemente da ogni opinione ipotetica, sulla semplice comparazione approfondita dei fenomeni corrispondenti» (Phil, pos., I, p. 75).

Della gerarchia delle scienze non fanno parte, come si vede, né la matematica né la psicologia. I motivi dell'esclusione sono diversi. La scienza matematica ne è stata esclusa per la sua importanza fondamentale, in quanto essa è la base di tutte le altre scienze. La matematica si divide secondo Comte in due grandi branche: la matematica astratta, cioè il calcolo, e la matematica concreta, costituita dalla geometria generale e dalla meccanica razionale. Queste due ultime sono vere scienze naturali, fondate come tutte le altre sull'osservazione, sebbene, per l'estrema semplicità dei loro fenomeni, siano suscettibili di una sistemazione più perfetta di ogni altra scienza di osservazione. Quanto al calcolo, esso è la parte puramente strumentale della matematica, non essendo altro che «una immensa ammirevole estensione della logica naturale sino a un certo ordine di deduzione» (Phil, pos., I, p. 87).

Ma la psicologia deve la sua esclusione dall'enciclopedia delle scienze al fatto che non è una scienza e non è suscettibile di diventarlo. La cosiddetta «osservazione interiore» che si è voluto destinare allo studio dei fenomeni intellettuali, è impossibile. I fenomeni intellettuali non possono essere osservati nell'atto stesso in cui si verificano. «L'individuo pensante non può dividersi in due, di cui l'uno ragioni, mentre l'altro lo guardi ragionare. L'organo osservato e l'organo osservatore essendo in questo caso identici, come potrebbe l'osservazione aver luogo?» (Ib., I, p. 32). Soltanto la filosofia positiva, considerando i risultati dell'attività intellettuale, consente di mettere in luce i loro rapporti statici e dinamici. Dal punto di vista statico, lo studio di quei fenomeni non può consistere che nella determinazione delle condizioni organiche da cui dipendono e perciò forma una parte essenziale dell'anatomia e della fisiologia. Dal punto di vista dinamico, tutto si riduce a studiare il procedimento effettivo dello spirito umano mediante l'esame dei procedimenti adoperati per raggiungere le conoscenze reali; ma questo studio è proprio evidentemente della sociologia. Comte conclude che nella enciclopedia delle scienze non c'è posto per una illusoria psicologia, che sarebbe solo l'ultima trasformazione della teologia.

634. Comte: la sociologia.

La scienza alla quale tutte le scienze sono subordinate, come al loro ultimo fine, è la sociologia. Compito di questa scienza è quello di «percepire nettamente il sistema generale delle operazioni successive, filosofiche e politiche, che devono liberare la società dalla sua fatale tendenza alla dissoluzione imminente e condurla direttamente ad una nuova organizzazione, più progressiva e più salda di quella che riposava sulla filosofia teologica» (Phil, pos., IV, p. 7). A questo scopo la sociologia deve costituirsi nella stessa forma delle altre discipline positive e concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile la previsione sia pure nei limiti compatibili con la loro complessità superiore.

La sociologia, o fisica sociale, è divisa da Comte in statica sociale e dinamica sociale, corrispondenti ai due concetti fondamentali su cui essa si fonda, quelli dell'ordine e del progresso. La statica sociale mette in luce la relazione necessaria, il «consenso universale», che hanno tra loro le varie parti del sistema sociale. Cosi tra il regime politico e lo stato corrispondente della civiltà umana c'è un rapporto necessario, per il quale un determinato regime, pur essendo in accordo con la fase corrispondente della civiltà, diventa inadeguato ad una fase diversa e successiva.

L'idea fondamentale della dinamica sociale è invece quella del progresso cioè dello sviluppo continuo e graduale dell'umanità. Per la nozione del progresso, ciascuno degli stati sociali consecutivi è «il risultato necessario del precedente e il motore indispensabile del seguente, secondo il luminoso assioma del grande Leibniz: il presente è gravido dell'avvenire» (Ib., IV, p. 292). L'idea del progresso ha per la sociologia un'importanza ancora maggiore di quella che l'idea della serie individuale delle età ha per la biologia. Essa spiega anche il sorgere degli uomini di genio, di quelli che Hegel chiamava «individui della storia cosmica»; e la spiegazione di Comte è analoga a quella di Hegel. Gli uomini di genio non sono che gli organi propri del movimento predeterminato, il quale, nel caso di una loro mancanza, si sarebbe aperte altre vie (Ib., p. 298). Il progresso realizza un perfezionamento incessante, per quanto non illimitato, del genere umano; e questo perfezionamento segna «la preponderanza crescente delle tendenze più nobili della nostra natura» (Ib., p. 308). Ma questo perfezionamento non implica che una qualsiasi fase della storia umana sia imperfetta o inferiore alle altre. Per Comte come per Hegel, la storia è sempre, in tutti i suoi momenti, tutto ciò che dev'essere. «Poiché il perfezionamento effettivo risulta soprattutto dallo sviluppo spontaneo dell'umanità, come potrebbe esso non essere essenzialmente, a ciascun'epoca, ciò che poteva essere secondo l'insieme della situazione?» (Phil, pos., IV, p. 311). Comte afferma (Ib., p. 310) che senza questa compiutezza di ciascun'epoca della storia in se stessa, la storia sarebbe incomprensibile. E non esita neppure a ripristinare nella storia il concetto di causa finale. Gli eventi della storia sono necessari nel duplice significato del termine: nel senso che in essa è inevitabile ciò che si manifesta dapprima come indispensabile, e reciprocamente. E questo un modo altrettanto efficace di esprimere l'identità hegeliana tra il razionale e il reale. E Comte cita a questo proposito «il bell'aforisma politico dell'illustre de Maistre: tutto ciò che è necessario esiste» (Ib., p. 394).

E’ facile rendersi conto come da questo punto di vista il futuro regime sociologico appaia al Comte inevitabile perché razionalmente necessario. In questo regime, la libertà d'indagine e di critica sarà abolita. «Storicamente considerato, dice Comte (Ib., p. 39), il dogma del diritto universale, assoluto e indefinito di esame è solo la consacrazione, sotto la forma viziosamente astratta comune a tutte le concezioni metafisiche, dello stato passeggero della libertà illimitata, nel quale lo spirito umano è stato spontaneamente collocato per una conseguenza necessaria dell'irrevocabile decadenza della filosofia teologica, e che deve durare naturalmente fino all'avvento sociale della filosofia positiva». In altri termini la libertà d'indagine si giustifica nel periodo di trapasso dall'assolutismo teologico all'assolutismo sociologico; instaurato quest'ultimo, sarà da esso bandita, come è stata bandita dall'altro.

635. Comte: la dottrina della scienza.

La dottrina della scienza è la parte dell'opera di Comte che ha avuto più vasta e duratura risonanza nella filosofia e maggiore efficacia sullo sviluppo stesso della scienza. Come già Bacone e Cartesio (ai quali dichiara di collegarsi), Comte concepisce la scienza come essenzialmente diretta a stabilireil dominio dell'uomo sulla natura. Non che la scienza sia essa stessa di natura pratica o abbia esplicitamente di mira l'azione. Comte al contrario afferma energicamente il carattere speculativo delle conoscenze scientifiche e le distingue nettamente da quelle tecnico-pratiche, limitando ad esse soltanto il compito di una enciclopedia delle scienze. Tuttavia, considerato nel suo insieme, lo studio della natura è destinato a fornire «la vera base razionale dell'azione dell'uomo sulla natura»; giacché «solo la conoscenza delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è di farceli prevedere, può evidentemente condurci nella vita attiva a modificarli a nostro vantaggio» (Phil, pos., I, p. 51). Lo scopo dell'indagine scientifica è la formulazione delle leggi perché la legge permette la previsione; e la previsione dirige e guida l'azione dell'uomo sulla natura. «Insomma, dice Comte, scienza, donde previsione-, previsione, donde azione: tale è la formula semplicissima che esprime in modo esatto la relazione generale tra la scienza e l'arte, prendendo questi due termini nella loro accezione totale» (Ib., p. 51). La ricerca della legge diventa cosi il termine ultimo e costante dell'indagine scientifica.

La dottrina di Comte non è per nulla un empirismo. La legge, implicando il determinismo rigoroso dei fenomeni naturali e la loro possibile subordinazione all'uomo, tende a delineare l'armonia fondamentale della natura. Tra i due elementi che costituiscono la scienza, il fatto osservato od osservabile e la legge, è la legge che prevale sul fatto. Ogni scienza, dice Comte, consiste nella coordinazione dei fatti; e se le diverse osservazioni fossero del tutto isolate, non ci sarebbe scienza. «Si può anche dire generalmente che la scienza è essenzialmente destinata a dispensare, sino al punto in cui i diversi fenomeni lo comportano, da ogni osservazione diretta, permettendo di dedurre dal più piccolo numero possibile di dati immediati il più grande numero possibile di risultati» (Ib., I, p. 99). Lo spirito positivo tende a dare alla razionalità un posto sempre crescente a spese dell'empiricità dei fatti osservati. «Noi abbiamo riconosciuto, dice Comte, che la vera scienza, apprezzata secondo quella previsione razionale che caratterizza la sua principale superiorità nei confronti della pura erudizione, consiste essenzialmente di leggi e non già di fatti, sebbene questi siano indispensabili al loro stabilirsi e alla loro sanzione» (Phil, pos., VI, p. 600). E aggiunge: «Lo spirito positivo, senza misconoscere mai la preponderanza necessaria della realtà direttamente constatata, tende sempre ad aumentare il pili possibile 0 dominio razionale a spese del dominio sperimentale, sostituendo sempre più la previsione dei fenomeni alla loro esplorazione immediata» (Ib., pp. 600-01).

A questa tendenza logica della scienza si collega, secondo Comte, il suo essenziale relativismo. Comte riconosce a Kant il merito di aver per primo tentato di sfuggire all'assoluto filosofico «con la sua celebre concezione della doppia realtà, insieme oggettiva e soggettiva». Ma lo sforzo di Kant non è stato coronato da successo e l'assoluto è rimasto in filosofia. Soltanto «la sana filosofia biologica» ha fatto constatare che anche le operazioni dell'intelligenza, nella loro qualità di fenomeni vitali, sono inevitabilmente subordinate alla relazione fondamentale tra l'organismo e l'ambiente, il cui dualismo costituisce, sotto tutti i rispetti, la vita. Per questa relazione, tutte le nostre conoscenze reali sono relative da una parte all'ambiente, in quanto agisce su di noi, dall'altra parte all'organismo in quanto è sensibile a questa azione. Tutte le speculazioni umane sono perciò profondamente influenzate dalla costituzione esterna del mondo che regola il modo d'azione delle cose e dalla costituzione interna dell'organismo che determina il risultato personale; ed è impossibile stabilire in ogni caso l'apprezzamento esatto dell'influenza propria di ciascuno di questi due elementi inseparabili del nostro pensiero. In virtu di questo relativismo, si deve ammettere l'evoluzione intellettuale dell'umanità e si deve ammettere anche che tale evoluzione è soggetta alla trasformazione graduale dell'organismo. In tal modo rimane esclusa definitivamente l'immutabilità delle categorie intellettuali dell'uomo; e Comte dichiara che da questo punto di vista le teorie successive sono «approssimazioni crescenti di una realtà che non potrebbe mai essere rigorosamente apprezzata, la migliore teoria essendo sempre a ogni epoca quella che rappresenta meglio l'insieme delle osservazioni corrispondenti» (Ib., VI, pp. 622-23).

Sono, queste, le idee che hanno assicurato per lungo tempo il successo della dottrina della scienza di Comte. Ma queste idee sono anche il fondamento di un insieme di limitazioni arbitrarie e dogmatiche che Comte avrebbe voluto imporre alla ricerca scientifica. Già nel Corso di filosofia positiva circola una continua polemica contro la specializzazione scientifica, polemica che vorrebbe immobilizzare la scienza sulle sue posizioni più generali ed astratte, e sottrarre queste posizioni ad ogni ulteriore dubbio ed indagine. Comte condanna tutti i lavori sperimentali che gli sembrano produrre una «vera anarchia scientifica», condanna pure l'uso eccessivo del calcolo matematico; e vorrebbe determinare per ogni genere di osservazione «il grado conveniente di precisione abituale, al di là del quale l'esplorazione scientifica degenera inevitabilmente, per un'analisi troppo minuziosa, in una curiosità sempre vana e qualche volta anche gravemente perturbatrice» (Ib., VI, p. 637). Fa parte dello spirito della sana filosofia riconoscere che «le leggi naturali, vero oggetto delle nostre ricerche, non potrebbero rimanere rigorosamente compatibili, in nessun caso, con una investigazione troppo dettagliata»; e perciò nessuna sana teoria può oltrepassare con successo «l'esattezza reclamata dai nostri bisogni pratici» (Ib., p. 638).

E cosi, mentre afferma il carattere speculativo e disinteressato della ricerca scientifica, Comte vorrebbe imporre a tale ricerca i limiti propri dei bisogni pratici riconosciuti. Per esempio, l'astronomia dovrebbe limitarsi allo studio del sistema solare e ridursi alla considerazione delle leggi geometriche e meccaniche dei corpi celesti, abbandonando ogni ricerca di altro genere. Comte giustifica questa limitazione affermando che «esiste, in tutte le classi delle nostre ricerche e sotto tutti i grandi rapporti, un'armonia costante e necessaria tra l'estensione dei nostri veri bisogni intellettuali e la portata effettiva, attuale o futura delle nostre conoscenze reali. Questa armonia... deriva semplicemente da questa necessità evidente, che noi abbiamo bisogno di conoscere solo ciò che può agire su di noi in modo più o meno diretto; e d'altro lato, per il fatto stesso che una tale influenza esiste, essa diviene per noi presto o tardi un mezzo certo di conoscenza» (Phil, pos., II, p. 8). In altri termini, la ricerca scientifica deve venire incontro ai bisogni intellettuali dell'uomo; e tutto ciò che sembra esorbitare da tali bisogni cade fuori di essa. Qui Comte ritiene evidentemente i bisogni intellettuali dell'uomo fissati e determinati una volta per tutte e pretende cosi di imporli come guida alla scienza; la quale, in realtà, ha essa stessa il compito di definirli e di farli emergere dai suoi problemi.

Ma nel Sistema di politica positiva e negli scritti minori che si connettono alla seconda fase del suo pensiero, questa dogmatizzazione della scienza è ancora più accentuata. Qui egli preconizza «una inflessibile disciplina» del lavoro scientifico, disciplina che nel futuro «regime sociocratico» dovrebbe correggere e prevenire le sue deviazioni spontanee. «Il sacerdozio e il pubblico dovranno sempre proscrivere gli studi che non tendono o a migliorare o a meglio determinare le leggi materiali e fisiche dell'esistenza umana o a caratterizzare meglio le modificazioni che esse comportano o almeno a perfezionare realmente il metodo universale» (Pol. pos., I, ed. 1980, p. 455). Comte fa valere con estrema energia il principio che condanna qualsiasi ricerca scientifica la cui utilità per l'uomo non risulti evidente. Così l'astronomia è ridotta allo studio della terra. «In luogo del vago studio del cielo, essa deve proporsi la conoscenza della terra, non considerando gli altri astri che secondo i loro rapporti reali col pianeta umano» (Ib., p. 508). Le branche della fisica sono dichiarate irriducibili perché corrispondono alla divisione dei sensi umani (Ib., p. 528). Sono condannati come inutili gli studi che concernono «le pretese interferenze ottiche o gli incroci analoghi in acustica» (Ib., p. 531). Si accusa di spirito metafisico Lavoisier (Ib., p. 545) e si condannano «i lavori dispersivi della chimica attuale» (Ib., p. 548). Insomma, «l'usurpazione della fisica da parte dei geometri, della chimica da parte dei fisici, e della biologia da parte dei chimici, sono semplici prolungamenti successivi di un regime vizioso» che dimentica il principio fondamentale dell'enciclopedia scientifica e cioè che «ogni scienza inferiore non dev'essere coltivata se non in quanto lo spirito umano ne ha bisogno per elevarsi solidamente alla scienza seguente, fino a giungere allo studio sistematico della Umanità, sola sua stazione finale» (Ib., I, pp. 471-72). Bisogna quindi sottrarre la scienza agli scienziati e affidarla invece a veri filosofi «degnamente votati al sacerdozio dell'Umanità» (Ib., p. 473).

E' pressoché inutile fermarsi a osservare che lo sviluppo ulteriore della scienza ha smentito in pieno la convenienza e l'opportunità di queste prescrizioni e proscrizioni di Comte, che avrebbero immobilizzato la scienza stessa e le avrebbero impedito di compiere quella stessa funzione utile all'umanità, cui Comte la chiamava. Speculazioni astronomiche, branche di calcolo astrattissime, ricerche fisiche apparentemente prive d'ogni possibile riferimento alla pratica e coltivate in un primo tempo a titolo puramente speculativo, si sono poi rivelate suscettibili di applicazioni utilissime, ed indispensabili alla stessa tecnica produttiva. Le limitazioni e i pregiudizi di Comte avrebbero in realtà troncato alla scienza ogni possibilità di sviluppo teoretico e pratico. Fortunatamente la scienza, pur utilizzando ampiamente il concetto fondamentale di Comte della legalità dei fenomeni naturali e della possibilità di previsione che essa offre, si è subito disinteressata delle restrizioni con le quali Comte lo accompagnava ed ha proceduto per suo conto.

Tali restrizioni sono tuttavia un aspetto essenziale dell'opera di Comte, la quale è esplicitamente diretta a stabilire una sociocrazia cioè un regime fondato sulla sociologia, analogo e corrispondente alla teocrazia fondata sulla teologia (Pol. pos., I, p. 403). Comte avrebbe voluto essere il capo spirituale di un regime positivo, altrettanto assolutista del regime teologico che esso avrebbe dovuto soppiantare. Meno fortunato di Hegel che, con l'aiuto dello Stato prussiano, riuscì almeno in parte a stabilire praticamente il suo assolutismo dottrinale, Comte non è mai riuscito a tradurre in pratica le sue aspirazioni assolutistiche. Ma la coincidenza di atteggiamenti tra queste due personalità filosofiche apparentemente cosi diverse è profondamente significativa: entrambi si sentivano sacerdoti e profeti della nuova divinità romantica: l'umanità o la storia come tradizione.

636. COMTE: LA DIVINIZZAZIONE DELLA STORIA.

Il Sistema di politica positiva è diretto esplicitamente a trasformare la filosofia positiva in una religione positiva. Esso tende cioè a fondare l'unità dogmatica, culturale e pratica dell'umanità, unità che, infranta dalla decadenza del regime teocratico e dal primo sorgere dello spirito positivo, non è stata ancora ristabilita. Quest'unità non è soltanto perciò l'unità di una dottrina, ma anche quella di un culto, di una morale e di un costume. Comte nell'opera citata ne lumeggia tutti gli aspetti.

Il concetto fondamentale è quello dell'Umanità, che deve prendere il posto di quello di Dio. L'Umanità è il Grande Essere come «l'insieme degli esseri passati, futuri e presenti che concorrono liberamente a perfezionare l'ordine universale» (Ib., IV, p. 30). Gli esseri passati e futuri sono la «popolazione soggettiva», gli esseri presenti la «popolazione oggettiva». L'esistenza del Grande Essere implica la subordinazione necessaria della popolazione oggettiva alla duplice popolazione soggettiva. «Questa fornisce da una parte la sorgente, dall'altra lo scopo, dell'azione che l'altra sola esercita direttamente. Noi lavoriamo sempre per i nostri discendenti, ma sotto l'impulso dei nostri antenati da cui derivano ad un tempo gli elementi e i procedimenti di tutte le nostre operazioni. Il principale privilegio della nostra natura consiste in questo, che ogni individualità si perpetua indirettamente attraverso l'esistenza soggettiva, se la sua opera oggettiva ha lasciato degni risultati. Si stabilisce cosi sin dall'origine la continuità propriamente detta che ci caratterizza più della semplice solidarietà, quando i nostri successori proseguono il nostro compito come noi abbiamo proseguito quello dei nostri predecessori» (Ib., IV, pp. 34-35).

Queste parole di Comte dimostrano chiaramente l'ultima ispirazione del suo pensiero. Il concetto dell'umanità non è un concetto biologico (per quanto sia anche biologico), ma un concetto storico, fondato sull'identificazione romantica di tradizione e storicità. L'Umanità è la tradizione ininterrotta e continua del genere umano, tradizione condizionata della continuità biologica del suo sviluppo, ma includente tutti gli elementi della cultura e della civiltà del genere umano. Comte mette in luce continuamente la saggezza e la provvidenza del Grande Essere, che ha saputo mirabilmente e gradualmente svilupparsi nelle sue età primitive (teologica e metafisica) per giungere all'età positiva, che preannuncia la sua piena maturità. «Allora, dice Comte (Ib., IV, p. 40), egli istituì spontaneamente dapprima gli dèi antichi, poi il loro unico erede [il Dio delle religioni monoteistiche] per guidare rispettivamente la sua seconda infanzia e la sua adolescenza. Gli elogi sinceramente indirizzati a questi tutori soggettivi sono altrettanti omaggi indiretti verso la saggezza istintiva dell'Umanità... Quando la sua maturità sarà completa, si ammirerà giustamente la sua provvidenza diretta e sentita verso i suoi veri servitori». L'Umanità non è quindi che la tradizione divinizzata; una tradizione che comprende tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, naturali e spirituali, che costituiscono l'uomo.

Così intesa, essa implica in primo luogo l'idea di progresso. Il progresso è, secondo Comte, «lo sviluppo dell'ordine». Il concetto di esso è stato stabilito dalla Rivoluzione francese, che lo ha sottratto alla teoria del «movimento circolare o oscillatorio» cui l'umanità sembrava condannata. Ma quel concetto non poteva essere completo se non si fosse prima resa esatta giustizia al Medio Evo, dal quale l'età antica e l'età moderna si trovano insieme riunite e separate. E Comte riconosce a de Maistre il merito di aver concorso a preparare la vera teoria del progresso rivalutando il Medio Evo. Solo dopo questa rivalutazione infatti la continuità della tradizione provvidenziale è stata ristabilita (Pol. pos., I, p. 64). E questa continuità dev'essere stabilita, secondo Comte, attraverso tutte le generazioni dei viventi e anche, al di là dei viventi, nel mondo inorganico. La tendenza finale di ogni vita animale consiste nel formare un Grande Essere più o meno analogo all'Umanità. Questa comune disposizione non poteva tuttavia prevalere che presso una sola specie umana (Ib., I, pp. 620-21) perciò ogni specie animale fuori dell'uomo è «un Grande Essere più o meno abortito» (Cat. pos., ed. 1891, p. 198); e Comte prevede nel regime futuro della sociocrazia un posto anche per gli animali, per questi «ausiliari dell'uomo» che devono quanto più possibile essere portati vicino alla condizione dell'Umanità. Ma la continuità tradizionale e progressiva del Grande Essere non si limita al mondo animale, Comte non nasconde le sue simpatie per il feticismo che considera animati anche gli esseri inorganici. L'errore del feticismo è stato solo quello di confondere la vita propriamente detta con l'attività spontanea e nell'attribuire quindi la vita ad esseri forniti solo di quest'ultima. Ma sotto un certo aspetto, che è quello fondamentale, feticismo e positivismo sono affini: entrambi vedono in tutti gli esseri un'attività che è analoga o simile a quella umana e cosi stabiliscono quell'unità fondamentale e progressiva del mondo che è espressa nella teoria del Grande Essere (Pol. pos., III, p. 87 sgg.; IV, p. 44).

Attraverso questa rivalutazione del feticismo, lo stesso mondo della natura inorganica appare a Comte come parte integrante di quella storia universale, che egli vede sintetizzata e riassunta nel Grande Essere. L'idea romantica della realtà come rivelazione o manifestazione progressiva di un principio infinito che al termine del processo appare nella sua piena determinazione, domina cosi interamente la dottrina di Comte. La quale, nonostante la radicale diversità del linguaggio che adopera, non si differenzia nel suo principio dalla dottrina di Hegel. Entrambe queste dottrine concludono a divinizzare la storia, che l'una chiama Umanità o Grande Essere e l'altra Idea, ma che l'una e l'altra considerano come tradizione, conservazione e progresso, cioè infinito ed assoluto presente. Di qui deriva l'altra già notata affinità tra Hegel e Comte: la tendenza all'assolutismo dottrinale e politico. La cosiddetta sociocrazia, di cui Comte si fa banditore e profeta, è un regime assolutistico, che dovrebbe essere dominato e diretto da una corporazione di filosofi positivisti. «Questa, dice Comte (Ib., IV, p. 65), è la costituzione normale della sociocrazia: sotto la presidenza domestica dei rappresentanti della sua natura, l'Umanità colloca dapprima gli interpreti delle sue leggi, poi i ministri dei suoi disegni, infine gli agenti della sua potenza. Amare, sapere, volere, potere, divengono gli attribuiti rispettivi di quattro servizi necessari, la cui separazione e coordinazione caratterizzano la maturità del Grande Essere.

Comte delinea con minuziosi particolari il culto positivistico dell'umanità. Stabilisce un «Calendario positivista» in cui i mesi e i giorni sono dedicati alle maggiori figure della religione, dell'arte, della politica e della scienza. Propone perfino un nuovo «segno», che dovrebbe sostituire il segno di croce dei cristiani e che consiste nel toccare successivamente «i principali organi che la teoria cerebrale assegna ai suoi tre elementi», cioè all'amore, all'ordine, al progresso (Pol. pos., IV, pp. 100-01). Infine nell'ultimo scritto, dedicato alla Filosofia della matematica (1856) che si propone di associare la scienza della natura col sentimento, pretende stabilire una trinità positivistica. Accanto al Grande Essere che è l'Umanità, egli pone come soggetto di adorazione il Grande Feticcio cioè la terra e il Grande Mezzo cioè lo spazio. Quest'ultimo dev'essere considerato come la rappresentazione della fatalità in generale. L'unità finale, che la sociocrazia deve realizzare, svilupperà la nostra gratitudine verso tutto ciò che serve al Grande Essere: dovrà perciò disporre a venerare la fatalità che domina la nostra esistenza e a concepirla come avente la sua sede immutabile nello spazio, il quale apparirà dotato di sentimento, sebbene non di attività né d'intelligenza. E nello Spazio cosi inteso dovranno apparirci impressi i concetti, le immagini e anche i diagrammi geometrici e i simboli algebrici. Queste ultime speculazioni di Comte dimostrano soltanto una sconcertante assenza, nel loro autore, del senso del ridicolo.

La morale del positivismo è l’altruismo. Vivere per gli altri è la sua massima fondamentale. Tale massima non è contraria a tutti gli istinti dell'uomo, perché essi non sono esclusivamente egoistici. Accanto agli istinti egoistici, l'uomo possiede istinti simpatici che l'educazione positivista può sviluppare gradualmente sino a renderli predominanti sugli altri. E difatti, le relazioni domestiche e civili tendono a contenere gli istinti personali, attraverso i conflitti stessi che essi suscitano tra i diversi individui. Favoriscono al contrario le inclinazioni benevole che sono suscettibili di uno sviluppo simultaneo presso tutti gli individui (Cat. pos., p. 48). Il positivismo che mostra l'essenziale unità del genere umano nella sua storia, può facilitare e dirigere la formazione e gli istinti sociali e formare un sentimento sociale che divenga la guida spontanea della condotta degli individui. La futura sociocrazia sarà sotto questo aspetto dominata dal sentimento più che dalla ragione e farà quindi una parte importante alle donne che rappresentano per l'appunto l'elemento affettivo del genere umano (Pol. pos., I, p. 204 sg.). L'elemento sentimentale o affettivo dovrà poi, secondo Comte, esser presente nel culto dovuto al Grande Essere, che dovrà essere oggetto di un amore nobile e tenero ispiratore di un'attiva sollecitudine di perfezionamento (Ib., p. 341). E dovrà ispirare soprattutto una nuova poesia, che si dedicherà a cantare l'umanità e a idealizzarla in forme abbellite, termini ideali di nuovi progressi (Ib., p. 339).