Spazio

Il concetto di «spazio» è ampiamente presente nella vita quotidiana, sia che se ne parli in termini concreti sia in termini metaforici. Tutti sono d'accordo su che cos'è lo spazio, perché ognuno di noi riesce a rappresentarselo come qualcosa di unitario. Infatti, nonostante tutti noi facciamo riferimento a coordinate spaziali quali destra/sinistra, alto/basso, vicino/lontano, non riusciamo a concepire uno spazio, in termini di rappresentazione mentale, diviso in settori. Parallelamente, abbiamo senz'altro l'idea che lo spazio sia qualcosa in cui noi ci muoviamo, sia per mezzo dei nostri effettori corporei, sia attraverso mezzi artificiali di locomozione, ma questo non ci fa pensare immediatamente che i nostri movimenti possano avere importanza nel nostro formarci l'idea di spazio. Il modo in cui lo spazio è codificato nella nostra corteccia cerebrale è tuttavia abbastanza diverso dalla nostra idea introspettiva unitaria.

Innanzitutto, quando si parla di spazio in termini fisici, bisogna definire in base a quali coordinate di riferimento esso viene codificato. Se lo si dovesse disegnare sulla carta, ogni punto dello spazio potrebbe essere definito mediante tre coordinate, x,y e z rispetto al punto d'origine degli assi cartesiani. Se si parla di spazio in termini biologici, si può per esempio parlare di uno spazio sensoriale e caratterizzarlo in base ai vari tipi di modalità sensoriali coinvolte. Possiamo inoltre riconoscere uno spazio corporeo o «personale», legato alla modalità somatosensoriale, e uno spazio extrapersonale, cioè al di fuori del corpo, normalmente legato alla modalità visiva o acustica. Si può anche parlare di spazio motorio, che si caratterizza in base alla direzione del nostro movimento e alla distanza che deve essere percorsa per mezzo di esso.

I punti dello spazio sensoriale visivo, probabilmente quello più studiato nell'uomo e nella scimmia, sono inizialmente riferiti a un sistema di coordinate centrato sulla retina (detto «retinocentrico» o «oculocentrico»).

E’ anche vero, però, che uno stesso punto spaziale, quando l'occhio si muove, assume valori di coordinate retiniche differenti rispetto a quando l'occhio non si era ancora mosso, ma rimane nelle stesse coordinate, per esempio, rispetto all'asse mediano della testa, se questa non si è mossa insieme agli occhi. Se invece questa si è mossa, le coordinate di quel punto rispetto alla testa sono cambiate, ma non lo sono rispetto all'asse mediano del tronco. Se però anche il tronco si muove, lo stesso punto assumerà coordinate diverse rispetto al tronco. Tuttavia, la sua posizione nel mondo rispetto ad altri punti spaziali è rimasta la medesima. Si può vedere, quindi, come i punti spaziali possono essere riferiti a sistemi di coordinate differenti, centrati sulla retina, sulla testa, sul corpo oppure indipendenti dal corpo. In quest'ultimo caso il sistema di coordinate viene definito «aliocentrico». L'esistenza di molti possibili sistemi di coordinate spaziali fa sorgere il problema di come sia possibile passare da un sistema di coordinate all'altro. Questo diventa particolarmente importante per eseguire i movimenti nello spazio. Se, per esempio, devo raggiungere un oggetto posto a una certa distanza da me, la sua posizione spaziale viene inizialmente valutata, probabilmente, secondo coordinate retiniche, ma poi il movimento deve essere eseguito in un sistema di coordinate centrato sul mio corpo. Inoltre il raggiungimento deve poter avvenire in modo relativamente indipendente da quella che è la posizione originale dell'effettore, in questo caso il braccio, rispetto all'oggetto. In altre parole, un oggetto posto in alto a destra rispetto al corpo può essere tranquillamente raggiunto sia che la mano destra si trovi anch'essa a destra, sia che si trovi a sinistra, perché magari il braccio è incrociato rispetto al corpo. Tutto ciò implica un processo di trasformazione di coordinate, da quelle retiniche a quelle basate su un asse corporeo.

Inoltre, questa trasformazione dovrà anche tener conto della posizione relativa dei vari effettori. Sono stati proposti vari modelli per spiegare come questo possa avvenire. Al di là, però, di quale di questi modelli possa essere esatto, è necessario capire quali sono i processi computazionali che il nostro cervello mette in atto per arrivare a una singola o multipla codifica dello spazio e per risolvere il problema della trasformazione di coordinate.

Tali questioni sono state affrontate, dal punto di vista neurofisiologico, a partire dagli anni '80, e al momento attuale si può dire che si è raggiunta una buona conoscenza del modo in cui lo spazio viene codificato a livello della corteccia cerebrale. Le acquisizioni più importanti sono le seguenti: a) lo spazio è rappresentato non come un costrutto unico, ma suddiviso, e ogni suddivisione corrisponde a un circuito anatomo-funzionale dedicato, coinvolto nella trasformazione sensori-motoria relativa a uno specifico effettore; b) lo spazio è codificato a livello di singolo neurone anche in coordinate non oculocentriche; c) la percezione dello spazio è legata a un concetto di spazio motorio. Qui di seguito saranno descritti i dati empirici che giustificano queste affermazioni.

L'idea dello spazio in termini oculocentrici deriva fondamentalmente da come sono organizzate le vie visive centrali e da alcuni dati clinici. Il sistema visivo è suddiviso in due componenti fondamentali, una chiamata parvocellulare, che è coinvolta nell'analisi della forma dettagliata e del colore degli oggetti, l'altra chiamata magnocellulare, che è invece coinvolta nell'analisi della luminosità, della forma grossolana e del movimento degli oggetti nello spazio. Entrambe le vie, infine, partecipano al processamento dell'informazione sulla stereopsi. In entrambe queste vie avvengono elaborazioni successive secondo un modello gerarchico, passando attraverso aree visive di ordine via via superiore. I punti apicali di queste elaborazioni si trovano, per la via parvocellulare, nella corteccia inferotemporale, per la via magnocellulare, nella corteccia parietale.

Basandosi, oltre che sui dati anatomo-fisiologici, anche su dati clinici, L. Ungerleider e M. Mishkin (1982) proposero che la via che termina nella corteccia inferotemporale (la via ventrale) venisse chiamata via del «che cosa», mentre quella che termina nella corteccia parietale (la via dorsale) venisse chiamata via del «dove». A sostegno di questa teoria, c'è il fatto che pazienti con lesioni della via ventrale non sono capaci di riconoscere gli oggetti, ma ne sanno individuare la posizione spaziale, mentre pazienti con lesione della via dorsale riconoscono gli oggetti, ma non sanno dire dove si trovano nello spazio. Lo stesso tipo di deficit è stato mostrato, sebbene in maniera meno netta rispetto ai pazienti, anche nella scimmia. A questo punto ci si è chiesti quali proprietà neuronali del lobo parietale potevano spiegare il formarsi della percezione dello spazio, e in particolare di uno spazio indipendente dal sistema di coordinate oculo-centrico.

I primi dati in questo senso sono venuti da studi di registrazione da singoli neuroni (Andersen et al., 1997) eseguiti sulle aree 7a e LIP (area laterale intraparietale) della scimmia, entrambe situate nella parte posteriore del lobulo parietale inferiore. I neuroni di queste due aree presentano sia risposte visive a stimoli presentati in determinate regioni dello spazio oculocentrico, sia risposte di tipo oculomotorio durante i movimenti oculari rapidi (saccadi) verso le stesse regioni spaziali. Una caratteristica peculiare di questi neuroni è che sia la risposta visiva sia quella motoria sono modulate dalla posizione dell'occhio nell'orbita. In altre parole, se un neurone produce una risposta visiva per stimoli presentati nel quadrante superiore sinistro e una risposta motoria per saccadi verso lo spazio superiore sinistro, tali risposte variano di intensità a seconda che la scimmia fissi, per esempio, al centro, a sinistra o a destra, pur mantenendo la stessa preferenza spaziale a sinistra. Gli autori hanno concluso che la risposta di questi neuroni combina l'indicazione di una posizione spaziale dello stimolo visivo con quella della posizione dell'occhio rispetto alla testa.

In successivi esperimenti, in cui la scimmia poteva orientare anche la testa, P. Brotchie e colleghi (1995) hanno dimostrato che anche la posizione della testa, come quella degli occhi, modulava la risposta visiva spaziale. Tuttavia, da questi esperimenti si evincerebbe che una codifica della posizione spaziale dello stimolo visivo indipendente dalla sua posizione rispetto alla retina non esisterebbe a livello di singolo neurone parietale, ma risulterebbe dalla somma delle risposte di una popolazione di neuroni tutti con queste proprietà modulatone. I movimenti oculari, quindi, non richiederebbero un sistema di trasformazione di coordinate. Un risultato diverso, ma purtroppo limitato a un numero esiguo di neuroni, è stato ottenuto da ricercatori italiani (Galletti et al., 1993), che registrando dall'area parieto-occipitale V6A della scimmia hanno scoperto dei neuroni che rispondevano a uno stimolo visivo introdotto in una determinata posizione spaziale, indipendentemente da dove la scimmia guardasse. Il numero limitato di neuroni, tuttavia, non permette di concludere che vi sia una codifica dello spazio non oculocentrico nelle aree visive di ordine superiore.

Come si è detto, la trasformazione di coordinate è necessaria quando ci si deve muovere nello spazio. Non sorprende, perciò, che la prima dimostrazione di una codifica non oculocentrica dello spazio sia avvenuta in un'area facente parte del sistema motorio. E’ necessario premettere tre concetti. Primo, la corteccia motoria non è unica ma è costituita da almeno sette aree con funzioni differenti. Secondo, ognuna di queste aree è coinvolta in un circuito parieto-frontale dedicato; in accordo con i dati neuroanatomici, quelli neurofisiologici suggeriscono che anche la corteccia parietale possa essere considerata parte del sistema motorio. Terzo, i neuroni della corteccia motoria hanno come compito fondamentale quello di codificare lo scopo degli atti motori e non singoli movimenti.

Una delle aree motorie, l'area F4, localizzata nella corteccia premotoria ventrale, contiene neuroni motori che si attivano durante l'esecuzione di atti di raggiungimento e orientamento con il tronco, oltre a movi menti facciali di raggiungimento ed evitamento. La stimolazione elettrica di quest'area determina movimenti, spesso complessi, della spalla, del collo e della faccia (Gentilucci et al., rg88; Fogassi et al., 1996a). L'area contiene anche neuroni sensoriali, cioè neuroni somatosensoriali, che si attivano quando viene stimolata una zona cutanea della faccia, del braccio o del tronco, e bimodali, somatosensoriali e visivi, che si attivano sia per stimoli tattili, come i neuroni somatosensoriali puri, sia per stimoli visivi tridimensionali avvicinati al campo recettivo tattile o semplicemente introdotti vicino ad esso. Un aspetto molto interessante di questi neuroni bimodali è che il loro campo recettivo è tridimensionale, cioè inizia quando lo stimolo è a una certa distanza dal corpo della scimmia (al massimo 40 cm) è termina quando è in vicinanza del campo recettivo tattile. Inoltre, il campo recettivo visivo si estende per un buon numero di gradi in larghezza e altezza. All'esterno di questi campi recettivi tridimensionali non c'è risposta a stimoli visivi. Ciò è molto diverso da quanto succede per i neuroni delle aree visive, la cui risposta non dipende dalla distanza a cui viene presentato lo stimolo. Nella grande maggioranza dei neuroni bimodali il campo recettivo visivo è in registro col campo recettivo tattile. Per esempio, un neurone con un campo recettivo tattile sulla parte superiore della faccia risponderà visivamente a un oggetto che si avvicina a questa stessa regione della faccia, mentre un neurone con campo recettivo tattile sulla spalla sarà attivato da un oggetto che si avvicina a questa stessa regione di cute. Si potrebbe dire che i campi recettivi visivi di questi neuroni sono come una proiezione all'esterno dei corrispondenti campi recettivi tattili. Per questo sono stati chiamati campi recettivi «peripersonali». Sia i campi recettivi visivi che quelli tattili sono per lo più controlaterali o bilaterali. Le risposte visive dei neuroni bimodali dell'area F4 non sono oculocentriche, ma sono riferite a un sistema somatocentrico.

Questo è stato dimostrato allenando la scimmia a fissare in differenti punti dello spazio e avvicinando contemporaneamente un oggetto in direzione del campo tattile. Si è visto che la risposta visiva si manteneva per oggetti introdotti vicino al campo tattile, indipendentemente dalla posizione dell'occhio (Fogassi et al., 1992; 1996). Quindi nell'area premotoria la codifica della posizione spaziale si trasforma da retinocentrica in somatocentrica. M. Graziano e colleghi (1994) hanno inoltre dimostrato, muovendo le parti corporee interessate dalla stimolazione tattile, che il campo recettivo visivo segue quello tattile. Quindi i neuroni bimodali di F4 non hanno un sistema di riferimento singolo, ma multiplo. Due ulteriori studi del gruppo di Graziano mostrano che la codifica dello spazio nell'area F4 è riferita alle parti corporee. In uno di essi (1999) è stato dimostrato che alcuni dei neuroni bimodali rispondono anche a uno stimolo acustico introdotto nello spazio vicino al campo recettivo tattile, e che il campo recettivo acustico è congruente spazialmente con quello tattile e quello visivo. Nell'altro esperimento (1997) è stata descritta una sottocategoria di neuroni bimodali che rispondono all'introduzione di uno stimolo visivo nel campo peripersonale, ma la risposta continua anche al buio, se la scimmia è consapevole che lo stimolo è ancora vicino al corpo, cioè ne «immagina» la presenza.

L'area F4 è reciprocamente connessa con l'area VIP, che occupa il fondo del solco intraparietale. Essa riceve proiezioni anatomiche da aree che processano gli stimoli in movimento (MT, MST); inoltre riceve proiezioni parietali con proprietà somato-sensoriali. Le caratteristiche dell'area VIP sono state studiate da C. Colby e colleghi (Colby et al., 1993; Duhamel et al., 1998; Colby, 1998). Essa contiene neuroni visivi e neuroni bimodali (somatosensoriali e visivi). Le caratteristiche dei neuroni visivi sono adatte a dare informazioni su stimoli in movimento, tra cui anche stimoli in avvicinamento e in allontanamento. I neuroni bimodali sono molto simili a quelli dell'area F4, con campi recettivi tattili e visivi in registro. Tuttavia, diversamente da F4, solo una piccola percentuale di neuroni bimodali risponde a oggetti tridimensionali introdotti nel campo peripersonale. Inoltre, mentre la maggior parte dei neuroni visivi codifica lo stimolo in coordinate oculocentriche (solo il 30% ha risposte visive indipendenti dalla posizione dell'occhio), quelli che rispondono agli oggetti introdotti nel campo peripersonale sono somatocentrici. Questi dati suggeriscono che nell'area VIP avvenga un'iniziale trasformazione di coordinate, completata poi in F4. Gli esperimenti di stimolazione elettrica dell'area VIP (Thier e Andersen, 1998) hanno permesso di evocare movimenti della testa, della faccia e del braccio, suggerendo quindi che anche l'area VIP potrebbe partecipare alla codifica dei movimenti della testa verso oggetti presentati nello spazio.

Le risposte visive e uditive dei neuroni bi- e trimodali dell'area F4, essendo limitate allo spaziò peripersonale, sembrano riflettere un meccanismo che permette di ritagliare, dallo spazio infinito, un settore di spazio ancorato al corpo. Che cosa determina l'estensione in profondità di questo spazio peri-personale ? Molto verosimilmente ciò è dovuto ai vari tipi di movimenti codificati dai neuroni di F4. Infatti i campi recettivi visivi pericutanei sembrano adatti ai movimenti di raggiungimento e afferramento con la bocca, mentre quelli più estesi in profondità sembrano adatti ai movimenti di raggiungimento con il braccio o a quelli di orientamento del tronco. Se questo è vero, la risposta dei neuroni bimodali all'oggetto introdotto nel campo peripersonale non è una semplice risposta visiva, ma è già una rappresentazione motoria, cioè un «atto motorio potenziale» verso l'oggetto. In altre parole, ogni volta che un oggetto è introdotto nello spazio peripersonale, avviene un'attivazione immediata dell'atto motorio associato a quell'oggetto. Se poi il contesto lo permette, l'atto motorio potenziale viene eseguito. La rappresentazione dell'atto motorio potenziale costituisce una percezione dello spazio in termini motori. Questa interpretazione della risposta visiva dei neuroni bimodali è rafforzata da un ulteriore dato sperimentale. Quando la risposta visiva dei neuroni bimodali veniva studiata inviando lo stimolo a velocità differenti (Fogassi et al., 1996), si osservava che i l campo recettivo visivo si espandeva all'aumento della velocità, cioè il neurone iniziava a rispondere prima nel tempo e più lontano nello spazio. Ciò corrisponde esattamente alla nozione di atto motorio potenziale, perché una risposta motoria deve iniziare prima se lo stimolo giunge a maggiore velocità. Lo stesso tipo di evidenza è stato dimostrato nell'uomo in un esperimento in cui veniva richiesto ai soggetti di andare a prendere oggetti che si avvicinavano a velocità differenti (Chieffi et al., 1992). E’ stato visto che quando la velocità dell'oggetto aumentava, i soggetti iniziavano a muovere il braccio prima, quando l'oggetto era a una distanza maggiore. Questo esperimento rappresenta la traduzione in termini esecutivi di ciò che è stato visto nella scimmia in termini di atto potenziale. Quindi la rappresentazione motoria presente nel circuito F4-VIP può svolgere due compiti: effettuare una trasformazione visuomotoria per eseguire azioni nello spazio e codificare lo spazio direttamente, in termini motori. Oltre alle due aree che compongono il circuito F4-VIP, ve ne sono altre che possiedono proprietà bimodali, come quelle rinvenute nel circuito VIP-F4. Queste sono l'area MIP nel lobulo parietale superiore, l'area PEip, nello stesso lobulo di fronte a MIP, l'area PFG nel lobulo parietale inferiore e l'area F2vr nella corteccia premotoria dorsale. Le aree MIP e F2vr sono connesse tra loro e contengono entrambe neuroni bimodali correlati al braccio. Questo circuito potrebbe essere coinvolto nel controllo dei movimenti del braccio durante la sua esecuzione. Dell'area PFG si sa ancora poco, ma è stato dimostrato che vi si trovano neuroni che hanno campi tattili su porzioni della faccia e del braccio e campi visivi in registro con quelli tattili. Data la sua posizione sulla convessità del lobulo parietale inferiore, una sua lesione potrebbe causare eminegligenza spaziale.

L'area PEip presenta proprietà peculiari. Possiede anch'essa neuroni bimodali, un gruppo legato alla faccia, l'altro al braccio e alla mano, ma non contiene neuroni motori. Però un interessante studio (Iriki et al., 1996) ha dimostrato che i campi visivi peri-personali dei neuroni bimodali sono plastici. Questi autori hanno delimitato inizialmente i campi recettivi visivi dei neuroni bimodali i cui campi tattili si trovavano sulla mano o sul braccio. Poi hanno addestrato le stesse scimmie, da cui avevano precedentemente registrato, a raccogliere del cibo fuori portata utilizzando una paletta simile a quella dei croupier. Una volta che le scimmie avevano imparato, ridefinivano nuovamente l'estensione dei campi recettivi visivi dei neuroni bimodali della stessa area, trovando che questi si erano espansi a inglobare nella loro estensione anche lo strumento, come se questo fosse diventato un prolungamento del braccio. Nonostante in quest'area non vi siano neuroni motori, è chiaro che l'azione modella dinamicamente lo spazio.

Gli studi di lesione effettuati nella scimmia e nell'uomo confermano il ruolo del circuito parietofrontale descritto sopra nella codifica dello spazio. Le lesioni unilaterali della corteccia premotoria ventrale che includono l'area F4 producono deficit di natura spaziale legati sia ad aspetti motori che sensoriali. I deficit motori consistono in una riluttanza a usare l'arto controlaterale alla lesione, sia per atti spontanei sia in risposta a stimoli tattili e visivi, in una lentezza e, a volte, inaccuratezza dei movimenti di raggiungimento, e in un danno ai movimenti di afferramento con la bocca di cibo presentato nello spazio vicino alla bocca, controlateralmente alla lesione. I deficit sensoriali consistono nel trascurare gli stimoli, sia visivi che tattili, introdotti nello spazio controlaterale alla lesione, vicino alla faccia e al braccio. Per esempio, la stimolazione tattile del labbro controlaterale non evoca alcun movimento della bocca, mentre quando lo stesso stimolo è applicato al labbro ipsilaterale suscita subito una risposta motoria della bocca. E’ interessante notare come in scimmie con questa lesione vi sia una chiara dissociazione tra spazio vicino (peripersonale) e spazio lontano (extrapersonale). Se si muovono verso l'emifaccia controlaterale stimoli che spaventano l'animale, esso non reagisce con una normale risposta di chiusura delle palpebre (ammiccamento), mentre la reazione è pronta se lo stimolo è introdotto ipsi-lateralmente. Se la stessa cosa avviene lontano dall'animale, la risposta di ammiccamento si ha sia per stimoli introdotti ipsila-teralmente che per stimoli introdotti controlateralmente. Anche i movimenti oculari in direzione di stimoli visivi si evocano prontamente da lontano, ma con difficoltà se lo stimolo è introdotto nell'emispazio controlaterale vicino alla faccia. I deficit ottenuti a seguito di lesione del lobo parietale non sono così chiari come quelli prodotti dalla lesione premotoria. Lesioni dell'area VIP determinano una lieve sindrome da eminegligenza dello spazio controlaterale vicino al corpo, consistente nel mancato orientamento verso stimoli tattili o visivi applicati vicino alla faccia. È da notare, comunque, che sia i deficit da lesione dell'area premotoria ventrale sia quelli da lesione dell'area VIP si riferiscono solo allo spazio peripersonale. Si potrebbe pensare che questo sia l'unico deficit spaziale osservabile: invece G. Rizzolatti e colleghi (1983), nello stesso studio in cui eseguivano una lesione dell'area premotoria ventrale, in altri animali eseguivano una lesione dei campi oculari frontali (FEF), regione posta immediatamente davanti alla regione premotoria. La lesione dei FEF produceva un deficit assolutamente complementare. Gli animali non muovevano più gli occhi né si orientavano verso stimoli visivi presenti nello spazio extrapersonale controlaterale, mentre erano normalmente in grado di farlo nello spazio peripersonale.

Nell'uomo, il principale deficit neurologico classicamente correlato alla codifica dello spazio è l'eminegligenza spaziale. I pazienti colpiù da questa sindrome trascurano gli stimoli visivi, somatosensoriali o acustici presentati nel loro emispazio di sinistra. L'eminegligenza spaziale non è un deficit sensitivo, ma di ordine superiore. In altre parole, gli stimoli sensoriali giungono correttamente alle aree corticali visiva, somatosensoriale o acustica, ma vi è una compromissione in quell'elaborazione successiva che fa prendere consapevolezza della loro posizione spaziale. Sono state elaborate varie teorie sulla natura del deficit. Alcune hanno proposto che si tratti di una perdita della percezione di un emispazio, altre lo hanno ritenuto un problema di rappresentazione, rinvenibile anche in assenza di stimolazione esterna, altre ancora, molto influenti, lo hanno ricondotto a una perdita selettiva dell'attenzione in una parte dello spazio. Nonostante l'eminegligenza possa essere prodotta da danni a varie strutture corticali e sottocorticali, nella maggior parte dei casi deriva da una lesione al lobulo parietale inferiore di destra. Questo naturalmente è in accordo con le teorie che ritenevano questo lobulo il bersaglio terminale della via dorsale, la via del «dove», ritenuta appunto la via visiva responsabile della percezione spaziale e non di quella degli oggetti. L'eminegligenza spaziale, nell'uomo, è stata fin dall'inizio studiata soprattutto nello spazio peripersonale, in quanto i test venivano svolti al letto del paziente. Tuttavia studi più recenti hanno dimostrato anche nell'uomo la presenza di una doppia dissociazione. Nel test della bisezione di linee, per esempio, consistente nel chiedere al paziente di segnare la linea di mezzo di un segmento, normalmente il paziente con eminegligenza sposta il punto di mezzo verso destra. Tuttavia alcuni pazienti dimostrano eminegligenza quando svolgono il test vicino a sé, ma eseguono correttamente la bisezione quando la devono svolgere su segmenti presentati a distanza, con l'ausilio di un puntatore laser. Altre ricerche hanno dimostrato la dissociazione opposta. Questi dati, uniti a quelli ottenuti nella scimmia, indicano che la percezione dello spazio non è di fatto unitaria a livello di codifica cerebrale, e ciò è probabilmente dovuto al fatto che lo spazio è definito in termini degli effettori che operano in esso. Perciò la codifica dello spazio extrapersonale è direttamente legata ai movimenti dell'occhio, mentre quello peripersonale è legato ai movimenti del braccio, della faccia e della bocca, o anche della gamba, a seconda di quale settore corporeo opera nella parte di spazio interessata dalla stimolazione.

L'importanza delle azioni per la percezione dello spazio è stata già suggerita dall'esperimento di S. Chieffi e colleghi su soggetti sani, ed è ulteriormente supportata da esperimenti su pazienti con eminegligenza, che dimostrano come le mappe spaziali non sono fisse, ma dinamicamente modulate da aspetti motori. A. Berti e F. Frassinetti (2000) hanno chiesto, a un paziente con chiara dissociazione tra spazio vicino e lontano dimostrata col test della bisezione, di eseguire la bisezione di linee presentate nello spazio lontano utilizzando un bastoncino con cui potevano raggiungere le linee stesse. L'eminegligenza, prima presente solo nello spazio vicino, adesso compariva anche nello spazio lontano. Quindi, come già mostrato nella scimmia, l'uso di uno strumento estende lo spazio peripersonale, probabilmente perché viene incorporato nello schema corporeo, cioè diventa come un prolungamento del braccio. I dati neurologici sinora discussi nell'uomo e nella scimmia non permettono facilmente di tracciare un'omologia tra aree delle due specie coinvolte nella codifica dello spazio.

Però è da notare che in un recente esperimento di risonanza magnetica funzionale (Bremmer et al., 2001) si è dimostrata un'attivazione sia della corteccia premotoria ventrale che di due regioni parietali, una nel solco intraparietale e una nella convessità del lobulo parietale inferiore, a seguito dell'applicazione di stimoli tattili alla parte superiore della faccia e di stimoli visivi e acustici vicini a questa stessa regione cutanea. Le regioni parietali e frontali attivate in questo studio potrebbero corrispondere all'area premotoria F4 e alle aree VIP e PFG della scimmia, rispettivamente. In conclusione, le ricerche neuroscientifiche degli ultimi vent'anni ci hanno mostrato la complessità dell'organizzazione dello spazio a livello cerebrale. In particolare, ci hanno mostrato come lo spazio sia il derivato dell'attività di molti circuiti sensori-motori dedicati a vari tipi di effettori che ci permettono di eseguire differenti tipi di atti motori nello spazio (guardare, orientarsi, raggiungere). Un'interpretazione motoria della genesi dello spazio sembra più consona ai dati sperimentali ma anche alle osservazioni comportamentali. D'altronde, il bambino prima di nascere si forma già una rappresentazione dello spazio muovendosi. E’ dopo la nascita, potendo mettere a fuoco solo oggetti abbastanza vicini, costruisce lo spazio intorno a sé (peripersonale) attraverso i movimenti di esplorazione o di ricerca di cibo. Questo spazio motorio riceve poi una validazione nel momento in cui il sistema visivo si sviluppa completamente.

LEONARDO FOGASSI