Scissione |
All'epoca di Ippocrate, come del resto nella medicina sacerdotale egizia, la «causa» della malattia che in seguito verrà chiamata «isteria» (con la schizofrenia, il disturbo per eccellenza percorso dalla scissione) veniva situata nell'utero, e immaginata come un animale che si sposta verso differenti regioni del corpo, si slancia sul fegato, raggiunge gli ipocondri e, immettendosi nelle vie respiratorie, provoca soffocamento. Se il sogno di un paziente riproducesse questo vagabondare, lo psicoanalista sarebbe legittimato a fare l'ipotesi che l'animale rappresenti una parte scissa del paziente stesso. Ma allora si potrebbe azzardare che già nei tempi antichi si immaginasse la personalità isterica come scissa: la persona, da un lato, e una sua piccola parte autonoma, dall'altro. I diversi termini utilizzati nelle trattazioni della scissione (disintegrazione, dissociazione, personalità multipla, ecc.) si diversificano a seconda del modello teorico cui appartengono; in psichiatria una certa tradizione utilizza «dissociazione» con riferimento alle funzioni (dissociazione del pensiero, per esempio) e «scissione» con riferimento alla struttura (scissione della personalità). Talvolta, come nelle Confessioni di sant'Agostino, è con l'acuta descrizione fenomenica, all'interno degli interrogativi sull'unità della personalità, che la manifestazione viene analizzata. E. Bleuler (1911), che ha introdotto il termine, distingue una Zerspaltung, la scissione primitiva (zersplittern in tedesco significa spaccare), con la quale allude all'andare in pezzi delle capacità associative della mente, dalla Spaltung, la scissione nelle sue manifestazioni meno radicali. L'antica modalità immaginifica di percepire il fenomeno continuerà fino all'epoca moderna: la si ritrova infatti nelle descrizioni delle possessioni demoniache, dove il posseduto è fantasticato come invaso da forze estranee, spiriti, animali, o pili semplicemente dal demonio. Le pratiche degli esorcisti e i casi di possessione hanno attratto l'attenzione di molti ricercatori, cui dobbiamo una descrizione scrupolosa e attenta dei casi e delle tecniche dall'antichità all'epoca moderna. La possessione, che risulta essere «lucida» o «sonnambulica», mostrerebbe sempre alcune costanti: il soggetto smarrisce la propria identità e diventa un'altra persona; può cambiare e mostrare una forte somiglianza con l'individuo che dovrebbe incarnare, parlare con la sua voce e compiere i suoi gesti. Tutti tratti che coincideranno con alcuni tra quelli che verranno registrati quando il fenomeno diventerà di competenza della medicina moderna. Con l'imporsi graduale della psichiatria dinamica si assiste al declino della teoria della possessione: per il nuovo paradigma possessore e posseduto si rivelano una sola persona dissociata. Dalla fine del '700 a tutto l'800, magnetisti, ipnotizzatori, neurologi vengono attratti da casi sensazionali di doppia personalità, in un primo tempo considerati episodi rari quando non leggende infondate, ma in seguito studiati anche da medici illustri che iniziarono così a speculare sulla natura dell'ipnotismo, dell'autosuggestione, e degli eventi che generavano. Tra i primi che pensano al fenomeno della scissione in termini introspettivi e non patologici va citato A. Smith, il celebre economista e filosofo, che nel 1759 descrive quello che in psichiatria verrà chiamato l'«io osservante»: lo ritiene frutto di una scissione i ti quanto, esaminando la propria condotta per approvarla o condannarla, avverte che si è sdoppiato in due. Nell'800 i casi celebri di sdoppiamento della personalità (riportati e catalogati da H. Ellenberger, 1970) sono innumerevoli. Nel cosiddetto «automatismo ambulatorio» viene compreso chi agisce in stato di sonnambulismo notturno ma anche in apparente stato di veglia. Tra le personalità multiple, si hanno per prima cosa gli sdoppiamenti simultanei, capaci di produrre nello stesso momento manifestazioni diverse. Viene ricordata Hélène Smith, che si sentiva se stessa e contemporaneamente un uomo chiamato Leopold. Differenti sono le personalità multiple «successive», dove le due personalità si ignorano a vicenda, oppure una conosce l'altra, ma non viceversa. Infine vengono considerati i cosiddetti «raggruppamenti di personalità». Sono tutte osservazioni cliniche ancora in gran parte valide. Una giovane di ventisei anni, al suicidio del padre, si era divisa in due personalità parziali, la prima era una donna intelligente e istruita, fondamentalmente inibita, assolutamente all'oscuro in tema di sessualità. La seconda, apparentemente più anziana, un po' sfacciata ma dignitosa, tendenzialmente angosciata, affermava di essere la reincarnazione d'una cantante e danzatrice spagnola, amante di un aristocratico. Il caso è ritenuto insolito perché le due personalità parziali si conoscevano e si consideravano «buone amiche». I casi all'epoca famosi vanno da Sorgel, un giovane pastore tedesco che fa a pezzi un uomo e che, tornato al villaggio, racconta tranquillamente quello che aveva fatto, fino a quelli narrati da J.-M. Charcot. Un caso di personalità multipla spesso citato è assai posteriore. Mario, un parkinsoniano che aveva lavorato nel circo Orfei come clown con il nome di Fiacca, sotto ipnosi non solo riacquista la personalità del pagliaccio, vede il suo cane morto da anni, ignora le vicende di «Mario», ma è in grado di correre e di parlare come un paziente affetto dal morbo di Parkinson non può fare. Per concludere la classificazione di Ellenberger occorre tornare alla teoria dei raggruppamenti di personalità (chiamati anche «complessi»): secondo questa teoria, la psiche umana sarebbe paragonabile a uno stampo da cui possono emergere e differenziarsi interi gruppi di personalità secondarie. P. Janet (1889) notò, tra l'altro, che se si dava un nome alle nuove personalità subconsce, queste si mostravano più apertamente. A Janet non sfuggiva il rischio che potesse essere l'indagatore stesso a indurre la moltiplicazione di queste personalità. In Italia V. Benussi, affascinato da questo complesso di ricerche, nel 1925 studiò i cosiddetti compiti postipnotici. Con ricercatori come Janet e i seguaci di S. Freud si apre per la scissione un'epoca nuova, caratterizzata da un crescente interesse per le manifestazioni meno appariscenti, spesso occultate, difficili da affrontare nella pratica clinica in quanto afferrabili solo da un occhio addestrato. Solo l'operatore esercitato può cogliere la scissione quando, assieme alla proiezione, si concretizza per esempio nell'«identificazione proiettiva». Tramite questo fenomeno (in realtà assai complesso) un individuo può inconsciamente manovrare e controllare un'altra persona proiettando dentro di essa sue parti scisse, con il loro corredo di pensieri, emozioni e sensazioni. Parti di sé che risulteranno così disconosciute e a loro volta controllate. Nel trattamento psicoanalitico, lo scopo comunicativo di questo fenomeno, che molti oggi considerano preponderante, è stato evidenziato solo in un secondo tempo. Un altro fatto di basilare importanza che, se non viene rilevato, porta al fallimento della cura, si evidenzia quando l'analista non è in grado di accettare ed elaborare il transfert negativo del paziente. Questi allora dissocerà se stesso e l'analista, riverserà il proprio odio su un oggetto diverso (rendendolo totalmente «cattivo») e proteggerà se stesso e il proprio analista idealizzandolo (mantenendolo sommamente «buono», da persecutorio che veniva percepito). Anticipando le visioni più moderne, C. G. Jung spiegava che la salute non sta nel raggiungere il dominio dell'Io sull'Es, come riteneva Freud, ma nel far dialogare l'Io con le parti distaccate della personalità. Nel '700 e nell'800, prima di Freud, non si diede la giusta importanza alle motivazioni personali alla base delle personalità scisse. Fecero eccezione F. Raymond e P. Janet che nel 1895 tentarono di ricostruire la psiche umana attraverso un procedimento di analisi e sintesi. Janet ipotizzò, alla base della dissociazione, una debolezza dell'Io che gli impedirebbe di tenere insieme tutte le funzioni della personalità, debolezza in parte congenita e in parte indotta da circostanze come traumi, malattie o situazioni che impongono uno sforzo eccessivo alla capacità di adattamento dell'individuo. Freud (1909) ignora più volte questa seconda parte e parla di «presunta debolezza», fa dell'ironia pesante e la paragona a una donna che si scoordina perché non sa tenere in braccio i pacchetti della spesa. Questa teoria di Janet, in quanto «passiva», si sarebbe posta in contrasto sia con quella della «rimozione», formulata più tardi da Freud, sia con la definizione che lo stesso Freud (Lezione 31, in Freud, 1932; 1938c) darà della scissione intesa come «meccanismo di difesa», che evocava un processo attivo. In realtà Janet gettò le premesse delle teorie moderne che mirano a fortificare la capacità dell'individuo di contenere le proprie parti scisse. Ai nostri giorni, non sembrano più casi eccezionali quelli del giudice sorpreso a rubare, del bigamo, del sacerdote pedofilo o della moglie innamorata del marito che prova orgasmi solo con gli amanti. Sono patologie di gravità diversa, tutte però connesse con scissioni della personalità. Freud non ignorò per nulla simili fenomeni, ma del concetto di scissione fece un uso parco e non sistematico. Assieme a J. Breuer (1892-95) parla di double conscience, di condition seconde. Trattando Anna O., Breuer scrive che presentava due stati del tutto distinti, che spesso si alternavano e che si venivano sempre più separando: una personalità era normale, l'altra psicotica. Nello stesso periodo Freud (1893) farà un'ammissione che poi non sfrutterà fino in fondo: ogni caso di isteria ha a che fare con uno stato rudimentale di coscienza sdoppiata, che crea stati anormali, chiamati «ipnoidi». Questa ipotesi era di Breuer e fu presto abbandonata da Freud, che descrisse poi (1914d) lo sviluppo dell'Io ideale (Idealich), anticipazione del Super-io, come aspetto scisso dell'Io. Di particolare interesse è una considerazione che Freud ripete più volte nella sua opera, dove la scissione appare come meccanismo difensivo; egli riporta tra l'altro il caso del paziente che non accetta la morte del padre con «una corrente della sua vita», mentre deve accettarla con l'altra. Lo stesso fenomeno può avvenire quando il bambino riconoscerà il pericolo (la donna non ha il pene, è stata castrata quindi anche lui potrebbe esserlo) e contemporaneamente, per lo spavento, lo negherà (la donna ha il pene). In seguito, per decenni gli analisti delle prime generazioni, salvo rari casi, misero in ombra il processo di scissione per via dell'enfasi posta da Freud sul processo di rimozione. Ma più tardi la fondamentale funzione della scissione fu recuperata in un modo per molti aspetti originali. Nella psicoanalisi successiva lo studio della scissione si è ampliato e approfondito con le osservazioni fatte da diversi autori (in misura diversa): abbiamo allora la teoria di E. Glover, che descrive originari «nuclei dell'Io», che si svilupperebbero sulla base dei primitivi bisogni infantili; seguono le teorizzazioni di M. Klein e D. Winnicott, sulle cui proposte confluirà l'attenzione di altri analisti, attivi soprattutto negli Stati Uniti (tra questi Mahler, Kohut, Lichtenberg, Kernberg e numerosi altri come Grotstein e Goldberg). In sintesi, si è studiata, oltre alla scissione normale («coerente», tra bene e male), la frammentante («patologica»), la scissione del soggetto e dell'oggetto. La Klein (1946) scriveva che l'Io non può scindere l'oggetto senza che si verifichi una corrispondente scissione nel suo stesso interno. Il modo di vedere la scissione cambierà quando in psicoanalisi il concetto di «mondo interno» andrà imponendosi come una vera e propria «dimensione» della psiche e quando la teoria delle relazioni oggettuali, che ebbe in I. Suttie (1935) il precursore ingiustamente trascurato, venne sviluppata e portata a maturazione da un nutrito numero di autori. Il nuovo modo di vedere la psiche risulterà assai più utile della vecchia modalità che si limitava a descrivere un Super-io che entra in rapporto con l'Io, e permetterà, invece, di comprendere che viviamo in un mondo esterno tanto quanto in uno interno, dove pure sono possibili scambi interpersonali. Sul modo di intendere la scissione in psicoanalisi ebbe un'influenza notevole (anche se perlopiù indiretta, almeno fino a tempi più recenti) un isolato analista scozzese, W. Fairbairn. Egli rimase oscurato dal successo, non solo nel Regno Unito, di altri psicoanalisti suoi contemporanei, come la stessa Klein, Bowlby e Winnicott. Il mondo interno, per Fairbairn, è popolato da rappresentazioni di persone reali emotivamente significative (oggetti internalizzati) e dall'Io che si scinderebbe in tre: l'Io centrale (che assomiglia all'Io osservante di A. Smith), l'Io libidico, che cerca di stabilire rapporti «eccitanti», e l'Io antilibidico che invece li attacca, e che chiamerà anche, con un'espressione efficace, «sabotatore interno». Il concetto di scissione gli si impone quando deve rivedere quello freudiano di «rimozione», avendo optato per una psicologia delle relazioni oggettuali. Per Freud la rimozione è una funzione dell'Io, sotto la pressione del Super-io, per il controllo delle pulsioni provenienti dall'Es. Ma l'Es di Freud contiene odio e amore (la pulsione cerca il piacere), non un Io che odia qualcuno, un Io che ama qualcuno; questa precisazione di Fairbairn (per il quale l'individuo non cerca il piacere ma l'oggetto) contribuirà a modificare il paradigma della psicoanalisi. Egli privilegia pertanto l'espressione «stato schizoide», che non solo descrive uno stato della mente, ma allude anche alla scissione che ne è la fonte (Fairbairn, 1940). Fondamentale funzione dell'Io è per lui l'integrazione della personalità (percezione della realtà esterna e interna, integrazione del comportamento), che la scissione dell'Io compromette. La posizione di base della psiche è per Fairbairn invariabilmente schizoide: non c'è Io così perfettamente integrato da non rivelare segni di scissione ai livelli più profondi. Utilizzando il termine forte «schizoide» egli crea un legame tra schizofrenia e normalità, e lo stesso farà la Klein quando, parlando di posizione schizoparanoide, chiamerà in causa la schizofrenia e la paranoia. Il suo lavoro alla lunga ha segnato un'inversione di tendenza importante nella cura delle nevrosi: molti analisti delle ultime generazioni ritengono che i moti che portano alle scissioni e quelli che, al contrario, spingono gli individui verso una progressiva coesione della personalità costituiscano un problema centrale da affrontare. Probabilmente risale a Fairbairn il fatto che, per comprendere l'isteria, il modello di Freud basato sulla rimozione è stato più o meno apertamente abbandonato; con il nuovo modello si passa a considerare le scissioni, che, come s'è anticipato, in questo disturbo sono marcate. L'isteria, ritenuta agli albori della psicoanalisi la nevrosi curabile per eccellenza, in seguito a queste precisazioni potè venire percepita come un disturbo della personalità assai più grave e difficile da affrontare di quanto si fosse pensato. La rimozione (Freud, 1915b) è perlopiù ritenuta una difesa evoluta, che mantiene intatto il soggetto, operando solo sui ricordi, sui pensieri e sugli impulsi: consiste semplicemente nell’espellere e nel tenere lontano dalla coscienza ricordi che, essendo intollerabili perché proibiti, vengono cacciati dall'Io nell'inconscio. L'investimento, che in precedenza era diretto verso questo qualcosa che è stato espulso, viene attaccato a una formazione sostitutiva che mantiene tracce dell'idea originale. Ciò che viene suggerito è che il soggetto non solo non si è diviso, ma non ha rotto ogni contatto con ciò che ha espulso dalla propria coscienza. A complicare le cose, Freud però usa «rimozione» anche in un senso più generale, come se fosse una fase di numerosi processi difensivi. Quando è in atto la scissione, invece, si verificano proprio quei fenomeni che, classificando le forme delle personalità multiple, abbiamo prima ricordato: in quei casi si assiste a consapevolezza reciproca o non reciproca tra le personalità parziali. La diffusa idea che la scissione appaia in tenerissima età è stata criticata: si obietta che per poterla mettere in moto l'infante debba avere acquisito almeno la capacità di percepire e registrare immagini in un contesto di esperienze (Lichtenberg, 1983). Per J. Grotstein (1981) la scissione come fenomeno mentale ha invece un corrispettivo nello sviluppo neurologico del sistema nervoso centrale. Secondo la Klein (1946) la scissione si mette in moto principalmente sotto la spinta dell'aggressività distruttiva, anche se concede un ruolo all'ambiente che però da pili parti è stato giudicato insufficiente. Per i suoi critici molte, quando non tutte, le manifestazioni di collera e di rabbia nel bambino che produrrebbero una scissione sono reazioni alla frustrazione. In questo senso vanno per esempio le ricerche sui primitivi rapporti tra madre e infante di Stern, Parens, Lichtenberg e altri. Le situazioni traumatiche che possono indurre l'infante a operare scissioni della propria personalità o dell'oggetto, possono essere costituite dalla somma di ripetuti microtraumi. Lichtenberg, con altri, attribuisce alla Klein il merito d'aver promosso l'attenzione sul rapporto altamente dinamico nel quale la madre e il bambino partecipano a uno scambio reciproco. Crediamo che non si possa parlare di un reale scambio reciproco, bensì di interventi, perlopiù incolpanti, che vanno in una sola direzione sfavorevole all'infante: questa direzione unica può essere considerata una specifica concausa delle scissioni della personalità. Su questa considerazione si sviluppa la strategia, già adombrata da Fairbairn (1940) e da Winnicott (1969), necessaria per la cura delle lacerazioni della personalità. Solamente se la parte distruttiva, invidiosa, «antisociale» di un individuo può emergere e venire accolta da un analista che non la rifiuta, non la giudica e non la sollecita verso premure riparatone, si potranno verificare processi di integrazione. Solo se la parte che attacca i rapporti con gli altri emergerà con le sue «ragioni» e le sue aspettative, anche deliranti, anche devastanti, sarà possibile ricostruire le sue angosce persecutorie, le frustrazioni e le deprivazioni, e separare quelle reali da quelle fantasticate, quelle di origine traumatica e quelle che sono l'effetto di un'aggressività lanciata che torna come un boomerang. Solo allora queste parti potranno sottrarsi al loro destino altrimenti segnato, quello di rimanere tagliate fuori dal resto della personalità. ROBERTO SPEZIALE-BAGLIACCA |