Vergogna

Il sentimento della vergogna non ha mai ricevuto una grande attenzione in psicologia e psicopatologia, salvo alcune notevoli eccezioni che vanno da E. Straus a L. Binswanger. Ciò forse è dovuto a fattori come la difficoltà a isolare la vergogna da esperienze di colpa e/o rabbioso-persecutorie, o a motivi intrinseci alla cultura occidentale. La vergogna, nella civiltà giudaico-cristiana, è stata da molto tempo (e forse troppo rapidamente) assorbita dalle riflessioni sulla colpevolezza, come mostrano le note polemiche sulla contrapposizione tra «civiltà della vergogna» e «civiltà della colpevolezza». La tesi che la civiltà della colpevolezza sorgerebbe in Occidente con l'affermarsi di una maggiore individualità e col prevalere della voce interiore sull'opinione pubblica, e l'ipotesi che tale evoluzione avrebbe radici socioeconomiche (il bisogno delle società industriali di un maggior sentimento di responsabilità individuale), nonostante le critiche, restano suggestive. L'affetto indicato come «vergogna» rimanda a un'area polisemica che si muove fra i due estremi del «pudore» come proteggente il Sé e dell'esperienza di vergogna annichilente e implosiva per il Sé.

Dalla letteratura si ricava l'impressione che queste due declinazioni del termine «vergogna» abbiano avuto ampie sovrapposizioni, e inoltre che si indichino con lo stesso nome aspetti diversi del fenomeno vergogna, alcuni più restrittivi e specificamente connessi all'ambito sessuale, altri che vedono in quest'ultimo una prospettiva parziale di una più globale situazione di esistenza connessa al fenomeno della vergogna. Negli scritti freudiani assai spesso i termini vergogna e pudore sembrano usati come sinonimi o come due identiche forze che mettono in atto una forma di rimozione della libido originaria. Il pudore connesso alla vergogna agisce come «argine» nell'evoluzione dello scorrere della sessualità verso la sua forma adulta. Ad esempio fin dalla Minuta K (1895, in Freud, 1892-97) la vergogna è indicata espressamente come una delle forze alle quali si deve la rimozione di aspetti dell'istinto sessuale; in seguito (Freud, 1905c) descrive come durante il periodo della «latenza» il sorgere del sentimento del pudore agisca come «argine» e ostacolo alla pulsione sessuale infantile; nell’Autobiografia (1924d) ribadisce ancora che la sessualità «perverso-polimorfa» del bambino subisce durante il periodo della latenza una rimozione da parte di «formazioni reattive» quali il pudore, la ripugnanza, la morale.

In polemica con le tesi freudiane, M. Scheler (1957) ha sostenuto che proprio il sentimento di vergogna evita un estendersi dei processi di rimozione, ostacolando pensieri e desideri che potrebbero essere causa di rimozione. L'attenzione per l'affetto vergogna è stata una prerogativa soprattutto di quegli psicoanalisti che si sono occupati del problema del narcisismo, essendo tale sentimento l'epifania di una ferita narcisistica. E’ stata postulata una differenza fondamentale fra «ideale dell'Io», erede del narcisismo primario, e «Super-io», erede del complesso edipico. Per B. Grunberger (1971), ad esempio, la corrente narcisistica è parallela e in una certa misura autonoma dalla corrente libidica, benché ad essa continuamente correlata. Il narcisismo è insieme il «ricordo di uno stato relazionale originario privilegiato e unico», il benessere connesso a questo ricordo di completezza, una certa modalità di relazione oggettuale, il desiderio di ritrovare il paradiso perduto di oggetto in oggetto, di relazione in relazione lungo tutta la vita, nella quale continuamente ci si confronta con un ideale dell'Io più o meno distante, ma per definizione irraggiungibile. Da tutto ciò nascono le fondamentali nozioni di «perdita narcisistica» di fronte a uno scacco radicale e di «ferita narcisistica» mediata da una delusione dell'ideale dell'Io. L. Eidelberg (1959) fa consistere la mortificazione narcisistica nella vergogna del soggetto per non aver saputo controllare attivamente ciò che ha subito passivamente. Tale tipo di vergogna sembra possa essere all'origine di sentimenti di difesa rabbiosa che pagano il prezzo di una distorsione della realtà interpersonale.

La vergogna è stata dunque interpretata, dal punto di vista psicodinamico, come segnale di uno scacco narcisistico e come diretta espressione affettiva di una sottostante deprivazione o mortificazione narcisistica. E’ stata teorizzata la dicotomia strutturale fra la vergogna, reiata al conflitto fra Io e ideale dell'Io, e la colpa, relata al conflitto fra Io e Super-io, la vergogna in generale appartenendo all'ordine dello scacco, la colpevolezza a quello della trasgressione (ci si può sentire in colpa per qualcosa che si è fatto, o pensato di fare, ci si può invece vergognare per qualcosa che non siamo stati capaci di fare). La natura nucleare o mascherante dell'uno o dell'altro affetto è tutt'altro che definita, e se sentimenti di colpa possono rinviare a una sottostante vergogna, è pili spesso vero che la trasgressione-colpa può essere più tollerabile della vergognosa impotenza.

Il contributo di H. Kohut (1971) è fondamentale per la psichiatria perché nello studio dei disturbi narcisistici della personalità getta luce sui disturbi di tipo psicotico. Partendo, come Grunberger, dal presupposto che il narcisismo segua una linea indipendente di sviluppo, e quindi un'indipendente via di regressione, da forme normali e mature di narcisismo a configurazioni arcaiche, dalla matura autostima alla grandiosità pa-ranoide, Kohut sottolinea come gli «eventi precipitanti» che provocano la regressione verso situazioni patologiche appartengano pili spesso all'ambito delle ferite narcisistiche che non a quello dell'amore per l'oggetto. La sofferenza è pertanto connessa all'incapacità a mantenere l'autostima, con in primo piano esperienze di vergogna. I segnali di vergogna svolgono pertanto un ruolo essenziale nel richiamare la necessità di restaurare una sorta di equilibrio omeostatico narcisistico. La «rabbia narcisistica» che può verificarsi a causa della ferita narcisistica appare come una sorta di scorciatoia, di corto circuito e di via di uscita dalla vergogna, un affetto caratterizzato dalla saldatura al corpo e dalle scarse possibilità di elaborazione, trasformazione, simbolizzazione e che può solo essere espulso o ribaltato appunto nella rabbia.

I sentimenti di colpevolezza e di vergogna-inferiorità possono essere l'alveo o la via finale comune di una gamma di emozioni diverse che vanno dall'odio all'amore, cosicché essi appaiono «gli elementi affettivi più attivi di tutta la dinamica pulsionale». Alcune delle caratteristiche essenziali dell'emozione di vergogna sono:

1) la sua comparsa in maniera massiva, senza possibilità di elaborazioni né simbolizzazioni e il suo annullamento altrettanto brutale;

2) l'impossibilità di elaborarla può dar luogo pertanto a un suo annullamento «magico» o a un suo ribaltamento nella rabbia;

3) la vergogna appartiene all'ordine del disvelamento, favorendo la comparsa sulla scena di un terzo potenzialmente persecutorio. Su di un piano intersoggettivo il sentimento di vergogna è stato visto come contraddistinto sempre da una rottura del rapporto intersoggettivo che coinvolge chi si vergogna e chi assiste;

4) la vergogna è un affetto più di altri intimamente ancorato alla corporeità, e da ciò anche la povertà del suo linguaggio, e l'importanza del guardare ed essere guardati;

5) nella vergogna si intravede una sorta di «slegamento» dell'Io, di rottura, di superamento di un limite che contiene un potenziale fluttuare dei limiti del corpo e una crisi dell'identità. E. Jacobson (1964), come E. Erikson (1950), ha richiamato l'attenzione sul rapporto tra sentimenti di vergogna e problema dell'identità, notando che la miscela di conflitti morali e conflitti di vergogna e di inferiorità è responsabile delle fluttuazioni del senso di identità proprio in quanto incidono non soltanto sulla stima morale ma sulla globale autostima;

6) se è vero che la vergogna implica immediatamente il corpo, come corpo-che-ho così come corpo-che-sono, su questa strada le situazioni più radicali di vergogna travolgono globalmente la presenza mettendone in crisi l'identità, non semplicemente nel non essere più lo stesso, ma - temporaneamente almeno - nel non essere più se stesso: adottando l'analisi di P. Ricoeur (1990), viene coinvolta l'identità come «ipseità»;

7) il sentimento di vergogna è peraltro assai intricato con la nostra «immagine sociale», con la superficie dell'identità costruita sulle norme e i ruoli che provengono dalle regole sociali, cosicché la condivisione di valori rispetto al gruppo appare una precondizione necessaria per provare vergogna, non così la condivisione delle assunzioni di fatto. Ci si può cioè vergognare di qualcosa che ci viene rinfacciato ma che non è vero, purché si condivida il valore vergognoso di ciò che ci viene rinfacciato. L'emozione vergogna quindi come segnale di avvenuta o possibile compromissione della «buona immagine» o dell'autostima. Talora poi la vergogna non dipende dal fatto di averne dato motivo nel comportamento, ma dall'averlo anche solo fantasticato. Il provare vergogna ha qui a che fare con il disvelamento agli altri di una propria mancanza di «potere» rispetto a se stessi e/o a determinati scopi. La vergogna come esposizione allo sguardo altrui, in senso concreto o metaforico, può assumere nette declinazioni psicopatologiche.

La vergogna ha un carattere di globalità, in quanto focalizzata su un'ideale immagine di sé che comprende l'intera persona e diviene la misura dell'autovalutazione; a differenza della colpa, che è spesso delimitata piuttosto che globale, focalizzata su specifiche azioni e specifiche conseguenze. Cosicché l'enfasi della vergogna cade sulla qualità del Sé, mentre l'enfasi della colpa cade su azioni la cui caratteristica è di essere state fatte o non fatte. La vergogna quindi è un segnale per sentimenti di umiliazione, inferiorità o mortificazione narcisistica, ha uno sbocco diretto nei processi proiettivi, dato che l'esposizione del Sé coinvolta nella vergogna implica una percezione degli altri che percepiscano il Sé del soggetto come un fallimento.

La psicopatologia antropofenomenologica ha da tempo indicato dei punti chiave all'interno dell'affetto vergogna, che costituiscono nello stesso tempo varchi verso una globale modificazione esistenziale. Straus (1933) distingue nell'ambito dei sentimenti di vergogna un aspetto «esistentivo-proteggente» da un aspetto collegato al mondo o «occultante». Il primo si riferisce all'essere se stesso, l'altro all'essere coesistentivo. Il primo conduce al «pudore», il secondo all'«onta» e, come sinteticamente scrive N. Tommaseo, «pudore ha sempre significato di bene; vergogna non sempre».

Binswanger (1957) osserva che benché la distinzione di Straus tra vergogna esistentiva-proteggente e vergogna coesistentiva-occultante sia giustificata, si deve anche considerare il fenomeno vergogna nel suo insieme, perché in prospettiva i due aspetti della vergogna si saldano fra loro, come si saldano «essere se stessi» e «essere nel mondo coesistentivo», e la vergogna è un rivelare all'altro quel che di me vorrei nascondergli. Le due modalità del fenomeno vergogna isolate da Straus appaiono a Binswanger termini dialettici di un'unica esperienza. Nei deliri che appaiono avere la vergogna come esperienza matriciale, avviene una rottura della proporzione dei due aspetti dialettici, ed è la pervasività della vergogna relata al mondo che lo rende potenzialmente ostile, imponendo dei Diktat di significati che sostanziano il delirio. Nel fenomeno vergogna «il limite interiore del peccato» non è più nel contesto della libertà del Sé, che cerca incessantemente di stabilire di nuovo il motivo, il grado e la forza del doversi vergognare, ma questo limite è già stato stabilito, cosicché al posto della libertà del Sé è subentrato l'ambiente sociale che si contrappone al soggetto come rigido ed estraneo. Quel che con tanta leggerezza chiamiamo «proiezione» del sentimento di vergogna non è altro che il trasferimento del centro di gravità della nostra esistenza dal nostro proprio Sé al giudizio degli altri (Binswanger, 1957). Da questo punto di vista il processo psicotico - verso il quale la vergogna può essere un avvio e rappresentarne una icona - è essenzialmente un impoverimento esistentivo, la trasformazione dell'ipseità in un oggetto sempre meno libero, e il mondo intersoggettivo, coesistentivo, non è più l'area di attuazione del Sé ma la sua rigida contrapposizione. D. Cargnello (1984) osserva che mentre nel pudore il Sé è difeso nella propria intima inviolabilità, nella «vergogna relata al mondo» il padrone è appunto il mondo coesistentivo: la Mitwelt domina il Sé. Questa sorta di defusione tra mondo proprio e mondo coesistentivo appare nel sentimento di vergogna l'asse portante di un rischio psicotico, in quanto il passaggio dalla vergogna proteggente alla vergogna nascondente è una modalità del processo di mondificazione, di essere in preda al mondo, di essere caduto nelle mani del mondo che diviene sempre più estraneo e ostile, e verso il quale la perdita di confidenza da parte della persona tende a evolvere in diffidenza.

Il «narcisismo ingiuriato» può generare sentimenti di vergogna che trapassano in franchi sintomi paranoidei, fra cui le esperienze di riferimento, ma anche la sensazione che la propria mente venga letta, con ciò direttamente ponendo tra gli sbocchi possibili della vergogna alcune fra le più tipiche esperienze del delirio primario, conseguenza di un'alterazione di quel normale aspetto della vita mentale che E. Minkowski (1966) chiamava «intimità dell'Io». L'emozione vergogna è strutturalmente connessa all'essere esposti all'intrusività altrui, allo svelamento del soggetto allo sguardo dell'altro. Se l'affetto vergogna è già in nuce paranoide, affinché la persecutorietà presente in filigrana in esperienze emozionali annichilenti, come la vergogna, si apra la strada verso vissuti deliranti, sembra fondamentale che gli affetti di disfatta umiliante siano ribaltati in sentimenti di rivalsa rabbiosa: che cioè la vergogna conduca all'umore «disforia)», inteso come costituito da irritazione, irritabilità, aggressività. Mentre per la psichiatria anglosassone disforia è una variante di depressione (si veda il ruolo dell'umore disforico nei criteri diagnostici per la depressione maggiore nel DSM-III-R e successivi), per la psichiatria tedesca l'esperienza centrale della disforia è costituita dall'irritazione, e rappresenterebbe un terzo campo autonomo dei disturbi dell'umore, diverso sia dalla melanconia che dalla mania.

In E. Kretschmer (1954) il filo conduttore dell'interpretazione del delirio è rappresentato dai vissuti di vergogna, ai quali l'autore fa continuo riferimento nei termini di «vergognosa umiliazione», «scacco umiliante», «insufficienza umiliante», ecc. Tutte le sue classiche analisi delineano il convergere di tratti di sensitività del carattere, situazione ed eventi, fino all'umiliante vergogna dell'«esperienza chiave» come punto centrale della svolta delirante, che fa da punto di connessione, ristabilendo la continuità interpretativa tra personalità sensitiva e delirio. Kretschmer ha spinto al massimo la possibilità di comprensione genetica nei suoi deliranti, fino al punto fatale dell'esperienza della vergogna annichilente il Sé. Questo è il punto di snodo ove la personalità «sensitiva» arriva ad attingere alle sue possibilità di reazione «stenica», al di là del suo più usuale stile «astenico» di personalità. In fondo l'oscillazione kohutiana vergogna-rabbia è una maniera più dinamica di ripropone l'oscillazione kretschmeriana fra polo stenico e polo astenico nelle sindromi paranoia cali. E’ a quel punto che l'esperienza della vergogna viene oltrepassata, quasi annullata in favore di un'aggressiva individuazione dei presunti persecutori. La vergogna che io provo o ho provato quale fenomeno implosivo per la coesione del Sé diviene tutt'uno con la cattiveria e l'intenzionalità malvagia che attribuisco all'altro: l'altro diviene l'agente attivo della vergogna provata.

Nella sua essenza il delirare del sensitivo mostra la vergogna, lo scacco dell'immagine del Sé, che sempre più cade in preda a un radicale processo di mondificazione nel quale gli altri segnalano il proprio disprezzo e la propria persecutorietà. Se l'oscillazione vergogna-rabbia è una maniera intrapsichica di vedere, comprendere il passaggio dal sentimento di vergognosa disfatta a quello persecutorio, l'oscillazione vergogna per il Sé-vergogna coesistentiva illumina il possibile costituirsi di un mondo diverso, appunto delirante. In un prolungato rapporto terapeutico con una serie di pazienti deliranti è emersa l'immagine - indipendentemente dalla possibile diagnosi categoriale - di «nuclei sensitivi» potentemente attivi nel contesto della sindrome paranoidea. In tutti, la situazione-evento che compare clamorosamente o è stata pazientemente svelabile, è sempre tale da rappresentare uno scacco umiliante per l'individuo, una ferita vergognosa. Eventi diversi, certo, ma accomunati dal fatto di essere in grado di aprirsi un varco nell'immagine di sé, entrando in risonanza con aspetti personologici dai quali sembra dipendere la modulazione dell'autostima. In tutte le osservazioni la persona è trascorsa attraverso aree emotive del tipo della vergogna, per poi fluttuare o mescolare queste ad affetti contropolari di rabbia.

Quello che poi ci appare in diverse rigogliose formazioni deliranti (paranoiacali o paranoidee) è l'esuberante difesa stenica, che proprio per la sua esuberanza segnala la pregnanza della sensitività astenica, ma il momento matriciale è stato quello della ferita e della vergogna, di cui talora nella replica stenica del delirio si ha solo un pallido riflesso o eco, come nell'implacabile pensare e agire paranoiacale di Kohlhaas, raccontato nella novella di H. von Kleist o del maestro Wagner, raccontato nel libro di Cargnello (1984) resta solo l'ombra della vergogna patita.

ARNALDO BALLERINI