Sogno

Sogno (1)

L'interpretazione dei sogni (Freud, 1899a) è universalmente considerata l'opera freudiana che inaugura l'interesse psicoanalitico per i I sogno e insieme la psicoanalisi stessa, sia come metodo d'indagine dell'inconscio, sia, e più specificamente, come teoria generale del funzionamento psichico. Alla base della sua impostazione troviamo due tesi, che non fondano soltanto l'onirologia freudiana, ma l'intera psicoanalisi.

1) L’esperienza bizzarra e indecifrabile del sogno, la sua apparenza spesso caotica e incongrua, non devono ingannare: questo scucito «pensiero durante il sonno» (secondo la definizione aristotelica del sogno, alla quale si attiene Freud) è provvisto di un senso, che trova le sue fonti nel sognatore, nella sua esistenza attuale e nella sua passata esperienza, anche in quella più remota dell'infanzia.

2) Il sogno rivela un funzionamento psichico che non può essere trascurato o ritenuto marginale, ma che, al contrario, deve essere considerato centrale per la comprensione del funzionamento mentale in generale. Attribuire alle proprie scoperte sul sogno un carattere scientifico è un'aspirazione precisa di Freud. La tesi che il sogno abbia un senso - sia pure latente e che occorre svelare - comporta per lui sostenere che la figurazione onirica è una sorta di linguaggio per immagini, che obbedisce a regole di composizione individuabili, mediante le quali si può risalire dall'apparenza manifesta del sogno al pensiero latente del sognatore. Non rinunciando all'idea di una finalizzazione comunicativo-espressiva del sogno, si dimostra che quello onirico è un vero linguaggio sui generis, un linguaggio visuo-rappresentativo, per comprendere il quale occorre passare attraverso il sognatore. Ma ciò richiede una tecnica che si differenzia da quella antica, per esempio quella di Artemidoro di Daldi, in un punto essenziale: essa «impone il lavoro dell'interpretazione al sognatore stesso». Questo principio differenzia l'interpretazione «scientifica» del sogno dall'oniromanzia popolare, fantasiosa o ciarlatanesca. A partire dall'applicazione del metodo associativo, Freud scopre nel sogno la realizzazione allucinatoria del desiderio del sognatore. Questa dell'appagamento del desiderio è una vera teoria, che viene messa alla prova sistematicamente mediante l'analisi di sogni propri e altrui, di persone sane e nevrotiche: essa conduce a individuare una serie di caratteristiche proprie del linguaggio onirico. I desideri che si esprimono nei sogni sono camuffati, e queste trasformazioni, che mascherano il desiderio, richiedono di essere dettagliatamente individuate. La coppia manifesto/latente è decisiva per intendere questa trasformazione. Il testo del sogno, o il suo senso (o non-senso) manifesto, richiede di essere: a) scomposto in tutte le sue parti, ognuna delle quali deve divenire il punto di partenza delle associazioni del sognatore; b) contestualizzato con elementi tratti dalla vita vigile e attuale del soggetto; c) riferito all'esperienza infantile del soggetto così come essa può essere ricordata o ricostruita. Freud sviluppa il discorso interpretativo in due direzioni: morfologica e funzionale. Se il sogno è un'attività che dà come realizzato il desiderio, occorre determinare la morfologia delle trasformazioni che esso subisce: a) la deformazione dei pensieri di desiderio del sogno soggiace a una censura, che ne altera la formulazione con tutti gli strumenti di cui anche il linguaggio corrente dispone per attuare simili travestimenti nella veglia; b) esistono poi la condensazione e lo spostamento delle intensità psichiche originariamente collegate a certi elementi del pensiero latente su altri elementi indifferenti: entrambi i meccanismi non sono altro che specificazioni di modalità con cui si attua l'attività censurante. Le funzioni proposizionali del discorso vigile (i se, perché, come se, benché, o... o, ecc.) vengono sottoposte nel sogno a trattamenti figurativi specifici, collegati al «genere» visuo-rappresentativo che caratterizza sempre l'onirico. Il sogno, come una pittura, piega all'esigenza della sua figuralità i pensieri che in esso trovano espressione. Ma questi pensieri subiscono - nel lavoro onirico preliminare, volto a condurli a unità e concisione - una serie di mutamenti: selezione e distribuzione delle possibilità espressive sono simili a quelle che si riscontrano nell'attività poetica e nel gioco di parole, di cui Freud si occuperà dettagliatamente (1905b). La parola, in quanto «polisenso predestinato» e «punto nodale di molteplici rappresentazioni», favorisce la sostituzione dell'espressione diretta con modalità figurate che alla fine risultano difficili da comprendere. La raffigurazione del sogno, dunque, non si propone di essere compresa: al fine della comprensione essa è eccessivamente multilaterale, ma per Freud questa multilateralità non significa che si tratti di una struttura polisemica che apre la possibilità a interpretazioni illimitate. Da quest'ultimo punto di vista il sogno è da considerarsi vincolato come una scrittura, sia pure una scrittura geroglifica, o come un rebus. Insomma, il sogno è un processo espressivo con bassa intenzione comunicativa e tuttavia provvisto di specificità: un linguaggio destinato più all'espressione che alla comunicazione, il prodotto di un compromesso tra esigenze e intenzioni differenti e spesso contrastanti. L'apparato psichico, qual è suggerito dallo studio della vita onirica, è qualcosa su cui noi possiamo congetturare soltanto. Mentre la procedura dell'interpretazione può essere esibita nei suoi percorsi e, se accuratamente documentata e argomentata, produrre delle evidenze plausibili. La località psichica, che attraverso il sogno Freud cerca di delimitare - e che occorre guardarsi dal definire in senso anatomico - è oggetto di una congettura che si serve dell'impianto descrittivo-funzionale del Progetto, liberandolo da ogni riferimento neurale, ma conservando la tendenza a scomporre, individuando funzioni e cercando di indovinare la composizione dello strumento psichico partendo dalla scomposizione.

La celebre rappresentazione ausiliaria (Hilfs-vorstellung), alla quale Freud fa ricorso nel VII capitolo dell’Interpretazione dei sogni, è l'analogia dell'apparato psichico con un sistema ottico composito: pressappoco un microscopio composto, un telescopio o una macchina fotografica. Questo tipo di apparecchio consente una sorta di localizzazione virtuale dell'immagine, una spazializzazione atopica, se così si può dire, di «regioni almeno in parte ideali», delle quali non esiste «alcuna componente tangibile » in questo dispositivo composito. Ma al tempo stesso Freud non rinuncia, nel medesimo contesto, ad appellarsi al modello dell'arco riflesso, che, decorrendo da un'estremità sensitiva a una motoria, fornisce una direzione al sistema evocato; tra questi due estremi vi deve essere lo spazio per giustificare la scarica e l'azione, la ritenzione della memoria, il formarsi di rappresentazioni e allucinazioni. Già nell’Interpretazione dei sogni sono introdotte delle istanze (che verranno chiarendosi e cambiando fisionomia nei successivi sviluppi, particolarmente dopo il 1920): un'istanza critica e un'istanza criticata, che devono rendere ragione della censura onirica, attività responsabile dei camuffamenti e delle trasformazioni ai quali sottostà il «testo» dei pensieri del sogno. Freud osserva che, se chiamiamo progressivo il moto che conduce alla scarica, nel sogno troviamo un'inversione di tale movimento: una regressione. Ad essa si deve correlare quella trasformazione della rappresentazione o del ricordo in immagine sensoriale allucinatoria che caratterizza il sogno. L'apparato - nel suo funzionamento rovesciato e regrediente - «spiega» la trasformazione dei pensieri in immagini; suggerisce inoltre due luoghi dai quali si originano i pensieri dei sogni: a) l'infanzia personale del sognatore, per quanto riguarda sia i moti pulsionali in gioco sia le loro modalità espressive; b) l'infanzia filogenetica, giacché - scrive Freud appoggiandosi a un pensiero di Nietzsche - nel sogno «sopravvive un antichissimo brano di umanità», che non si può più quasi raggiungere per via diretta. Questi due riferimenti hanno uno statuto assai differente: più empirico e personale il primo (all'infanzia conducono prima o poi inesorabilmente le associazioni libere dei pazienti); più congetturale il secondo, in quanto scaturisce da un'elaborazione dei materiali entro un certo quadro teoretico (per esempio darwiniano), che induce a immaginare in certe direzioni.

Sogno e nevrosi ci hanno conservato delle antichità psichiche»: su di esse si potranno operare interpretazioni e costruzioni derivate da materiali diversi, ma comunque estratti dal paziente grazie alla tecnica analitica e al lavoro dell'interprete. Una posizione e un lavoro ai quali è chiamato lo stesso sognatore, con il suo indispensabile contributo autoanalitico, anche quando egli viene guidato dal terapeuta. Lo strumento psichico viene attivato dal desiderio, di cui il sogno non è che l'espressione. Freud fa consistere il desiderio nel tentativo dell'appaiato psichico di ricreare allucinatoriamente le condizioni del primo soddisfacimento. Le tensioni funzionali e i compiù che vengono posti all'apparato psichico sono sostanzialmente simili a quelli enunciati nel Progetto. Il modello che viene riproposto è ancora quello del «bambino affamato e senza aiuto», in uno stato di bisogno e di necessità organismica che soltanto un adulto soccorritore può far cessare, procurando all'infante l'esperienza di soddisfacimento, esperienza che egli non è in grado di darsi da sé e che tenterà di riprodurre successivamente in modo autonomo, ma per via regressiva, al ripresentarsi del bisogno stesso. Da tale impostazione scaturiscono precisazioni e distinzioni che avranno un valore fondamentale nella concezione psicoanalitica. 1) Alla via breve, diretta, di ottenere il soddisfacimento è fatta corrispondere un'attività primaria (processo primario), presente tipicamente nell'infanzia, nel sogno, nella fantasia e nelle psicosi allucinatorie. 2) Il processo secondario origina da una vicissitudine che dalla ricerca del soddisfacimento conduce all'esperienza di dispiacere. Esso è indotto dall'intrinseca inefficienza funzionale della modalità primaria. Dalla delusione che sorge dall'allucinazione e dall'insistenza del bisogno endogeno origina un'«amara esperienza vitale», che costringe il sistema a tener conto della realtà materiale dell'oggetto. In seguito a ciò la regressione e le forme allucinatorie di soddisfacimento tenderanno a essere relegate nell'inconscio, senza avere alcun effetto sulla motilità volontaria, semplicemente perché la via primaria conduce allo scacco, produce lo sviluppo di dispiacere ed è funzionalmente improduttiva. Il senso del sogno consiste nel suo essere un'attività del desiderio, che subisce un particolare decorso nel regime di sonno. Questo decorso ha indotto a ipotizzare un modello di apparato psichico caratterizzato da certe modalità di funzionamento. Si coordinano attorno a ciò una serie di ipotesi circa l'esistenza di un'attività psichica inconscia, comune sia al sano sia al malato di mente. Tale impostazione - dinamica, in quanto concepisce un gioco di forze tra parti dell'apparato funzionalmente distinte - può essere estesa in numerose direzioni: alla psicopatologia, al comico e al riso, a certe manifestazioni di disfunzione, come i lapsus, le sbadataggini e simili.

Appartiene dunque al quadro teorico conclusivo dell'Interpretazione dei sogni la valorizzazione massima di quest'attività psichica inconscia. Rispetto al territorio inconscio, inaccessibile se non per inferenza, il sogno è da considerarsi, come Freud dice, la via regia di accesso. Dopo L'interpretazione dei sogni, il terreno che Freud studia è psichico, è lo psichico, che va contrapposto alla realtà materiale, ma la cui sostanza è in stretto rapporto con l'esperienza oggettuale reale, da un lato, e con il desiderio, dall'altro: nella sua revisione del 1919 Freud afferma di non essere in grado di dire se si debba riconoscere una realtà ai desideri inconsci. Quando si hanno di fronte i desideri inconsci, portati alla loro espressione ultima e più vera, bisogna dire che la realtà psichica è una particolare forma di esistenza che non deve essere confusa con la realtà materiale. Attraverso lo studio del sogno, Freud ha scoperto che il desiderio deve essere considerato come il primum movens non solo del sogno stesso, ma di tutto lo sviluppo psichico, e che nella genesi dei sintomi delle psiconevrosi non semplicemente l'esperienza traumatica, ma ancora il desiderio deve essere indicato come il punto di partenza. Una splendida metafora dalle molte risonanze dà corpo al momento in cui il desiderio diventa il principio ordinatore del groviglio associativo, mnestico ed esperienziale: il desiderio si eleva dal punto più fitto dell'intrico retiforme del nostro mondo intellettuale «come il fungo dal suo micelio». Il fungo del desiderio è il complemento naturale delle espansioni filiformi che fanno capo a esso, la configurazione formata e visibile assunta sul terreno dall'intreccio molteplice e sotterraneo. La psiche che la psicoanalisi studia sarà d'ora in avanti questo terreno, ciò che si trova in esso. Accanto a questo impianto, metodologico, metapsicologico e mirante a utilizzare il sogno per costruire una teoria dello psichico che considerava l'inconscio come un suo aspetto costitutivo, si svilupperà un'altra esigenza del pari fondamentale: quella dell'impiego del sogno e della sua interpretazione nella pratica clinico-terapeutica. Già Freud aveva osservato che la clinica introduce altre esigenze, oltre a quelle espresse nell’Interpretazione dei sogni. Occorre considerare inoltre che Freud fece le sue scoperte sul sogno grazie alla propria autoanalisi. D. Anzieu (1959) ha fornito un dettagliato studio sull'intreccio tra l'analisi dei propri sogni da parte di Freud e l'edificazione della scienza dei sogni. Nel 1900 né il complesso edipico, né il transfert erano stati ancora veramente individuati e concettualmente elaborati. Solo vent'anni dopo saranno precisati i personaggi intrapsichici della seconda topica: l'Io, il Super-io, l'ideale dell'Io, l'Es, essenziali per comprendere il teatro del sogno e il repertorio dei suoi canovacci. Il peso della distruttività e il ruolo della dimensione materna per lo sviluppo del bambino erano solo intuiti, ma non toccherà a Freud considerarli come aspetti fondamentali della teoria e della clinica. Nonostante tutte queste limitazioni, egli ritenne a buon diritto di aver scoperto mediante il sogno qualcosa di valore assoluto, che c'informa del funzionamento psichico in generale e che soprattutto schiude la via allo studio dell'inconscio. Lo stato attuale dell'onirologia psicoanalitica mostra la grande evoluzione clinica e teorica avvenuta in un secolo di psicoanalisi e la presenza di numerosi problemi che finiscono col mettere in discussione l'impianto freudiano originario. Vediamo sintetica-

mente i principali punti di questi sviluppi La via regia del sogno è delimitata da due va sti territori, spesso oggetto di discussioni, q non di vere controversie. Da un lato quello dell'ipervalutazione del sogno, ritenuto non veramente distinguibile dal pensiero della veglia e considerato fortemente necessario alla formulazione del pensiero e dell'azione. Ciò anima un'incertezza, o addirittura una conflittualità specifica, relativa a ciò che si deve considerare «reale». Il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, tra phantasieren e atteggiamento realistico-pratico, che nell'Interpretazione dei sogni trova le sue prime enunciazioni, continua a suscitare incertezze in molti autori. Dall'altro troviamo ancora il territorio meno vasto, ma scientificamente agguerrito, della squalificazione del sogno, visto come un'attività solo illusoriamente significante e che viene svalutata a vario titolo come priva di senso, o in ogni modo non meritevole di essere presa in considerazione come pensiero direzionato, finalizzato e men che meno come rivelatore di qualcosa d'essenziale per l'esperienza umana: un aggregato casuale d'immagini alla rinfusa, prive della dignità di un fatto psichico, al quale solo secondariamente viene attribuito un significato. Se pensassimo che sogno e veglia siano un tutto veramente indiscernibile, o se ritenessimo che il sogno sia un prodotto marginale della mente, un suo scarto insignificante e casuale, l'interpretazione dei sogni non sarebbe neppure concepibile. Se la crediamo possibile, resta in ogni caso da stabilire la proporzione da assegnare al sogno e alla veglia per un funzionamento mentale sano. Dalla gestione di questa proporzione sono nati sviluppi teorici e stili psicoanaiitici differenti da quelli di Freud. Alcuni analisti ritengono oggi soprattutto raccomandabile non solo e non tanto interpretare il sogno, quanto giocare col sogno, sognare sul sogno e col sogno (Bolognini, 2000), rispettare l'illusione o per ampi tratti addirittura favorirla. Quando questa capacità di illusione risulta insufficiente, occorre allora non affrettarsi ad abbassare il volo della rappresentazione onirica su quel piano di valutazione critica - una critica dell'immaginazioni- che è una meta consistente della Deutung freudiana. In ogni caso il rapporto della razionalità col sogno e l'illusione è un problema di grande interesse, che riguarda

l 'ideologia, la cultura e la vita dell'uomo: una proporzione antropologica che investe anche la clinica psicoanalitica e il modo con cui intendiamo le sue finalità.

Per uno psicopatologo odierno non particolarmente orientato dalla psicoanalisi, i sogni o non vengono considerati o, se lo sono, conducono a valutazioni e impieghi assai variabili. Due di questi usi paradigmatici, in netto contrasto fra loro, meritano attenzione.

Chi ha interessi neurobiologici prevalenti è soprattutto attento ai correlati anatomofisiologici del sogno, all'EEG durante il sonno, alla registrazione dei movimenti oculari del dormiente, ecc. Non interessa il sogno come tale, ma l'idea di poter cogliere un'attività di pensiero, quella del sogno, in flagrante connessione con modificazioni obiettivabili del substrato neurale. Ciò permette di lanciare ipotesi sulla connessione tra psicopatologia, sogno e processi neurali. L'analogia antichissima tra sogno, stati allucinatori onirici e stati psicotici di vario tipo viene elaborata con riferimento al funzionamento cerebrale. Ci si allontana così dalla dimensione psicologica del sogno, dall'idea di un senso del sogno, per scorgere nell'onirico così prospettato una via d'accesso privilegiata alle basi neurali delle funzioni psichiche più complesse. All'estremo opposto si colloca chi enfatizza il sogno come forma specifica di esistenza, rivelatrice della sostanza immaginativa del linguaggio e delle forme dello spirito. Questa posizione fu espressa con forza da L. Binswanger, per esempio nel suo saggio Sogno ed esistenza del 1930. Il sogno viene allora paragonato al mito o alla parola poetica. Poesia, sogno e mito, con le loro plastiche allegorie e similitudini, ci parlano della vita spirituale dell'uomo, della sua esistenza pili propria. Il sogno per Binswanger va assai oltre l'idea che ne aveva Freud, accusato di eccessivo «naturalismo». Non sono mancati i tentativi di saldare questi vari livelli in un'unica concezione, per esempio ad opera di H. Ey e del suo organodinamismo.

Il sogno in psicoanalisi richiede, per la sua interpretazione, di essere contestualizzato. Ma è diverso se il quadro contestuale è attinto dalle libere associazioni del sognatore o da quelle dell'interprete. Se è costituito da associazioni che partono dalle disiecta membra del testo onirico, come voleva inizialmente Freud, o da materiali differenti, più o meno distanti dal sogno (i discorsi della seduta, i resti diurni, la conoscenza personale del sognatore, i rumori provenienti dalla stanza accanto, ecc.). La gamma delle possibili connessioni, la duplice direzione centrifuga e centripeta delle associazioni rispetto al sogno, i fattori emotivi variabili che regolano l'esecuzione dell'interpretazione e il suo stile, gli effetti di confusione e chiarificazione che tutto questo produce, l'attivazione di ricordi: tutto mostra che l'insieme mobilitato non è meno complesso del processo che conduce alla formazione del sogno. È evidente che un conflitto d'interpretazioni si trasforma subito in un conflitto tra sognatore e interprete e che di ciò il paziente e i suoi sogni possono a un certo punto parlare. Attorno al sogno si animano alleanze e discordie, secondo scenari che nell’Interpretazione dei sogni sono appena accennati, e che sono divenuti un'importante materia dell'analisi e del dibattito sul sogno, dopo la scoperta del transfert, del controtransfert e dell'identificazione proiettiva. Il fatto che il modello interpretativo del sogno sia stato enormemente esteso da Freud stesso e dai suoi successori ha avuto conseguenze non trascurabili. Troviamo applicati i criteri e i modelli dell’Interpretazione dei sogni alla comprensione del sintomo nevrotico, la cui formazione deriva di peso dai meccanismi di formazione del sogno del vi capitolo dell'Interpretazione. Ma li troviamo estesi alla comprensione anche dell'acting out o dell'acting in, dilagare nell'azione, nelle paraprassie, nei sogni a occhi aperti della veglia, nel delirio in generale, e soprattutto in quella commistione del sogno con la realtà che caratterizza il gioco. L'uso metodologico del gioco sostituisce, con M. Klein, la tecnica delle libere associazioni nella psicoanalisi infantile. Il gioco infantile in presenza dell'analista, mostrando il sogno agito nella veglia, scardina il regime di isolamento del sogno prodotto nel sonno. Con la Klein l'azione ludica del bambino mostra che la vita vigile è compenetrata dal sogno, e consente di vedere singole componenti del comportamento come tessere per la costruzione di una fantasia inconscia attivamente operante entro il soggetto. All'analista il compito di immettersi nella dimensione immaginativa del paziente, attivando le proprie facoltà di rêverie. Oscillare tra sogno e realtà finisce per essere una prerogativa richiesta all'atteggiamento analitico. L'incapacità di sognare o, al contrario, l'essere troppo catturati dal sogno e inabili a valutare la realtà, diventano invece attributi della patologia psichica più grave. Già Freud si era espresso sulla subordinazione dell'interpretazione dei sogni alle esigenze del lavoro clinico con i pazienti. Estremizzando la posizione di subordinazione relazionale del sogno, questo può essere assunto come comunicazione sul gioco relazionale in atto nella cura, con riferimento alla seduta in corso o a quelle di poco precedenti. In questo tipo di interpretazione, riferita all'immediato hic et nunc, il sogno diventa un indice rispetto al dialogo presente, o il termometro del campo relazionale. L'interpretazione, in tale caso, si limita a cogliere lo stato emotivo attuale della relazione, permettendo di rappresentarla a un livello che altrimenti resterebbe implicito. Il lavoro analitico può trasformare il sogno in qualcosa di nuovo rispetto ai materiali di partenza. Di queste trasformazioni si può parlare in molti modi, con metafore che rendono conto delle componenti parziali ed eterogenee in gioco, come fa Freud, o dei processi mentali ogni volta implicati, come farà W. Bion proponendo altre immagini. La rêverie materna di Bion e il va e vieni delle identificazioni proiettive rappresentano il modello generale di questo procedimento, che concorre a una sorta di «onirizzazione» del lavoro analitico, con una varietà di accenti, nei quali si gioca la concezione di ciascun analista.

In conclusione, dopo un secolo di incessante pratica analitica del sogno e di riflessione sull'esperienza dell'onirico, possiamo chiederci cosa ci aspettiamo che un sogno rappresenti. Freud ci ha insegnato ad attenderà dal sogno la realizzazione del desiderio inconscio: e anche a immaginare il processo che conduce al sogno attraverso la messa in scena del desiderio. Un desiderio che subisce l'effetto del divieto, ricevendo specifiche deformazioni e alterazioni discorsive, oltre a quelle prodotte dalla stessa messa in scena. A essere inscenati dal sogno sono innanzitutto il proprio corpo, i suoi bisogni e le sue tensioni. La struttura portante del sogno è di tipo autoscopico. Il corpo con le sue tensioni fornisce quinte, fondali e arredi alla fantasmagoria autoscopica di un mondo interno. Viene data realtà di ambiente, di paesaggio, di scena a quell'interiorità - bella o brutta, ricca o squallida - che solo attraverso il sogno riusciamo finalmente a «vedere» concretamente. La realtà psichica viene rappresentata nella sua estensione immaginaria e con la sua variabile caratterizzazione. Il sogno, come autorappresentazione della psiche o della mente, si serve degli elementi che la realtà dell'esperienza e del linguaggio gli forniscono: le parole, le cose e le loro rappresentazioni; per aggregarle nell'apparenza di un quadro spaziotemporale sottratto di diritto alle leggi della realtà. L'appagamento dell'istanza eminentemente narcisistica dell'autorappresentazione, sullo sfondo dell'invisibile «schermo bianco» del sogno (descritto da B. Lewin, 1946; 1953) tende a funzionare come fondamentale principio della costruzione onirica. Gli attori convocati nel sogno rappresentano sempre le varie parti delle quali il Sé si compone, le sue differenti voci interiori; ma sono anche veri personaggi, oggetti d'amore o di odio, ostacoli posti al desiderio del soggetto. Il sognatore-spettatore non è in grado di riconoscere che il suo sogno è sempre di una stoffa autoscopica e che su di essa si disegnano, i suoi desideri. In primo luogo il desiderio di rappresentare ciò che non si è potuto realizzare, in un'esteriorizzazione accattivante entro la quale egli stesso si vede muovere, agire, dialogare. Il teatro condivide queste stesse caratteristiche con il sogno.

Il sogno ha insegnato che occorre distinguere l'apparenza narrativa e testuale inscenata dal suo pensiero latente; e che la drammatizzazione onirica avviene nel gioco tra regressione e censura. La censura esercita i suoi effetti di alterazione e mascheramento simbolico su un testo che altrimenti non sarebbe mai stato rappresentato, se non dalle allusioni del sintomo nevrotico o nelle proiezioni della paranoia: in forme cioè indecifrabili e in luoghi dove un pubblico perspicace e partecipe è solitamente assente.

Va infine sottolineato un punto che accomuna la funzione onirica, la rappresentazione dell'arte e del teatro e l'interpretazione analitica. Il sogno permette di dare al desiderio che si esprime in esso una curvatura specifica del tutto generale: nel sogno non si desidera solo l'oggetto amato, assente o perduto, e che la rappresentazione onirica ricrea. La rappresentazione in opera nei sonni scongiura, domina e così allontana una minaccia. La minaccia da scongiurare è la morte, la perdita di sé o dell'oggetto d'amore; il dolore psichico travolgente e anche il rischio del disordine totale, che renderebbe l’esperienza innominabile e caotica. Contro questi tipi di caduta il sogno, l'arte e l'interpretazione analitica edificano il loro ordine, l'ordine elementare di una rappresentazione, là dove l'Io potrebbe venire meno o smarrirsi, precipitato dalla malattia, dalla trasgressione, dalla passione, dalla punizioni- del dio o dalla colpa nella confusione e nell'accecamento.

Gli sviluppi postfreudiani hanno insomma arricchito e di molto dilatato l'impostazione dell'Interpretazione dei sogni, adeguandoli al nostro tempo, e assegnando alla mente una funzione onirica, che, come attributo essenziale dell'ominazione, continuerà ancora a interrogare la disciplina che ha preteso di costruire una moderna scienza psicologica del sogno.

FAUSTO PETRELLA

Sogno (2)

In questa voce non si tratterà del contenuto dei sogni, ma soltanto dei meccanismi nervosi che sono apparentemente coinvolti nella loro genesi. La stretta correlazione tra sonno e sogno sembra attenuata dall'uso di verbi diversi per indicare le due attività, il che sembra separare il sonno dalla parte più ambigua del sogno, che è apparsa essere il suo uso, da parte dei demoni o delle divinità, per ispirare all'uomo il comportamento da tenere durante la veglia dell'operare quotidiano. Tuttavia, l'aspetto pubblico del sogno non presenta solo il volto soprannaturale, perché esso si tramuta in relazione interpersonale per il tramite sia dell'influenza esercitata sull'agire, sia della narrazione dei suoi contenuti. Quando è condivisa emotivamente, l'esperienza individuale può divenire una fonte inesauribile di interesse per l'ascoltatore o il lettore e, dunque, non è un caso che sia stato il gioco della relazione tra forze soprannaturali e umane a tenere costantemente il sogno entro i percorsi narrativi di tutte le culture. Per quanto l'affrancamento dell'agire umano dall'intervento costante del soprannaturale sia uno dei frutti del progresso tecnico-scientifico, è probabile che l'evento che ha avuto singolarmente più peso sia stata la pubblicazione, nel 1899, di uno degli scritti più conosciuti di S. Freud, L'interpretazione dei sogni. Come è ben noto, in questo lavoro Freud non solo attribuì lo studio del sogno alla psicologia, ma lo sottrasse definitivamente al soprannaturale perché, attraverso il metodo totalmente nuovo dell'interpretazione del narrato onirico, si poteva percorrere la via che conduceva all'inconscio e arrivare ai processi fondamentali della costituzione della psiche. Nonostante la psicologia come scienza sperimentale abbia atteso circa cinquant'anni per occuparsi sistematicamente dell'argomento e, attraverso questo, del sonno, oggi l'indagine scientifica del sogno è ben radicata nel campo delle neuroscienze e spazia dal settore delle scienze cognitive, che si occupano dei contenuti onirici e possono essere considerate per questo uno sviluppo di retto della psicologia, a quello della neurobiologia che si occupa dei processi nervosi sottostanti e rappresenta la prosecuzione della cosiddetta «linea analitica della neurofisiologia». A fronte di questa articolata struttura d'indagine, appare però che gli specialisti che si occupano del sogno fatichino a trovare una definizione condivisa del fenomeno. E’ probabile che sia l'approccio cognitivista a fornire la definizione operazionale più efficace, perché esso vede il sogno come un'attività mentale correlabile a stati comportamentali delineati obiettivamente dall 'elettroencefalografia. La ricerca concernente la neurobiologia del sogno viene fatta tradizionalmente partire dalla data della scoperta del sonno rem avvenuta nel 1953, nell'uomo, a opera di E. Aserinsky e N. Kleitman. Come conseguenza, si ha che il corpo principale dell'analisi scientifica del sogno si colloca entro il periodo moderno-contemporaneo della ricerca ipnica. Come è stato fatto notare da uno dei protagonisti di questa fase iniziale (Dement, 2003), l'attribuzione di questa scoperta deriva da una considerazione a posteriori dell'evento, perché l'accettazione dell'esistenza di questa seconda fase ipnica richiese alcuni anni, mentre nell'osservazione originale del 1953 ci si limitò a stabilire che l'attività onirica dei soggetti esaminati coincideva con significativa prevalenza con un tracciato elcttroencefalografico (eeg) simile alla veglia e con l'apparire di movimenti oculari rapidi. Questo fu confermato da altre osservazioni provenienti dallo stesso laboratorio e, nel contempo, fu anche stabilito che il migliore indicatore della presenza di un'attività onirica fosse I'eeg, piuttosto che i movimenti oculari. In effetti, poiché l'attività mentale notata nel periodo di sincronizzazione dell'EEG, ovvero nel sonno non-REM, tendeva a ridursi con la distanza dal periodo di desincronizzazione precedente a quello indagato, si ipotizzò che questa costituisse un residuo mnestico dalla fase precedente (Dement e Kleitman, 1957). In questo modo avvenne che il processo analitico che portò, in una decina di anni, alla piena accettazione dell'esistenza del sonno rem, si saldasse a quello che portò alla segregazione dell'attività onirica all'interno di questa fase ipnica. In relazione a ciò, si può ragionevolmente ipotizzare che l'anomalia neurofisiologica, rappresentata dal sonno rem, divenisse la cornice biologica entro la quale si potevano agevolmente inserire le anomalie esperienziali dell'attività onirica. Questa posizione è poi travalicata entro l'approccio pili radicale della neurobiologia che, ritenendo che l'attività mentale sia esattamente coincidente (isomorfa) con l'attività nervosa, non ha avuto difficoltà a sostenere che l'attività onirica durante il sonno rem rappresentasse il sognare in maniera così fondamentale da giustificare di trascurare i contenuti onirici del sonno non-REM. Su questo fondamento si potrebbe affrontare il problema dei meccanismi nervosi del sogno distinguendo un'attività mentale onirica REM-dipendente e un'attività mentale onirica REM-indipendente. L'attività mentale onirica REM-dipendente è sostenuta da tre teorie avanzate da alcuni dei protagonisti di questa ricerca, in particolare J. Hobson e R. McCarley: 1) genesi troncoencefalica del sonno rem in base al modello dell'inibizione reciproca (Hobson et al., 1975;); 2) genesi dell'attività onirica durante il sonno rem per attivazione generale, ovvero non mirata, della corteccia cerebrale e successivo intervento di sintesi dei meccanismi mentali di questa informazione generata entro il sistema nervoso (modello di attivazione-sintesi, Hobson e McCarley, 1977); 3) modello di attivazione-informazione-modulazione (aim; Hobson et al., 2000), che incorpora in un'elaborazione più sofisticata le ipotesi precedenti. La localizzazione nel tronco dell'encefalo dei meccanismi del sonno rem ha il suo fondamento in alcune osservazioni effettuate da M. Jouvet negli anni '60 del secolo scorso, secondo le quali: a) il cervello isolato dal tronco dell'encefalo non era in grado di produrre i segni distintivi del sonno rem; b) il tronco dell'encefalo isolato dalla massa cerebrale era invece in grado di generare, con un ritmo paragonabile a quello dell'animale intatto, i segni della presenza del sonno rem, la caduta del tono muscolare e l'attività nervosa fasica registrabile dal ponte (la struttura intermedia del tronco dell'encefalo) e da altre zone cerebrali (cosiddetta attività ponto-genicolo-occipitale o pgo); c) la distruzione di una porzione localizzata del ponte aboliva la comparsa del sonno rem; d) la stimolazione elettrica della stessa porzione induceva la comparsa del sonno rem quando l'animale si trovava in sonno non-REM. Sulla base di questi e altri risultati, Jouvet ipotizzò che alcuni neuroni della formazione reticolare del tronco dell'encefalo, che usavano come neurotrasmettitori una classe di sostanze definite chimicamente come monoamine, fossero coinvolti nel controllo del ciclo veglia/sonno (teoria monoaminergica del sonno). In particolare, i neuroni che utilizzavano serotonina erano considerati responsabili sia della genesi del sonno non-REM, sia dell'avvio del sonno rem, mentre quelli che utilizzavano noradrenalina si riteneva governassero i meccanismi della comparsa del sonno rem. Sosteneva la possibilità di questa attività la neuroanatomia, che aveva dimostrato come queste cellule innervassero direttamente l'intero cervello senza passare attraverso la principale stazione di arrivo dell'informazione sensoriale diretta al cervello (il talamo). L'ipotesi dell'inibizione reciproca rappresenta la trasformazione della teoria monoa-minergica operata dalla neurobiologia grazie a un'analisi fine dell'attività cellulare. Secondo questa ipotesi, i neuroni serotoniner-gici e noradrenergici pontini diminuirebbero la loro attività durante il sonno non-REM e la cesserebbero completamente al manifestarsi del sonno rem (cellule KEM-off), mentre l'attività della popolazione più vasta della formazione reticolare pontina, costituita da cellule contenenti acetilcolina, seguirebbe un andamento esattamente inverso (cellule REM-on); in particolare sarebbero le cellule colinergiche, tenute sotto controllo inibitorio da parte di quelle monoaminergiche, a essere responsabili della genesi del sonno rem. La teoria dell'attivazione-sintesi integra questi dati con altri, nel contempo forniti dall'anatomia, che ha potuto meglio delineare i circuiti nervosi sulla base del tipo di sostanze presenti nelle cellule, e dalla fisiologia, che ha mostrato come i neurotrasmettitori utilizzati in alcuni di questi circuiti inducessero, anche a seguito di una sola stimolazione, effetti prolungati sull'attività che sono stati definiti, per questo, di modulazione. Secondo questa teoria, l'attività delle cellule della formazione reticolare del ponte si esplicherebbe su aggregati di cellule colinergiche delle regioni cerebrali basali che, come quelle monoaminergiche, influenzano le aree cerebrali senza passare attraverso il talamo. Il cervello, modulato durante la veglia e il sonno non-REM dall'attività sia monoaminergica, sia colinergica, rimarrebbe privo dell'apporto monoaminer-gico durante il sonno rem e soggetto a uno sbilanciamento funzionale in favore dell'attivazione colinergica, che sarebbe alla base delle caratteristiche salienti dell'attività onirica.

L'ipotesi aim non è che una versione più raffinata della teoria precedente, elaborata in seguito a ulteriori progressi dell'indagine neurobiologica, che ha precisato i circuiti cerebrali che sono alla base dei ritmi eeg, e alla possibilità di utilizzare le mappe funzionali fornite dalla cosiddetta analisi di immagine. L'attivazione è sostenuta fondamentalmente dall'azione di circuiti che interconnettono corteccia cerebrale e talamo. L'indagine recente (Steriade, 2005) ha dimostrato che il talamo costituisce la stazione nervosa ove il flusso di informazione sensoriale, diretto alla corteccia cerebrale, viene regolato entro due limiti estremi rappresentati dall'inibizione, durante il sonno non-REM e dalla facilitazione durante il sonno rem e la veglia. Cellule corticali e talamiche entrano in contatto reciproco e formano un sistema oscillante che è alla base dell'attività ritmica registrata dall'EEG: quella del sonno non-REM avrebbe genesi nell'oscillatore talamo-corticale, mentre quella del sonno rem e della veglia sarebbe frutto dell'interazione tra l'oscillatore talamo-corticale e i neuroni colinergici della formazione reticolare del ponte.

L'analisi circuitale più moderna sembra così confermare una delle ipotesi iniziali, secondo la quale il sonno (attualmente il sonno non-REM) sarebbe determinato da una deafferentazione funzionale della corteccia cerebrale. Tuttavia, essa fornisce anche il fondamento su cui poggia la genesi di quella informazione che spiegherebbe i contenuti onirici peculiari del sonno rem e che sarebbe costituita da un «flusso sensoriale», interno al sistema nervoso centrale, rappresentato dalla diffusione cerebrale dell'attività pgo. Questa informazione interna agirebbe in assenza del suo equivalente proveniente dal mondo esterno, che risulterebbe, come sopra accennato, inibito. Come abbiamo visto in precedenza, durante il sonno rem la modulazione dell'attività corticale cerebrale si modifica perché rimarrebbe in azione il solo controllo colinergico, mentre verrebbe a mancare quello noradrenergico. Uno dei moderni apparati tecnici delle neuroscienze, l'analisi di immagine, sembra poter rappresentare queste modificazioni contemporaneamente per più strutture cerebrali. Per comprendere bene le implicazioni di questi nuovi approcci è necessario confrontarli con quelli, più consolidati, forniti dall'EEG.

Applicata alla funzione nervosa, l'analisi di immagine non è altro che la visualizzazione dei segni molecolari delle variazioni di attività, mentre l'elettroencefalogramma visualizza i segni bioelettrici di queste variazioni. Allo stato attuale i due ambiti si equivalgono abbastanza per quanto concerne il potere di risoluzione, che non scende al di sotto del livello pluricellulare, ma differiscono per quanto concerne il terreno di analisi, perché l'elettroencefalografia è più adatta a esplorare le variazioni temporali di .attività, mentre l'analisi di immagine fornisce il vantaggio spaziale di poter esaminare contemporaneamente l'attività di più aree nervose. Le tecniche di analisi di immagine utilizzate nella ricerca ipnica sono principalmente basate sulla Positron Emission Tomography (pet), che consente di determinare l'emissione radioattiva di composti opportunamente marcati introdotti nell'organismo. Questi possono indicare variazioni del flusso ematico, dell'occupazione da parte dei neurotrasmettitori di specifici recettori di membrana, del metabolismo cellula re e dell'espressione genica e, dunque, modificazioni che hanno costanti di tempo mol to più prolungate di quelle evidenziabili con l'eeg, ma che tuttavia consentono di applicare la semplice corrispondenza tra variazione di radioattività e variazione di attività nervosa contemporaneamente a regioni nervose diverse. Per quanto ci concerne, il limite che si incontra è che con la pet si possano stabilire relazioni di tipo causale soltanto in base ai dati derivanti dalle altre discipline delle neuroscienze (neurofisiologia, neuropsicologia, ecc.), il che implica che le inferenze funzionali risentano di tutte le incertezze che caratterizzano lo studio dell'attività nervosa.

Le grandi linee dell'analisi di immagine indicano che vi sarebbe concordanza tra le due fasi del sonno per le zone primarie della corteccia sensitiva e motoria, che mostrerebbero gli stessi livelli di attivazione, e per la corteccia frontoparietale, che mostrerebbe gli stessi livelli di inattivazione. Invece, l'attività delle aree coinvolte nei meccanismi dell'attenzione diminuirebbe durante il sonno non-REM e aumenterebbe durante il sonno rem. Secondo i sostenitori dell'attività onirica REM-dipendente, questo potrebbe spiegare aspetti particolari dei contenuti onirici del sonno rem, come la bizzarria e il carattere allucinatorie. Analogamente, le azioni recitate nel sogno, promosse dall'attivazione delle aree motorie, rimarrebbero confinate alla rappresentazione onirica poiché la fase rem è caratterizzata da un'inibizione motoria periferica, causata dalle zone pontine del tronco dell'encefalo, che provoca la caratteristica caduta del tono muscolare. Il primo sostegno all'ipotesi dell'esistenza di un'attività onirica REM-indipendente fu fornito nel 1962 da D. Foulkes, che escluse che l'attività mentale registrata durante il sonno non-REM dipendesse dalla fase rem precedente, semplicemente perché essa si manifestava anche in assenza di sonno rem.

Questa osservazione, che si può considerala come l'apertura dell'approccio cognitivista all'analisi dei contenuti onirici, è stata poi confermata da numerosi studi che mostrarono come i contenuti del sonno rem differissero da quelli del sonno non-REM soprattutto per il distacco dalla realtà esterna, la bizzarria e l'intensità emotiva cui si è precedentemente accennato. In linea generale, sembrava che le caratteristiche distintive fondamentali dell'EEG, sincronizzazione durante il sonno non-REM e desincronizzazione durante il sonno rem, corrispondessero alla distinzione qualitativa dell'attività onirica tra le due fasi del sonno. In realtà, i risaltati dell'indagine contenutistica contemporanea tendono ad attenuare queste differenze, per cui ci si troverebbe di fronte al limite che, caduta la relazione qualitativa con lo stato ipnico, non si saprebbe bene a quale causa nervosa attribuirle. Altri dati in favore dell'attività onirica REM-indipendente si sono venuti ad accumulare negli anni recenti. Essi sono stati forniti da una serie di studi neuropsicologici che hanno utilizzato l'analisi di immagine, anche con tecniche diverse dalla pet, per delimitare l'estensione delle lesioni nervose sofferte da pazienti per lo più affetti da accidenti cardiovascolari. Un primo elemento importante di questo approccio sembra essere quello della conferma, nell'uomo, del fatto che il sonno rem abbia origine da processi che si svolgono nel tronco dell'encefalo, in quanto esso risulta abolito a seguito di lesioni che interessano il ponte. Purtroppo, in questi casi non è in genere possibile analizzare l'attività onirica, perché pressoché tutti i pazienti che vanno incontro a lesioni pontine soffrono di vistose perdite di coscienza e, dunque, viene a mancare la possibilità di fornire la prova diretta dell'esistenza di un'attività onirica separata dal sonno rem. Al contrario, nei casi in cui le lesioni cerebrovascolari interessano la parte della massa cerebrale posta al di sopra del tronco dell'encefalo (diencefalo e telencefalo), si è riscontrata la pressoché totale scomparsa dell'attività onirica, mentre è rimasto praticamente intatto il sonno rem, il che si può assumere come prova indiretta dell'indipendenza tra i processi di generazione dello stato ipnico e dell'attività mentale. Allo stato attuale si possono giudicare questi dati abbastanza promettenti per il motivo che essi appaiono ragionevolmente prossimi alla linea di sviluppo della neurobiologia, che vede accumularsi prove dell'estensione alle strutture poste alla base della massa cerebrale (prosencefalo basale e diencefalo) della rete nervosa di controllo dei processi ipnici. Come appare abbastanza evidente dal quadro appena delineato, non vi sono eventi criticamente rilevanti da citare per rimarcare il passaggio tra le fasi moderna e contemporanea della ricerca concernente la neurobiologia del sogno. Questa evoluzione priva di scosse o accelerazioni improvvise ha tuttavia creato prospettive ricche di implicazioni sia scientifiche sia filosofiche. Allo stato attuale delle conoscenze si può presupporre che al centro dell'indagine andranno a collocarsi i risultati derivanti dall'applicazione delle tecniche dell'analisi di immagine, per il semplice motivo che essa consente di derivare dati funzionali dall'uomo, del quale sappiamo esplorare i contenuti onirici. Inoltre, ci si deve attendere che sia i risultati funzionali concernenti l'attività nervosa, sia l'analisi dei contenuti dell'attività mentale ci spingeranno più addentro non solo ad alcune questioni del sognare, come quella, neurobiologica, della sua genesi o quella, neuropsicologica, delle modalità di intervento dei meccanismi della memoria nell'esplicarsi dei contenuti onirici, ma anche ad altre, di natura più filosofica, come quelle concernenti la coscienza. Indubbiamente, il sonno si caratterizza per uno stato di coscienza particolare e, dunque, ci si può immaginare che l'approfondirsi delle conoscenze potrà portare a un confronto più diretto tra coloro che ritengono che la coscienza sia interamente riconducibile all'attività nervosa e coloro che negano tale eventualità. Su questo terreno, quasi a ritornare in modo circolare all'esordio della nostra trattazione, si può notare come anche una parte della psicoanalisi si stia muovendo verso l'incorporazione dottrinale di alcuni dati forniti dalla neuropsicologia. Questo quadro promettente non ci deve però illudere perché, per dissolvere l'ambiguità del sogno sul terreno neurobiologico, occorrerebbe che fosse risolta la difficile questione dell'individuazione dei meccanismi del sonno.

GIOVANNI ZAMBONI