Vygotskij, Lev Seminovic

L. S. Vygotskij (1896-1934) nacque a Orsha, in Bielorussia. Nel 1913 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza di Mosca, dove si laureò con una specializzazione in letteratura nel 1917. Nel 1918 si stabilì a Gomel per insegnare letteratura e psicologia nella scuola magistrale, dove fondò un piccolo laboratorio di psicologia. Nel 1924 presenta una relazione al II Convegno Panrusso di Psiconeurologia a Leningrado sul tema «I metodi di ricerca riflessologico e psicologico». Dato il clamore e il successo suscitato da tale relazione viene invitato a trasferirsi a Mosca, presso l'Istituto di psicologia, la cui direzione era stata da poco assunta da K. Kornilov, che puntava a promuovere una teoria marxista della psicologia comportamentista (prospettiva all'epoca emergente nel panorama della psicologia internazionale e che faceva riferimento agli studi di I. Pavlov sui riflessi condizionati) che sostituisse la vecchia psicologia «introspettiva» di origine wundtiana sostenuta fino ad allora dallo spodestato direttore G. Chelpanov. Qui Vygotskij collabora con un ampio gruppo di giovani scienziati, i più noti dei quali sono A. Leont'ev e A. Lurija (che, insieme a Vygotskij, tappresentano i principali esponenti della scuola storico-culturale). Diviene inoltre direttore della Sezione che si occupa dell'educazione dei bambini con deficit fisici e ritardi mentali. Nel 1925 visita istituti psicologici e pedagogici in Francia, Olanda, Germania e fonda a Mosca il laboratorio di psicologia del bambino anormale. Nel 1929 si reca nell'Uzbekistan per un corso di addestramento per gli insegnanti e gli psicologi delle regioni asiatiche. Presenta, insieme a Lurija, una relazione al IX Congresso Internazionale di Psicologia, nella quale è contenuto un riesame critico della nota posizione di J. Piaget sul tema del «linguaggio egocentrico». Pubblica inoltre un saggio sul «Journal, of Genetic Psychology», che presenta la teoria sullo sviluppo culturale del bambino. Nel 1930 scrive, insieme a Lurija, il volume di Studi sulla storia del comportamento. La scimmia, l'uomo primitivo e il bambino e un saggio dal titolo Strumento e simbolo nello sviluppo dei bambini. Nel 1931 assume la direzione dell'Istituto sperimentale di difetto-logia e fonda nell'Istituto di psiconeurologia di Charkov un dipartimento di psicologia, dove andranno a lavorare Leont'ev e Lurija.

Negli anni successivi il gruppo di ricerca diretto da Vygotskij apre un notevole e ampio numero di nuove aree di ricerca psicologica, producendo vari libri e saggi sui temi delle emozioni, sulla periodizzazione dello sviluppo infantile, sulla relazione tra sviluppo, istruzione e apprendimento, sul ritardo mentale e sulla localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche. In tale gruppo di ricerca il lavoro teorico e il lavoro applicato non erano nettamente separati, così gli studi empirici oltrepassavano la tradizionale distinzione tra studi di laboratorio e studi sul campo: lo studio delle patologie e degli handicap andava di pari passo con l'ideazio-ne/strutturazione di programmi educativi di recupero, l'analisi dello sviluppo del bambino o del processo di alfabetizzazione andava di pari passo con la realizzazione di programmi di lotta all'analfabetismo e di programmi educativi che sviluppassero al massimo grado le potenzialità dei singoli bambini (e infatti molti scritti di Vygotskij, così come la sua posizione accademica, rientravano nell'area della pedologia, che potremmo tradurre come «psicologia dell'educazione»). Nel 1934 pubblica insieme ad altri autori Il fascismo in psiconeurologia, che presenta una critica dell'uso ideologico e razzista delle ricerche antropologiche e psicologiche. Tale testo, unitamente ai risultati delle ricerche sugli effetti della mediazione culturale sui processi cognitivi realizzate durante la spedizione nelle repubbliche asiatiche dell'Unione Sovietica (pubblicati parzialmente solo nel 1974), fu uno dei motivi principali per cui la scuola storico-culturale cominciò a essere criticata, fino alla sua messa al bando, dal regime sovietico, che in quel periodo stava appunto avviando l'opera di sovietizzazione delle repubbliche asiatiche. Su questi temi è particolarmente evidente la portata politica - ancora attuale - della psicologia culturale e del lavoro di Vygotskij, che muore di tubercolosi, di cui era ammalato fin dal 1919, nel 1934. Lo stesso anno viene pubblicato postumo Pensiero e linguaggio, con una prefazione critica verso le posizioni di Vygotskij scritta da V. Kolbanovskij, allora direttore dell'Istituto di psicologia di Mosca. Nel 1935 viene promulgato il decreto del Comitato centrale del Pcus contro la disciplina pedologica (che vietava inoltre l'uso dei test psicologici) e, a seguire, escono articoli e libri assai critici verso il lavoro di Vygotskij nel campo della pedologia. Si compie in quest'epoca l'ostracismo da parte dello stalinismo verso il lavoro di Vygotskij, i cui scritti e opere vengono da quel momento completamente «dimenticati» nel panorama psicologico russo. Il destino editoriale di Pensiero e linguaggio, senz'altro uno dei classici della psicologia del '900, ben rappresenta la storia di dimenticanze e riscoperte di Vygotskij nel panorama delle scienze psicologiche. Tale testo, infatti, «riappare» soltanto nel 1956, anno in cui ne viene pubblicata in Unione Sovietica un'edizione assai rimaneggiata e incompleta, con l'obiettivo di presentare Vygotskij soprattutto come uno psicologo generale e teorico, cercando di mettere in secondo piano la sua elaborazione e attività nel campo della difettologia e dello studio delle differenze culturali nello sviluppo mentale. Nel 1962 appare la prima traduzione in lingua inglese basata sulla versione russa del 1956, ulteriormente censurata di tutti i riferimenti teorici marxisti, ed è su questa versione che si basa la prima traduzione italiana pubblicata nel 1966. Tale storia di scomparse, rinascite, censure e modificazioni è emblematica delle manipola zioni a cui è stata sottoposta tutta l'opera di Vygotskij, sia nel panorama nazionale che in quello internazionale. Molte opere non sono a tutt'oggi conosciute, non sono ancora state pubblicate e/o tradotte o lo sono in modo dispersivo e non sempre facilmente accessibile (Mecacci, 2004; Van der Veer e Valsiner, 1991). Al di là di tali vicissitudini editoriali, Vygotskij ha rappresentato e rappresenta un «punto di vista» sugli oggetti, gli obiettivi e i metodi della psicologia assolutamente originale, sia rispetto allo stato del la disciplina negli anni '20 e '30, sia rispetto alla prevalente psicologia individualistica cognitivo-sperimentale.

In generale questo orientamento teorico, raggruppabile sotto l'etichetta «psicologhi culturale» o «scuola storico-culturale», u propone di indagare, in vari sistemi di attività, i modi in cui mente es cultura si costruiscono reciprocamente. È qui evidente la fondamentale influenza del materialismo storico sul pensiero di Vygotskij, che applicò a problemi psicologici concreti l'intuizione di Marx sul ruolo delle trasformazioni storiche, sociali e culturali nel modificare la natura umana. Notevole, benché meno conosciuta, anche l'influenza sul pensiero di Vygotskij dell'antropologo R. Thurnwald, particolarmente interessato alla storia dei processi psicologici superiori in relazione ai suoi studi dei popoli primitivi. Per Thurnwald, in linea con l'antropologia e l'etnologia emergente nei primi decenni del '900, la mente «generale» non esiste: esistono solo organizzazioni e strutturazioni dei processi mentali storicamente determinate, riferibili a dinamiche sociali e interpersonali totalmente contestualizzate. Vygotskij riprese appunto da Thurnwald l'idea dell'esistenza di «logiche» diverse relative a contesti storici e culturali determinati La psicologia culturale è infatti definita tale proprio perché considera centrale la mediazione culturale che caratterizza i processi psicologici. Non esistono processi psicologici «naturali» e indipendenti dalla mediazione che la cultura esercita su di essi, e perciò diventa centrale analizzare le caratteristiche specifiche e gli effetti peculiari di tale mediazione, comparando gli effetti di diversi tipi di mediazione. In questo senso, la cultura non è una variabile indipendente (che c'è o non c'è, o c'è a livelli diversi, come ha creduto una certa tradizione di psicologia crossculturale), ma piuttosto una caratteristica ineliminabile dei processi psicologici umani. Vygotskij utilizzò qui la teorizzazione di F. Engels sull'uso degli strumenti come mezzo per trasformare la natura, ampliandola nel concetto generale di mediazione delle funzioni psicologiche. Gli strumenti culturali attraverso cui tale mediazione si realizza sono, in primis, il linguaggio, parlato e scritto (insieme ai sistemi notazionali di ogni genere), i concetti scientifici, i repertori linguistici disponibili, ma anche gli artefatti/strumenti sviluppatisi nel corso della filogenesi. Questi sono strumenti di mediazione in quanto ci permettono di realizzare quelle pratiche e processi psicologici che non esisterebbero senza di essi. Secondo Vygotskij, attraverso tale mediazione la cultura diventa quindi parte ineliminabile del nostro repertorio psicologico, trasformando da subito lo sviluppo naturale in uno sviluppo culturale. I sistemi di mediazione incorporano, inoltre, la storia delle interazioni che hanno già mediato, ed è attraverso l'uso di tali sistemi che la «storia» entra a far parte delle azioni e interpretazioni di un gruppo sociale. Uno strumento, un artefatto, un sistema tecnologico, quindi, non è mai solo un oggetto materiale, quanto piuttosto un sistema di mediazione storicamente e culturalmente connotato, che i gruppi sociali contribuiranno a specificare ulteriormente.

Un secondo punto messo in evidenza dalla scuola storico-culturale riguarda, infatti, la necessità di «proiettare» le analisi psicologiche su uno sfondo articolato storicamente. Il richiamo della psicologia culturale è quello a considerare la storicità (e quindi la provvisorietà e non universalità) dei processi cognitivi e delle pratiche che popolano e animano la nostra vita quotidiana. Questa visione prospettica permette di considerare, all'interno della ricerca in psicologia, la specificità, la particolarità, ma anche la ricchezza e variabilità delle abilità cognitive umane all'interno di contesti di attività che sono il prodotto di più o meno lunghe evoluzioni storiche. Non considerare questa storicità fa si che si studi una mente che si suppone «generale» e «naturale», ma che è al contrario un prodotto definito culturalmente e storicamente anche in base ai diversi compiù e ai diversi strumenti di indagine usati dagli psicologi nei diversi periodi di sviluppo della disciplina e nelle diverse aree e prospettive di ricerca. Per Vygotskij, inoltre, il linguaggio, oltre ad essere lo strumento di mediazione culturale per eccellenza, è anche uno degli strumenti principali attraverso cui la «storia» entra a far parte dei processi psicologici umani, in quanto nella sua struttura, e soprattutto nei suoi usi sono sedimentati anche le sue strutture e i suoi usi precedenti (e qui il riferimento è a E. Sapir, B. Whorf e M. Bachtin). Il linguaggio è dunque, per Vygotskij, il mezzo sociale del pensiero, ed è sociale in due sensi: in quanto prodotto dell'evoluzione storico-culturale e in quanto presente nelle dinamiche di interazione sociale tra individui. Il linguaggio è quindi lo strumento privilegiato di mediazione culturale dello sviluppo delle funzioni cognitive. L'interdipendenza tra pensiero e linguaggio si riflette nel significato della parola. Dalla parte del pensiero, il significato nasce da una riflessione generalizzata sulla realtà ed esprime i modi in cui una determinata cultura ha deciso di segmentare il mondo in concetti. Dalla parte del linguaggio, il significato è una caratteristica ineludibile della parola. Nella formazione dei concetti il ruolo decisivo è svolto dalle parole, che servono appunto ad astrarre i tratti significativi, a sintetizzarli e a simbolizzarli per mezzo di un segno linguistico. Sia i significati delle parole che i concetti si sviluppano nel corso dello sviluppo ontogenetico. Quando il bambino scopre la funzione simbolica delle parole, le linee di sviluppo del linguaggio e del pensiero si incontrano, e da questo momento lo sviluppo è indissolubilmente legato agli strumenti disponibili nella cultura in cui il bambino cresce. Il pensiero è mediato, quindi, non soltanto esteriormente dai segni, ma anche interiormente dai significati che si portano «dentro» la loro storia. La psicologia culturale è inoltre una psicologia squisitamente antiindividualistica. Per Vygotskij, infatti, l'emergenza e l'esistenza stessa delle abilità cognitive superiori, caratteristiche dell'essere umano, si basano sulla possibilità continua di interagire con gli altri; l'interazione sociale non è considerata come una caratteristica in grado di potenziare una vita psicologica altrimenti individuale ma, al contrario, come il motore stesso delle attività psicologiche superiori. Proponendo il costrutto di «zona di sviluppo prossimo», Vygotskij vuole appunto indicare quell'area di funzionamento psicologico che è possibile attivare se si è sostenuti da altri più competenti. E’ in questo modo che gli altri entrano a far parte del nostro funzionamento psicologico, facendo emergere e regolando tutte quelle funzioni che non potrebbero essere attive autonomamente o singolarmente. Questa posizione permette alla scuola storico-culturale di allargare i confini dell'analisi psicologica (e la sua unità di analisi), sino a comprendere tutte le attività psicologico-sociali che vengono realizzate in contesti di intersoggettività da una pluralità di attori sociali. La nostra cognizione è condivisa, quindi, con molte altre persone, e acquista un significato proprio perché mediata dall'esistenza di altri attori e gruppi sociali. Gli altri non sono quindi esterni a noi, ma sono parte del nostro funzionamento psicologico. E’ quindi proprio attraverso l'interazione e la condivisione intersoggettiva che può emergere un insieme di possibilità d'interpretazione degli eventi e del mondo, e la possibilità stessa di agire in base (o contro) quelle interpretazioni già condivise. Tali interpretazioni, tali orizzonti di significati non sono dati naturali, ma elaborazioni culturali che fanno parte di un ordine simbolico precedentemente stabilito e che proprio per questo diventano interpretabili - attraverso la mediazione degli esperti - dall'individuo che partecipa a quei contesti sociali. Il passaggio da una regolazione esterna a una interna della condotta segnala la transizione dal sociale (interpsichico) al personale (intrapsichico), resa possibile dai processi di socializzazione mediati dall'interazione linguistica e discorsiva con altri pili competenti. E’ quindi la mediazione a convertire lo sviluppo naturale in sviluppo culturale, e in questo processo la parte attiva è svolta dal bambino che, attraverso l'interazione con altri significativi, si appropria degli strumenti del comportamento culturale forniti dall'ambiente. Per la psicologia culturale, inoltre, i quadri di attività storicamente definiti, all'interno dei quali trascorriamo la nostra vita, non sono solo «contenitori» di attività mentali e cognitive, ma sono essi stessi qualificatori delle attività psicologiche che li caratterizzano e che al contempo contribuiscono a definirli. La pratica e l'azione diventano allora per la psicologia culturale elementi centrali di ogni analisi psicologica. La cultura viene cioè concepita come un sistema di significati incorporati nelle pratiche materiali, non esistente indipendentemente da esse. C'è infatti un nesso molto preciso tra attività praticate e specifiche attività cognitive: l'esperienza pratica è, in quest'ottica, tutt'altro che neutra nel sostenere lo sviluppo e la realizzazione di particolari processi cognitivi. La psicologia culturale considera quindi centrale, per l'analisi psicologica, l'inscindibilità di azioni cognitive, compiù e strumenti: un'analisi del compito che non consideri gli strumenti che si utilizzano per realizzarlo e colui che lo esegue è senza significato; così come diventa parziale considerare solo il soggetto (e la sua attività cognitiva), indipendentemente dai vincoli e peculiarità del compito che sta affrontando e dagli strumenti che utilizza. Così come è inutile analizzare lo strumento senza considerare chi lo usa e per fare cosa. Per questo motivo, particolare attenzione è stata dedicata dalla scuola storico-culturale, anche nelle sue più recenti evoluzioni, all'analisi delle attività psicologiche che caratterizzano la vita quotidiana delle persone «dentro» specifici sistemi di attività prodotti da specifiche evoluzioni storiche e diversamente valorizzati dalle diverse culture. Questa concezione della cultura e del suo ruolo nella realizzazione delle funzioni cognitive umane è ben rappresentata nella cosiddetta «teoria dell'attività» (Leont'ev, 1981), che sostiene, appunto, che i sistemi di attività vanno considerati come contesti primari per ogni forma di cognizione umana: il gioco, il lavoro, le attività di insegnamento-apprendimento sono, per la scuola storico-culturale, alcuni dei principali sistemi di attività che giocano un ruolo essenziale nello sviluppo culturale della mente; sottolineando inoltre l'imprescindibilità del legame tra attività/pratiche, strumenti e contesti socioculturalmente definiti. L'utilizzo del sistema di attività come unità di analisi centrale ha appunto lo scopo di mostrare questa interdipendenza e il ruolo attivo e dinamico giocato dagli individui, dai loro partner sociali, dalle tradizioni storiche, dai materiali e dagli artefatti disponibili. Per Vygotskij, infatti, l'apprendimento ha luogo attraverso l'interazione con altri membri della società, membri più competenti nelle pratiche sociali e nell'uso di quegli strumenti (ad esempio il linguaggio) essenziali per mediare le attività cognitive individuali.

Da questa descrizione dovrebbe risultare evidente come la psicologia culturale, pur «antica» nell'ambito dello sviluppo della ricerca psicologica, sia ancora portatrice di un programma di ricerca innovativo che la differenzia nettamente da altre tradizioni di ricerca e in generale da quella che J. Bruner (1990) chiama la tradizionale ontologia individualistica della psicologia. Nel dibattito psicologico attuale, a partire dagli anni '80, si è assistito a una forte ripresa della prospettiva teorica di Vygotskij, e in generale della scuola storico-culturale, che ha, più o meno direttamente, inspirato alcune delle più innovative linee di ricerca del panorama psicologico quali: la teoria dell'azione situata, la teoria della cognizione distribuita, la psicologia sociale discorsiva, la psicologia culturale dell'istruzione, gli studi sulla cognizione quotidiana, l'area dei workplace studies, lo studio delle forme di mediazione tecnologica, lo studio dei processi di socializzazione culturale e linguistica, l'area della comunicazione interculturale.

CRISTINA ZUCCHERMAGLIO