Regressione |
Fenomeno di comune riscontro, la regressione è un processo psichico dalla cui osservazione è scaturita una delle nozioni piti utilizzate dalla psicologia e dalle scienze umane. Il significato etimologico è «camminare a ritroso». In senso puramente e concretamente osservativo, la regressione può riguardare la struttura del comportamento, l'organizzazione delle relazioni interpersonali, l'articolazione dei processi di pensiero o altro. Nota al medico che la osserva nelle condotte dei malati che si affidano alle sue cure, essa è un fenomeno conosciuto anche dai genitori, che possono notarne le conseguenze sullo sviluppo emotivo e cognitivo dei figli. Come molte altre nozioni della cultura psicologica contemporanea, la regressione ha la sua definizione pili articolata e storicamente influente nella tradizione psicoanalitica. In questo quadro, essa è definibile come un ritorno in senso inverso nei processi maturativi, oppure come un rovesciamento nella direzione abituale dei fenomeni che costituiscono il funzionamento psichico. Detto in altri termini, si tratta di una trasformazione più o meno duratura dell'attività psichica, che modifica la sequenza dei processi mentali comportando trasformazioni da un punto già raggiunto a un punto anteriore ad esso (Laplanche e Pontalis, '967). Per comprendere il significato più propriamente psicoanalitico del termine, occorre ricorrere ai testi di diversi analisti e cercare di ricostruire le determinanti teoriche che hanno più influito sull'elaborazione di questo tema. A questo scopo, occorre considerare dapprima l'evoluzione del concetto nell'opera freudiana, di cui vanno distinti almeno tre grandi nuclei teorici: le prime concettualizzazioni metapsicologiche (1899a; 1905c), le modificazioni teoriche dovute all'introduzione della nozione di narcisismo (1914d), e i nfine l'orizzonte concettuale aperto dal modello strutturale della «seconda topica» (in particolare, le nozioni di coazione a ripetere, pulsione di morte e impasto/disimpasto pulsionale). Pur conservando un carattere sempre incompiuto e provvisorio che la fece rimanere un concetto «puramente descrittivo», la regressione è una categoria che è andata incontro a diverse formulazioni e a successive ridefinizioni. Il primo modello psicoanalitico che la con-cettualizza con chiarezza si trova nel testo inaugurale della psicoanalisi, L'interpretazione dei sogni. Qui il vocabolo regressione è impiegato soprattutto per spiegare la vivacità sensoriale delle rappresentazioni oniriche: quei caratteri, cioè, di immediatezza e vivacità che impongono al soggetto che sogna rappresentazioni e immagini caratterizzate da modalità percettive pressoché allucinatorie. Mentre nello stato di veglia l'apparato psichico è percorso da flussi di energia che vanno dalla percezione alla motilità, nel funzionamento onirico i pensieri del sognatore trovano l'accesso all'azione precluso e procedono in senso inverso, ossia appunto «regrediscono». La prima caratterizzazione della nozione che S. Freud immagina nella «protometapsicologia» che troviamo nel famoso settimo capitolo dell'Interpretazione dei sogni è dunque «topica», poiché situa il fenomeno della regressione all'interno dei sistemi- che organizzano la struttura materiale dell'apparato psichico. Essa richiama un'idea piuttosto diffusa fra gli autori che avevano trattato dell'allucinazione nel XIX secolo, idea che postulava un'eccitazione psichica «regrediente» in grado di percorrere l'apparato percettivo in senso contrario a quello abituale: non dall'esterno all'interno del soggetto, ma dall'interno all'esterno. Questa ipotesi era già comparsa nelle opere della primissima fase della teorizzazione psicoanalitica, gli Studi sull'isteria (1892-95) e il Progetto di unapsicologia (1895). Nei testi della prima fase della teorizzazione metapsicologica, essa venne però ripresa e meglio articolata. Immaginando l'apparato psichico come un insieme di sistemi ordinati in sequenza, ciascuno con i suoi contenuti, la sua funzione e il suo tipo specifico di processo elaborativo, Freud ipotizzava che il funzionamento mentale fosse soggetto a un ordinamento insieme psicologico e fisiologico. Passando da un punto all'altro dei sistemi che costituiscono l'apparato psichico, l'energia nervosa poteva seguire sia un percorso progrediente, come nella vita psichica quotidiana e diurna, sia un percorso regrediente, come appunto nell'allucinazione e nel processo onirico. Sarebbe erroneo vedere in questa organizzazione, detta appunto «topica», un tentativo di localizzazione anatomica delle funzioni psichiche. Nei suoi scritti, Freud ribadì infatti a più riprese che le sue raffigurazioni erano «finzioni» che avevano un valore metodologico e non ontologico. E’ però chiaro che il riferimento biologico era tutt'altro che assente nei suoi testi, e che anche dopo aver abbandonato il progetto di una psicologia scritta «per neurologi» (il già citato e inedito Progetto del 1895), la matrice concettuale di riferimento restava comunque quella dell'arco riflesso. Inizialmente, per Freud, l'apparato psichico dunque è ciò che si trova interposto fra due estremità: fra il sistema delle afferenze sensoriali, da un lato, e quello delle afferenze motorie, dall'altro. I testi che costituiscono questa fase della teorizzazione psicoanalitica svilupparono progressivamente queste prime concezioni e diedero luogo a quella che si suole definire la «prima topica». Elementi teorici determinanti di questa prima, grande costruzione metapsicologica sono la teoria della libido, l'inconscio, il preconscio e la coscienza, nonché la nozione di conflitto edipico, che per Freud costituiva il «complesso nucleare» di tutte le nevrosi. In questo quadro, la regressione aveva almeno altre due caratterizzazioni oltre a quella topica: quella detta formale (modi di raffigurazione ed espressione evoluti potevano essere sostituiti da altri pili primitivi) e quella temporale (invertendo il cammino del tempo, la regressione può riattivare formazioni psichiche antiche e apparentemente superate). A proposito di quest'ultima, il testo decisivo per l'approfondimento della ricerca su questo tema è il lavoro intitolato Tre saggi sulla teoria sessuale (1905c). Qui troviamo una delle più chiare esposizioni della dottrina freudiana delle pulsioni. Dopo aver distinto le pulsioni fondamentali in pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali, Freud aveva postulato che queste ultime andavano incontro a un'evoluzione maturativa nel corso della quale si alternavano diverse configurazioni fondamentali. Le fasi dello sviluppo libidinale erano ricondotte a tre tipi di organizzazione: la fase orale, la fase anale e la fase genitale. Dotate ciascuna di una specifica fonte (il luogo anatomico dell'eccitazione), di una tipica meta (il tipo di piacere ottenuto) e di un caratteristico oggetto (ciò che rende possibile la scarica eccitatoria), le fasi dello sviluppo psichico erano immaginate da Freud come una sequenza instabile, che comportava residui insuperati (i «punti di fissazione») e conseguenti possibilità di riorganizzazione regressiva. Tanto i primi quanto le seconde potevano avere ricadute cliniche evidenti, che si manifestavano sia nell'organizzazione dei sintomi e/o del carattere, sia con fasi di funzionamento psichico appunto regressivo, in cui le configurazioni già superate potevano riprendere più o meno transitoriamente il sopravvento. Questa è dunque la nozione di regressione che si trova nell'orizzonte della psicoanalisi freudiana del primo decennio del secolo scorso. Negli anni successivi, le riorganizzazioni dell'orizzonte teorico che influirono maggiormente su questa nozione furono fondamentalmente due. La prima è costituita dall'introduzione del narcisismo, che cominciò a modificare la prospettiva con cui Freud aveva sino a quel punto guardato al nucleo metapsicologico centrale del suo pensiero, cioè la teoria della libido. La seconda è invece la grande svolta degli anni '20, caratterizzata dall'affermarsi di nuove istanze metapsicologiche (Es, Super-io e Io a integrazione di Inconscio, Preconscio e Coscienza), dal ripensamento del conflitto pul-sionale fondamentale (dovuto all'introduzione della coazione a ripetere e della pulsione di morte) e dalla riforma della concezione dei rapporti fra l'angoscia e l'Io. La prima trasformazione risale al primo quinquennio degli anni 'io, ed è aperta dalla pubblicazione di testi celebri di cui il più importante è quello del 1914: l'Introduzione al narcisismo. Punto di arrivo di una lunga riflessione maturata nel confronto con le posizioni di C. G. Jung e A. Adler, la nozione di narcisismo fu anche il punto di partenza di un nuovo modo di pensare alla struttura e allo sviluppo dell'apparato psichico. Con questa nozione infatti si ponevano le premesse per quella riforma concettuale che giungerà a piena maturazione con la concettualizzazione strutturale degli anni successivi. Il termine di cui Freud si servi nel 1914 era stato reintrodotto da P. Näcke nel 1899. Postulando che il narcisismo dovesse essere inteso come una fase intermedia fra l'autoerotismo delle prime fasi della vita psichica e la scoperta dell'oggetto che sopraggiunge posteriormente, Freud immaginò che esso fosse un primitivo investimento della libido sull'Io, che solo in seguito veniva dirottata sugli oggetti. La nozione di regressione che qui si delinea si correla dunque alla tesi di un «narcisismo primario» e di un «narcisismo secondario». Mentre il primo costituirebbe la fase originaria di investimento affettivo dell'Io, il secondo sarebbe la conseguenza di un ripiegamento appunto narcisistico (nel senso del narcisismo «secondario») e «regressivo», riconducibile al ritiro degli importi affettivi precedentemente investiti sul mondo esterno e sugli oggetti. Le conseguenze maggiori di queste innovazioni furono di circa cinque anni posteriori. Aperte dal saggio intitolato Al di là del principio di piacere (1920a), esse originarono dallo studio dei processi di ripetizione delle situazioni spiacevoli (la coazione a ripetere), che Freud immaginò come manifestazioni riconducibili agli effetti di un altro principio del lavoro psichico, che opera appunto «al di là» del principio di piacere/dispiacere: la pulsione di morte. Con la nozione di coazione a ripetere, la regressione perde il carattere principalmente genetico-libidico che derivava dalla parentela concettuale con la fissazione agli stadi libidinali descritti nel 1905, e acquisisce un carattere inerziale e reiterativo che caratterizza l'organizzazione strutturale della vita psichica. Le «pulsioni originarie» di questa fase della teorizzazione freudiana non sono più le pulsioni dell'Io o di autoconservazione da un lato e le pulsioni sessuali dall'altro, ma le pulsioni di morte e le pulsioni di vita. Più cauto riguardo alla loro immediata rilevanza, la cui influenza sulla vita psichica gli appare mediata da tutta una serie di agenzie e istanze interne, Freud postula in questi anni che il conflitto pulsionale non si manifesti direttamente perché le componenti basilari della vita psichica sono sin dall'inizio in una relazione di mescolanza, di intreccio o di impasto che le lega fra loro. Decisiva per comprendere la dinamica psichica è la dialettica tra impasto e disimpasto pulsionale, che produce un quadro di riferimento metapsicologico molto mutato. Due saggi (1921a, 1922a) codificano una radicale riorganizzazione della prospettiva topica che integra la triade metapsicologica tradizionale inconscio/preconscio/conscio con una nuova: Es/Super-io/Io. Struttura in certa misura inconscia, l'Io è considerato un agente psichico attivo a diversi livelli, che si serve, allo scopo di mediare fra realtà esterna e realtà interna, di tutta una serie di procedimenti, che vanno dalle operazioni di rimozione più classiche, alle deformazioni della sua struttura/funzione che Freud descrive in questi anni. Le conseguenze sulla nozione di regressione sono ad almeno due livelli. A livello dell'organizzazione pulsionale, il disimpasto prodotto dall'azione slegante della pulsione di morte fa della regressione un destino sempre incombente sul funzionamento psichico. Aggressività e ambivalenza dimostrano in continuazione, a livello clinico, la precarietà dei legami delle componenti erotiche con gli investimenti distruttivi della fase sadica. A livello del funzionamento dell'Io, i fenomeni scissionali dimostrano che la complessa evoluzione maturativa della psiche comporta un'intrinseca «fissilità» delle sue istanze più evolute. Ancora una volta, la regressione appare così inevitabilmente connaturata alla vita psichica. Il complesso gioco interattivo delle agenzie interne che rendono le funzioni di rappresentazione e di sintesi così laboriose, tanto che ogni notte abbiamo bisogno di riposarci di questo lavoro, implica anche la precarietà delle operazioni di mediazione e sintesi a cui l'Io è appunto deputato. Le prime e ancora oggi influenti definizioni postfreudiane della regressione si devono ad A. Freud e alla tradizione che a lei si richiama: la cosiddetta «psicologia dell'Io». Il testo inaugurale di questo filone è uno scritto del 1936 che si intitola appunto L'Io e i meccanismi difesa. Nel quarto capitolo di questo testo, la Freud ricordava che il termine «difesa» era stato una delle prime nozioni utilizzate da suo padre per organizzare la concezione dinamica dei fenomeni psichici. Sino al 1925, però (1925c), il termine difesa era stato sostanzialmente sostituito da quello di «rimozione». Riconoscendo quest'ultima come un caso particolare fra i meccanismi di difesa, la Freud apriva la strada per una riconsiderazione sistematica delle tecniche di organizzazione omeostatica dell'Io. Gli autori che diedero vita alla tradizione della psicologia dell'Io (H. Hartmann, D. Rapaport, E. Kris, ecc.) lavorarono a fondo in questa prospettiva e fecero della regressione una delle tecniche di difesa più evolute, contrapposta a quei meccanismi che S. Freud aveva cominciato a descrivere e che essi integrarono in una visione sistematica del funzionamento psichico (scissione dell'Io, dissociazione, diniego, proiezione). Estremamente influenti sono state, infine, le definizioni della regressione che si trovano nell'opera di due grandi protagonisti della psicoanalisi del secondo dopoguerra: D. Winnicott e M. Balint. Avendo maturato una vasta esperienza come pediatra oltre che come psicoanalista, Winnicott aveva pubblicato nel 1945 uno studio importante su Lo sviluppo emotivo primario del bambino (ora in Winnicott, 1958). In base alle conclusioni di questo scritto, aveva successivamente proposto di classificare i pazienti in tre grandi categorie: 1) i nevrotici classici descritti da Freud; 2) i soggetti con problematiche depressive e ipocondriache trattati dalla Klein, e infine 3) le persone con le quali la tecnica classica non è adatta, poiché hanno una struttura psichica che risulta da una distorsione dello sviluppo primario. Queste ultime situazioni cliniche sono intese come alterazioni evolutive che hanno portato a un'organizzazione difensiva della personalità che Winnicott denomina «falso Sé». Il setting analitico offre all'individuo che presenta un quadro clinico di questo tipo un sostegno adatto, cioè un ambiente finalmente idoneo a favorire un ritorno alle fasi dello sviluppo che non sono state adeguatamente elaborate e superate. In questo quadro concettuale, la regressione del paziente nel contesto della cura analitica costituisce un utile ritorno alla dipendenza precoce che consente di rinnovare le esperienze che hanno portato all'elaborazione inadeguata del narcisismo primario. La prima formulazione di queste idee si trova in uno scritto intitolato Gli aspetti metapsicologici e clinici della regressione nell'ambito della situazione analitica che fu letto alla British Psychoanalytic Society nel marzo del 1954 (Winnicott, 1958). La nozione di regressione «benigna» e «maligna» è stata elaborata da Balint negli anni '50 e risente dell'influenza esercitata su questo analista di origine ungherese dal pensiero di uno dei suoi maestri: O. Warburg, l'oncologo berlinese che nel 1931 aveva ottenuto il premio Nobel distinguendo appunto i tumori benigni da quelli maligni. Secondo Balint, i fenomeni regressivi che si osservano nella situazione analitica possono essere temporanei e reversibili, e in questo caso costituiscono una fenomenologia clinica minore che possiamo definire appunto benigna. Oppure possono essere tali da condurre il paziente e il terapeuta in una situazione caratterizzata da difficoltà insormontabili. In questo caso, essa merita la definizione di regressione maligna e va intesa come un effetto collaterale del trattamento analitico, di cui occorre cercare di prevenire e minimizzare le manifestazioni. Le idee di Balint miravano a riflettere sulla tecnica analitica contrastando la condanna delle innovazioni tecniche proposte da un altro dei suoi maestri: S. Ferenczi. La critica delle tecniche attive proposte da Ferenczi spinse Balint a una ricerca che fini per dar luogo, nel 1968, alla pubblicazione del suo testo più celebre: Il difetto fondamentale. Riconsiderazione in chiave relazionale del tema del narcisismo primario, questo scritto concordava con le tesi di Winnicott riguardanti la tecnica da adottare per curare soggetti in cui la problematica psichica era da situare a un livello di sviluppo anteriore a quello edipico. Le idee di Balint, raccordandosi alle precedenti proposte di Ferenczi e a numerose proposte provenienti da quegli analisti che in Europa e in America si stavano pionieristicamente cimentando nei tentativi di cura di situazioni psicotiche e/o borderline (basti pensare, in Europa, a M. Sechehaye e alla sua «realizzazione simbolica» o al lavoro di H. Searles negli Stati Uniti), contribuirono fortemente ad alimentare, in generale, un'idea della cura prevalentemente come «esperienza correttiva» o addirittura «nuovo inizio», che ripercorreva concretamente fasi e snodi difettosi della crescita alla ricerca, nella relazione col terapeuta, di soluzioni diverse. Linea di pensiero ancora fortemente presente nella psicoanalisi contemporanea, e al tempo stesso anche molto controversa per le molte derive che, si è segnalato, da essa possono prendere origine. GIOVANNI FORESTI e MARIO ROSSI MONTI |