Skinner, Burrhus Frederic

B. F. Skinner (1904-1990), nato nella città rurale di Susquehanna (Pennsylvania), frequentò l'Hamilton College di New York, dove si laureò in letteratura inglese nel 1926. Il suo proposito giovanile era di diventare uno scrittore, ma la lettura di B. Russell e l'incontro con il comportamentismo di J. Watson diedero una svolta decisiva alla sua vita. Studiò quindi psicologia presso l'Università di Harvard, e vi rimase come ricercatore fino al 1936. Negli anni successivi insegnò nelle università del Minnesota e dell'Indiana, ma nel 1948 tornò a Harvard, dove rimase fino alla morte e dove costruì la sua fama, che lo consacra come lo psicologo più rappresentativo della scuola comportamentistica e, anche, di tutta la psicologia nordamericana. Durante la lunga era comportamentistica, iniziata con l'articolo-manifesto watsoniano del 1913 e tramontata solo dopo il 1970, con l'avvento del paradigma cognitivistico, Skinner ha fatto proprie e ha molto sviluppato, in forma al tempo stesso fedele e originale, le linee programmatiche contenute in quel manifesto; linee riconducibili alla definizione della psicologia come scienza descrittiva e predittiva del comportamento pubblicamente osservabile, e al rifiuto categorico della nozione di «mente» e di tutti i suoi derivati e affini - coscienza, introspezione, scopo, intenzione, motivazione, gratificazione, frustrazione, personalità, cognizione, atteggiamento, aspettativa, ego, apparato psichico, libido, Sé, inconscio, ecc. -, in quanto costrutti non pubblicamente osservabili. Per la sua intransigenza contro i «costrutti mentalistici», secondo l'espressione da lui coniata, Skinner è stato considerato il campione dell'anima oggettivistica in psicologia; e, per la fama da lui raggiunta negli Stati Uniti, è stato contrapposto a S. Freud, campione dell'anima soggettivistica. Skinner ha inteso la psicologia come scienza esclusivamente naturalistica e sperimentalistica (secondo la tradizione che risale a W. Wundt) del comportamento osservabile, indistintamente animale o umano, considerato come puro e semplice evento fisico, che compare nello spazio e nel tempo al pari di qualsiasi altro evento fisico. In quanto tale, il comportamento è sottoposto a leggi di carattere deterministico - quelle dell'apprendimento mediante condizionamento, come diremo - che non sono dissimili dalle leggi che regolano gli eventi del mondo inanimato. La conoscenza di tali leggi consente di predire il comportamento, come la conoscenza delle leggi fisiche consente di predire la caduta dei meteoriti o le eruzioni dei vulcani.

Questa prospettiva allontana lo studio scientifico del comportamento dal cosiddetto «senso comune psicologico» e dalla massa di conoscenze sull'essere umano accumulate nei secoli da ambiti come la letteratura, la religione, il diritto, il folclore. Fra le prime cose che Skinner diceva ai suoi studenti, vi era l'invito a dimenticare tutto ciò che di «psicologico» essi avevano appreso sia dall'esperienza quotidiana, sia dalla lettura e dallo studio di qualsiasi cosa diversa dalla psicologia scientifica, identificata col comportamentismo. Essi, a parer suo, dovevano comprendere che il comportamento è un oggetto di studio scientifico altrettanto difficile quanto la struttura dell'atomo o la chimica dei composti organici. L'unica differenza sta nel fatto che nella fisica o nella chimica non c'è un fuorviante senso comune che ci faccia credere che le cose siano semplici. In grande maggioranza, gli esperimenti di Skinner sono stati condotti su animali (ratti e piccioni), nel convincimento che i loro risultati potessero essere estrapolati all'uomo, essendo le leggi dell'apprendimento mediante condizionamento universali (cioè valide per tutti gli organismi viventi, a prescindere dal loro specifico corredo genetico ed ereditario). Inoltre, questi esperimenti hanno avuto come riferimento uno schema deterministico stretto, basato sul controllo rigoroso delle variabili dipendenti e indipendenti all'interno di ciascun esperimento, anziché uno schema di riferimento statistico, basato sulle medie dei risultati di molteplici esperimenti, come avveniva (e avviene) in gran parte della ricerca. Per sottrarsi alle regole delle riviste di psicologia sperimentale, che fanno dell'analisi statistica un criterio fondamentale per la pubblicazione delle ricerche, Skinner e i suoi allievi fondarono nel 1958 il «Journal for the Experimental Analysis of Behavior». Il contributo specifico di Skinner, sia sul piano sperimentale che sul piano teorico, consiste in un significativo approfondimento della tradizionale ricerca comportamentistica sull'apprendimento, inteso come unico criterio interpretativo del comportamento, alla luce delle leggi del condizionamento inizialmente messe in luce dal fisiologo russo I. Pavlov, mediante i suoi famosi esperimenti sulla salivazione del cane. Ma il condizionamento pavloviano, rileva Skinner, è fortemente limitato dalla natura dei comportamenti che esso regola, i quali consistono in semplici riflessi (come la salivazione, appunto), che rappresentano solo una minima parte dei comportamenti quotidiani degli organismi viventi. Questi comportamenti «rispondenti» sono pertanto scarsamente interessanti per la ricerca psicologica, al contrario dei comportamenti «operanti», cui Skinner ha dedicato tutta la sua attenzione e un'intera vita di studio. Gli operanti costituiscono la stragrande maggioranza dei comportamenti quotidiani di tutti gli organismi viventi, e consistono, assai semplicemente, in tutto ciò che gli organismi fanno in modo apparentemente spontaneo o casuale nel loro muoversi - nel loro «operare», appunto - nell'ambiente in cui si trovano. Ciò che faccio in questo momento e ciò che farò nelle prossime ore, dalle cose più elementari a quelle più complesse - premere i tasti del computer, grattarmi la testa, rispondere al telefono, guardarmi in giro, bere un bicchier d'acqua, alzarmi e aprire la porta, pulire gli occhiali, leggere un libro, interrompere o iniziare un lavoro, e così via - sono tutti operanti. Gli eventi scatenanti, la probabilità di emissione e la successione nel tempo di questi operanti sono per lo più impossibili da stabilire con la semplice osservazione; per questo motivo, è necessaria una scienza psicologica sperimentale che, partendo da situazioni semplici rigorosamente controllate, e con soggetti animali, che sono più semplici dell'uomo, giunga a stabilire i rapporti deterministici consequenziali (le «leggi») fra eventi ambientali e operanti, e fra operanti e altri operanti. La legge fondamentale che regola tali rapporti è la legge del rinforzo. Il rinforzo, o ricompensa, è qualsiasi evento capace di aumentare la probabilità di emissione di un dato operante. La legge del rinforzo afferma che l'organismo (ogni organismo, animale e umano) tende a ripetere un proprio operante che è stato inizialmente seguito da un rinforzo.

Per studiare sperimentalmente gli operanti e i rinforzi, Skinner ha ideato la famosa «Skinner box», una gabbietta che, su una sua parete interna, contiene una piccola leva, abbassando la quale una pallina di cibo cade in un apposito contenitore, posto all'interno della gabbietta stessa. Il ratto o il piccione (digiuno), presente nella gabbietta, muovendosi «liberamente» e casualmente in essa, pone in atto una serie di operanti, fra i quali, prima o poi, vi sarà quello consistente nel fare abbassare la levetta. Otterrà così la pallina di cibo, e, di conseguenza, sarà condizionato a premere nuovamente la levetta, ottenendo un'altra pallina di cibo, e così via. La caduta della pallina di cibo è l'evento rinforzante (o semplicemente il rinforzo), e l'abbassamento della levetta è l'operante rinforzato, non più casuale. Questo processo di condizionamento viene definito «strumentale», per distinguerlo dal condizionamento pavloviano o condizionamento «classico».

Variando sistematicamente tutte le condizioni sperimentali, Skinner e i suoi allievi hanno messo in luce una serie di leggi, che sono articolazioni interne alla legge fondamentale del rinforzo. In particolare: se il rinforzo non viene più somministrato, vi è l'estinzione dell'operante (se l'abbassamento della levetta non viene più seguito dalla caduta della pallina di cibo, il ratto o il piccione smettono di abbassare la levetta); tuttavia, se il rinforzo ricompare dopo un periodo anche lungo di estinzione, l'operante estinto viene riemesso con immediatezza, perché si avvale della precedente « storia di rinforzo» (cioè l'animale ricomincerà ad abbassare la levetta, come se non avesse mai smesso di farlo). Inoltre, si possono creare molti programmi di rinforzo differenziati: la caduta della pallina di cibo può seguire a ogni singolo abbassamento della levetta, o può seguire a un numero fisso (per esempio tre) oppure ogni volta diverso di abbassamenti della levetta; in quest'ultimo caso, si crea un programma « a rapporto variabile», particolarmente efficace nel mantenere il condizionamento (nel resistere, cioè, all'estinzione). Oppure, la pallina di cibo può essere somministrata solo se l'animale abbassa la levetta almeno una volta in un determinato arco di tempo (per esempio 30 secondi), ma la pallina è sempre una sola anche se l'animale abbassa la levetta, in quell'arco di tempo, per moltissime volte consecutive. Manipolando queste variabili, si giunge a un vero e proprio modellamento del comportamento dell'animale, e Skinner è riuscito a far apprendere a ratti e piccioni comportamenti «impensabili», come giocare a ping-pong. Inoltre, egli ha saputo dimostrare le forti analogie, rispetto alle leggi del rinforzo, fra gli operanti dei suoi animali da laboratorio e gli operanti dell'essere umano nella vita quotidiana, limitatamente a certe situazioni. Per esempio, non si può non vedere l'analogia fra gli operanti dei piccioni condizionati da Skinner (1948a) a diventare «superstiziosi», e gli operanti di una persona che «non riesce a giocare bene a tennis» se non indossa una particolare maglietta, sempre la stessa, anche se ormai logora, che egli indossava quando ha vinto un importante match. Oppure, rispetto al programma «a rapporto variabile», si pensi agli operanti durante il gioco d'azzardo, come la roulette: il giocatore continua a giocare, perché la probabilità di vincere gli appare tanto maggiore quanto più frequenti sono le sue giocate; e una sola vincita (cioè un unico rinforzo, come l'unica pallina di cibo nel caso dell'animale da laboratorio) sarà sufficiente a determinare, da parte sua, un numero elevato di giocate (cioè un aumento dell'emissione di operanti). Il contrario dei rinforzi sono gli «stimoli avversivi», cioè le punizioni, che riducono la probabilità di emissione degli operanti che li precedono (per esempio, una griglia elettrificata dissuade il ratto dal muoversi nello spazio in cui tale griglia è collocata, o la perdita dell'autobus ci dissuade dall'arrivare in ritardo alla fermata, le volte successive). Tuttavia, nel modellare il comportamento gli stimoli avversivi sono assai meno efficaci dei rinforzi. Si chiama «rinforzo negativo» il processo mediante cui si elimina lo stimolo avversivo (per esempio, si cessa di elettrificare la griglia). Spesso, è difficile distinguere i rinforzi (o rinforzi positivi) dai rinforzi negativi, perché sia i primi che i secondi si prefiggono l'emissione o la riemissione di un determinato operante. I rinforzi possono essere «semplici», come un bicchiere d'acqua o un cenno d'incoraggiamento, o «complessi», come vincere una competizione politica; «primari», come il cibo e il sonno, o «secondari», come il denaro o l'apprezzamento sociale. Il rinforzo secondario nasce quando un evento si associa con un altro evento che costituisce già un rinforzo; per esempio, il denaro in sé non è un rinforzo - è solo un pezzo di carta -, ma diventa un rinforzo (anzi, un «superrinforzo») perché è associato a più rinforzi primari - come il cibo, la casa, ecc. Su questo «zoccolo duro» di risultati sperimentali, fra loro coerenti e molto ben organizzati, Skinner ha costruito un impianto teorico. Rispetto al comportamentismo, tale impianto rappresenta un'evoluzione dallo schema classico «S-R» (stimolo-risposta) allo schema «R-R» (risposta-risposta), dato che gli operanti (risposte) determinano altri operanti. Ma questa evoluzione lascia intatto il nucleo oggettivistico del comportamentismo stesso, che pertanto, con l'opera di Skinner, non svolge alcuna funzione di ponte rispetto al successivo cognitivismo. Tale funzione viene invece svolta da altri autori, cosiddetti neocomportamentisti, che accetteranno nozioni di tipo «mentalistico», come E. Tolman, con la sua nozione di «mappa cognitiva», e C. Hull, con la sua nozione di «motivazione» e con una «teoria ipotetico-deduttiva» dell'apprendimento che precorre alcuni dei modelli cognitivistici. Ancora in piena continuità col comportamentismo watsoniano originario, Skinner ha attribuito molta importanza alle applicazioni sociali delle leggi del condizionamento strumentale, ovvero alla «tecnologia del comportamento», da lui presentata al vasto pubblico (e non solo ai colleghi accademici) come capace di far apprendere, mantenere, modificare o eliminare i tipi più diversi di comportamento, in vista del miglioramento qualitativo della vita quotidiana e del lavoro. In quest'opera di divulgazione egli si è avvalso delle sue doti di scrittore (la sua vocazione giovanile), e ha fornito anche un esempio in prima persona, sottoponendo la più piccola delle sue due figlie a un apparato di condizionamento, per migliorarne lo sviluppo. La «tecnologia» skinneriana ha conosciuto significative applicazioni durante gli anni '60, quando vi era la moda delle «macchine per insegnare», ed è stata utilizzata in contesti fra loro assai diversi, come l'esercito statunitense, il marketing o (discutibilmente) le comunità per pazienti psicotici. Ma l'ambito in cui essa ha avuto maggior successo, permanendo fino a oggi, è quello della terapia comportamentale (o «modificazione del comportamento»), in cui, soprattutto nel caso di patologie come le fobie, il terapeuta, ricorrendo agli opportuni «programmi di rinforzo», e mediante un modellamento per approssimazioni successive, riesce spesso a ottenere l'estinzione di un determinato comportamento indesiderabile, anche complesso, e a sostituirlo con un comportamento viceversa desiderabile (cioè sano e adattivo per il soggetto). Malgrado il prestigio e i successi ottenuti, l'impianto skinneriano ha conosciuto, a partire dagli anni '70, una grave eclissi dalla quale non sembra possa riaversi. Su un piano generale, esso ha subito il tracollo del comportamentismo, anche a causa dell'irrompere dei fattori e processi cognitivi (attenzione, memoria, linguaggio, pensiero, creatività, ecc.) - in definitiva un irrompere proprio della vituperata « mente », non più considerata una inaccessibile e inutile «scatola nera» - quali nuovi oggetti della psicologia; con la messa in second'ordine del comportamento e la messa in soffitta del monocorde apprendimento comportamentistico, di cui è stata riconosciuta la generale non ex-irapolabilità dagli esperimenti sugli animali da laboratorio alle assai più complesse e sostanzialmente diverse situazioni dell'apprendimento umano.

Su un piano più specifico, è toccato proprio a Skinner di dover subire quello che, nella recente storia della psicologia, può essere considerato l'affondo mortale del cognitivismo ai danni del comportamentismo. Ci riferiamo alla ormai classica recensione «demolitrice» al volume di Skinner sul Comportamento verbale (1957) da parte di N. Chomsky (1959). Questo volume era stato presentato da Skinner come «analisi funzionale del comportamento verbale», e come primo - e, aggiungiamo noi, anche ultimo - tentativo sistematico di inquadrare l'apprendimento del linguaggio, da parte del bambino, in uno schema comportamentistico basato sulle leggi del rinforzo e sui fattori fisici ambientali. Chomsky ebbe buon gioco nel dimostrare l'insostenibilità della posizione skinneriana, e a tale scopo usò l'argomento della «povertà dello stimolo»: gli stimoli linguistici forniti al bambino di due anni dai genitori, e in genere dal suo ambiente, sono manifestamente insufficienti per spiegare la ricchezza e compiutezza del linguaggio che, in un breve arco di tempo, egli riesce a esprimere. Nella mente del bambino devono quindi preesistere dei «fattori facilitanti» o delle «regole innate» per l'elaborazione del pensiero e del linguaggio (Chomsky, 1957), e ciò pone in crisi sia l'an-tiinnatismo che l'antimentalismo di Skinner e del comportamentismo nel suo insieme. Tuttavia, a onor del vero, anche prima dell'attacco chomskyano, l'intransigenza dell'antimentalismo skinneriano appariva più una dichiarazione d'intenti che non un dato reale, all'interno dello stesso apparato concettuale skinneriano. In particolare, Skinner e skinneriani si erano molto prodigati nel chiarire che la loro legge del rinforzo differiva sostanzialmente dalla più antica e «mentalistica» legge dell'effetto formulata da E. Thorndike nel 1898, perché gli operanti del ratto nella «Skinner box» vengono misurati e manipolati senza alcun riferimento allo «stato interno» o al «piacere» o «gratificazione» del ratto stesso dopo l'evento rinforzante. Tuttavia, rimaneva ineliminabile, sebbene coperta da artifici e da tabù terminologici, la consapevolezza che anche il rinforzo skinneriano non era altro se non una «ricompensa»: infatti, per spiegarlo, anche uno stretto skinneriano è costretto a parlare di «ricompensa», incorrendo in una trasgressione soggettivistica o mentalistica; così come non si può non parlare di «punizione», nel caso dello stimolo avversivo.

Oppure, è vero che, in un famoso incontro del 1964 con vari filosofi della scienza, Skinner argomentò sulla possibilità di tradurre in un linguaggio puramente fisicalistico le espressioni facenti riferimento a invisibili contenuti o processi mentali; per esempio, dimostrò che è possibile espungere dal linguaggio un termine mentalistico come «cercare», e sostituirlo con termini che si riferiscano esclusivamente a comportamenti pubblicamente osservabili: l'enunciato «Carlo ha cercato gli occhiali» può essere sostituito con «Carlo ha aperto il primo cassetto della scrivania, l'ha richiuso, ha aperto il secondo cassetto, l'ha richiuso, infine ha aperto il terzo cassetto, ha preso gli occhiali, e l'ha richiuso». Ma è evidente che la sua fu una provocazione intellettuale, più che un vero tentativo di eliminare quei riferimenti «mentalistici» di cui lui per primo ha avuto bisogno, in tutta la sua vita e in tutta la sua opera, per capirsi e per farsi capire dagli altri. Al di là di ciò, ci rimane di Skinner l'ingegnosità e il rigore degli esperimenti. Ma di lui ci rimane, anche, una sorta di densa, seppur circoscritta, «epistemologia interna» della psicologia, tanto più apprezzabile oggi che non è più sorretta dalla filosofia della scienza neopositivistica e operazionistica nordamericana degli anni compresi fra il 1930 e 1960; e, tantomeno, dall'ormai tramontato paradigma comportamentistico. Al di fuori di questo nucleo epistemologico positivo e ancor oggi utile, certe posizioni «filosofiche» - ma meglio sarebbe dire «ideologiche» - di Skinner, largamente pubblicizzate negli Stati Uniti, ma di scarsissimo impatto in Europa, rimangono come un corpo staccato dal suo impianto sperimentale e teorico-scientifico, sebbene siano state da lui presentate come un tutt'uno con esso. Ci riferiamo al romanzo utopico Walden due (1948b), in cui egli auspica una società mondiale retta dalle leggi del rinforzo, applicate a tutti i momenti della vita degli individui, per garantire la loro felicità mediante il soddisfacimento dei bisogni primari, nullificando ogni altra istanza o aspirazione umana: senza che, per non parlar d'altro, vengano esplicitati da Skinner i criteri per la scelta dei tecnocrati del comportamento artefici - e padroni - di tanta felicità; in altre parole, senza che egli ci dica chi dovrebbe scegliere (o condizionare ?) i condizionanti. E ci riferiamo anche al volume Oltre la libertà e la dignità (1971), da lui scritto per rispondere, da una posizione ateistica, alle critiche della destra religiosa nordamericana a Walden due. In questo secondo libro egli liquida come superstizioni arcaiche - simili al ritenere la Terra il centro dell'Universo - le nozioni di «libertà» e di «dignità», con il carico a esse connesso d'infelicità individuale e collettiva (colpa, responsabilità, senso di oppressione, ecc.). Secondo Skinner, ciò che chiamiamo «libertà» è solo il nostro desiderio di non essere puniti se facciamo ciò che vogliamo, e la «dignità» è solo un operante (o una serie di operanti) che sono stati rinforzati più della «non dignità» (come l'umiliarsi in pubblico). Il «problema etico» riceve una soluzione molto «semplice» (e a dir poco ottimistica): mentre, da sempre, noi non abbiamo il controllo degli eventi che rinforzano i nostri operanti, nella società ideale auspicata da Skinner verrebbero rinforzati solo i nostri operanti «buoni», e verrebbero lasciati estinguere i nostri operanti «cattivi». Una visione assai rudimentale e ingenua, a dir poco, e non solo nel contesto della riflessione storiografica ed etica di matrice europea. Tuttavia, sarebbe ingiusto valutare l'opera complessiva di Skinner considerando solo questa sua «caduta filosofica», e liquidare questo importante autore come uno che ha preteso di risolvere «con una gabbietta e due ratti» i grandi dilemmi del pensiero umano.

SADI MARHABA