Salute/malattia |
L'interesse per la salute come oggetto di studio ha radici lontane, che risalgono fino all'antica Grecia e forse anche oltre, ma la costituzione di un punto di vista rispetto alla salute e ai suoi problemi ha una storia breve, di appena qualche decennio. E’ stato infatti negli anni '50 e '60 del '900 che si è cominciato a sottolineare, con sempre maggior insistenza, la relazione esistente tra incidenza della malattia fisica e aspetti di vita stressanti. Ma è soprattutto negli anni '70 che si sono manifestati dei segnali di rinnovamento culturale sui temi della salute, sottolineandone la caratteristica di bene non solo individuale, ma anche collettivo, l'importanza dell'impegno diretto e partecipato dei soggetti nella fase preventiva oltre che curativa, la necessità di nuovi rapporti tra individui, gruppi e sistema sanitario. Da allora lo sviluppo «istituzionale» della psicologia della salute è avvenuto con ritmi rapidissimi, sia negli Stati Uniti, sia in Europa. La definizione del nuovo ambito di studio e di ricerca è quella proposta da J. Matarazzo (1980), secondo cui la psicologia della salute è l'insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e trattamento della malattia e all'identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni associate. Un ulteriore obiettivo consiste nell'analisi e miglioramento del sistema di cura della salute e nell'elaborazione delle politiche della salute. E’ possibile definire che cosa è salute, che cosa è malattia? Non esiste una definizione univoca di questi concetti, ma una pluralità di prospettive che costituiscono a loro volta importanti ambiti di ricerca. Sono almeno sei gli elementi che contribuiscono alla difficoltà e complessità di tali definizioni. Il primo è la coesistenza di definizioni e rappresentazioni scientifiche e profane. In parte tali rappresentazioni coincidono, ma ci sono anche differenze sostanziali, che intervengono in modo determinante a strutturare atteggiamenti, a modificare comportamenti, a definire relazioni tra i vari attori sociali coinvolti (operatori sanitari, pazienti, persone comuni). Un secondo elemento riguarda la molteplicità di definizioni elaborate nell'ambito del mondo scientifico o professionale; ad esempio, le discipline mediche enfatizzano l'aspetto della patologia, quelle psicologiche sottolineano gli aspetti della percezione e dei sentimenti di benessere e di equilibrio. Un terzo elemento è l'esistenza di una pluralità di prospettive all'interno di ciascuna disciplina e professione: si pensi alla diversa impostazione data in campo sociologico da un modello funzionalista, che considera la malattia come «disfunzione» o rottura di un equilibrio sociale, rispetto a un approccio interazionista, che enfatizza l'importanza dell'interazione sociale e dell'etichettamento nella determinazione di ciò che è definito come «malattia». Un quarto punto che contribuisce a rendere difficile la definizione di salute è la consapevolezza che occorre tenere conto di almeno tre dimensioni: l'assenza di sintomi o di segni di malattia; un sentimento di benessere; la capacità di agire. In altri termini, si tratta delle componenti biomediche (biologiche, fisiologiche, biochimiche), personali (affettive, percettive, comportamentali, psicologiche), socioculturali (relative agli aspetti interattivi, di struttura sociale, culturali). La stessa definizione di salute proposta dall'Organizzazione mondiale della sanità - uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non solamente assenza di malattia o infermità - riconosce l'esistenza di queste tre componenti. Un quinto elemento consiste nella varietà dei fenomeni che sono scelti come punti focali. Le differenti definizioni di salute e malattia presentano gradi diversi di giustapposizione e contrapposizione. I punti in discussione riguardano il quesito se salute e malattia siano collocabili lungo un continuum, o se riflettano una dicotomia; se per salute si intenda solo l'assenza di patologia, o se sia uno stato in sé positivo; la validità relativa delle definizioni mediche/scientifiche/professionali rispetto alle definizioni fenomenologiche/delle persone comuni/popolari; il ruolo dei concetti di equilibrio e di omeostasi nella definizione di salute o malattia. Infine, un ultimo elemento riguarda l'esistenza simultanea di diversi sistemi di pratiche sanitarie. L'analisi del modo in cui è organizzato l'apparato di cure di una data società offre un contesto in cui osservare queste molteplici prospettive: la percezione di ciò che è salute e di ciò che è malattia risulta influenzata dall'intreccio, esistente in ogni cultura, tra medicina «scientifica», medicina «primitiva» o popolare, medicina «alternativa», pratiche di sanità pubblica. Va tuttavia sottolineato che il problema della ricerca presente e futura non consiste nel precisare in modo «definitivo» i concetti di salute e malattia, ma piuttosto nell'individuare quali definizioni o culture della salute esistono in una data popolazione, nell’analizzare in modo approfondito quali sono i significati attribuiti alla salute (e quindi alla malattia e al trattamento medico) e come tali significati sono costruiti socialmente, in che rapporto stanno con le rappresentazioni scientifiche professionali, e come queste differenze incidono su aspetti cruciali, quali l'interazione medico/paziente, l'obbedienza o l'adesione dei pazienti ai trattamenti terapeutici prescritti, la partecipazione delle persone in generale ai programmi di prevenzione e di promozione della salute. Le ragioni scientifiche ed epistemologiche della crescita della disciplina sono legate alla consapevolezza del ruolo dei fattori psicologico-comportamentali nella malattia, ma anche allo sviluppo delle neuroscienze, nonché alla diffusione degli orientamenti distico-sistemici, ragioni a loro volta indicative di uno scenario più ampio di trasformazioni socioculturali che, smorzando il riduzionismo del tradizionale modello biomedico, tendono a valorizzare la complessità delle interdipendenze fra i vari livelli di analisi, tra i quali anche quello psicologico sta acquisendo spazi di responsabilità sempre più riconosciuti. La psicologia della salute si propone di muoversi in un'ottica completamente diversa rispetto alla tradizionale psicologia medica. Si è passati infatti dal modello «biomedico» tradizionale, secondo cui la malattia può essere spiegata come deviazione dalla norma di variabili biologiche misurabili, al nuovo modello «biopsicosociale» di tipo integrato, basato sulla teoria generale dei sistemi. In base al primo modello, per ogni malattia esiste una causa biologica primaria, oggettivamente identificabile. I fattori comportamentali e i problemi sociopsicologici non sono considerati cause potenziali di malattia e quindi non vengono valutati nel processo di diagnosi; le deviazioni comportamentali sono spiegate sulla base di processi somatici (biochimici e neurofisiologici) disturbati. Il modello biopsicosociale proposto da G. Engel (1977) tiene conto dei fattori psicosociali e ritiene che la diagnosi medica debba considerare l'interazione degli aspetti biologici, psicologici e sociali nel valutare lo stato di salute dell'individuo e nel prescrivere un trattamento adeguato. Si tratta di un modello integrativo, che mira al superamento del vecchio dualismo tra psiche e soma, nonché della concezione semplicistica di cause singole e di sequenze unilineari nell'insorgenza della malattia. Viene sottolineata l'importanza della specificità dei livelli di analisi con cui si affronta la complessità dell'organismo, e l'interdipendenza o integrazione tra i livelli stessi. Si tratta quindi di un cambiamento epistemologico e professionale, che coinvolge non solo lo psicologo, ma anche il medico e gli altri operatori della salute. E’ proprio del modello biopsicosociale procedere all'approfondimento del livello psicologico, orientandosi verso la salute globale della persona nel suo ambiente, con un'enfasi maggiore sulla promozione della salute, intesa come realizzazione di sé, esplorazione del nuovo, più ancora che sulla prevenzione della malattia, affrontata con metodologie differenziate. Contemporaneamente occorre tenere conto della necessità di integrazione o interazione tra i vari livelli di analisi (interdisciplinarietà) e tra ruoli professionali diversi. Va evidenziato tuttavia che l'adozione effettiva del nuovo approccio nelle ricerche e nelle ipotesi esplicative si scontra con una serie di aspetti problematici, tra cui i più significativi sono la carenza di metodologie adeguate e una scarsa chiarezza concettuale nell'articolazione tra i diversi livelli. Un'ulteriore notazione riguarda il concetto di «sociale». Nel modello di Engel, gli aspetti sociali della salute sono intesi nel senso di norme sociali di comportamento (ad es. la norma sociale di fumare o non fumare), di pressioni a cambiare il proprio comportamento (ad es. aspettative del gruppo dei pari, pressioni familiari), di valore sociale della salute (se ad es. la salute è considerata una cosa positiva o no), di classe sociale, di appartenenza etnica e di altre variabili socioanagrafiche (ad es. occupazione). In sostanza, viene chiamato in causa un «sociale» considerato come sfondo, contesto esterne al soggetto, inteso tutt'al più come influenza degli altri sul comportamento individuale, facendo riferimento prevalentemente al quadro teorico della social cognition. Nella costituzione di nuovi paradigmi e modelli, nell'ambito del sociocostruttivismo, il ruolo del sociale va attentamente considerato sia per l'importanza che assume nel determinare le possibilità e le modalità con cui il soggetto cerca di far fronte alla malattia, alla sofferenza e allo stress, sia anche sul piano eziologico, nella produzione stessa dello stress e della patologia psichica e fisica, sia infine come luogo prezioso di risorse terapeutiche e preventive, sotto forma di sistemi di sostegno sociale e di autoaiuto. Qui si apre il dibattito, interno alla psicologia, sul valore e il significato degli approcci teorici utilizzati. La situazione attuale è caratterizzata dalla diffusione di modelli quasi tutti «derivati» dalla corrente dominante della psicologia, di chiaro orientamento sociocognitivo. Questo si traduce nell'adozione acritica delle assunzioni, dei metodi e dei problemi tipici della prospettiva della social cognition, con il risultato che i modelli derivati, privi di validità ecologica e indifferenti alla cultura, vengono applicati a persone e a situazioni isolate dal mondo reale della salute e delle pratiche di cura. Alcuni di questi modelli sono stati sviluppati specificamente per avanzare previsioni riguardo ai comportamenti «salutari» (ad es. il modello delle credenze sulla salute, la teoria della motivazione a proteggersi), altri sono modelli generali del comportamento (ad es. la teoria del comportamento pianificato), che sono stati applicati anche all'area della salute. Tutti questi modelli partono dal presupposto che le determinanti fondamentali del comportamento siano gli atteggiamenti e le credenze delle persone. Essi appartengono al gruppo dei modelli cosiddetti del «valore-aspettativa», in base ai quali le decisioni fra linee di azione differenti si fondano essenzialmente su due tipi di valutazioni a livello cognitivo: 1) la probabilità soggettiva che una certa azione conduca a un insieme di risultati previsti e 2) la valutazione dei risultati dell'azione. Si assume che gli individui, visti come esseri razionali, scelgano, tra le varie linee di azione alternative, quella che con maggiore probabilità determinerà conseguenze positive o eviterà conseguenze negative. Le singole teorie costituiscono delle elaborazioni di questo modello di base, nel senso di specificare i tipi di credenze e di atteggiamenti oppure di incorporare variabili aggiuntive accanto a quelle di base (ad es. norme soggettive, controllo percepito). Le ricerche empiriche, condotte per verificarne la capacità di predire i comportamenti degli individui, hanno fornito risultati a volte contraddittori, che spesso hanno portato a successive rielaborazioni (si veda la teoria dell'azione ragionata, poi diventata teoria del comportamento pianificato). Tali ricerche hanno il merito di aver sottolineato l'importanza di alcune variabili nella previsione dei comportamenti (ad es. la percezione del controllo o dell'efficacia personale), anche se in altri casi i costrutti risultano, allo stato attuale, troppo generici per consentire la previsione di comportamenti relativamente complessi, quale ad esempio l'adozione di precauzioni nei confronti dell'Aids. Le critiche fondamentali riguardano comunque il basso livello di varianza spiegata nel comportamento di salute. Per sopperire a questi limiti, gli autori si sono rivolti all'elaborazione di modelli integrati, in cui, oltre alle variabili cognitive, sono prese in considerazione variabili di tipo motivazionale, le emozioni, nonché gli aspetti processuali e dinamici legati alla dimensione temporale dell'azione. Vi sono, infine, le teorie che si basano sulle conoscenze elaborate dalla gente comune, cioè l'approccio dei prototipi della malattia e le rappresentazioni sociali: entrambe postulano l'esistenza di strutture cognitive che hanno un ruolo cruciale nell'interpretare e rievocare le informazioni connesse alla malattia e nel guidare i comportamenti in situazioni specifiche. Tuttavia, nella teoria dei prototipi della malattia l'enfasi è posta sugli eventi che avvengono nella mente del soggetto e sull'influenza che esercitano sul suo comportamento. Al contrario, i teorici delle rappresentazioni sociali considerano le credenze sulla salute e sulla malattia come fenomeni sociali, risultato di processi collettivi, che richiedono la comprensione delle dinamiche attraverso le quali le credenze si sviluppano e si diffondono in una determinata società e nei suoi vari sottogruppi. Queste due tradizioni di ricerca possono essere considerate complementari e fonte di arricchimento reciproco: la teoria delle rappresentazioni sociali infatti costituisce un completamento importante alla ricerca più individualistica sui prototipi, in quanto fornisce spiegazioni e dati sui processi attraverso i quali i concetti di salute e malattia si costruiscono all'interno di una società e sono condivisi dai suoi membri. Considerata l'importanza di variabili quali le abitudini e lo stile di vita delle persone, nell'influenzare in modo determinante le cause principali di morbilità e di morte nei paesi industrializzati, diventa rilevante il contributo che le discipline psicologiche possono fornire nell'individuare le abitudini salutari e quelle dannose, nello sviluppare spiegazioni teoriche dell'impatto di tali abitudini sulla salute, nel promuovere cambiamenti a livello di opinioni, atteggiamenti e comportamenti. Gli individui possono impegnarsi in pratiche positive di salute, considerate come parte di uno stile di vita più generale che riflette la capacità dei soggetti di anticipare i problemi, prevenendo la morbilità e la mortalità, e di mobilitarsi per far fronte ad essi in modo attivo. Tuttavia non sembra molto diffuso uno stile di vita «protettivo» della salute. Indagini recenti hanno evidenziato la forte diffusione tra gli italiani di comportamenti patogeni: la sedentarietà riguarda il 65% circa della popolazione, il sovrappeso il 41%, l'uso di alcol il 10% circa, il fumo il 30%. Gli studi che hanno analizzato le correlazioni tra il modo in cui le persone organizzano le loro opinioni sulla salute e il modo in cui si comportano per proteggere la propria salute hanno dato finora risultati molto modesti. A tal fine, le conoscenze prodotte in ambito psicosociale, specie in questi ultimi anni, possono rivelarsi molto utili (Petrillo, 1996; Zani e Cicognani, 2000; Braibanti, 2002). Un contributo importante in questa direzione è stato fornito da una serie di indagini condotte longitudinalmente, a partire dal 1965, su una piccola comunità della contea di Alameda, in California (Belloc e Breslow, 1972). L'importanza di questa indagine è considerevole; i risultati contribuirono notevolmente a produrre dei cambiamenti nella popolazione verso l'adozione di abitudini di vita più salutari: ne sono testimonianza le due conferme indipendenti dei principali risultati dell'Alameda Study ottenute in indagini simili condotte in altri contesti. Inoltre, il quadro iniziale delle ipotesi, soprattutto quelle relative alle buone abitudini e al sostegno sociale, ha stimolato lo sviluppo di numerosi altri filoni di ricerca, che hanno riguardato, ad esempio, la popolazione anziana o le responsabilità legate al ricoprire molteplici ruoli sociali. Una delle interpretazioni di questi dati è che uno stile di vita moderato porta a uno stato di salute buono. Gli effetti di alcune di tali pratiche, come è noto, hanno delle chiare basi biologiche: si pensi alle conseguenze ben documentate degli effetti nocivi del fumo (responsabile del 30% circa delle morti per tumore), dell'uso di alcol (associato alla cirrosi), dell'obesità (legata all'ipertensione), dello scarso esercizio fisico (associato alle malattie cardiovascolari). Ma ci sono anche altri fattori coinvolti, di carattere psicosociale, culturale, socioeconomico, e l'analisi delle interrelazioni tra questi fattori è uno dei temi di ricerca e di intervento ancora attuali. Un'area di ricerca importante, anche se più tradizionale, si occupa della malattia, di come le persone si rappresentano lo stato di malattia e di infermità, che tipo di comportamenti mettono in atto quando avvertono dei sintomi, quali strategie utilizzano per far fronte a situazioni di difficoltà, quali l'insorgenza di una malattia (il momento della diagnosi), la gestione di una malattia cronica, il dolore, il processo di adattamento a specifiche malattie aventi gradi diversi di gravità e durata. Secondo N. Adler e K. Matthews (1994) sono tre le questioni basilari al centro dell'attenzione: chi diventa malato e perché; tra i malati, chi guarisce e perché; come si può prevenire la malattia o promuovere la guarigione. Numerose ricerche hanno cercato di fornire delle ipotesi interpretative, prendendo in considerazione sia le caratteristiche individuali che predispongono un soggetto a una data malattia (come il cancro, le malattie endocrine o le malattie cardiovascolari), sia i fattori legati all'ambiente sociale. Sempre più frequentemente si sottolinea l'importanza dell'interazione persona/ambiente: ad esempio, le caratteristiche disposizionali possono predisporre gli individui a essere vulnerabili a specifici elementi ambientali che sono causa di malattia; le variabili di tipo ambientale e personale possono influenzare l'insorgere di una malattia mediante i meccanismi fisiologici (reattività cardiovascolare allo stress, capacità immunologica). Sono emerse chiare evidenze empiriche che il sostegno sociale, l'ostilità disposizionale e lo stress lavorativo sono legati agli esiti di salute, mentre certe caratteristiche di personalità (come il Tipo A, indicante l'individuo iperattivo, o la depressione) non sono direttamente legati a malattie (quali rispettivamente malattie cardiovascolari o cancro). Un rilievo centrale ha assunto non la semplice esposizione a eventi di vita stressanti, quanto la valutazione soggettiva della situazione come stressante. Cruciale in questo quadro è quindi il concetto di stress. Uno dei temi che ha attirato l'interesse dei ricercatori è l'analisi delle situazioni di vita caratterizzate da una malattia cronica. In letteratura vi sono due tendenze divergenti: secondo alcuni autori, i tratti specifici di una malattia, la sua gravità e la sua visibilità, influenzano in modo differenziato il funzionamento psicosociale del soggetto. Altri invece sostengono che, indipendentemente dal tipo di malattia cronica, tutti i pazienti condividono gli stessi problemi, per cui non è molto produttivo ricercare le risposte caratteristiche a una malattia fisica specifica. Il quadro che emerge da un'analisi attenta di numerose indagini mostra che mentre per molti anni l'impatto della malattia cronica sui pazienti adolescenti e giovani adulti è stato considerato in modo sfavorevole, recentemente si è messo in dubbio lo stereotipo del paziente malato cronico come una persona che necessariamente incontra difficoltà nel raggiungere una qualità di vita soddisfacente e una buona integrazione nella società. Questo può essere dovuto al fatto che le recenti strategie terapeutiche, relative a nuove e più efficaci cure mediche, unite a un adeguato sostegno psicosociale, hanno notevolmente migliorato l'andamento della malattia cronica, modificando anche l'immagine che gli stessi pazienti hanno delia loro malattia. Come conseguenza di questo trattamento globale, il numero di pazienti con malattia cronica che hanno una buona qualità di vita è in continuo aumento. BRUNA ZANI |