Temperamento |
Il concetto di «temperamento» ha origini lontane. Una prima definizione nella nostra cultura risale all'antica Grecia, e precisamente alla tipologia definita da Ippocrate e più tardi rielaborata da Galeno. Per Galeno, le caratteristiche individuali dei corpi sono determinate dalla mescolanza e dal relativo equilibrio (temperamento) dei quattro elementi fondamentali, secondo la filosofia di Empedocle: terra, aria, fuoco, acqua. A questi quattro elementi corrispondono nel corpo umano i quattro umori: la bile nera, il flemma, il sangue e la bile gialla. La mescolanza e l'importanza relativa di questi quattro elementi determinerebbe le caratteristiche fisiche e psicologiche dell'individuo, e anche la sua propensione alle malattie: il temperamento melanconico è associato alla bile nera e alla terra fredda e secca, il temperamento sanguigno è associato al sangue e all'aria umida e calda, il temperamento collerico è associato alla bile gialla e al fuoco caldo e secco, il temperamento flemmatico è associato al flemma e all'acqua, umida e fredda. Questa tipologia è stata utilizzata fino a buona parte del '900, per descrivere dal punto di vista fisico e psicologico tipi umani adulti. Ancora I. Pavlov usa questa cornice per definire le sue tipologie temperamentali identificate in base alle proprietà dei processi di inibizione e attivazione del sistema nervoso centrale. Tipologie basate sulla costituzione fisica e sulla forma del cranio sono diffuse per tutto l'800 e la prima metà del '900. La classificazione forse più nota è quella di E. Kretschmer (leptosomico, atletico, picnico e displasia»), ispirandosi al quale, negli Stati Uniti, W. Sheldon propose una classificazione autonoma, precisandone la metodologia di definizione delle tipologie e articolandole maggiormente: per Sheldon, infatti, le tre tipologie (ectomorfico, mesomorfico ed endomorfico) non sono presenti in forma pura, ma ogni individuo le presenta tutte e tre, seppure in diversa misura. Si tratta quindi di componenti fisiche, legate a modalità psicologiche, la cui prevalenza o relativa scarsità determina le modalità temperamentali. La distinzione, introdotta da Sheldon, tra componenti dimensionali e tipologie categoriali rimane un aspetto fondamentale nella ricerca successiva. Anche in ambito psicoanalitico vengono proposte tipologie caratteriali; la più nota è quella di C. G. Jung, che distingue i due tipi introversi ed estroversi, dipendenti dal conflitto tra la coscienza e l'inconscio dell'individuo. L'eccessiva semplificazione delle tipologie utilizzate, lo scarso riscontro empirico e il rischio di un utilizzo discriminatorio di esse hanno portato a un abbandono di questo tipo di studi, anche perché il diffondersi del paradigma comportamentista ha portato a un minore interesse per le differenze individuali e le caratteristiche innate dell'individuo. Nella prima metà del '900 solo alcuni gruppi di ricercatori, isolati gli uni dagli altri, si sono occupati di problemi legati al temperamento. In Inghilterra, H. Eysenck ha studiato il temperamento all'interno del concetto più ampio di personalità. Già a partire da G. Allport il temperamento non era più stato concepito come un'unità legata alle caratteristiche fisiche, morfologiche, del soggetto, ma come la base biologica di un aspetto della personalità, che si esprime soprattutto in relazione alle emozioni. Eysenck riprende nella sua formulazione la prospettiva di Allport: le sue idee di base sono che il temperamento ha un fondamento biologico, che i tratti temperamentali sono universali, che la struttura del temperamento può essere descritta da pochi fattori indipendenti sovraordinati. Uno dei principali contributi di Eysenck è la definizione del temperamento legata alle differenze individuali nell'emotività. Il suo lavoro rimase però relativamente poco conosciuto per molto tempo, anche perché utilizzava il termine «personalità», pur riferendosi ad aspetti temperamentali. Negli stessi anni, in Unione Sovietica lo studio sul temperamento è condotto da un gruppo di ricercatori che si raccoglie intorno alla figura di B. Teplov, il quale prosegue la tradizione pavloviana, adattando la sua tipologia agli individui umani adulti. Il principale contributo di questo gruppo, il cui interesse è fondamentalmente rivolto ai meccanismi fisiologici che determinano i tratti temperamentali, è quello di aver sviluppato procedure di laboratorio affidabili per la valutazione delle proprietà di base del sistema nervoso centrale. Il terzo gruppo di studiosi è quello che fa capo agli psichiatri americani A. Thomas e S. Chess, che a partire dagli anni '50 del secolo scorso conducono uno studio longitudinale su un campione di soggetti seguiti dalla nascita fino all'età adulta. Il loro contributo è forse quello più significativo, almeno in ambito anglosassone ed europeo, nello stimolare la ricerca successiva. Il loro principale obiettivo è di tipo clinico: individuare, cioè, gli elementi individuali (temperamento) e relazionali/sociali (educazione) che influiscono sui disordini evolutivi. In questo modo contribuiscono all'operazionalizzazione, nelle ricerche longitudinali, del ruolo che le differenze individuali giocano nel codeterminare il corso dello sviluppo. È però solo dagli anni '70 che la ricerca sul temperamento acquista nuovo vigore, a partire da una revisione del costrutto che ne attenua gli aspetti considerati negativi, e in ragione di un rinnovato interesse per le differenze individuali e la comprensione multi-dimensionale della condotta, che accompagna l'abbandono, in ambito anglosassone, di una prospettiva esclusivamente comportamentista. Gli aspetti che vengono rifiutati sono soprattutto quelli relativi al determinismo e al collegamento dei tratti temperamentali con la struttura fisica; inoltre, il temperamento viene concepito come un insieme di aspetti distinti e in qualche modo indipendenti (i tratti), piuttosto che come un tipo unitario, come avveniva nelle classificazioni più antiche. Invece, rimane centrale, nella definizione del costrutto e nella ricerca, il legame con il corredo biologico, sia pur inteso in termini non strettamente deterministici. A differenza di quanto accadeva precedentemente, quando le tipologie temperamentali erano costruite soprattutto sugli individui adulti, un aspetto fondamentale di questo rinnovato interesse per il temperamento è che l'ambito privilegiato di studio diventano le prime fasi della vita: infatti si ritiene che gli aspetti temperamentali, biologici e innati siano considerati più leggibili nella condotta del bambino piccolo in quanto meno influenzati da aspetti culturali e dall'interazione con i caregivers. Il concetto di temperamento viene così chiaramente distinto da quello di carattere o di personalità, che esprimono l'intreccio successivo di determinanti biologiche, aspetti motivazionali e valoriali dovuti all'esperienza e competenze individuali. Negli adulti, inoltre, si considera che le caratteristiche temperamentali possano essere più facilmente evidenziabili in particolari condizioni, come quelle di stress. Benché non esista in psicologia una definizione univoca, secondo una formulazione ampiamente condivisa il temperamento può essere definito come l'insieme di quelle differenze individuali, nelle tendenze comportamentali, che hanno radici biologiche, che sono presenti precocemente nello sviluppo e si mantengono relativamente stabili attraverso i differenti contesti e lungo il corso della vita (Bates, 1989). In questa definizione gli aspetti fondamentali comuni sono, come già accennato, le radici biologiche del temperamento, la comparsa precoce e la relativa stabilità, e il fatto di riferirsi complessivamente alle modalità comportamentali, piuttosto che essere identificabili in un determinato comportamento, di funzionare come una specie di regolatore interno che media la risposta alle situazioni ambientali e all'interazione sociale. In questo senso, Thomas e Chess lo definiscono l'aspetto stilistico della condotta, cioè il come vengono fatte le cose, diverso dalla motivazione (il perché vengono fatte) e dalle abilità implicate (il che cosa viene fatto). Anche se l'accordo su questa formulazione è ampio, differenti rimangono le posizioni rispetto a molti aspetti centrali, primo fra tutti la definizione dei confini del temperamento, cioè quali tratti possono essere legittimamente considerati temperamentali. E’ possibile comunque identificare un nucleo largamente condiviso, che comprende gli aspetti biologici legati 1) al livello di attività, 2) alle modalità della risposta emotiva (positiva e negativa) e alla soglia necessaria per suscitare tale risposta, 3) alle modalità attentive, come la consolabilità o la distraibilità. Altri aspetti sono inclusi nel costrutto di temperamento solo da alcuni autori. Per esempio, A. Buss e R. Plomin considerano solo tratti per cui è dimostrabile l'ereditarietà, mentre per altri autori, come Thomas e Chess, dimostrare l'ereditarietà del tratto non è centrale per la teoria, pur legando il temperamento alle caratteristiche innate e congenite del funzionamento cerebrale dell'individuo (Goldsmith et al., 1987). Alcuni autori, tuttavia, propongono una definizione monodimensionale, come il concetto di inibizione temperamentale di J. Kagan (1994) o delle differenze individuali nella ricerca di sensazioni di M. Zuckerman (1994). Un altro aspetto che differenzia i ricercatori è il livello al quale viene definito il temperamento. Un primo livello è quello di un pattern nel comportamento osservato, cioè di una modalità individuale nell'esprimere un determinato comportamento in diversi contesti. Un secondo livello è quello dei fattori dell'individualità neurologica, cioè delle differenze nei pattern anatomici e funzionali del sistema nervoso centrale. Il terzo livello è costituito dai fattori costituzionali, cioè l'eredità biologica e gli altri aspetti costituzionali legati all'influenza del periodo prenatale sull'organizzazione del feto. Anche in questo caso, la maggior parte dei ricercatori non intendono riferirsi al bagaglio genetico come immutabile e con effetto deterministico diretto sul comportamento, ma insistono sulla complessità della relazione fra bagaglio genetico e sua espressione, così come sul ruolo giocato da fattori prenatali sull'espressione del corredo genetico. A seconda del livello di organizzazione a cui il temperamento viene collocato, si chiarisce anche il dibattito sul cambiamento del temperamento: chi lo colloca fondamentalmente a livello genetico, riterrà molto più stabile il temperamento, e vedrà il cambiamento solo come modificazione dell'espressione a livello comportamentale; per gli autori che collocano il temperamento nell'espressione comportamentale, la plasticità sarà ovviamente maggiore, in quanto esperienze legate all'ambiente di sviluppo potranno ampiamente modificare gli aspetti temperamentali: per esempio, a livello comportamentale, il concetto di goodness of fit («consonanza ottimale», «bontà dell'adattamento» o «compatibilità») di Thomas e Chess esprime proprio la diversità di evoluzione del temperamento a seconda della consonanza, o meno, con le richieste ambientali; a livello di funzionamento del sistema nervoso centrale, alcune ricerche mettono in luce come si produca una modificazione della reattività in soggetti che vivono in ambienti particolarmente stimolanti o al contrario poveri di stimoli. Allo stesso modo, anche il dibattito sulla considerazione del temperamento come un costrutto individuale può essere chiarito considerando i diversi livelli di teorizzazione: anche in questo caso, un consenso sostanziale esiste sia sul fatto di considerare il temperamento un costrutto individuale, fondato sul bagaglio biologico, ereditato dall'individuo, sia nel ritenere che esso sia ampiamente modificabile dall'esperienza e in particolarmodo dall'interazione con le persone che si prendono cura del bambino e con il contesto culturale di appartenenza. Possiamo, seguendo J. Strelau (1998), identificare i differenti modelli teorici in base a quattro principali caratterizzazioni: 1) il fatto che si riferiscano primariamente al temperamento nei bambini o negli adulti; 2) la spiegazione in termini causali o descrittivi; 3) la concezione monodimensionale o multidimensionale del temperamento; 4) la definizione del temperamento soprattutto in base alla regolazione delle emozioni, oppure rispetto alla condotta complessiva. Gli strumenti utilizzati nella ricerca sul temperamento sono altrettanto vari delle definizioni del costrutto teorico, e in parte ovviamente le rispecchiano. I diversi metodi presentano tutti aspetti positivi e limiti, e si diffonde sempre più la ricerca che utilizza differenti mezzi per valutare gli stessi aspetti, corroborando così i singoli risultati. Brevemente, ricordiamo: l'osservazione, utilizzata soprattutto con i bambini; i questionari rivolti ai genitori (numerose forme di questionario sono anche disponibili per adolescenti e adulti); le misure neurofisiologiche che riguardano il funzionamento del sistema nervoso centrale, o l'ampiezza dei potenziali evocati al crescere o decrescere dello stimolo, o ancora misure della reattività del sistema limbico, come il ritmo cardiaco, la dilatazione delle pupille, la pressione sanguigna. Chess e Thomas (1987), sulla base del loro studio longitudinale, hanno formulato un'ampia e articolata definizione del temperamento e un'originale interpretazione delle sue relazioni con il contesto di sviluppo. I due ricercatori hanno identificato nove dimensioni relativamente stabili che caratterizzano la qualità della condotta dei bambini, e che è possibile valutare durante tutto l'arco di crescita fino all'età adulta: il livello di « attività», cioè la componente motoria del comportamento del bambino e la proporzione di periodi attivi e inattivi nella giornata; l'« adattabilità», cioè la capacità di adattarsi a stimoli nuovi; la «ritmicità» o regolarità delle funzioni biologiche, come i ritmi del pasto o del sonno; l'«approccio» o «ritiro» in presenza di oggetti, persone o situazioni nuove; l'« intensità» di espressione emotiva, indipendentemente dal fatto che sia positiva o negativa; il tono prevalente dell'«umore»; la «persistenza», cioè il tempo in cui un individuo presta continuativamente attenzione a uno stimolo (span di attenzione) o continua nella propria attività nonostante gli stimoli distraenti; la «distraibilità»; la «soglia» necessaria per suscitare una risposta. Ogni individuo manifesta particolari combinazioni di queste caratteristiche, che definiscono la qualità della sua condotta. Thomas e Chess hanno inoltre differenziato alcuni tipi temperamentali sulla base di costellazioni stabili relative, in modo particolare, alle dimensioni di ritmicità, approccio, adattabilità, intensità, umore e adattabilità. Essi parlano di temperamento «facile» come caratterizzato da regolarità delle funzioni biologiche, da un approccio positivo alle situazioni e persone nuove, da una rapida adattabilità al cambiamento e da un tono dell'umore non troppo intenso, ma prevalentemente positivo. I bambini con un temperamento facile di solito sono particolarmente semplici da accudire, poiché sono prevedibili nel comportamento, sorridono facilmente, si adattano alle novità, ecc. Al contrario, il temperamento «difficile» è caratterizzato da irregolarità delle funzioni biologiche, da reazioni negative di ripiegamento di fronte a molte situazioni e persone nuove, da lentezza nell'adattarsi ai cambiamenti e da espressioni degli stati d'animo intense e spesso negative. I bambini con temperamento difficile hanno orari irregolari del sonno e del pasto, hanno bisogno di periodi lunghi di adattamento prima di acquisire nuove abitudini, manifestano pianto frequente e intenso: chi si occupa di loro incontra quindi difficoltà nel gestirli. Il temperamento «lento a scaldarsi», infine, presenta alcuni tratti comuni con il temperamento difficile: infatti tende a rispondere negativamente, ritirandosi di fronte a situazioni e persone nuove, e si adatta lentamente ai cambiamenti. A differenza del temperamento difficile, però, presenta reazioni moderate, anziché violente, e ha minor tendenza ai ritmi irregolari del sonno e dei pasti. Quando è frustrato o disturbato da qualcosa, l'individuo con un temperamento lento a scaldarsi cercherà di sfuggire la situazione in silenzio o con tenui proteste. Nei bambini, questo può in particolare portare difficoltà nell'affrontare situazioni o esperienze nuove. La classificazione di Thomas e Chess è stata inizialmente proposta soprattutto rispetto ai bambini nei primi anni di vita, in relazione alla loro prospettiva interazionista. Tuttavia, anche nei primi anni, non tutti i bambini rientrano in queste categorie, che sono caratterizzate da livelli estremi di manifestazione delle dimensioni coinvolte, in una o nell'altra direzione. Questo tipo di caratterizzazione ha però dimostrato un'utilità prognostica rispetto a successive eventuali difficoltà di sviluppo. Infatti, Thomas e Chess identificano nella goodness of fit tra caratteristiche temperamentali e richieste dell'ambiente un fattore cruciale dello sviluppo: si ha cioè uno sviluppo positivo quando vi è corrispondenza tra le opportunità, le aspettative, le richieste dell'ambiente e le caratteristiche temperamentali dell'individuo. La definizione che questi autori danno di temperamento si colloca, essenzialmente, a livello del pattern comportamentale: essi non disconoscono le radici nel patrimonio biologico dell'individuo, ma non ritengono un elemento cruciale della teorizzazione l'aspetto dell'ereditarietà, mentre sono più attenti a una definizione ampia e articolata del costrutto e alla sua traduzione in strumenti operativi di valutazione del temperamento stesso. Inoltre, l'elemento centrale della loro prospettiva ci sembra essere legato all'efficacia che utilizzare un costrutto come quello di temperamento può avere in ambito clinico, per la prevenzione e l'intervento là dove si presentano situazioni di rischio evolutivo legate alle caratteristiche temperamentali. In sintesi, il concetto di temperamento si presenta nel panorama attuale della ricerca psicologica come un concetto ricco di sfaccettature, assai produttivo dal punto di vista della ricerca e dell'intervento clinico, anche se non univocamente definito. Un contributo rilevante è quello di aver posto l'accento sull'importanza delle differenze individuali e sul fondamento biologico di queste differenze, in un'ottica di lettura multi-dimensionale e non deterministica del comportamento umano. PAOLA MOLINA |