Realtà

(ingl. reality, ted. Realität-, fr. réalité)

In psicologia questo termine è impiegato in diverse accezioni alla cui formulazione ha contribuito, in modo particolare, la psicologia del profondo.

1. Realtà psichica.

Con questa espressione la psicologia del profondo intende la realtà interna fatta di desideri, immagini, pensieri, fantasie, sentimenti, distinta dalla realtà esterna costituita da cose e persone. Conferire realtà all'interiorità significa riconoscere che le sue espressioni agiscono sul soggetto allo stesso modo degli stimoli che provengono dalla realtà esterna, nel senso che, come nota S. Freud, «a tutt'oggi non siamo riusciti a dimostrare una diversità di conseguenze a seconda che la parte maggiore di questi avvenimenti infantili spetti alla fantasia oppure alla realtà» (1915-1917, p. 526). Da qui la conclusione: «Queste fantasie possiedono una realtà psichica in contrasto con quella materiale, e noi giungiamo a poco a poco a capire che nel mondo delle nevrosi la realtà psichica è quella determinante» (1915-1917, p. 524). Oltre che nelle nevrosi, la realtà psichica si manifesta nei sogni, dove i processi inconsci non tengono conto della realtà esterna, ma la sostituiscono con la realtà psichica. Le relazioni tra realtà psichica e realtà esterna o materiale sono regolate per Freud dai processi di -► introiezione dove gli oggetti si trasferiscono dalla realtà esterna a quella interna, e di -►• proiezione (§ 3) dove vissuti interiori vengono riferiti a cose e persone della realtà esterna.

C.G. Jung ritiene che la realtà psichica sia più reale della realtà materiale non solo perché fantasie e immagini influenzano la percezione e ancor più le interpretazioni della percezione della realtà esterna, ma anche perché sia la realtà sensibile (mondo della materia) sia quella intelligibile (mondo dello spirito) sono accessibili solo tramite le immagini prodotte dalla realtà psichica, per cui. scrive Jung, «è un pregiudizio quasi ridicolo non ammettere altra esistenza all'infuo- ri di quella corporea. In realtà la sola forma di esistenza di cui abbiamo conoscenza immediata è quella psichica. Potremmo ben dire, anzi, che l'esistenza fisica non è che una deduzione, poiché noi conosciamo la materia solo in quanto percepiamo delle immagini psichiche trasmesse attraverso i sensi. Commettiamo certamente un grosso errore dimenticando questa semplice eppur fondamentale verità. Anche se una nevrosi non avesse altra causa che l'immaginazione, sarebbe ugualmente un fatto reale. Se un uomo immaginasse di vedere in me il suo peggiore nemico e mi uccidesse, io sarei morto per una pura immaginazione. Le immaginazioni esistono e possono essere reali, perniciose e pericolose come le condizioni fisiche» (1938-1940, p. 21-22).

2. Esame di realtà.

Funzione dell'Io che consente di distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno da quelli interni evitando la confusione tra percezione degli oggetti esterni e la loro rappresentazione provocata dall'intensità di un desiderio o di un ricordo. Definito da Freud come una «fra le grandi istituzioni dell'Io» (1915f, p. 100), l'esame di realtà è attribuito al sistema della coscienza che, inibendo l'investimento del desiderio, del ricordo o dell'immagine, non permette al sistema percettivo di essere sopraffatto dalle eccitazioni interne. Questa inibizione manca nt\\'infanzia, dove è frequente la soddisfazione allucinatoria del de
siderio, vien meno nel sogno, dove «venendo [...] a mancare l'investimento del sistema coscienza cade la possibilità dell'esame di realtà; e gli eccitamenti che, indipendentemente dallo stato di sonno, si sono messi sulla strada della regressione, troveranno via libera fino al sistema coscienza, in cui si faranno valere come realtà incontestabile» (1915f, p. 101), ed è alla base dei deliri e delle allucinazioni frequenti nelle psicosi che, da questo punto di vista, possono essere definite come fallimenti dell'esame di realtà.

3. Principio iji realtà.

Insieme al principio di -► piacere (§ 1) il principio di realtà è uno dei due principi che regolano il funzionamento della psiche. Nell'infante, la cui vita psichica è regolata esclusivamente dal principio di piacere, c'è la tendenza a scaricare immediatamente nella realtà, e, se non è possibile, in modo allucinatorio, la tensione pulsionale la cui crescita è fonte di dispiacere. In seguito, scrive Freud, «la mancanza dell'atteso soddisfacimento, la disillusione, ha avuto per conseguenza l'abbandono di questo tentativo di appagamento per via allucinatoria. L'apparato psichico ha dovuto risolversi a rappresentare a sé stesso, anziché le condizioni proprie, quelle reali del mondo esterno, e a sforzarsi di modificare la realtà. Con ciò si è instaurato un nuovo principio di attività psichica: non è più stato rappresentato quanto era piacevole, ma ciò ch'era reale anche se doveva risultare spiacevole. Con questa instaurazione del principio di realtà è stato compiuto un passo denso di conseguenze» (1911a, p. 454).

La comparsa del principio di realtà avviene con lo sviluppo delle funzioni coscienti quali l'attenzione, il giudizio, la memoria, il pensiero, e sostituisce, alla scarica immediata della pulsione, una trasformazione della realtà per renderla appropriata a una soddisfazione, rinviata nel tempo, del desiderio. In questo processo il principio di piacere non scompare, ma continua a regnare e a presiedere i processi inconsci e le loro manifestazioni oniriche. Dal punto di vista economico il principio di realtà corrisponde a una trasformazione dell'energia libera in energia legata (-► libido, § 1, e), dal punto di vista topico interessa il sistema preconscio- cosciente, dal punto di vista dinamico pone al servizio dell'Io una parte dell'energia pulsionale. mentre dal punto di vista genetico oltre alle pulsioni di autoconservazione (-► conservazione, § 2) che già riconoscono il principio di realtà, anche le pulsioni sessuali vi si adeguano progressivamente, anche se solo parzialmente: «Sotto l'influenza delle pulsioni di autoconservazione dell'Io il principio di piacere è sostituito dal principio di realtà, il quale, pur senza rinunciare al proposito finale di ottenere piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento, la rinuncia a svariate possibilità di conseguirlo e la temporanea tolleranza del dispiacere sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere. Il principio di piacere continua tuttavia per molto tempo a informare il modo in cui operano le pulsioni sessuali, che sono difficilmente "educabili", e accade continuamente che, a partire da queste pulsioni, oppure nello stesso Io, il principio di piacere riesca a sopraffare il principio di realtà, a detrimento dell'organismo nel suo insieme» (1920a, p. 196).

4. Il «reale» nell'accezione di J. Lacan.

Per Lacan, «reale» è ciò che resiste alla simbolizzazione perché «non c'è alcuna speranza di raggiungere il reale attraverso la rappresentazione» (1975, p. 184). La non coincidenza irriducibile tra significante e significato fa sì che il linguaggio non riesca a esprimere adeguatamente la verità del reale che resta sempre al di là: «Giacché il reale non attende, e non attende il soggetto, perché non attende nulla dalla parola. Ma è lì, identico alla sua esistenza, e pronto a sommergere dei suoi bagliori quel che "il principio di realtà" vi costruisce sotto il nome di mondo esterno» (1966c, p. 380). In questo modo Lacan ripropone l'incommensurabilità tra natura e cultura come tratto tipico del suo pensiero (-► lacaniana, teoria, § 8).