Invidia |
(ingl. envy; ted. Neid; fr. envie) Sentimento di ostilità e rancore per chi possiede qualcosa che il soggetto invidioso desidera, ma non possiede. In ambito psicoanalitico questo sentimento è stato considerato in contesti differenti da S. Freud e da M. Klein. 1. L'invidia del pene. Questo tema occupa un posto centrale nella psicologia della femminilità (§ 1) elaborata da Freud, secondo il quale «il complesso di evirazione della bambina è messo in moto dalla vista dell'altro genitale. Essa nota subito la differenza e [...] si rende conto del suo significato. Si sente gravemente danneggiata, dichiara spesso che anche lei "vorrebbe avere qualcosa di simile" e cade quindi in balia dell'invidia del pene, che lascerà tracce incancellabili nel suo sviluppo e nella formazione del suo carattere» (1932a, p. 231). L'invidia del pene determina un allentamento della relazione della bambina con la madre come oggetto d'amore (fase preedipica), con successivo sviluppo d'amore per il padre (fase edipica) che sottende o il desiderio di avere un pene dentro di sé sotto forma di desiderio di avere un bambino, o di godere del pene nel coito con rinuncia all'attività fallica (masturbazione clitoridea) e sopravvento della passività. «La scoperta della propria evirazione - scrive Freud - è un punto di svolta nello sviluppo della bambina. Da essa si dipartono tre indirizzi evolutivi: uno porta all'inibizione sessuale o alla nevrosi; il secondo a un cambiamento del carattere nel senso di un complesso di mascolinità; l'ultimo, infine, alla femminilità normale» (1932a, p. 232). Sono residui dell'invidia del pene la gelosia, l'invidia, che, a parere di Freud, nelle donne è maggiore che negli uomini, e la sublimazione di questa invidia che si esprime, sempre a parere di Freud, «nella capacità di esercitare una professione intellettuale» (1932a, p. 231). E. Jones ha definito «fallocentrica» questa teoria freudiana che considera la donna un uomo mancato, e ha interpretato il desiderio della bambina di avere un pene come difesa contro l'angoscia suscitata dai desideri provati verso il padre. Ma le critiche più costruttive sono state avanzate da K. Homey, da H. Deutsch e dalla Klein, cioè dalle esponenti femminili della psicoanalisi che hanno confutato la tesi di Freud con tutte le sue conseguenze con una serie di argomenti che si trovano esposti nella voce femminilità (§2). 2. Invidia e gratitudine. Questa coppia di termini esprime la relazione che la Klein indica come «primitiva» perché viene sperimentata fin dalla nascita, e «fondamentale» perché si rivela decisiva nello sviluppo del bambino. Dopo aver definito l'invidia come «un sentimento di rabbia perché un'altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode», la Klein prosegue dicendo che «l'impulso invidioso mira a portarla via o a danneggiarla. Inoltre l'invidia implica un rapporto con una sola persona ed è riconducibile al primo rapporto esclusivo con la madre» (1957, p. 14). Nello sviluppo del bambino la gratificazione che egli prova al seno stimola sia sentimenti di invidia che di gratitudine. Se l'invidia non è eccessiva, può essere integrata nell'Io e superata dai sentimenti di gratitudine. Se prevalgono le esperienze buone su quelle cattive, l'invidia diminuisce man mano che aumenta la gratitudine, se invece l'invidia è molto intensa, allora il processo di scissione tra un oggetto ideale e uno persecutorio, necessario per consentire all'Io di uscire dall'ambivalenza, non può essere mantenuto, perché è proprio l'oggetto ideale che dà luogo a invidia e che viene attaccato e guastato. L'impossibilità di trovare un oggetto ideale che consenta di identificarsi con esso riduce la speranza di trovare in qualche luogo amore o aiuto, mentre la distruzione dell'oggetto è fonte di persecuzione senza fine e, più tardi, di sensi di colpa. Un'intensa invidia inconscia è alla base di relazioni terapeutiche negative e avvia a forme patologiche perché l'invidia impedisce una buona introiezione e ciò aumenta, in una spirale senza fine, l'invidia (-► kleiniana, teoria). |