inconscio

Termine che trova impiego come aggettivo per qualificare i contenuti non presenti alla coscienza, e come sostantivo per indicare una zona dello psichico. Questo concetto è centrale in tutte le psicologie del profondo per le quali i contenuti della coscienza non sono originari, ma derivati da processi che, in quanto sfuggono alla coscienza e sono ad essa antecedenti, sono detti «inconsci».

1. Gli antecedenti filosofici.

Gli antecedenti filosofici della nozione di inconscio sono rintracciabili in G.W. Leibniz che ha sottolineato l'importanza delle «piccole percezioni» che «formano quel non so che, quei gusti, quelle immagini delle qualità sensibili, chiare nell'insieme, ma confuse nelle parti; quelle impressioni che i corpi che ci circondano fanno su di noi e che involgono l'infinito; quel legame che ciascun essere ha con tutto il resto dell'universo» (1703, p. 17). L'inconscio ritorna con I. Kant che, rispondendo all'obiezione di J. Locke secondo cui non si può parlare di rappresentazioni di cui non si è coscienti, scrive che «possiamo essere coscienti mediatamente di una rappresentazione di cui non siamo coscienti immediatamente» (1798, p. 17). Ma è con F.W.J. Schelling che l'inconscio diviene uno degli aspetti fondamentali dell'Assoluto come identità di natura e spirito, nel senso che «l'inconscio è la radice invisibile di cui tutte le intelligenze non sono che le potenze; è l'eterno intermediario tra il soggetto che si autodetermina in noi e l'oggettivo o intuente» (1800, p. 280). A. Schopenhauer concepisce l'inconscio come volontà irrazionale al di fuori delle coordinate dello spazio e del tempo e non regolato dal principio di causalità che presiede le nostre rappresentazioni. Partendo da Schelling e da Schopenhauer, E. von Hartmann introduce esplicitamente il termine «inconscio» di cui lo spirito e la materia non sarebbero che due diverse rappresentazioni.

S. Freud, che fa dell'inconscio il centro della teoria psicoanalitica, riconosce gli antecedenti filosofici: «Probabilmente pochissimi uomini hanno compreso che ammettere l'esistenza di processi psichici inconsci significa compiere un passo denso di conseguenze per la scienza e per la vita. Affrettiamoci comunque ad aggiungere che un tale passo la psicoanalisi non l'ha compiuto per prima. Molti filosofi possono esser citati come precursori, e sopra tutti Schopenhauer, la cui "volontà" inconscia può essere equiparata alle pulsioni psichiche di cui parla la psicoanalisi. Si tratta del resto dello stesso pensatore che, con enfasi indimenticabile, ha anche rammentato agli uomini l'importanza, tuttora misconosciuta, delle loro aspirazioni sessuali. La psicoanalisi ha quest'unico vantaggio: che non si limita ad affermare astrattamente i due principi, tanto penosi per il narcisismo, dell'importanza della sessualità e della inconsapevolezza della vita psichica, ma li dimostra mediante un materiale che riguarda personalmente ogni singolo individuo, costringendolo a prendere posizione di fronte a questi problemi. Ma appunto per questo essa attira su di sé quell'avversione e quelle resistenze che di fronte al gran nome del filosofo non osavano ancora manifestarsi» (1916b, p. 663-664).

Dal punto di vista della psicologia sperimentale centrata esclusivamente sull'esperienza cosciente, G.Th. Fechner aveva ripreso da J.F. Herbart il concetto di «soglia della coscienza» (al di sotto della quale tutte le idee sono inconsce) per rappresentare la mente umana come un iceberg di cui solo la cima emerge in superficie; mentre in campo medico, oltre a C.G. Carus, il quale sosteneva che «la chiave per la comprensione della vita conscia risiede nella regione dell'inconscio» (1846, p. 148), la psicopatologia francese con J.M. Charcot, P. Janet e T.A. Ribot si riferì alla vita psichica inconscia per spiegare l'automatismo psicomotorio, la suggestione po- stipnotica, il sonnambulismo e i sintomi isterici.

2. L'inconscio nella teoria psicoanalitica.

In questo ambito l'inconscio è considerato da un punto di vista descrittivo e da un punto di vista topico. Nell'uso descrittivo, «inconscio» è un aggettivo che si riferisce a tutti quei contenuti psichici che non compaiono nell'orizzonte attuale della coscienza, mentre nell'uso topico «inconscio» è un luogo (in greco, tópos) -► dell'apparato psichico dove si trovano tutti quei contenuti a cui è stato rifiutato l'accesso al sistema conscio tramite la -► rimozione. Questa definizione si riferisce alla prima topica elaborata da Freud, dove l'inconscio è pensato come un sistema, denominato Inc, i cui contenuti sono i rappresentanti delle pulsioni e sono regolati da quei meccanismi che sono specifici del -► processo primario, e in particolare dalla -► condensazione e dallo -► spostamento. Investiti di energia pulsionale o -► libido, detti contenuti tentano di accedere al sistema pre- conscio-conscio (denominato in sigla Prec- C), ma vi riescono solo attraverso formazioni di -► compromesso dopo essere stati sottoposti alle deformazioni della -► censura. Quanto alla loro natura, Freud ritiene che si riferiscano ai desideri dell'infanzia che hanno subito una -► fissazione nell'inconscio. Scrive in proposito Freud: «Il nucleo dell'Inc è costituito da rappresentanze pulsionali che aspirano a scaricare il proprio investimento, dunque da moti di desiderio. [...] In questo sistema non esiste la negazione, né il dubbio, né livelli diversi di certezza. Tutto ciò viene introdotto solo dal lavoro della censura fra Vine e il Prec. [...] Una rappresentazione può cedere tutto l'ammontare del proprio investimento a un'altra rappresentazione, attraverso il processo di spostamento; oppure può appropriarsi di tutto l'investimento di parecchie rappresentazioni, attraverso il processo di condensazione. Ho proposto di considerare questi due processi come ciò che contraddistingue il cosiddetto processo psichico primario. Nel sistema Prec domina invece il processo secondario. [...] I processi del sistema Inc sono atemporali, e cioè non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto col tempo. Anche la relazione temporale è legata al lavoro del sistema C. Parimenti, i processi Inc non tengono in considerazione neppure la realtà. Sono soggetti al principio di piacere; il loro destino dipende soltanto dalla loro forza e dal fatto che soddisfino o meno alle richieste del meccanismo che regola il rapporto piacere-di- spiacere. Riassumiamo: assenza di reciproca contraddizione, processo primario (mobilità degli investimenti), atemporalità e sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica sono i caratteri che possiamo aspettarci di riscontrare nei processi appartenenti al sistema Inc. I processi inconsci diventano accessibili alla nostra conoscenza solo nelle condizioni del sogno e della nevrosi [...]. In sé e per sé i processi inconsci sono inconoscibili» (1915e, p. 70-71).

Nella seconda formulazione dell'-► apparato psichico il termine «inconscio» viene utilizzato non più come sostantivo ma come aggettivo, perché non si riferisce più a un sistema differenziato come nella prima topica, ma a una qualità che caratterizza oltre all'-►Es, anche parte dell'Io e del Super-io. Fatta questa precisazione, resta comunque possibile dire che i caratteri riconosciuti all'inconscio nella prima topica sono attribuiti, nella seconda topica, all'Es.

3. L'inconscio collettivo.

Questo concetto è stato elaborato in sede antropologica da C. Lévi-Strauss e in sede di psicologia analitica da C.G. Jung con un'attribuzione di significato completamente diverso.

a) Per Lévi-Strauss l'inconscio è da un lato il luogo di incontro tra osservatore e osservato e, dall'altro, il luogo di incontro tra modello e struttura. Infatti, «dato che le soggettività sono incomparabili e incomunicabili, la possibilità di comprensione sarebbe impossibile se l'opposizione tra me e gli altri non potesse essere superata su un terreno che è anche quello su cui il soggettivo e l'oggettivo si incontrano, cioè a dire l'inconscio. Infatti le leggi dell'attività inconscia sono sempre, per un verso, al di fuori dell'apprendimento soggettivo (possiamo prenderne coscienza, ma solo come oggetto); per l'altro, tuttavia, sono esse che determinano le modalità di questo apprendimento. [...] Come termine mediatore tra me e gli altri, approfondendo i dati dell'inconscio, noi ci prolunghiamo, se così si può dire, nel senso di noi stessi: raggiungiamo un piano, che non ci sembra estraneo, perché racchiude il nostro io più segreto, ma (molto più normalmente) perché, senza farci uscire da noi stessi, ci pone in coincidenza con forme di attività che sono, insieme, nostre e altrui, condizioni di tutte le vite mentali di tutti gli uomini e di tutti i tempi» (1950, p. XXXIV-XXXXV).

b) Dal canto suo Jung, dopo aver distinto un inconscio personale da un inconscio collettivo (-► psicologia analitica), scrive che «l'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale. Mentre l'inconscio personale è formato essenzialmente da contenuti che sono stati un tempo consci, ma sono poi scomparsi dalla coscienza perché dimenticati o rimossi, i contenuti dell'inconscio collettivo non sono mai stati nella coscienza e perciò non sono mai stati acquisiti individualmente, ma devono la loro esistenza esclusivamente all'ereditarietà. L'inconscio personale consiste soprattutto in "complessi"; il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da "archetipi". Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano esser presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica le chiama "motivi"; nella psicologia dei primitivi corrispondono al concetto di représentations collectives di Lévy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Huberte Mauss "categorie dell'immaginazione"» (1936a, p. 43; -► antropologia).

c) Senza impiegare l'espressione «inconscio collettivo», anche Freud, in più di un testo, vi allude quando nell'inconscio riserva un posto a contenuti non acquisiti dall'individuo, quindi non ontogenetici ma filogenetici, che costituiscono il «nucleo dell'inconscio»: «Il contenuto dell'Inc può essere paragonato a una popolazione preistorica della psiche. Se nell'uomo ci sono formazioni psichiche ereditarie, simili all'istinto (Instinkt) degli animali, esse costituiscono il nucleo dell'Inc (1915e, p. 78-79).

4. Inconscio e linguaggio.

Questo rapporto è stato considerato da J. Lacan a partire dalla dislocazione della centralità della coscienza, com'è stata proposta dalla cultura occidentale e in particolare da R. Descartes con il suo «Cogito ergo sum». Per Lacan l'uomo non dimora nel cogito, ma in un «esso» (ça) profondo che «lo parla» e nei cui confronti l'uomo si trova in uno stato di radicale assoggettamento: «Penso dove non sono - scrive Lacan - quindi sono dove non penso» (1957b, p. 511 ). Se l'uomo è il parlato, a parlare è l’-► Altro dal soggetto conscio, quell'«esso parla (ça parle)» a proposito del quale Lacan precisa: «Noi insegniamo, al seguito di Freud, che l'Altro è il luogo della memoria, da lui scoperta sotto il nome di inconscio» (1958b, p. 571). Se l'inconscio è linguaggio, «la nostra dottrina non si fonda assolutamente su un'assunzione degli archetipi divini, ma sul fatto che l'inconscio ha la struttura del linguaggio, e che in esso un materiale si muove secondo leggi che sono quelle scoperte dallo studio delle lingue positive. cioè le lingue che sono e furono effettivamente parlate» (1961, p. 589). Proprio perché l'inconscio è linguaggio, o, come dice Lacan, è «desiderio diveniente linguaggio», si rende necessaria una psicoanalisi linguistica ai fini di penetrare nell'«oscuro parlare dell'Es», nei «buchi di senso del discorso conscio dove la verità dell'inconscio si situa tra le righe» (1957a, p. 429). Per decifrare la «retorica dell'inconscio» Lacan si rifà alla linguistica strutturale, e in particolare a R. Jakobson, che gli consente di collegare i meccanismi inconsci illustrati da Freud ai procedimenti retorici della metafora e della metonimia. La -► metafora, infatti, indicando un oggetto con il nome di un altro avente con il primo rapporti di somiglianza, è accostabile alla -► condensazione, mentre la -► metonimia, che nomina una cosa o una persona col nome di un'altra cosa o persona che abbia con essa rapporti di dipendenza o di contiguità, è accostabile allo -► spostamento, che erano i due meccanismi evidenziati da Freud come tipici del processo primario in cui si esprime l'inconscio.

5. Inconscio e logica insiemistica.

L'inconscio descritto da Freud ha trovato una formulazione logico-insiemistica con I. Matte Blanco, che lo legge a partire dal principio di generalizzazione, per cui l'inconscio tratterebbe una singola cosa, persona e oggetto come se fosse un elemento di un insieme che contiene altri elementi e questo insieme come un sottoinsieme di un insieme più ampio e così via all'infinito, e dal principio di simmetria per cui l'inverso di una relazione è trattato come identico alla relazione. Gli effetti di questi due principi sono la soppressione del concetto di successione e quindi di spazio e tempo, l'identità tra la parte e il tutto, la non ottemperanza del principio di non contraddizione, che erano i caratteri descritti da Freud come tipici del processo primario. Il risultato è che l'inconscio tende all'indifferenziazione di ciò che la logica conscia descrive come differenziazione. L'intreccio di questi due modi di procedere - l'inconscio simmetrico, omogeneo e indifferenziato, e il conscio asimmetrico, eterogeneo e differenziato - mette capo a quelle che Matte Bianco chiama strutture bi-logiche che corrispondono all'intreccio dei due modi citati, e di cui la rimozione è un luogo eminente.

6. La critica fenomenologica alla nozione di inconscio.

È stata formulata nel modo più radicale da M. Boss che trova ingiustificata la procedura di ragionamento che Freud adotta per la fondazione dell'inconscio. Scrive infatti Freud: «Tale ipotesi è necessaria perché i dati della coscienza sono molto lacunosi; nei sani non meno che nei malati si verificano spesso atti psichici che possono essere spiegati solo presupponendo altri atti che non sono invece testimoniati dalla coscienza. [...] Gli atti coscienti restano quindi slegati e incomprensibili se ci ostiniamo a pretendere che ogni atto psichico che compare in noi debba essere sperimentato dalla coscienza; mentre si organizzano in una connessione ostensibile se li interpoliamo con gli atti inconsci di cui abbiamo ammesso l'esistenza» (1915e, p. 50). Secondo Boss, dall'analisi di questo ragionamento risulta che tanto il giudizio che c'è «una lacunosità nella serie degli atti coscienti», quanto l'assunto inferito da questo giudizio che «lo psichico è in sé inconscio», poggiano «sul presupposto scientifico operante nella scienza naturale secondo cui il reale esiste sempre e soltanto in nessi causali rigorosi e senza lacune fra oggetti attualmente presenti» (1957, p. 16). L'inconscio, quindi, non è una realtà psichica, ma un prodotto del metodo con cui Freud ha affrontato questa realtà. Infatti, senza il presupposto scientifico sopra enunciato, Freud non avrebbe potuto «constatare» la lacunosità della vita cosciente e di conseguenza «inferire» un substrato reale in cui trovare i tanto cercati nessi causali privi di lacune. «Poiché un inconscio - prosegue Boss - in quanto inconscio, è per definizione incontrollabile, si potevano senza pericolo pensare inseriti in esso tutti quei nessi causali privi di lacune che non possono essere percepiti nella realtà immediatamente data, e che tuttavia si ritenevano indispensabili per poter attribuire alla psiche una realtà propria» (1957, p. 17). Dal punto di vista fenomenologico il risultato di una simile procedura discorsiva non è tanto la «comprensione» della vita psichica, quanto la sua «spiegazione», secondo l'ideale esplicativo delle scienze naturali (-► psicologia comprensiva).