Wertheimer, Max

Insieme a K. Koffka e W. Köhler, M. Wertheimer (1880-1943) è l'ideatore e fondatore della cosiddetta «psicologia della Gestalt», l'ultima grande scuola caratterizzata da uno specifico paradigma epistemologico, mediante il quale è possibile formulare un'interpretazione unitaria delle diverse funzioni cognitive alla base del comportamento, a partire dalla dimensione sensoriale fino alle più elevate prestazioni richieste dalla soluzione dei problemi e dal ragionamento logico. La teoria della Gestalt forniva una soluzione alla crisi che all'inizio del '900 attraversava l'indagine psicologica, divisa tra una psicofisica elementarista e asso-ciazionista, da un lato, e un'analisi soggettivistica dell'esperienza interna, dall'altro, che portavano a una frammentazione delle funzioni psichiche. Se la scuola della Gestalt in senso proprio si può considerare esaurita con il trasferimento dei suoi maestri negli Stati Uniti, le idee alla base di questa teoria furono recepite e fatte proprie dalla maggior parte degli psicologi che negli anni '60 si fecero promotori del rinnovamento cognitivista. Nato a Praga da una famiglia della borghesia ebraica, Wertheimer fu allevato in un ambiente culturale ricco e stimolante che lo indusse a coltivare le lettere, l'arte e la musica. Iscrittosi alla facoltà di Legge, seguì anche corsi di filosofia, fisiologia, musica e storia dell'arte. Sarà in particolare Ch. von Ehrenfels a segnare profondamente il giovane Wertheimer, che ne seguiva le lezioni e i seminari sulla psicologia e la teoria dei valori. Per approfondire lo studio della psicologia e impadronirsi del metodo sperimentale, nel 1902 Wertheimer si trasferì a Berlino, dove insegnava C. Stumpf. Ben presto divenne amico di E. von Hornbostel, assistente di Stumpf. L'anno successivo si trasferì a Wurzburg, dove, sotto la direzione di O. Kulpe, riprese gli studi giuridici, che gli fornirono il punto di partenza per la dissertazione di dottorato, in cui utilizzava le associazioni tra parole come mezzo per identificare la veridicità delle testimonianze, anticipando così l'uso delle associazioni come metodo d'indagine della psiche praticato in seguito da C. G. Jung. Wertheimer rimase affascinato sia dal concetto di «qualità Gestalt», con cui Von Ehrenfels evidenziava i limiti delle teorie elementariste che interpretavano la sensazione come prodotta dalla somma di stimolazioni puntuali, sia dal metodo fenomenologico con cui Stumpf, allievo di Brentano e maestro di Husserl, sosteneva si dovesse affrontare lo studio dei fenomeni psichici, sia dalle implicazioni teoriche dei termini «compito» e «disposizione consapevole» utilizzati dagli psicologi a Wurzburg; riteneva tuttavia ciascuna di queste prospettive ancora troppo ancorata al presupposto elementarista e associazionista. Dal 1905 al 1910, viaggiando attraverso le cliniche neurologiche e psichiatriche dell'Europa centrale, approfondi lo studio dei disturbi della vista, del linguaggio e della lettura dovuti a lesioni cerebrali. Di ritorno a Berlino, utilizzando i materiali dell'Archivio fonografico studiò la musica dei Vedda, una tribù primitiva di Ceylon. Nel saggio che compose su questo tema asseriva che la melodia non dipende da precisi intervalli, o dal ritmo, ma è una Gestalt le cui componenti individuali possono variare liberamente entro limiti ben determinati. A una conclusione analoga pervenne anche in uno studio sul concetto di numero nei popoli primitivi, in cui, estendendo il metodo fenomenologico all'antropologia culturale, criticava la concezione dell'aritmetica di matrice lockiana, secondo la quale tutta la matematica può essere ricondotta a due concetti: il concetto di «uno» e quello di «più uno». Osservava, infatti, che se è vero che un cavallo più un cavallo dà due cavalli e una persona più una persona dà due persone, è anche vero che un cavallo più una persona dà un cavaliere. In quest'ultimo caso, sottolineava, il cambio di designazione comporta la determinazione di un'unità di pensiero fondamentalmente diversa. Analogamente, non è vero che ogni divisione arbitraria sia uguale a ogni altra, dato che gli oggetti del mondo che ci circonda e il nostro modo di coglierli come entità unitarie e globali rendono certe divisioni più probabili di altre. Così, se pensiamo di dividere in due parti una tazzina da caffè, la divisione naturale che ci viene in mente è quella tra il manico e il corpo della tazzina, ma non quella che si ottiene dividendo la tazzina secondo un asse orizzontale. Già da questi primi scritti si può osservare come il suo pensiero si fosse allontanato sia dall'elementarismo di Stumpf che dall'associazionismo della ricerca praticata a Wurzburg. La prospettiva sul nuovo concetto di Gestalt che vi veniva adombrata molto doveva alla lettura delle Ricerche logiche di Husserl e alla trattazione del rapporto tra il tutto e le parti ivi delineato. Il nuovo concetto di Gestalt che Wertheimer veniva elaborando si differenziava teoricamente da quello del suo maestro Von Ehrenfels, per il quale la Gestalt è una qualità, o una proprietà, che caratterizza il dato sensoriale e, proprio in quanto tale, rende il tutto esperito diverso dalla somma delle sue parti. La Gestalt, così concepita, consiste nelle relazioni funzionali ben precise che sussistono tra i dati sensoriali e dipende, quindi, da questi ultimi. Per Wertheimer, invece, la Gestalt è l'esito della percezione. È questa a comportare la determinazione delle relazioni funzionali ben precise che sussistono tra i dati sensoriali e, quindi, a configurare ciò che apparirà, o funzionerà, come tutto o come parte. Semplificando si potrebbe anche dire che, se per Von Ehrenfels la Gestalt è un dato di esperienza in quanto appartenente al mondo esterno, per Wertheimer, invece, la Gestalt è attribuita al dato di esperienza in quanto espressione della modalità di funzionamento del sistema sensoriale.

Per meglio affinare concettualmente questo nuovo punto di vista e dargli il necessario fondamento empirico nello studio dei fatti psicologici relativi alla percezione visiva, Wertheimer si stabili a Francoforte, dove poteva utilizzare un tachistoscopio di precisione che F. Schumann si era fatto costruire, e dove poteva anche avvalersi della collaborazione dei due assistenti di Schumann, Kohler e Koffka. Lo studio del movimento apparente, fenomeno noto da tempo e spiegato secondo le concezioni associazioniste ed elementaristiche con cui allora erano interpretati i fenomeni percettivi, ben si prestava a evidenziare le lacune di tali interpretazioni e, così, fu prescelto da Wertheimer come banco di prova per dimostrare sperimentalmente quella che diventerà la cosiddetta «teoria della Gestalt», il cui manifesto tradizionalmente è ravvisato nel saggio pubblicato nel 1912. In esso Wertheimer forniva una spiegazione del movimento apparente che costituiva una nuova chiave di lettura per reinterpretare tutta l'attività psichica volta a dar senso all'esperienza del mondo esterno inquadrando il problema in termini fenomenologici. Vi analizzava, infatti, quello che defini il «fenomeno phi», che consiste nel fatto per cui, quando tra la presentazione consecutiva di due stimoli l'intervallo di tempo è di poco superiore ai 60 millisecondi, dopo un certo numero di presentazioni, gli osservatori vedono un movimento senza, però, vedere alcun oggetto muoversi. Ovvero gli osservatori vedono un movimento e non un oggetto che prima è in una certa posizione e, poi, in un'altra, ma isolano il movimento in quanto tale. Il problema da spiegare è identificare quale possa essere la realtà psichica che sta alla base di questa impressione di movimento. Per fornirne una soluzione, Wertheimer condusse una serie di esperimenti con il tachi-stoscopio, con cui poteva controllare la variazione quantitativa dei singoli fattori, isolati sistematicamente, mantenendo costanti le altre condizioni. In questo modo potè variare l'intervallo temporale tra le esposizioni dello stimolo, la distanza tra gli stimoli, la loro forma, colore e intensità, come pure le relazioni tra stimoli. Potè evidenziare anche gli effetti di tali variazioni sul comportamento soggettivo in funzione dell'osservazione prolungata, dell'atteggiamento e dell'attenzione focalizzata su un preciso punto di fissazione.

Più che ricondurre il fenomeno phi alla «qualità Gestalt» o ai processi attentivi, Wertheimer lo riconduceva alla fisiologia della retina. Sosteneva, infatti, che ciò che si vede non è determinato dalla stimolazione della retina da parte di un oggetto esterno, ma dalla relazione che viene a sussistere tra due stimolazioni della retina da parte di due oggetti diversi. Per Wertheimer, nel moto apparente si ha un passaggio specifico di eccitazione tra i due punti della retina il cui esito può essere descritto come una specie di «corto circuito psicologico» in cui la vicinanza tra i due punti è di carattere funzionale pili che geometrico, pur ammettendo che entrambe le componenti sono importanti. Negli anni successivi la prospettiva così delineata verrà esplicitata e ampliata sia dallo stesso Wertheimer che da Köhler e Koffka, che, a loro volta, svilupperanno il comune paradigma epistemologico della ridefinita Gestalt applicandolo anche a svariati ambiti della ricerca psicologica, che vanno dalla soluzione dei problemi alla memoria.

Questa prospettiva epistemologica comune, a grandi linee, può essere caratterizzata come segue. I contenuti di cui siamo consapevoli non sono dati dalla somma delle singole stimolazioni, ma consistono in insiemi caratteristici di stimolazioni, cioè in strutture

differenziate, definite Gestalten, che hanno origine nella percezione stessa, che è una funzione interna all'organismo. Alla fine, ciò che viene colto sono delle «impressioni di struttura» che sono qualcosa di specificamente diverso da, e più della, sommma totale dei componenti individuali della sensazione. Queste impressioni di struttura riguardano gli oggetti in senso lato così come i contesti relazionali. Il processo che porla alla conoscenza è dato da un «centramento», da una strutturazione o dall'afferrare quel particolare aspetto che fornisce la chiave di un tutto ordinato che, in altri termini, porta all'unificazione delle parti individuali che sono presenti. Ciò che risulta da questo centramento è l'emergere di un'unità strutturata, la Gestalt, che balza fuori rispetto a ciò che non è ancora formato in ma do tale che le parti diventano comprensibi li e acquistano un significato in funzione dello specifico tutto cui appartengono. Questo processo conoscitivo dà luogo a entità che dipendono non solo dall'oggetto, ma anche dall'osservatore.

Nel 1916 Wertheimer si trasferì a Berlino, dove durante la Prima guerra mondiale, come capitano dell'esercito, insieme all'amico Von Hornbostel fu incaricato di ideare degli strumenti in grado di cogliere la direzione dei suoni emessi sott'acqua dai sottomarini. Fu in occasione di tali studi che dimostrò che la localizzazione del suono dipende in parte dalla differenza con cui il suono giunge alle due orecchie. Alla fine della guerra riprese gli studi a lui più congeniali relativi all'organizzazione gestaltica dei dati di esperienza, e nel 1920 pubblicò un volume in cui estendeva il metodo fenomenologico adottato per lo studio della percezione visiva al pensiero. In particolare, anticipando quello che diventerà un tema di ricerca ampiamente sviluppato in anni successivi, vi affrontava lo studio del sillogismo e del pensiero produttivo, la cui soluzione era ricondotta a una ristrutturazione degli elementi che definiscono il problema. Nel 1921, con Köhler, Koffka, K. Goldstein e altri psicologi, fondò la rivista «Psychologische Forschung», che diresse fino al 1935,

quando cessò la pubblicazione. Inizia, così, il periodo in cui la teoria della Gestalt ebbe il massimo sviluppo sia sul piano della ricerca, sia su quello della diffusione in Europa, come pure negli Stati Uniti, dove venne accolta con grande interesse e perplessità allo stesso tempo. Nel 1922 Wertheimer pubblicò sulla rivista appena fondata un articolo (1922a) in cui esponeva i principi filosofici alla base della nuova psicologia riprendendo, argomentandole ulteriormente, le critiche già avanzate in altri scritti alle teorie che interpretavano i complessi percettivi come prodotti o da un mosaico di sensazioni semplici, secondo il riduzionismo elementaristico, o dall'abitudine e dalla continuità spaziale e temporale, secondo la concezione associazionista o, ancora, dall'emergere di strutture superiori, cioè di qualità Gestalt, da un insieme informe di sensazioni semplici. Vi sosteneva, al contrario, che il dato è già strutturato di per sé in vario grado, visto che consiste di insiemi strutturali di elementi, più o meno definiti, come pure di processi globali che hanno proprietà e leggi globali specifiche che comportano una determinazione globale delle parti. Ciò sia per quanto riguarda i fenomeni fisiologici, nel senso che le eccitazioni delle singole cellule possono essere comprese solo a partire dai processi fisiologici di cui esse fanno parte, sia per quanto concerne l'analisi psicologica del dato di esperienza, nel senso che la comprensione delle leggi che organizzano una totalità percettiva non può che precedere la comprensione delle parti che la costituiscono. Inoltre, facendo propria la tesi dello psicologo danese E. Rubin, sottolineava che, da un punto di vista fenomenologico, il campo percettivo è organizzato naturalmente da processi cerebrali automatici, secondo leggi che danno luogo a una struttura in cui le figure emergono dallo sfondo. La tesi principale era che gli stimoli elementari si fondono in un tutto unitario secondo una serie di fattori come la vicinanza, la somiglianza, il destino comune, la continuità e la chiusura che stanno alla base della stabilità della configurazione complessiva degli stimoli. L'anno seguente Wertheimer pubblicò la seconda parte del saggio (1923), in cui analizzava in dettaglio e con dovizia di esempi sperimentali gli effetti di questi fattori che, organizzando il campo percettivo, danno luogo alle configurazioni strutturate che percepiamo. Vi esponeva, infatti, le «leggi di organizzazione del campo percettivo», il cui valore esplicativo si dava fenomenicamente nelle situazioni percettive appositamente apprestate.

In questo periodo Wertheimer pubblicò alcuni altri lavori in cui veniva sempre più specificando la teoria che cominciava a ricevere un'attenzione sempre crescente, tanto che, attorno a lui, venne a costituirsi un gruppo di giovani ricercatori che lo affiancarono nello studio delle molteplici implicazioni della nuova epistemologia e dei fenomeni connessi al nuovo concetto di Gestalt ridefinito in senso olistico. Tra questi soprattutto K. Duncker, che condusse diverse ricerche sulla percezione del movimento indotto prima di dedicarsi allo studio della soluzione dei problemi, e altri che studiarono il problema di come nel caso del moto apparente uno stimolo possa avere un'identità fenomenica. La teoria della Gestalt assunse, così, la forma di sistema interpretativo unitario dei fenomeni psicologici secondo una terminologia comune agli aderenti alla scuola che ne svilupparono le implicazioni in tutte le sfere delle funzioni conoscitive, grazie anche alla complementare attività di ricerca di Kohler e Koffka. Nel 1929 Wertheimer ottenne la cattedra a Francoforte dove, pur insegnando psicologia, riprese i suoi interessi filosofici e musicali, del resto mai abbandonati, frequentando i seminari di P. Tillich e M. Horkheimer, suonando spesso con A. Einstein, di cui era amico, e anche intrattenendo con lui lunghe conversazioni su problemi di filosofia della scienza e sul carattere produttivo del pensiero. Nel 1933, dopo aver assistito a un discorso di Hitler in casa di amici, si trasferi negli Stati Uniti dove A. Johnson gli aveva offerto un posto alla New School for Social Research a New York. Nel contesto statunitense i suoi seminari assunsero la forma più di un gruppo di discussione che di lezioni formali, e i suoi interessi si spostarono sempre pili dallo studio della percezione a quello della soluzione dei problemi, spaziando anche su temi di più ampio respiro che andavano dalla filosofia, alla sociologia e a questioni di attualità. Ai suoi seminari parteciparono diversi psicologi che successivamente si imposero nel mondo accademico come R. Arnheim, S. Asch, G. Katona, A. Luchins, E. Luchins, A. Maslow, D. Rapaport, M. Sheerer, H. Witkin, sui quali il pensiero di Wertheimer esercitò una profonda influenza.

Wertheimer mori per un attacco di cuore nel 1943, e la sua opera Il pensiero produttivo venne pubblicata postuma nel 1945 e ristampata con materiali inediti nel 1959. Per quanto oggi sia ampiamente riconosciuto che Wertheimer fu l'ideatore della teoria della Gestalt, gli psicologi americani non gli attribuirono appieno questo ruolo. La spiccata personalità di Wertheimer lo rendeva un intellettuale eterodosso per riscuotere successo presso gli psicologi che, a torto, lo consideravano dedito più alla speculazione filosofica e alla formulazione di idee di ampia portata, che alla sistematica ricerca di laboratorio, più alla discussione che alla scrittura.

NICOLETTA CARAMELLI