Stadio

La psicologia dello sviluppo ha affrontato fin dalle sue origini il tema della continuità e della discontinuità nel tempo, chiedendosi quali funzioni e quali processi persistano o mutino nel corso dello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale, e se sia possibile individuare dei modi differenti di affrontare il mondo, caratteristici di ogni età e diversi lungo il tempo. Il concetto di «stadio», così come quello di «fase», che può in senso lato essere considerato equiparabile, è stato introdotto proprio per spiegare la continuità e la discontinuità del funzionamento psichico lungo la vita, in particolare dalla nascita all'adolescenza.

In senso ampio, lo stadio indica un periodo della vita che può essere distinto da quelli che lo seguono o lo precedono per una qualche specificità nel funzionamento psicologico; lo stadio, quindi, non si presenta isolatamente, ma fa parte di una sequenza stadiale, nella quale si susseguono stadi diversi, con caratteristiche differenti gli uni dagli altri. Ogni stadio, o fase, configura un modo particolare di conoscere o di entrare in relazione con la realtà, il quale si applica in modo sincrono a tutte le acquisizioni del bambino in quel periodo; in altri termini, lo stadio e la fase sono concepiù in modo unitario, e tutte le modalità di funzionamento psicologico del bambino che si trova in un certo stadio, o fase, sono accomunate dalle stesse proprietà. Il concetto di stadio è assente in quei modelli psicologici, come il comportamentismo, l'approccio psicometrico o la teoria dell'elaborazione dell'informazione, che vedono nello sviluppo un processo continuo di tipo quantitativo e additivo. Nei modelli stadiali lo sviluppo è invece qualitativo e discontinuo, poiché si ritiene che nel passaggio da uno stadio all'altro cambino le modalità con cui, sul piano cognitivo, si affrontano e si risolvono i problemi, così come quelle con cui, sul piano affettivo e sociale, si stabiliscono relazioni con gli altri e con il mondo circostante. Per queste ragioni, la nozione di stadio, o fase, e l'individuazione di una sequenza stadiale sono caratteristiche di tutti quei modelli che considerano lo sviluppo un processo che ha una direzione.

Tale è il modello organismico, che ha avuto il suo massimo sviluppo nella teoria di J. Piaget, secondo il quale esiste una continuità e un parallelismo tra lo sviluppo biologico e quello psichico, e per il quale il motore dello sviluppo è biologico. Allo stesso modo, anche nel modello freudiano lo sviluppo psicosessuale avviene in modo sequenziale, attraverso fasi che sono tra loro discontinue e che introducono dei mutamenti qualitativi; il passaggio da una fase all'altra avviene in forza di una spinta maturativa di origine biologica e si realizza a una certa età, estendendosi a tutti i bambini. Lo sviluppo libidico passa, dalla nascita all'adolescenza, attraverso la successione di diverse fasi: orale, anale, fallica, di latenza, genitale. Facendo riferimento soprattutto al modello pia-getiano, numerosi aspetti dello sviluppo sono poi stati considerati secondo una prospettiva stadiale. E’ questo il caso dello sviluppo morale, che, secondo L. Kohlberg (1969; 1976), ha un andamento stadiale, in riferimento allo sviluppo cognitivo.

Il concetto di stadio ha molto influenzato la psicologia dello sviluppo fino ai primi decenni della seconda metà del '900, e si è perciò ritenuto che lo sviluppo di tutte le funzioni psichiche potesse essere descritto secondo una sequenza stadiale. Di conseguenza, anche per quanto riguarda lo sviluppo sociale sono stati fatti tentativi di definizione di sequenze stadiali, se pure non sempre in modo organico e puntuale; ugualmente, sono stati descritti stadi per lo sviluppo di molte abilità, quali il disegno, postulando una sequenza progressiva di periodi qualitativamente distinti gli uni dagli altri. Per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, il concetto di stadio ha trovato nella teoria di Piaget la sua massima elaborazione e definizione, e quando si parla di stadio in senso stretto si fa oggi riferimento a questa teorizzazione, che ha esercitato una grande influenza sulla psicologia dello sviluppo e ha provocato un ampio dibattito. Secondo Piaget, lo sviluppo delle strutture mentali è discontinuo e si organizza in stadi qualitativamente differenziati, sulla base della maturazione. La loro successione avviene secondo una sequenza invariante, che l'influenza ambientale non ha il potere di modificare con l'addestramento: un bambino non può raggiungere un certo stadio se prima non è passato attraverso quelli precedenti. In secondo luogo, il passaggio da uno stadio a quello seguente avviene grazie a una crescente differenziazione e integrazione gerarchica, nella direzione della costruzione di strutture cognitive di crescente complessità e coerenza. Ogni stadio, infatti, è definito da una struttura cognitiva d'insieme, e non da aspetti isolati di comportamento o da abilità limitate a settori specifici.

Come è noto, la teoria di Piaget prevede quattro stadi dello sviluppo dell'intelligenza e del pensiero. Nel periodo sensomotorio, il bambino non è ancora in grado di evocare mentalmente oggetti ed eventi. Con l'acquisizione della capacità rappresentativa, il bambino diventa capace, intorno ai 18-24 mesi, di richiamare alla mente l'immagine di situazioni e cose, ma è ancora dominate da egocentrismo e realismo. In questo secondo stadio il suo pensiero è definito preoperatorio, poiché egli non è ancora capace di reversibilità e quindi di compiere operazioni mentali. Con il passaggio al terzo stadio, definito delle operazioni concrete, il bambino diventa capace di reversibilità e quindi di operazioni logiche, ma solo se può lavorare concretamente sui problemi. Soltanto nello stadio delle operazioni formali (a partire dagli 11 anni) il ragazzo è in grado di compiere operazioni logiche astratte e di ragionare in modo ipotetico-deduttivo; questo stadio rappresenta la tappa più alta dello sviluppo cognitivo, e negli anni seguenti, in età adulta, non si avrà più uno sviluppo qualitativo, ma soltanto quantitativo, del pensiero, con una specializzazione nei settori in cui l'adulto si eserciterà maggiormente.

La concezione unitaria e omogenea dello stadio ha portato Piaget a ritenere che non ci siano décalages orizzontali nello sviluppo, vale a dire che non vi siano differenze nelle prestazioni fra compiù diversi a un dato momento dello sviluppo e all'interno di uno specifico stadio. Uno stadio, infatti, è caratterizzato da una certa struttura logica e tutti i compiù sono quindi risolti allo stesso modo, indipendentemente dal dominio di applicazione. I décalages sono soltanto verticali e riguardano i cambiamenti qualitativi che segnano il passaggio da uno stadio all'altro. In realtà, Piaget stesso aveva descritto, per quanto riguarda lo stadio operatorio concreto, momenti diversi nella comprensione delle nozioni di conservazione (del numero, della lunghezza, dei liquidi, dell'area, della sostanza, del peso, del volume). Egli aveva però ritenuto che questi sfasamenti non mettessero in discussione la nozione unitaria di stadio, e li aveva attribuiti al fatto che le operazioni vengono applicate in tempi diversi a contenuti diversi. Questa interpretazione è stata ritenuta insoddisfacente da molti critici.

Da quanto si è detto, appare chiaro che la concezione stadiale postula una notevole uniformità di funzionamento psichico in tutti i bambini che si trovano nello stesso stadio, che corrisponde a una certa fase di maturazione, individuata per lo più da una precisa età cronologica. Questo postulato vale sia per la formulazione rigorosa data da Piaget, sia per quella più ampia cui hanno fatto riferimento, talvolta implicitamente, molti psicologi nel descrivere lo sviluppo delle diverse funzioni psichiche come una sequenza di periodi discontinui. In base al modello stadiale ci si attende quindi, alla stessa età, una scarsa variabilità interindividuale, definita come l'insieme delle variazioni che una certa funzione psichica presenta in individui diversi. Allo stesso modo ci si aspetta anche una scarsa o nulla variabilità intraindividuale, definita come l'insieme delle variazioni che, all'interno dell'individuo, riguardano le varie funzioni psichiche. Secondo la concezione stadiale ogni bambino, in un certo stadio, presenta prestazioni simili che riguardano tutti gli ambiti del funzionamento psichico. Le eventuali differenze qualitative di funzionamento all'interno dello stesso stadio o fase sono interpretate, per lo più, come deviazioni dalla norma, e non come possibili scarti temporali nello sviluppo di differenti funzioni.

Numerose sono le critiche rivolte alla concezione stadiale piagetiana, così come più in generale ai modelli che postulano una successione di fasi discontinue al loro interno omogenee. Queste critiche provengono da prospettive teoriche diverse, ma si basano tutte sulla comprovata esistenza sia di una grande variabilità interindividuale in bambini che appartengono allo stesso stadio, sia di una grande variabilità intraindividuale tra le diverse funzioni psichiche nello stesso individuo a un dato momento dello sviluppo. Fin dagli anni '30, L. Vygotskij e il modello storico-culturale hanno, a questo proposito, evidenziato che lo sviluppo cognitivo non può essere compreso senza fare riferimento al contesto sociale e culturale in cui il bambino o l'adulto sono inseriti. Lo sviluppo non è spinto solo da fattori maturativi di origine biologica, ma anche da fattori culturali e sociali. Lo sviluppo biologico definisce l'ambito delle possibilità di sviluppo, ma non la loro concreta realizzazione, che è legata alle opportunità offerte dalla cultura e in particolare all'utilizzo degli strumenti che una certa cultura ha elaborato nel corso della sua evoluzione, vale a dire il linguaggio orale e scritto, i sistemi di calcolo, la tecnica, l'arte. Per ogni bambino si può individuare una «zona di sviluppo prossimo» che copre quell'area che va dal livello di sviluppo di un individuo, in un momento definito, fino al suo livello potenziale, non ancora raggiunto, ma raggiungibile con l'aiuto dell'adulto che rende disponibili gli strumenti della cultura.

Questi concetti hanno esercitato una grande influenza sulla psicologia dello sviluppo contemporanea, e l'hanno condotta a riconoscere sempre più che lo sviluppo biologico non è la causa dello sviluppo psichico o del comportamento, ma rappresenta soltanto l'insieme delle condizioni e dei vincoli per lo sviluppo e per l'azione umana, sulla quale esercitano un'influenza decisiva i fattori sociali, storici e culturali. Riguardo alla successione stadiale, ciò significa che non è possibile individuare una sequenza obbligata di sviluppo, biologicamente fondata, uguale per tutti i bambini di ogni cultura, e che non tutti i bambini della stessa età ragionano allo stesso modo o utilizzano le stesse modalità di interazione sociale. Ad esempio, le capacità di pensiero operatorio formale, che rappresentano secondo Piaget il più alto punto di arrivo del pensiero umano, non vengono sviluppate in quelle culture che non hanno la lingua scritta e nella stessa cultura occidentale si sviluppano soltanto in relazione a un'adeguata scolarizzazione.

Un contributo importante alla revisione del concetto di stadio è venuto dagli studiosi che hanno preso in considerazione il ruolo dell'interazione sociale non soltanto con gli adulti ma anche con i coetanei nella quotidianità della vita del bambino. In particolare, gli studi sul conflitto sociocognitivo di W. Doise e G. Mugny (1981), studiosi della scuola di Ginevra, hanno dimostrato che i bambini possono, a certe condizioni (tra cui in particolare il trovarsi nella fase terminale dello stadio piagetiano), anticipare modalità di ragionamento caratteristiche di uno stadio seguente, anche se limitatamente a un certo ambito cognitivo, quando si sono trovati in conflitto con dei ragazzi di poco più grandi di loro sul modo di risolvere cognitivamente una situazione sociale coinvolgente. Ad esempio, bambini che si trovano alla fine dello stadio preoperatorio possono anticipare acquisizioni caratteristiche del periodo operatorio, come la conservazione della quantità di un liquido, per la quale un liquido mantiene la stessa quantità indipendentemente dalla forma del recipiente in cui esso viene travasato.

Le ricerche sul conflitto sociocognitivo hanno dimostrato che lo stadio non è una struttura globale, unitaria e omogenea, e che è possibile per certi compiù ragionare in modo diverso, caratteristico dello stadio seguente, in conseguenza di un'interazione sociale che ha costretto a prendere in considerazione modalità di ragionamento differenti e pili evolute delle proprie. In questo caso lo sviluppo, se pure limitatamente a un settore e con dei vincoli provenienti dalla maturazione, avviene grazie alla relazione sociale con i coetanei. Questi studi hanno dunque dimostrato la possibilità non solo di décalages verticali ma anche di décalages orizzontali, cioè di differenze nel modo di ragionare all'interno dello stesso stadio. Ciò significa sia che bambini della stessa età possono ragionare in modo differente, in relazione alle differenti esperienze sociali avute, sia che lo stesso bambino può, per alcune aree, ragionare in modo caratteristico di uno stadio seguente, mentre per tutto il resto del suo ragionamento egli usa ancora delle modalità caratteristiche dello stadio precedente. A conferma dei limiti posti dallo sviluppo biologico, appare impossibile un'anticipazione che vada oltre lo stadio immediatamente seguente.

In una diversa prospettiva teorica, gli studi che si collocano nell'ambito del modello dell'elaborazione dell'informazione hanno dimostrato, fin dagli anni '70, la possibilità di addestrare il bambino di una certa età in compiù e in domini specifici. Tale approccio rifiuta completamente la nozione di struttura e ritiene che la mente del bambino non sia affatto omogenea, bensì eterogenea, in relazione a uno sviluppo modulare del cervello. Non è quindi possibile individuare alcuna sequenza stadiale e il bambino può avere, a un certo momento del suo sviluppo, grandi abilità, conoscenze e competenze in un settore, e pochissime o nessuna in un altro. Pur avendo avuto il merito di riconoscere le evidenti disomogeneità nello sviluppo infantile, questa concezione ne dà un'immagine troppo frammentata, che non riesce a rendere ragione delle similarità che accomunano il modo di ragionare dei bambini di una certa età; essa appare quindi insoddisfacente a molti psicologi dello sviluppo.

Un significativo approfondimento è venuto dalle teorie neopiagetiane, e in particolare da quegli studiosi, quali J. Pascual-Leone (1980; 1987) e R. Case (1991), che negli ultimi vent'anni hanno cercato di comprendere lo sviluppo cognitivo all'interno della cornice piagetiana. Questi autori hanno evidenziato, con accenti diversi, l'esistenza di specificità nello sviluppo, legate all'addestramento in diversi domini cognitivi. Essi hanno anche cercato di comprendere, nello stesso tempo, la relazione tra la specificità delle acquisizioni nei diversi domini e la dimostrata sincronia tra i domini stessi. Accogliendo alcuni assunti dell'approccio dell'elaborazione dell'informazione riguardo al carico di informazione e ai limiti della capacità di elaborazione durante lo sviluppo, questi studiosi hanno ricondotto alla progressiva maturazione di tali capacità lungo l'età evolutiva la relativa omogeneità delle capacità cognitive dei bambini a una certa età anche in domini cognitivi differenti. Le sequenze di sviluppo sono quindi indipendenti, distinte e diverse a seconda dei vari campi di conoscenza, ma presentano in ogni momento dello sviluppo una similarità nel grado di complessità e di organizzazione.

Sempre nella scuola di Ginevra, P. Mounoud (1995), allievo di Piaget, ha ribadito il carattere qualitativo dello sviluppo e rifiutato una concezione modulare, mostrando la similarità dei processi in domini diversi, ad esempio per quanto riguarda la catego-rizzazione. Allo stesso tempo, proseguendo l'analisi dei meccanismi generali che determinano il passaggio da un livello di organizzazione all'altro lungo lo sviluppo, egli ha superato la concezione piagetiana secondo la quale lo sviluppo implica la costruzione di nuove strutture, ritenendo che lo sviluppo comporti invece la costruzione di nuove rappresentazioni, per mezzo di strutture concettuali preformate. Non si tratta più, perciò, di delineare la sequenza gerarchica di strutture qualitativamente diverse, corrispondenti ai vari stadi, bensì di analizzare i processi che consentono il passaggio da un tipo di rappresentazione all'altro. Mentre le strutture sono preformate, le rappresentazioni sono costruite nella relazione tra tali strutture e le specifiche realtà; l'ambiente ha quindi un ruolo caratteristico solo sullo sviluppo delle rappresentazioni.

Al di là dello specifico ambito di analisi dello sviluppo cognitivo, si può affermare che il dibattito, spesso aspro, di questi ultimi cinquant'anni sul concetto di stadio abbia dato un grande contributo alla psicologia dello sviluppo soprattutto perché ha evidenziato l'esistenza di una grande variabilità interindividuale e intraindividuale. Alla luce di queste acquisizioni, i concetti di stadio o di fase obbligata dello sviluppo non possono più, oggi, essere utilizzati nella loro formulazione tradizionale; essi non sono infatti in grado di rendere ragione della grande variabilità che esiste sia tra gli individui sia tra i vari aspetti del funzionamento psichico di un medesimo individuo. Tali variabilità, già notevoli dalla nascita all'adolescenza, sono ancora maggiori se si prende in considerazione lo sviluppo nell'intero ciclo di vita, come oggi avviene. Per quanto alla maggior parte degli studiosi dello sviluppo non appaia opportuno abbandonare del tutto l'idea di una sequenzialità nei processi maturativi nel corso del tempo, la quale segue una progressione comune a tutti gli appartenenti alla specie umana, tale evoluzione biologica non delimita che l'ambito delle possibilità di sviluppo, la cui realizzazione è legata non solo all'interazione tra l'individuo e l'ambiente, sia prossimale che distale, ma anche all'azione stessa dell'individuo.

Possiamo quindi dire che la maggioranza degli studiosi condivide oggi, del concetto di stadio nella sua accezione ampia, l'idea di una possibile successione, legata allo sviluppo biologico, che segue una certa progressione evolutiva. Il passaggio da uno stadio all'altro non è però indipendente dall'esperienza e dalle influenze ambientali, e gli stadi successivi possono anche non essere raggiunti. Inoltre, all'interno dello stesso stadio è possibile una grande variabilità, sia tra gli individui che all'interno dello stesso individuo, rispetto ai diversi aspetti del funzionamento psichico: ciò significa che sono possibili prestazioni e comportamenti caratteristici sia di stadi seguenti che precedenti. La successione risulta simile nella maggior parte dei bambini della stessa età perché i bambini appartengono tutti alla specie umana e quindi condividono, in una certa misura, gli stessi ritmi di sviluppo e le stesse potenzialità di base, in relazione soprattutto allo sviluppo neurofisologico. Esistono, nelle diverse età, dei limiti massimi al livello di prestazione cognitiva e sociale che il bambino può raggiungere, legati allo sviluppo biologico; l'ambiente può esercitare un'influenza di anticipazione solo all'interno di tale limite. Inoltre, i bambini condividono, soprattutto nei contesti più omogenei, anche alcuni aspetti della stessa società e cultura, mentre molti altri aspetti dell'ambiente culturale sono invece molto diversi.

Per queste ragioni, al concetto di stadio molti psicologi dello sviluppo preferiscono oggi, in una prospettiva olistica interazionista, quello di «percorso di sviluppo», nella convinzione che si debba parlare, sia per lo sviluppo cognitivo che, ancor più, per quello affettivo e sociale, non di percorsi obbligati, bensì di percorsi possibili, fortemente individualizzati e differenziati, che sono il risultato della complessa interazione, lungo il tempo, dell'individuo e del suo ambiente. Per quanto complessa, tale interazione non è però casuale; al contrario, le modalità secondo le quali le strutture funzionano e i processi si sviluppano sono organizzate e regolari, poiché avvengono secondo modalità che sono sottoposte a leggi e sono di conseguenza conoscibili. La teorizzazione sui percorsi di sviluppo rappresenta il tentativo di comprendere queste regolarità lungo lo sviluppo, nell'intero ciclo di vita di ciascuno, in una prospettiva multicausale e probabilistica. Adottare questa prospettiva non significa, dunque, rinunciare a comprendere le regolarità dello sviluppo, frammentando l'analisi in tanti percorsi quanti sono gli individui, non confrontabili tra loro. I percorsi di sviluppo sono probabilistici e pluridirezionali, ma non infiniti: infatti ogni persona, in forza dei vincoli e delle potenzialità individuali, biologiche e sociali, si sviluppa con modalità che la fanno contemporaneamente diversa da tutte le altre sotto un certo profilo, diversa da qualcun'altra sotto un altro profilo, ma simile nel contempo a tutti gli altri esseri umani.

SILVIA BONINO