Lacaniana, teoria teoria psicoanalitica elaborata da J. Lacan prendendo le mosse da S. Freud in vista di un avanzamento teorico e critico del messaggio freudiano che, come «cura attraverso la parola», è possibile solo se si prende alla lettera che «l'inconscio è strutturato come un linguaggio», e come tale da trattare con gli strumenti che lo strutturalismo da un lato e la linguistica dall'altro hanno messo a disposizione. Qui di seguito vengono illustrate le tappe percorse da questa indagine e gli esiti a cui essa perviene.

1. Il rifiuto della prospettiva ecologica e logocentrica. Questa prospettiva è stata tramandata dalla tradizione filosofica che, a partire da R. Descartes, ha collocato l'essenza dell'uomo nel cogito, quindi nella coscienza o Io. Accogliendo la lezione di Freud: «L'Io non è padrone in casa propria», Lacan ritiene che l'individuo sia vissuto e abitato da una «x» loquente e profonda (l'Es) nei cui confronti si trova in uno stato di radicale assoggettamento, per cui non è possibile dire che l'uomo parla, ma piuttosto che «l'uomo è parlato». Da questo atteggiamento anticartesiano, che porta a fondo l'attacco freudiano al narcisismo universale dell'umanità, Lacan può dire: «Penso dove non sono, dunque sono dove non penso» (1966c, p. 512), e ancora: «L'Io è strutturato esattamente come un sintomo. Non è altro che un sintomo privilegiato all'interno del soggetto. E il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell'uomo» (1975a. p. 20).

2. L'ordine simbolico. Questa impostazione antiegologica si accompagna alla tesi del primato dell'ordine simbolico, ossia alla concezione, tipicamente strutturalista, secondo cui l'individuo è attraversato da un'impersonale trama di simboli e di significanti che lo costituiscono e che egli non ha creato, ma nella quale è piuttosto preso dentro come nel retaggio della propria storia e della propria cultura: «Se l'uomo arriva a pensare l'ordine simbolico è perché vi è anzitutto preso nel suo essere» (1966c, p. 49). E ancora: «Tutti gli esseri umani partecipano all'universo dei simboli, vi sono inclusi e lo subiscono molto più che non lo costituiscano, ne sono molto più i supporti che gli agenti» (1975a, p. 198). Siccome l'ordine simbolico è l'ordine del significante, il significante ha un'indubbia preminenza sul soggetto. Questo tratto avvicina Lacan a Lévi-Strauss e alla problematica svolta da quest'ultimo ne Le strutture elementari della parentela in cui l'individuo appare come l'effetto di un codice simbolico radicato nelle strutture inconsce della sua psiche (-► antropologia, § 3; -► simbolo, § 5, e).

3. L'inconscio come linguaggio. Se «l'inconscio è linguaggio» (1966c, p. 871), la psicoanalisi, per svolgere in modo adeguato il proprio compito di ermeneutica del profondo, deve rifarsi alla linguistica: «La linguistica qui ci può servire di guida, poiché è questo il suo ruolo all'apice dell'antropologia contemporanea, e non potremo rimanervi indifferenti» (1966c, p. 277). Come «x» loquente, l'inconscio, come «ciò che parla (ça parle)», non può fare a meno di assumere la forma di un discorso o di un messaggio proveniente da «altrove», il «discorso dell'Altro». Col termine -► «Altro» (§ 1) Lacan intende l'ordine simbolico, l'intersoggettività, ma altrove anche la Madre, il Padre. L'Altro coincide allora con la struttura dell'alterità che ha forme diverse a seconda dei contesti. Rispetto all'Io, l'Altro è tanto l'inconscio, quanto il simbolico che offre all'inconscio le leggi del discorso in cui esprimersi. Ma nel simbolico l'inconscio e il suo «oscuro parlare» possono solo «semi-dirsi» per cui «la venta dell'inconscio deve situarsi tra le righe» (1966c, p. 429), perché, come vuole la metafora di Lacan, il discorso umano assomiglia a quei manoscritti che contengono due testi, uno dei quali è stato cancellato e ricoperto dall'altro, in modo tale che il primo può venir intravisto solo attraverso le falle e' secondo, ovvero tramite i «buchi di senso» del discorso conscio: «L'inconscio, a partire da Freud, è una catena di significanti che da qualche parte (su un'altra scena, egli scrive) si ripete ed insiste per interferire nei tagli offertigli dal discorso e dalla sua categorizzazione che informa» (1966c, p. 801). Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla voce linguaggio (§ 4,/).

4. Sintomo, metafora e metonimia. La parola dell'inconscio si annuncia nel linguaggio dell'Altro che il soggetto riceve già codificato sotto forma di sintomo: «Il sintomo è il significante di un significato rimosso dalla coscienza del soggetto. Simbolo scritto sulla sabbia della carne e sul velo di Maja, esso partecipa del linguaggio attraverso l'ambiguità semantica da noi già posta in rilievo nella sua costituzione» (1966c, p. 274). Se «l'inconscio è quel capitolo della mia storia che è marcato da un bianco od occupato da una menzogna: [se] è il capitolo censurato» (1966c, p. 252), la sua verità può essere ritrovata attraverso i sintomi che sono iscritti: «nei monumenti: e questo è il mio corpo, cioè il nucleo isterico della nevrosi in cui il sintomo isterico mostra la struttura di un linguaggio e si decifra come un'iscrizione che, una volta raccolta, può essere distrutta senza grave perdita; nei documenti d'archivio: e sono i ricordi della mia infanzia, impenetrabili al pari di essi, quando non ne conoscono la provenienza; ne,Wevoluzione semantica: e questo corrisponde allo stock e alle accezioni del vocabolario che mi è proprio, così come al mio stile e al mio carattere; nelle tradizioni, addirittura nelle leggende che in forma eroicizzata veicolano la mia storia; nelle tracce, infine, che di questa storia conservano inevitabilmente le distorsioni rese necessarie dal ricordo del capitolo adulterato con i capitoli che l'inquadrano, e delle quali la mia esegesi ristabilirà il senso» (1966c, p. 252-253).

Per decifrare la «retorica dell'inconscio» Lacan traduce i meccanismi inconsci illustrati da Freud nelle figure descritte dalla linguistica strutturale di R. Jakobson (-► antropologia, § 3) e in particolare riconduce la condensazione, attraverso cui diverse idee o immagini vengono espresse da una singola parola o immagine, alla metafora, dove un oggetto è indicato col nome di un altro oggetto avente con il primo rapporti di somiglianza; e lo -► spostamento, che sostituisce un'idea o immagine con un'altra a cui è as- sociativamente connessa, alla metonimia, dove una cosa o una persona sono nominate col nome di un'altra cosa o persona che ha con esse un rapporto di dipendenza o contiguità. Per l'uso specifico che Lacan fa di
questi termini si veda la voce metafora (§ 2).

5. Lo stadio dello specchio e la dimensione dell'immaginario. Con questa espressione Lacan si riferisce alla progressiva conquista dell'identità del soggetto che prende avvio tra i sei e i diciotto mesi quando il bambino, posto di fronte a uno specchio, reagisce prima come se l'immagine riflessa dallo specchio fosse una realtà che è possibile afferrare, poi si rende conto che non è una realtà, ma un'immagine, infine capisce che questa immagine è la sua, differente da quella dell'adulto che l'ha accompagnato davanti allo specchio. Lo stadio dello specchio si configura come un primo abbozzo dell'Io, un primo schizzo della soggettività attraverso l'immaginario; infatti è attraverso l'immagine del simile che il soggetto, per un meccanismo di identificazione, si rapporta a sé. A partire da qui, osserva Lacan, si apre la strada al futuro di finzioni e alla «destinazione delirante» (1966c, p. 89) dell'Io costretto in una dialettica incessante di identificazioni narcisistiche con immagini esteriori. Dalla dimensione dell' immaginario, che prende avvio con lo stadio dello specchio, si accede al simbolico percorrendo la vicenda del complesso edipico.

6. Lo stadio dell'edipo e la dimensione simbolica. Anche qui abbiamo un'articolazione in tre tempi: nel primo il bambino desidera solo le cure della madre, vuol essere tutto per lei, ovvero il completamento di ciò che le manca: il fallo; nel secondo abbiamo l'intervento del padre che priva il bambino dell'oggetto del suo desiderio e la madre del suo completamento fallico: in questa fase il bambino incontra la Legge-del-Padre e il suo Interdetto; nel terzo, se il bambino accede al «Nome-del-Padre» o «metafora paterna» che coincide con l'assunzione del -► padre a livello simbolico, il bambino si identifica col padre, cessando di «essere» il fallo della madre, per divenire colui che «ha» il fallo; se invece l'interdizione paterna non viene riconosciuta, il bambino, oltre a rimanere identificato con il fallo e sottomesso alla madre, non raggiunge una compiuta autocostituzione della soggettività e un accesso al simbolico dove la Parola, la Legge, il Discorso e la Norma si manifestano a livello linguistico e a livello sociale, per cui Lacan può dire: «L'uomo paria, ma è perché è il simbolo che lo ha fatto uomo» (1966c, p. 269). Ma il simbolo presuppone l'Edipo e il suo risolvimento nel riconoscimento della legge del padre in cui si esprime il simbolico. Con questa sequenza Lacan si ricollega a Lévi-Strauss che vede nell'interdizione dell'-► incesto e nella conseguente esogamia (-► endogamia-esogamia) la condizione stessa della vita sociale e dell'ordine simbolico su cui essa si regge.

7. La scissione e le due reti del significante e del significato. L'accesso al simbolico comporta una scissione (Spaltung nella terminologia freudiana. Fente o Refente in quella lacaniana) che «fende» il soggetto il quale, nel momento in cui si media attraverso il discorso messogli a disposizione dall'ordine simbolico, perde la relazione immediata di sé con sé, relazione che lo caratterizzava nella fase prelinguistica e presimbolica. Tra l'Io del discorso che nomina il soggetto e l'Io vissuto esiste una frattura (Ichspaltung) che da un lato separa il soggetto da sé, e dall'altro lo genera a se stesso: «Separare, séparer, va a finire in se parere, generarsi da sé. Dispensiamoci dai sicuri favori che troviamo negli etimologi del latino, per questo scivolamento del senso da un verbo all'altro. Si sappia soltanto che questo scivolamento è fondato sul loro comune accoppiamento alla funzione di pars» (1966c, p. 846). La separazione tra conscio e inconscio sottesa alla scissione del soggetto si lascia raffigurare in quello che Lacan chiama l'algoritmo saussuriano
_S_ s
«che si legge significante su significato, dove il su risponde alla sbarra che ne separa le due tappe» (1966c, p. 491). Mentre de Saussure pone il significato sopra e il significante, l'elemento materiale del linguaggio che nomina il significato, sotto, racchiudendo il tutto in un'ellisse per indicare la corrispondenza tra significante e significato, Lacan inverte la posizione e legge la barra come una barriera che separa il significante (la lettera o il nome) dal significato (il senso della nostra esperienza trasmessa dal discorso), in quanto il signi; ficato, pur esteriorizzandosi nell'insieme dei significanti, non si colloca in nessun luogo del significante. L'ordine del significante e l'ordine del significato sono come «due reti che non si coprono. La prima rete, quella del significante, è la struttura sincronica del materiale del linguaggio in quanto ogni elemento vi assume il suo esatto impiego per il fatto di essere differente dagli altri; tale è il principi" di ripartizione che regola, esso solo, la funzione degli elementi della lingua ai suoi diversi livelli, dalla coppia di opposizione fone-
natica fino alle locuzioni composte, isolare le cui forme stabili è il compito della più moderna ricerca. La seconda rete, quella del significato, è l'insieme diacronico dei discorsi concretamente pronunciati, che reagisce storicamente sul primo, così come la struttura di questo ordina le vie del secondo. A dominare qui è l'unità di significazione, che mostra di non risolversi mai in una pura indicanone del reale, ma di rinviare sempre ad un'altra significazione. Cioè la significazione non si realizza che a partire da una presa delle cose che è d'insieme» (1966c, p. 404-405). Ne discende che «è nella catena del significante che il senso insiste, ma che nessuno degli elementi della catena consiste nella significazione di cui è capace in quello stesso momento» (1966c, p. 497). 8. Natura e cultura: due serie parallele. Con l'ispessimento della linea saussuriana di frazione tra significante e significato, trasformata da Lacan in una barra per cui «si impone la nozione di uno scivolameilto (glissement) incessante del significato sotto il significante» (1966c, p. 497), Lacan reinterpreta la nozione freudiana di -*■ rimozione ( Verdrängung) come «quella sorta di discordanza fra il significato e il significante determinata da ogni censura d'origine sociale» (1966c, p. 364). La cultura, in cui il sociale e il simbolico che lo descrive si esprime, appare come un ordine di significanti «altro» dalla matrice originaria che custodisce la natura dell'uomo il quale nella cultura, dunque, è sempre alienato. Attestandosi al discorso, all'Io, al comportamento sociale, il soggetto prolifera in forme multiple che si dà o che gli vengono imposte e che equivalgono ad altrettante maschere sotto le quali si nasconde ciò che è stato rimosso, vale a dire la sua natura. Con l'accesso al linguaggio si «sovrappone il regno della cultura a quello della natura» (1966c, p. 270) e questa sovrapposizione si ripercuote a tutti i livelli che possono essere così rappresentati:
Esperienza rappresentativa della realtà Realtà biologica, concreta, preconcettuale
S (Significante conscio) S (Significante inconscio) s (significato perduto)
L'ngua Simbolico Conscio Domanda =parola _ Immaginario _ Inconscio _ Desiderio
Cosa Reale  Biologico Bisogno
La n
a non coincidenza irriducibile tra signifi
cante e significato fa sì che il linguaggio non riproduca la verità, ma la distorca, e d'altra parte che la verità non abbia altro modo di dirsi se non nella distorsione linguistica. Tra il linguaggio e il reale c'è incommensurabilità, e la verità del reale non può che annunciarsi nel linguaggio senza che il linguaggio possa adeguatamente esprimerla. In questo senso la verità è inconscio e si fa strada nel sintomo: «La verità si fonda sul fatto che parla, e non ha altro modo per farlo. Ecco pure perché l'inconscio, che dice il vero sul vero, è strutturato come un linguaggio, e perché io, quando insegno questo, dico il vero su Freud che ha saputo, sotto il nome di inconscio, lasciar parlare la verità» (1966c, p. 872). E ancora: «La verità in psicoanalisi è il sintomo. Là dove c'è sintomo, c'è una verità che si fa strada» (1966c, p. 165). L'irraggiungibilità della verità da parte del linguaggio e del sapere inscrive Lacan in una prospettiva -»• ermeneutica per cui nessun sapere può vantare una presa esaustiva o un possesso ultimo della verità: «Si comprenda bene il nostro pensiero - scrive infatti Lacan -, Non stiamo giocando al paradosso di negare che la scienza abbia di che conoscere circa la verità. Ma noi non dimentichiamo che la verità è un valore che risponde all'incertezza da cui l'esperienza vissuta dell'uomo è fenomenologicamente segnata, e che la ricerca della verità anima storicamente, sotto la voce dello spirituale, gli slanci del mistico e le regole del moralista, le Vie dell'asceta e le trovate del mistagogo. Questa ricerca, imponendo a tutta una cultura la preminenza della verità nella testimonianza, ha creato un atteggiamento morale che è stato e resta per la scienza una condizione d'esistenza. Ma la verità nel suo valore specifico resta estranea all'ordine della scienza: la scienza può onorarsi delle sue alleanze con la verità; può proporsi come oggetto il suo fenomeno ed il suo valore; ma non può in alcun modo identificarla come il fine che le è proprio» (1966c, p. 73).
9. La mancanza. è il tratto distintivo che caratterizza ogni tappa dell'itinerario che dal bisogno conduce al desiderio e dal desiderio alla domanda. Il -»• bisogno (§ 4, a), infatti, nasce dal vissuto di incompletezza conseguente alla separazione dal corpo materno e al connesso tentativo di reintegrare l'unità perduta. L'interdizione del padre alla reintegrazione di detta unità traduce il bisogno in -»■ desiderio (§ 3) che rincorre un'infinità di oggetti assai diversi da quelli primordiali a cui si rivolgeva il bisogno, ma comunque
inabili a colmare la béance o mancanza iniziale, nonostante la fuga ininterrotta da un significante all'altro nel tentativo di reintegrare la pienezza perduta. Ma i significanti inseguiti dal desiderio, tutti metaforici o metonimici rispetto al vero significato, non consentono al desiderio di raggiungere la sua meta che è «al di qua» della «linea di partenza» da cui il desiderio prende le mosse: «Il desiderio si produce nell'aldilà della domanda perché, articolando la vita del soggetto alle sue condizioni, essa ne sfronda il bisogno; ma esso si scava nel suo al di qua perché, domanda incondizionata della presenza e dell'assenza, essa evoca la mancanza ad essere sotto le tre figure del niente che costituisce il fondo della domanda d'amore, dell'odio che giunge a negare l'essere dell'altro, e dell'indicibile di quel che si ignora nella sua richiesta. In questa aporia incarnata [...] il desiderio si afferma come condizione assoluta» (1966c, p. 625). Attraverso la domanda, il desiderio sempre insoddisfatto e sempre risorgente, si dispiega nella parola, e il luogo di questo dispiegamento è 1'-» Altro (§ 1) inteso non come la somma delle persone interlocutrici, ma come l'ordine stesso del linguaggio a cui ogni interlocutore deve sottostare. Il desiderio è al di là della domanda perché la sua forza oltrepassa la sua formulazione linguistica, ma al contempo si scava al di qua della domanda perché il suo oggetto rinvia alla mancanza d'essere radicale che originariamente si è espressa nel bisogno di pienezza rimosso dalla legge (Il-Nome-del-Padre) nell'inconscio (-»■ padre). Se l'Es è il luogo dove l'Io deve ritornare per scoprire la matrice del proprio essere, non si dovrà tradurre l'aforisma freudiano «Wo es war, soll Ich werden» come solitamente lo si traduce: «Là dove era l'Es, deve venire l'Io», ma: «L'Io deve avvenire là dove era», ossia deve percorrere a ritroso il sentiero che porta all'inconscio: «Il fine che la scoperta di Freud propone all'uomo è stato da lui definito all'apogeo del suo pensiero in termini commoventi: Wo es war, soll Ich werden. Là où fut ça, dove fu così, il me faut advenir, debbo avvenire» (1966c, p. 519).