Transfert

(ingl. transference; ted. Ubertragung; fr. transfert)

Detto anche traslazione, il transfert designa in generale la condizione emotiva che caratterizza la relazione del paziente nei confronti dell'analista, e in senso specifico il trasferimento sulla persona dell'analista delle rappresentazioni inconsce proprie del paziente. Il transfert dell'analista sul paziente è comunemente denominato controtransfert.

1. La natura del transfert, a) S. Freud elaborò gradatamente il concetto di transfert partendo dalla nozione di -► spostamento perché, nel transfert, il paziente sposta sull'analista i propri conflitti intrasogget-tivi che a loro volta sono residui delle relazioni intersoggettive reali o fantasmatiche che il paziente ha vissuto nell'infanzia: «È dunque normalissimo e comprensibile - scrive Freud - che l'investimento libidico, parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall'individuo, si rivolga anche alla persona del medico. In conformità con le nostre premesse, questo investimento si atterrà a certi modelli, procederà da uno dei clichés esistenti nella persona interessata oppure, in altri termini, inserirà il medico in una delle "serie" psichiche che il paziente ha formato sino a quel momento.

Se l"'imago paterna" (per usare la felice espressione di Jung) diventa il fattore dominante di questo inserimento, il risultato corrisponderà ai rapporti reali del soggetto con il medico. Ma la traslazione non è legata necessariamente a questo modello, essa può effettuarsi anche secondo l'imago materna o fraterna e così via» (1911-1912, p. 524). Si conosce un transfert positivo o negativo in base alla qualità del sentimento che può essere affettuoso o ostile, riproducendo la componente positiva e negativa del complesso di -► Edipo: «Poiché la traslazione riproduce la relazione con i genitori, èvchiaro che ne assume anche l'ambivalenza. E quasi inevitabile che l'atteggiamento positivo verso l'analista si converta prima o poi, repentinamente, in un atteggiamento negativo e ostile. Anche questo rappresenta di norma una ripetizione del passato. L'arrendevolezza verso il padre (se si trattava del padre), il tentativo di accattivarsi il suo favore, era radicato in un desiderio erotico a lui diretto. Prima o poi questa pretesa si manifesterà prepotentemente anche nella traslazione reclamando soddisfazione. Nella situazione analitica, però, essa dovrà essere immancabilmente frustrata» (1938a, p. 603). Il carattere positivo o negativo del transfert si riferisce alla qualità dell'affetto espresso e non all'esito favorevole o sfavorevole del transfert nella cura. Infatti, come osserva D. Lagache: «Si sa che il transfert di sentimenti positivi può avere effetti negativi; inversamente la manifestazione di sentimenti negativi può costituire un progresso decisivo» (1952, p. 102).

b) M. Klein ritiene che nel transfert si manifestino non tanto le componenti edipiche, quanto le relazioni oggettuali (-► kleiniana. teoria, § 1) dei primissimi anni di vita che il paziente non può ricordare, ma che possono essere ricostruite proprio a partire dalle reazioni di transfert del paziente: «Il paziente, infatti, è portato inevitabilmente a far fronte ai conflitti e alle angosce che rivive nei confronti dell'analista avvalendosi degli stessi sistemi usati nel lontano passato. Ciò vuol dire che egli cerca di distaccarsi dall'analista così come cercava di distaccarsi dai suoi oggetti originari» (1952a, p. 534). La tesi kleiniana del transfert come rivelatore delle relazioni oggettuali è stata accolta da W.R.D. Fair-bairn, D.W. Winnicott e M. Balint il quale, oltre a raccomandare «l'interpretazione del transfert del paziente in termini di relazioni oggettuali» (1952, p. 225), ipotizza la possibilità di cogliere nell'evoluzione del transfert la successione genetica delle fasi attraverso cui il paziente è passato nel corso del suo primo sviluppo.

c) C.G. Jung ritiene che il transfert non possieda necessariamente una natura sessuale e non esprima inevitabilmente i rapporti edipici già vissuti, perché può anche essere espressione di tendenze psichiche che chiedono di essere attualizzate: «Non è affatto vero che siano proiettati esclusivamente contenuti erotici o esperienze infantili. [...] Ogni cosa può essere proiettata, e il transfert erotico è soltanto una fra le molte. Nell'inconscio umano vi sono molti altri contenuti che sono pure di natura altamente emotiva, e che sono suscettibili di proiezione esattamente allo stesso modo della sessualità. Tutti i contenuti attivati dall'inconscio hanno la tendenza a comparire nella proiezione» (1935a, p. 133). Per quanto riguarda l'intensità del transfert e la dinamica che presiede la sua attivazione e il suo rientro, Jung scrive che «l'intensità della relazione transferale corrisponde sempre all'importanza dei suoi contenuti per il soggetto. Nel caso di un transfert eccezionalmente intenso si può es-[ ser sicuri che i contenuti del transfert, una [ volta che siano stati individuati e resi consci, I saranno per il paziente tanto importanti I quanto lo era il transfert. Quando un tran-I sfert viene a cessare non si dissolve nell'aria, I ma la sua intensità, o un corrispondente I quantitativo di energia, apparirà in un altro I luogo, per esempio in un'altra relazione o in I una qualsiasi altra importante forma psico-I logica. Col dissolversi del transfert tutta l'e-I mozione proiettata ricade indietro nel sog-[ getto e il paziente è allora in possesso del te-1 soro che precedentemente, nel corso del I transfert, aveva praticamente sperperato» I (1935a,p. 134).

2. L'interpretazione del transfert, a) A parere di Freud il transfert può essere la manifestazione di 1) una resistenza al lavoro analitico e alla rievocazione di memorie e fantasie del passato la cui comunicazione risulta limitata dal contesto seduttivo o ostile instaurato dal paziente: «La traslazione nella cura analitica ci appare così in primo luogo, sempre e soltanto, come l'arma più forte della resistenza, e da ciò possiamo trarre la conclusione che l'intensità e la perseveranza della traslazione siano effetto ed espressione della resistenza» (1911-1912, p. 528); 2) una coazione a ripetere lo stile dei rapporti parentali vissuti all'epoca del complesso edipico; 3) un'attualizzazione dei conflitti inconsci che nel transfert non «intendono essere ricordati come la cura vorrebbe, bensi tendono a riprodursi in modo corrispondente all'atemporalità e alla capacità allucinatoria dell'inconscio.

Come nel sogno, il malato attribuisce attualità e realtà agli esiti del risveglio dei suoi impulsi inconsci; egli vuole mettere in atto le sue passioni senza tener conto della situazione reale. [...] È innegabile che il controllo dei fenomeni di traslazione crea allo psicoanalista le maggiori difficoltà, ma non bisogna dimenticare che proprio essi ci rendono il servizio inestimabile di rendere attuali e manifesti gli impulsi amorosi, occulti e dimenticati, dei malati. Infatti, checché se ne dica, nessuno può essere battuto in ab-sentia o in effìgie» (1911-1912, p. 531). Individuando questi tre significati del transfert Freud è passato da una concezione originaria che considerava il transfert come un qualsiasi altro sintomo che si frapponeva come un ostacolo alla normale relazione terapeutica, a una concezione che, senza smentire la prima, ne coglie l'aspetto positivo ai fini della terapia: «La traslazione, che nella sua forma positiva come in quella negativa si pone al servizio della resistenza, si trasforma nelle mani del medico nel più potente ausilio del trattamento, e sostiene, nella dinamica del processo di guarigione, una parte cui non sarà mai dato troppo rilievo» (1922a, p. 450).

b) Diversa è l'interpretazione di Jung che iscrive il transfert nel fenomeno più ampio della -► proiezione che ha la sua radice «in un inconscio attivato che ha bisogno di esprimersi. L'intensità del transfert corrisponde alla significatività del contenuto proiettato. Un forte transfert di natura violenta corrisponde a un contenuto scottante; racchiude qualcosa di importante, qualcosa che ha un elevato valore per il paziente. Nella misura in cui ciò viene tuttavia proiettato, l'analista sembra incarnare questa cosa così preziosa e importante. Egli non può introdurre alcun mutamento in questa infelice situazione, ma è costretto a restituire questo valore al paziente, e l'analisi non è conclusa finché il paziente non ha ripristinato il tesoro. Se quindi il paziente proietta su qualcuno un complesso del redentore, occorre restituirgli qualcosa che non sia da meno di un redentore, qualunque cosa ciò possa significare. Non siamo però noi i redentori, questo è sicuro. Le proiezioni di natura archetipica sono particolarmente difficili per l'analista. Ogni professione possiede il suo specifico rischio, e il pericolo dell'analisi consiste nel fatto di lasciarsi contagiare dalle proiezioni transferenziali, soprattutto da quelle di natura archetipica» (1935a, p. 142-143). Qui Jung sottolinea il motivo della restituzione del contenuto trasferito sull'analista in quanto può essere un motivo particolarmente significativo nell'economia psichica del paziente, e il motivo del contagio che consente di iscrivere il fenomeno del transfert nel più ampio contesto della mentalità primitiva (-► sacro) che rappresenta, per Jung, un modello in cui è possibile leggere il modo in cui si articolano i processi inconsci.

3. La nevrosi di transfert. È un'espressione introdotta da Jung e accolta da Freud che vi assegna un duplice significato: nosografico e psicoterapeutico.

In senso nosografico Jung aveva distinto le nevrosi di transfert dalle psicosi in base alla direzione della libido, che nelle psicosi, è «introversa», cioè non si trasferisce sugli oggetti, per cui i pazienti sono poco accessibili alla cura analitica per mancanza di proiezione e quindi di transfert. Freud distingue invece la nevrosi di transfert, ossia l'isteria d'angoscia e di conversione (-► isteria, § 1, a-b) e la nevrosi ossessiva (-► ossessione, § 2), dalle nevrosi narcisistiche dove la libido è sottratta agli oggetti e riversata sull'Io (-► narcisismo). Per questa ragione le nevrosi di transfert sono più accessibili al trattamento analitico per la loro maggior componente proiettiva e transferale. Nel trattamento delle nevrosi di transfert può instaurarsi una «nevrosi di transfert» nell'accezione psicoterapeutica.

b) In senso psicoterapeutico Freud chiama nevrosi di transfert una nevrosi artificiale che nasce nella relazione transferale e in cui si evidenziano le nevrosi infantili. Nella relazione transferale, infatti, il complesso dei sintomi delle manifestazioni patologiche assume una nuova configurazione in relazione alla situazione analitica: «Se il paziente è tanto compiacente da rispettare le condizioni indispensabili per la continuazione stessa del trattamento, ci riesce in genere di dare a tutti i sintomi della malattia un nuovo significato in base alla traslazione, facendo in modo che la normale nevrosi sia sostituita da una "nevrosi di traslazione" dalla quale il paziente può essere guarito mediante il lavoro terapeutico. La traslazione crea così una provincia intermedia fra la malattia e la vita, attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda. Il nuovo stato ha assunto su di sé tutti i caratteri della malattia, ma costituisce una malattia artificiale completamente accessibile ai nostri attacchi» (1913-1914, p. 360). Nonostante questo aspetto positivo ai fini della cura, Freud non tralascia di evidenziare i pericoli connessi alla coazione a ripetere che ogni nevrosi di traslazione comporta, per cui «il medico si è sforzato di restringere al massimo l'ambito di questa nevrosi di traslazione, di convogliare quanto più materiale possibile nella sfera dei ricordi e di fare in modo che una parte minima di esso riemerga sotto forma di ripetizione. Il rapporto che si stabilisce fra ciò che è ricordato e ciò che è riprodotto varia di caso in caso. Di regola il medico non può risparmiare al malato questa fase della cura; deve consentire che il paziente riviva una certa parte della sua vita passata, e provvedere, d'altro lato, affinché egli conservi un certo grado di razionale distacco, che gli permetta di rendersi conto che quella che gli appare come realtà è in effetti soltanto l'immagine riflessa di un passato dimenticato» (1920a,p. 204-205).

4. Il controtransfert. Detto anche controtraslazione, il controtransfert indica, nella sua accezione più estesa, il vissuto emotivo globale dell'analista nei confronti del paziente. Detto vissuto costituisce uno strumento essenziale per la comprensione e la comunicazione con il paziente, nonché per l'orientamento delle proprie risposte emotive, mentre, nella sua accezione più specifica. si riferisce alle reazioni inconsce che il transfert del paziente induce nell'analista. A questo proposito D. Lagache ritiene che transfert e controtransfert non riprodurreb bero i processi propri rispettivamente del paziente e dell'analista, ma sia l'uno che l'altro andrebbero incontro a transfert e controtransfert, intendendo con quest'ultimo la reazione al transfert dell'altro. Sul significa to del controtransfert e sull'uso che se ne può fare esistono pareri diversi. a) Freud, che ne parla a partire dal 1910. scrive: «Abbiamo acquisito la consapevolezza della controtraslazione che insorge nel medico per l'influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci, e non siamo lungi dal pretendere che il medico debba riconoscere in sé questa controtraslazione e padroneggiarla. Da quando è aumentato il numero delle persone che esercitano la psicoanalisi e si comunicano reciprocamente le propri*-' esperienze, abbiamo notato che ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glie'0 consentono i suoi complessi e la sue resi; stenze interne e pretendiamo quindi che eg'1 inizi la sua attività con un'autoanalisi e la approfondisca continuamente mentre compie le sue esperienze sui malati. Chi non riesce a concludere nulla in siffatta autoanalisi, può senz'altro abbandonare l'idea di essere capace di intraprendere un trattamento analitico sui malati» (1910a, p. 200-201 ). In seguito Freud si rese conto che l'-► autoanalisi era insufficiente a comprendere e a isolare i conflitti dell'analista, per cui propose ai terapeuti di sottoporsi a un'analisi prima personale e poi didattica.

Nell'accezione freudiana il controtransfert costituisce, di fondo, un elemento di ostacolo al progredire della terapia, poiché invalida quell'atteggiamento di impassibilità e di distacco emotivo che Freud raccomanda mediante la cosiddetta regola dello specchio: «Il medico dev'essere opaco per l'analizzato e, come una lastra di specchio, mostrargli soltanto ciò che gli viene mostrato» (1911-1912, p. 539). In caso contrario, sentimenti, resistenze, conflitti interiori dell'analista influiscono negativamente sulla terapia alterandone l'andamento, come nel caso di un'aggressività inconscia, di profondi sensi di colpa che possono causare atteggiamenti di eccessiva mediazione o sollecitazione terapeutica o impedire all'analista di cogliere determinate resistenze del paziente; lo stesso dicasi a proposito del bisogno inconscio di gratificazione narcisistica che può produrre nell'analista un'esagerata ambizione terapeutica, accompagnata da ostilità nei confronti dei pazienti che non progrediscono nella cura.

b) Jung, dal canto suo, partendo dal concetto secondo cui il trattamento analitico è innanzitutto una relazione, ritiene il controtransfert non solo ineliminabile, ma talvolta indispensabile alla terapia stessa come strumento di conoscenza e di partecipazione, per cui «non giova affatto a chi cura difendersi dall'influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professiona-le: così facendo egli rinuncia a servirsi di un organo essenziale di conoscenza. 11 paziente esercita lo stesso, inconsciamente, la propria influenza sul terapeuta e provoca mutamenti nel suo inconscio: quei perturbamenti psichici (vere lesioni professionali) che sono ben noti a tanti psicoterapeuti, e illustrano clamorosamente l'influenza quasi "chimica" del paziente. Una delle manifestazioni più note di questo genere è il "controtransfert" 'ndotto dal transfert, ma sono frequenti gli affetti di natura assai più sottile. A darne Jjn'idea può servire l'antica concezione del "emone della malattia: la malattia può esse-re trasmessa a una.persona sana che, grazie alla sua salute, sottometterà il demone, senza pregiudicare però il proprio benessere. Esistono nel rapporto fra terapeuta e paziente fattori irrazionali che operano una reciproca "trasformazione", alla quale la personalità più forte, più stabile, dà il colpo decisivo. Ho però assistito a molti casi in cui il paziente ha assimilato il terapeuta nonostante tutte le sue teorie e i suoi intenti professionali, e il più delle volte, anche se non sempre, a svantaggio di quest'ultimo» (1929b, p. 80-81 ). Per Jung il controtransfert non va respinto, ma accolto e controllato perché è alla base di quella reciprocità trasformativa che conferisce alla relazione quell'aspetto dinamico che le è proprio, dove in azione non è solo l'Io dell'analista e l'Io del paziente, ma anche l'inconscio dell'analista e l'inconscio del paziente, la cui comunicazione costituisce l'elemento più autenticamente analitico.

e) La Klein assimila la relazione dell'analista nei confronti del paziente a un contenitore materno dove il paziente, al pari del bambino, può modificare il suo modo di leggere l'esperienza, introiettando le modalità con cui è stato trattato. La scuola kleiniana, con B. Joseph, giunge a considerare il controtransfert lo strumento privilegiato per comprendere la natura della relazione instaurata: «Molto di ciò che noi sappiamo del transfert proviene dalla nostra comprensione di come il paziente agisca su di noi per le più svariate ragioni; di come i pazienti cerchino di attirarci nel loro sistema difensivo; di come essi agiscano inconsciamente con noi nel transfert, cercando di farci agire con loro; di come essi trasmettano aspetti del loro mondo interno, costruito nell'infanzia e poi elaborato nella fanciullezza e nell'età adulta, esperienze che spesso non trovano espressione in parole e che noi possiamo captare solo a partire dai sentimenti che sorgono in noi, attraverso il controtransfert» (1975, p. 62).