Fantasia, fantasma (originario)

La differenza di significato che talvolta, anche solo a indicare i poli di uno spettro continuo, si attribuisce alla duplicità di termini con i quali in più lingue si traduce il sostantivo freudiano Phantasie e il correlativo verbo phantasieren, tratti dalla lingua corrente tedesca che con essi indica non tanto la facoltà dell'immaginazione quanto i contenuti del mondo immaginario e l'attività che lo anima e ne è animata, non è una novità psicoanalitica e si può far risalire molto indietro nel tempo. Peraltro è una distinzione-sovrapposizione spesso raddoppiata da quella tra fantasia/fantasticare e immagine/immaginare.

Già gli stoici ricorrevano alla distinzione tra fantasma e fantasia per indicare rispettivamente l'immagine che il pensiero si forma per proprio conto (come nei sogni) e l'impronta della cosa stessa sull'anima, per ciò stesso in qualche modo conforme all'oggetto che la produce: come anche per gli epicurei, nessuna fantasia senza qualcosa di esistente che la produca. Per Aristotele la fantasia, distinta da sensazione e opinione, diventa condizione dell'appetizione, cioè del tendere a qualcosa di non presente e di cui dunque non si ha una sensazione attuale: è una sensazione senza materia, o una sensazione attenuata, come dirà poi Th. Hobbes. Il successivo corso filosofico, da un lato, ha fatto confluire l'immagine nelle nozioni di idea e rappresentazione, tranne per sottolineare la radice sensibile dell'una o dell'altra o per indicare la formazione di immagini mentali, che già l'illuminista Ch. Wolff considerava percezioni di cose sensibili assenti. Dall'altro lato, ne ha distaccato la fantasia, facendo derivare quest'ultima verso la produzione (e il prodotto) di immagini fittizie, considerandola una immaginazione sregolata o sbrigliata con cui volentieri giochiamo - ma che a sua volta altrettanto spesso gioca con noi, avverte Kant. Oppure l'ha fatta coincidere con l'immaginazione creatrice, reputata inferiore nel xvm secolo perché disordinata e ribelle, mentre sarà considerata simboleggiante, allegorizzante e poetante da Hegel, e produttrice della stessa realtà, benché in se stessa priva di realtà, da Fichte. Già Kant, del resto, distingueva un'immaginazione produttiva come rappresentazione originaria dell'oggetto, dall'immaginazione riproduttiva, anche se restringeva la prima all'intuizione delle categorie formali, dello spazio e del tempo, considerando necessariamente riproduttiva l'immaginazione creatrice.

Analoga caratteristica composita ha la coppia fantasia/fantasma nella teorizzazione psicoanalitica, nella quale, attraverso le fantasie a occhi aperti delle pazienti isteriche, si è insediata in una posizione centrale nell'inconscio, ma attraversando, per così dire, in lungo e in largo tutto lo spessore dell'apparato psichico e tutti i tipi di suo funzionamento. Essa è stata introdotta per indicare lo scenario immaginario (e la sua costruzione) che raffigura, in modo più o meno deformato per l'azione dei processi difensivi e con la presenza diretta o indiretta del soggetto stesso, l'appagamento di un desiderio, in ultima analisi inconscio e infantile. Dove il termine «scenario» ha il senso teatrale o cinematografico di un'articolazione intermedia tra soggetto e sceneggiatura vera e propria. E dunque la messa in scena di una modalità di soddisfacimento libidico, in quanto tale sottoposto al principio di piacere e deformato dai processi difensivi, che può essere rappresentato, agito o proiettato. L'attenzione per la fantasia, già ben presente negli ultimi decenni dell'800, ad esempio nel neurologo viennese M. Benedikt, interviene in S. Freud a partire dall'osservazione della ricca vita di fantasia che contraddistingue l'isteria: fantasie a occhi aperti, finzioni, romanzi che il soggetto si crea spontaneamente e si racconta nella veglia o che possono emergere sotto ipnosi, quali quelli che ad esempio vivacemente si creava Anna O. nel suo «teatro privato», come lo definiva Breuer (Freud, 1892-95), e che continuavano ad agire come stimolo psichico fino a perdere di efficacia allorché erano raccontati sotto ipnosi. In queste fantasie Freud intravede il derivato deformato, spesso una vera e propria riproduzione cifrata del ricordo di eventi reali, di scene vissute in particolare durante l'infanzia. E il 1897, indubbiamente, l'anno della fantasia, giacché in quel maggio, nella corrispondenza freudiana con W. Fliess (Freud, 1887-1904), si susseguono a più riprese osservazioni fondamentali al suo riguardo, e lo stesso scopo della psicoterapia è individuato nel raggiungimento del ricordo delle «scene primarie» di cui i sintomi e le stesse crisi isteriche si rivelano essere una riproduzione. Solo che, mentre in alcuni casi è possibile pervenirvi direttamente, in altri vi si può arrivare solo indirettamente, squarciando il velo di fantasie ad esse sovrapposte, che costituiscono delle facciate psichiche costruite per sbarrare l'ingresso a quei ricordi, ovvero delle «finzioni di difesa» contro gli impulsi derivanti dai loro frammenti, che generano i sintomi. Queste fantasie derivano da cose udite (le cose udite stanno alla fantasia come le cose viste stanno al sogno, e naturalmente è tutto materiale genuino, precisa Freud al suo corrispondente) e comprese après coup, a posteriori, ma combinandole con esperienze vissute, racconti di vicende passate di genitori e antenati, cose viste coi propri occhi, e soprattutto subordinandole all'appagamento di un desiderio e deformando il tutto in vario modo, spesso quasi irreversibilmente. Ma subito si formula l'interrogativo se non sia possibile che, in seguito, scaturiscano impulsi anche dalle fantasie, e già emerge, dopo la connessione con il sintomo e il sogno, il nesso o addirittura l'identità tra il meccanismo di formazione delle fantasie e il meccanismo della creazione poetica. Il settembre 1897, con la famosa lettera dell'equinozio, sarà invece considerato il momento ufficiale (benché sancito in una corrispondenza privata) della nascita della nozione psicoanalitica di fantasma, nella misura in cui, denunciando l'assenza di un indice di realtà nell'inconscio che rende impossibile distinguere tra verità e finzione investita di affetto, è messa in dubbio la realtà dei ricordi sottostanti le fantasie inconsce evidenziate in analisi. Di qui l'ipotesi che esse siano per così dire endogene, pure (stoicamente: fantasmi anziché fantasie), e che il loro punto di partenza sia l'impulso (la pulsione, dirà poi Freud). Cosicché le fantasie diventano le manifestazioni spontanee di quella sessualità infantile che si andava delineando, che possono poi armonizzarsi in un tutt'uno ben sistematizzato come nella paranoia, o nell'isteria restare indipendenti le une dalle altre, o perfino contraddittorie. Sul crinale del '900 il fantasma, in questa nuova veste in cui è il ricordo cosciente ad essere l'effetto della trasformazione di una fantasia inconscia (Freud, 1899b), fa il suo ingresso ufficiale nella teorizzazione psicoanalitica, per poi diventare oggetto di numerosi lavori e di molto interesse negli anni 1907-909: sono questi gli anni in cui il fantasma è riconosciuto nella sua efficacia inconscia, al tempo stesso come effetto e nucleo dell'attività autointerpretante e autoteorizzante del piccolo essere umano, mentre in analisi sono ritrovate sequenze tipiche, da scenari immaginari a vere e proprie teorie. E si approfondisce il suo nesso, in quanto appagamento di desiderio, con i sogni, i sintomi, la creazione artistica, di cui si rivela substrato e alimento, anzi il modo stesso in cui il desiderio - investimento della traccia mnestica dei segni sensoriali e motori di un soddisfacimento passato - si articola nella e con la soggettività, fino a coincidere con essa e condensarvisi: nel fantasma, la rappresentazione del soggetto diventa strutturale. Oltre alle cosiddette formazioni dell'inconscio, esso si rivela via via la struttura portante di molti aspetti della vita e del comportamento di una persona, anche quando apparentemente dettati da vincoli reali e dotati di efficacia nella realtà. In tal modo ogni soggetto si rivela modellato da una fantasmatica, oltre a trovare nel fantasticare (che prosegue l'attività di gioco infantile) la riserva naturale di un'attività di pensiero libera dall'esame di realtà e rimasta soggetta soltanto al principio di piacere, una sorta di parco di Yellowstone (Freud, 1911a). Subito si pone, però, il problema della loro collocazione topica, giacché le fantasie si ritrovano a tutti i livelli, spesso in diretta comunicazione tra loro: conscio (le fantasticherie diurne), preconscio (nella loro stessa organizzazione strutturale) e inconscio. Nel sogno, ad esempio, le si può ritrovare ai due estremi del lavoro onirico, come fantasma inconscio che fornisce il capitale alla formazione del sogno, ma anche come fantasia preconscia già preconfezionata, cui si legano il desiderio inconscio e i pensieri del sogno per poter accedere alla coscienza onirica sottoponendosi all'elaborazione secondaria: in alcuni sogni, affermerà Freud (1900), la facciata del sogno mostra immediatamente il nucleo onirico autentico, solo deformato dall'aggiunta di altro materiale. Proprio per questa loro collocazione di frontiera, le fantasie possono permettere di cogliere il passaggio e le trasformazioni da un sistema topico all'altro, incluse ovviamente le operazioni difensive (rimozione, ecc.); nonché i motivi per i quali possono restare inconsce, pur essendo formalmente pronte per coerenza e organizzazione a penetrare nella coscienza - così tradendo la loro origine inconscia e la loro razza mista -, oppure a sprofondarvi dopo essere rimaste in una sorta di limbo relativamente alla consapevolezza, quando l'aumento del loro investimento sta per portarle sotto il riflettore del sovrainvestimento di attenzione e dunque della coscienza. Di conseguenza, anche indipendentemente dalla loro collocazione topica, e proprio perché luogo di operazioni difensive (riflessione sulla propria persona, conversione nell'opposto, diniego, proiezione, ecc.), i fantasmi mostrano sempre più una struttura essenzialmente linguistica, sia pure minimale. In particolare in Freud (1910d), attraverso le paradigmatiche trasformazioni del fantasma omosessuale delineate nel Caso del presidente Schreber, appunto sotto forma di mutamenti sintattici di una frase (soggetto, verbo, complemento oggetto); e poi mediante le trasformazioni del fondamentale fantasma di fustigazione «un bambino viene picchiato», che mette in luce il masochismo originario. I fantasmi sono quindi certamente accomunati tra loro per struttura, che è in guisa di forma sintattica: da quella minimale di una rappresentazione di azione che unisce un agente, un'azione e un oggetto dell'azione, con i possibili ribaltamenti dalla forma attiva a quella passiva, riflessiva o media, e con tutte le permutazioni e scambi di ruoli che permettono, fino alla forma di un vero e proprio «romanzo», quale quello «familiare» descritto da Freud (1908b), in cui sono immaginariamente modificati i propri legami con i genitori. Ma risultano accomunati anche da alcuni contenuti che regolarmente l'analisi permette di ritrovare nella vita fantasmatica dei soggetti, normali e nevrotici: l'osservazione del rapporto sessuale tra i genitori, l'esperienza di aver subito una seduzione sessuale generalmente da un adulto, la castrazione come origine della differenza dei sessi, il ritorno nel grembo materno. Cosicché, intorno alla fantasia della scena primaria nel Caso dell'uomo dei lupi (1914a), Freud ipotizza l'esistenza in ogni essere umano di «fantasmi originari», schemi filogenetici cui l'individuo deve conformarsi per strutturare il proprio mondo fantasmatico e la propria soggettività, in quanto fungono da tramite perché avvengano rappresentazioni e contenuti (Green, 1973). Freud li menziona pubblicamente (1915c) e ne discute l'origine e il rapporto con l'esperienza individuale (1915-17), sostenendo che la loro fonte è certamente pulsionale, ma il loro contenuto è un patrimonio filogenetico. In essi l'individuo, scavalcando la propria esperienza, attingerebbe all'esperienza della preistoria dell'umanità, cosicché la psicologia delle nevrosi conserverebbe antiche testimonianze dell'evoluzione umana. Certo, non sono solo frutto dell'estensione e approfondimento dell'analisi dei fantasmi, della loro importanza strutturale per il soggetto e del ritrovamento di forme comuni a più individui, sia in quadri psicopatologici che nella normalità e nelle rappresentazioni mitiche e artistiche, così stabilendo un nesso tra individuale e collettivo, tra storia dell'individuo e preistoria dell'umanità. La loro concezione è infatti sollecitata anche dalla critica di C. G. Jung 1917-1943), che, mettendo in dubbio l'effettivo loro risalire all'infanzia, e postulandone invece la retroattività, metteva a repentaglio la fondamentale scoperta della sessualità infantile (Freud, 1905c). Ma la necessità di postulare dei fantasmi originari discende anche, e soprattutto, dall'insistere della questione della loro origine, dopo la rinuncia alla realtà degli eventi che sarebbero alla base dei ricordi e delle fantasie che li deformano. Nella nozione di fantasma originario vengono a ricongiungersi l'esigenza di ritrovare il nucleo dell'evento (se sfugge nella storia individuale, si risalirà fino alla storia della specie) e l'intento di fondare la struttura stessa del fantasma su qualcosa di diverso dall'evento contingente, riaffermando in generale il fantasma come struttura e strutturazione universale della soggettività umana. Essi infatti forniscono una rappresentazione agli enigmi fondamentali con cui il piccolo dell'uomo deve confrontarsi, costruendosene una «teoria»: nella scena originaria è raffigurala l'origine del soggetto; nei fantasmi di seduzione, il sorgere della sessualità; nei fantasmi di castrazione, l'origine della differenza dei sessi (Laplanche e Pontalis, 1967; 1985).

Con la psicoanalisi postfreudiana, in parte ancora Freud vivente, se da un lato è riaffermata l'importanza centrale del fantasma, sia pure secondo almeno tre filoni di approfondimento, dall'altro si assiste a una sua risoluzione all'interno delle autoregolazioni e regolazioni dell'interazione. Con M. Klein (1925), il fantasma diventa, a un tempo, la rappresentazione psichica sottostante ogni processo e attività mentale (anche quelle apparentemente prive di oggetto, come i tic), e la diretta rappresentanza psichica degli istinti, anche di quelli pregenitali, laddove si pensava che l'oggettualità emergesse con la genitalità. La fantasia inconscia non è più la gratificazione sostitutiva di pulsioni insoddisfatte, ma la credenza nell'attività di oggetti interni vissuti come concretamente presenti nel proprio corpo e responsabili di ogni sensazione ed evento somatico - oggetti buoni per le sensazioni piacevoli, cattivi per quelle spiacevoli o dolorose -, riavvicinandosi così alla struttura ternaria, sintattica, di rappresentazione d'azione del fantasma in Freud. Con segno del tutto diverso, J. Lacan (1958; 19610; 1966^ e e) riaffermerà la centralità del fantasma costituendolo come la messa in scena del rapporto tra il soggetto dell'inconscio, diviso dal suo ingresso nell'universo simbolico, e l'oggetto causa del desiderio, staccatosi dalla simbolizzazione primaria e dunque irrappresentabile perché irrimediabilmente mancante; un rapporto che è matrice dei desideri attuali e del peculiare annodamento nel singolo soggetto dei registri immaginario, simbolico e reale. Per P. Aulagnier (1975), la centralità del fantasma discende dall'essere il prodotto della particolare attività rappresentativa (rappresentazione scenica) che mette.in scena due spazi (interno ed esterno), entrambi sottomessi all'onnipotenza del desiderio di uno solo, il piacere o il dispiacere presentandosi come effetto del desiderio dell'Altro rispettivamente di una riunificazione tra i due spazi separati o di un rigetto. Perciò la chiave di volta del fantasma è la scena primaria, giacché oltre a raffigurare l'origine del soggetto, del desiderio e del piacere, lo pone nella posizione o di colui al quale essa viene offerta o di colui che ne viene escluso. Per un'altra via, la centralità del fantasma è emersa anche nella delicata fase adolescenziale, in quella fantasia masturbatoria centrale - come denominata dai Laufer (1984) - mediante la quale l'Io si riorganizza sulla base del primato dei genitali: essa comprende i diversi soddisfacimenti regressivi nonché le principali identificazioni sessuali dell'adolescente, e tende a essere vissuta concretamente e coattivamente nelle relazioni oggettuali e nelle esperienze sessuali. Un diverso filone di approfondimento dell'importanza del fantasma va invece nella direzione di una sua produzione bipersonale, come nella concezione della situazione analitica come campo dinamico nella quale i Baranger (1961-62) mettono in rilievo una fantasia inconscia bipersonale provvista di un dinamismo proprio e capace di costituire un bastione che ostacola il processo psicoanalitico. Proprio l'approfondimento dell'importanza strutturale del fantasma ha posto la questione dell'ai di qua del fantasma e della sua strutturazione, portata alla ribalta dalle patologie in cui è in gioco proprio l'instabilità o la difficoltà della sua costituzione e, forse di conseguenza, la distruttività, specie in forma di autodistruzione. A. Green (1991) propone di distinguere dai fantasmi delle origini i fantasmi originari, intesi come schemi-scene filogenetici che organizzano la disorganizzazione e sono una sorta di matrici simboliche della distruttività. Essi riguardano il rapporto con l'oggetto, i limiti della psiche e dell'Io, l'interno della psiche e la morte parziale o totale dell'Io: fantasmi di separazione e perdita, di penetrazione distruttiva, di espulsione e svuotamento, di autotomia e autolisi. Altri hanno invece postillato dei significanti di demarcazione che si avvicinano alle rappresentazioni di cosa freudiane e memorizzano impressioni, sensazioni ed esperienze troppo precoci o intense per essere tradotte in parole, pur essendo essi a dare senso alla comunicazione non verbale. Oppure dei significanti formali costitutivi non tanto degli oggetti quanto dei contenitori psichici e costituiti da immagini propriocettive, tattili, cinestetiche, posturali, vestibolari la cui traduzione verbale si limita a un sintagma (soggetto più verbo) senza complemento, dove il verbo è in genere riflessivo e il soggetto in genere una parte del corpo o una forma fisica isolata impersonale, e che dunque non descrivono una scena ma la deformazione di una forma in uno spazio bidimensionale senza spettatori e che implica vari tipi di confusione dentro/fuori, laddove i fantasmi comporterebbero una confusione immaginario/reale. Un diverso destino ha avuto invece il fantasma nelle concettualizzazioni cosiddette intersoggettive e interazioniste, nelle quali, traducendo in immagini sensomotorie le configurazioni dell'esperienza e il suo monitoraggio, ha una funzione essenzialmente reattiva di fronte alle inadeguate risposte affettive convalidanti da parte dell'ambiente. Forse si potrebbero altresì inserire nel capitolo dei prefantasmi (in particolare dei significanti formali) i modelli operativi interni, gli schemi emotivi interattivi e di mutua sintonizzazione, le rappresentazioni dell'interazione generalizzate, le «scene modello», le rappresentazioni presimboliche dei modelli di autoregolazione e di regolazione interna, procedurali e ovviamente del tutto inconsci, trattandosi di rappresentazioni di schemi di azione (interazione/regolazione) già astratti e generalizzati.

ALBERTO LUCHETTI