Ambivalenza |
(ingl. ambivalence; ted. Ambivalenz; fr. ambivalence) Compresenza, nella relazione di un soggetto con un oggetto, di idee, sentimenti, tendenze e atteggiamenti di segno opposto. 1. Psichiatria. Il termine è stato introdotto da E. Bleuler per il quale «già l'individuo normale ha talvolta l'impressione di avere come due anime, paventa un evento e desidera che accada [...]. Tali ambivalenze sono quanto mai frequenti e particolarmente drastiche nelle rappresentazioni che ci facciamo di persone che odiamo o temiamo e al tempo stesso amiamo, e questo in modo particolare se è in gioco la sessualità, nella quale agisce un possente fattore positivo e un quasi altrettanto possente fattore negativo da cui dipende, tra l'altro, il sentimento di vergogna e tutte le inibizioni sessuali, nonché la valutazione negativa dell'attività sessuale come peccato e quella corrispondente, positiva, che nell'astinenza sessuale vede un'elevata virtù» (1911-1960, p. 89). Per Bleuler l'ambivalenza può investire; l'intelletto per cui il soggetto enuncia contemporaneamente un'idea e il suo contrario, la volontà per cui nello stesso tempo vuole e non vuole compiere una determinata azione, l'affetto per cui nei confronti della stessa persona prova contemporaneamente un sentimento d'amore e di odio. Successivamente il termine ambivalenza fu ristretto alla tonalità affettiva, mentre all'ambivalenza volontaristica Bleuler diede il nome di ambitendenza (Ambitendenz). Sia l'una che l'altra sono alla base del negativismo: «Cause predisponenti dei fenomeni negativistici sono: a) l'ambitendenza che suscita contemporaneamente ad ogni impulso un controimpulso; b) l'ambivalenza che alla medesima idea dà contrastanti tonalità affettive e fa pensare lo stesso pensiero contemporaneamente in modo positivo e negativo; c) la dissociazione schizofrenica della psiche che impedisce che da psichismi contraddittori e coesistenti venga tirata una conclusione, cosicché l'impulso più inadeguato può venir tradotto in azione con le stesse probabilità dell'impulso corretto, e insieme al pensiero corretto, o al posto di esso, può essere pensato il suo negativo» (1910-1911, p. 189). 2. Psicoanalisi. S. Freud adotta il concetto bleuleriano di ambivalenza limitatamente alla componente affettiva e la legge come una forma di capovolgimento nell'opposto (-► opposti, § 1); «La trasformazione di una pulsione nel suo contrario (in senso materiale) viene osservata in un caso soltanto: nella conversione dell'amore in odio. Poiché è particolarmente frequente che l'amore e l'odio si dirigano contemporaneamente sullo stesso oggetto, tale compresenza costituisce altresì l'esempio più significativo di ambivalenza emotiva» (1915b, p. 28). Il concetto di ambivalenza viene quindi adottato da Freud per spiegare quella particolare situazione in cui, nel trattamento analitico, «un transfert negativo, nelle forme curabili di psiconevrosi. si trova a fianco del transfert affettuoso [...] ed è per questo stato di cose che Bleuler ha coniato la felice espressione di ambivalenza. Tale ambivalenza di sentimenti sembra essere, entro certi limiti, normale, ma un alto grado di ambivalenza è di certo un contrassegno particolare di persone nevrotiche. [...] L'ambivalenza degli orientamenti sentimentali dei nevrotici ci spiega nel modo migliore la loro capacità di porre i loro transfert al servizio della resistenza» (1912a, p. 530). In questa accezione l'ambivalenza è l'espressione stessa del conflitto tra pulsione da un lato e resistenza dall'altro. Da questo conflitto, che caratterizza ad esempio il complesso edipico, nasce il sintomo nevrotico come tentativo di apportare una soluzione; tale è ad esempio la fobia che sposta l'odio su un oggetto sostitutivo, la nevrosi ossessiva che rimuove l'impulso ostile rafforzando il moto libidico sotto forma di -► formazione reattiva, e così via. Quando, nello sviluppo del suo pensiero. Freud introdurrà la distinzione tra pulsione di vita e pulsione di morte, ricondurrà l'ambivalenza al dualismo pulsionale (-► Eros-Thanatos). Il concetto di ambivalenza è ripreso da K. Abraham che lo impiega con una connotazione genetica che consente di specificare la relazione che il bambino ha con gli oggetti nelle fasi del suo sviluppo. Abraham definisce -►ambivalente la fase orale dove la suzione è un incorporamento, ma non tale da porre fine all'esistenza dell'oggetto; ambivalente la fase sadico-anale dove l'ostilità verso l'oggetto è accompagnata dal desiderio di risparmiarlo e di salvarlo dalla distruzione; postambivalente la fase genitale dove con la soluzione del complesso edipico l'ambivalenza può dirsi superata. il concetto di ambivalenza gioca un ruolo essenziale anche per M. Klein, secondo la quale l'ambivalenza è una connotazione che assume l'oggetto investito da proiezioni affettive e distruttive. Questa situazione è superata attraverso la separazione tra oggetto «buono» e oggetto «cattivo», perché un oggetto ambivalente, che sia a un tempo benefico e distruttivo, non può essere tollerato (-► kleiniana, teoria, § 1). 3. Psicologia analitica. C.G. Jung critica la posizione di Bleuler che considera l'ambivalenza la causa di fondo della dissociazione schizofrenica e accoglie l'ipotesi di Freud secondo cui l'ambivalenza è il risultato del conflitto tra pulsione e resistenza: «la resistenza è qualcosa di diverso dall'ambivalenza; è il fattore dinamico, che permette all'ambivalenza dovunque latente di manifestarsi. Perciò l'elemento caratteristico dello stato mentale patologico non è l'ambivalenza, bensì la resistenza» (1911, p. 205). Nello sviluppo successivo del suo pensiero, Jung riconoscerà nell'ambivalenza il tratto caratteristico del simbolo (§ 6) e dell'-► archetipo da lui assunti come linguaggio dell'inconscio, in contrapposizione al «concetto», inteso come «segno», con cui la coscienza procede nella sua costruzione razionale: «Il simbolo non può derivare unilateralmente dalle funzioni mentali più altamente differenziate, bensì deve sgorgare in ugual misura dagli impulsi più bassi e primitivi. Affinché questa cooperazione di stati opposti fra loro sia semplicemente possibile, essi devono esistere entrambi coscientemente in completa contrapposizione. Questo stato deve comportare un violentissimo dissidio con se stessi, tale che tesi e antitesi si neghino a vicenda, mentre I lo è costretto ad ammettere la sua incondizionata adesione tanto all'una quanto all'altra [...]. Quando sussiste una completa uguaglianza ed equiparazione degli opposti, testimoniata dall'incondizionata compartecipazione dell'Io a tesi e antitesi, si ha un arresto del volere, giacché l'atto volitivo diviene impossibile, ogni motivo avendo accanto a sé il Proprio opposto dotato di ugual forza. Poiché la vita non sopporta mai un arresto, ne nasce una congestione dell'energia vitale, che condurrebbe a uno stato di cose insopportabile se dalla tensione degli opposti non sorgesse una nuova funzione unificatrice che conduce oltre gli opposti» (1921, p. 488-489). |