Ragionamento |
Con il termine «ragionamento» vengono comunemente definiti i processi mentali che portano a costruire, completare e valutare argomenti (o «inferenze»), cioè sequenze di premesse e conclusioni (dette a loro volta «inferenze»). Seguendo una classificazione tradizionale di tipo logico-filosofico, si è soliti distinguere il ragionamento deduttivo da quello induttivo. Nel caso del ragionamento deduttivo è possibile stabilire se gli argomenti sono validi, cioè se, data la verità delle premesse, le conclusioni sono altrettanto vere. Per esempio, se sono veri entrambi gli enunciati «Tutte le lettere riportate sulla lavagna sono vocali» e «Queste lettere sono riportate sulla lavagna», si può stabilire che la conclusione «Queste lettere sono vocali» è vera. Nel caso del ragionamento induttivo, invece, non è possibile stabilire la validità degli argomenti, dato che premesse vere non garantiscono conclusioni vere. Per esempio, anche se sono veri entrambi gli enunciati «Quasi tutte le lettere riportate sulla lavagna sono vocali» e «Queste lettere sono riportate sulla lavagna», non si può stabilire se la conclusione «Queste lettere sono vocali» sia vera. Nel dominio del ragionamento induttivo possono essere fatti rientrare i processi di generalizzazione, di formazione di concetti e di generazione e va-idazione d'ipotesi. Anche i processi di ragionamento probabilistico sono spesso considerati induttivi e, in effetti, il calcolo delle probabilità è uno degli strumenti della logica induttiva. Tuttavia, gli argomenti che riguardano le probabilità non sono necessariamente induttivi. Per esempio, dalle premesse «Un dado ha sei lati» e «Ogni lato ha 1/6 di probabilità di uscire», si può dedurre validamente «Il lato 2 ha 1/6 di probabilità di uscire». Non tutti gli psicologi del pensiero, in effetti, ritengono che alla distinzione logico-filosofica fra ragionamento deduttivo e induttivo corrisponda un'effettiva distinzione di tipo psicologico. Il ragionamento comune, cioè quello messo in atto dalle persone che non conoscono discipline formali come la logica o il calcolo delle probabilità, è stato studiato ben prima dell'avvento della psicologia scientifica. A partire da Aristotele e dagli stoici, fino alla metà del XIX secolo, i logici hanno ritenuto che l'oggetto della loro disciplina fosse lo studio delle leggi del pensiero. In modo simile, fino agli anni '70 del '900 in psicologia è prevalsa la «teoria della logica mentale», secondo la quale la mente umana possiede delle regole per trarre inferenze valide. Il pili noto sostenitore di questa teoria è stato J. Piaget, la cui teoria dello sviluppo cognitivo prevedeva l'acquisizione, durante l'adolescenza, di operazioni formali simili a quelle del calcolo logico (Inhelder e Piaget, 1955). Le versioni della logica mentale proposte più di recente (Braine, 1978; Rips, 1994) condividono l'assunto secondo cui il ragionamento comune è basato sull'applicazione di regole sintattiche alla rappresentazione mentale della forma logica degli enunciati. Per esempio, dalle premesse «Se c'è una A, c'è una B » e « C 'è una A», le persone non esperte di logica traggono l'inferenza valida «C'è una B» perché applicano alla forma logica di tali enunciati l'equivalente mentale del modus ponens, cioè della regola che permette di ricavare la conclusione «Q» da una coppia di enunciati di forma «Se P, allora (,)» e «P». Negli ultimi decenni, la teoria della logica mentale è stata messa in crisi dalla scoperta che le persone commettono errori sistema-liei in problemi di ragionamento formalmente non complessi. Per esempio molte persone non traggono nessuna conclusione dalle premesse «Se c'è una A, c'è una B» e «Non c'è una B», quando, invece, potrebbero ricavare l'inferenza valida « Non c'è una A» dall'applicazione della regola del modus tollens, cioè della regola che porta a inferire la conclusione «non-P» da due premesse di lorma «Se P, allora Q» e «non-Q». Errori di questo tipo sono difficili da spiegare seguendo la teoria della logica mentale, dato che il modus tollens è una delle regole d'inferenza valide della logica classica. Anche la scoperta che le inferenze delle persone sono influenzate dal contenuto delle premesse e dal contesto in cui sono situate ha contribuito a mettere in crisi la teoria della logica mentale. Infatti, se dipendesse dall'applicazione di regole logiche (che per definizione sono formali), allora il ragionamento comune non sarebbe soggetto all'influenza dei contenuti delle premesse. La ricerca sul ragionamento umano è attualmente dominata dalla «teoria dei modelli mentali» proposta dallo psicologo inglese Ph. Johnson-Laird, e i cui precursori storici si possono trovare nei lavori di Ch. S. Peirce e di K. Craik. Secondo questa teoria (Johnson-Laird, 1983; Johnson-Laird e Byrne, 1991), il ragionamento non dipende dall'applicazione di regole, ma dalla costruzione e manipolazione delle rappresentazioni (modelli) mentali delle possibilità descritte dalle premesse. Per esempio, dato l'enunciato condizionale « Sulla lavagna, se c'è una A, c'è una B», le persone tenderanno a costruirsi una rappresentazione mentale come la seguente: A B … nella quale ogni riga denota un modello. Il primo è un modello esplicito in cui sono rappresentate le lettere menzionate nel condizionale e il secondo è un modello implicito (per convenzione simbolizzato da tre punti) che semplicemente ammette, senza svilupparle in modo esplicito, che esistano altre possibilità (quelle in cui non c'è una A) in cui il condizionale è vero. Tale enunciato, infatti, risulterebbe vero se sulla lavagna fossero presenti una lettera diversa dalla A e una lettera B, oppure una lettera diversa dalla A e una lettera diversa dalla B. Secondo la teoria dei modelli mentali, però, la rappresentazione esplicita di queste combinazioni è poco probabile. Dati i limiti della memoria di lavoro, infatti, le persone tendono a costruire in modo esplicito solo una parte dei modelli possibili. In particolare, tendono a costruire modelli mentali che rappresentano ciò che è vero, ma non ciò che è falso (come, nell'esempio indicato, le combinazioni di lettere in cui non c'è una A). Questa tendenza, definita «principio di verità», permette di rendere conto di numerosi errori di ragionamento. Per esempio, se all'enunciato condizionale sopra indicato viene fatto seguire l'enunciato « Sulla lavagna non c'è una B», le persone tendono a inferire che «nulla ne consegue», poiché la loro rappresentazione limitata del condizionale non contiene modelli in cui è falso che ci sia una B. In altre parole, le persone non risolvono un problema di forma modus tollens perché non basano il loro ragionamento su una rappresentazione completa della premessa condizionale, cioè sul seguente insieme di modelli: A B non-A B non-A non-B La teoria dei modelli mentali permette di rendere conto delle capacità di ragionamento delle persone non esperte di logica senza invocare l'applicazione di regole formali. Per esempio, data la rappresentazione limitata del condizionale sopra indicata e data la seconda premessa « Sulla lavagna c'è una A», le persone traggono l'inferenza corretta «Sulla lavagna c'è una B» poiché nel modello esplicito del condizionale sono presenti sia la lettera A che la lettera B. In altre parole, le persone ricavano una conclusione valida da un problema di forma modus ponens non perché possiedano e applichino l'equivalente mentale di tale regola, ma perché possono ragionare correttamente anche basandosi su una rappresentazione incompleta del condizionale. Le persone, invece, non traggono nessuna conclusione valida nel caso di problemi di forma modus tollens, perché per farlo dovrebbero esplicitare tutte le possibilità in cui il condizionale è vero, comprese le possibilità che rappresentano casi falsi (nell'esempio precedente: «Sulla lavagna non c'è una A»), In conclusione, le capacità deduttive e gli errori di ragionamento delle persone non esperte di logica sembrano dipendere dal modo in cui sono rappresentate e interpretate le premesse, e non dalla presenza o assenza di una data regola logica dal repertorio di regole di ragionamento comune. La controversia tra i sostenitori delle due principali teorie del ragionamento è ancora aperta. La teoria dei modelli mentali però ha recentemente portato alla scoperta di un insieme d'illusioni di ragionamento, analoghe alle illusioni percettive e difficilmente spiegabili sulla base della teoria della logica mentale. Per esempio, dati i seguenti enunciati (i) « Sulla lavagna, se c'è una A, allora c'è una B, oppure se c'è una C, allora c'è una B » e (ii) «Sulla lavagna c'è una A e c'è una B», la quasi totalità delle persone conclude che i due enunciati possono essere contemporaneamente veri (Johnson-Laird et al., 2000). Questa inferenza sembra corretta, invece è un'illusione. In primo luogo, se l'enunciato (ii) è vero, allora l'enunciato (i) è falso: la presenza di A e di B sulla lavagna rende infatti veri entrambi i condizionali che formano l'enunciato disgiuntivo e, di conseguenza, rende falso quest'ultimo. In secondo luogo, se l'enunciato (i) è vero, allora l'enunciato (ii) è falso: perché sia vero l'enunciato disgiuntivo (i), uno dei due condizionali che lo compongono deve essere falso, di conseguenza non ci deve essere la lettera B sulla lavagna. In ogni caso, i due enunciati non possono essere contemporaneamente veri. Inferenze illusorie di questo tipo sono state predette dalla teoria dei modelli mentali sulla base del principio di verità. Infatti, se le persone si rappresentassero anche i modelli che rappresentano i casi falsi, non trarrebbero le inferenze illusorie. E’ invece difficile spiegare le illusioni seguendo la teoria della logica mentale, poiché dalle regole logiche si possono trarre solo inferenze valide. Quindi, a meno di supporre che nella mente umana esistano regole logiche per trarre inferenze non valide, le illusioni indicano che il ragionamento comune non è guidato da una logica mentale. Nello studio del ragionamento deduttivo si è così passati da una visione ispirata dalla logica formale a una visione più realistica delle capacità di pensiero comune. Un simile cambiamento si è verificato anche nello studio del giudizio probabilistico. In questo campo i più importanti lavori sono stati condotti da due psicologi israeliani, A. Tversky e D. Kahneman. Il loro bersaglio teorico principale, la «teoria della scelta razionale», può essere considerato l'equivalente, nel dominio del ragionamento non deduttivo, della teoria della logica mentale. Secondo tale teoria, che è allo stesso tempo norma ideale e tentativo di formalizzazione delle scelte reali, l'attore razionale risolve problemi di decisione in condizioni d'incertezza scegliendo le alternative che hanno la maggior probabilità di produrre i migliori benefici. Una componente essenziale della scelta razionale è, quindi, la capacità di stimare correttamente la probabilità di accadimento di eventi incerti. Contro gli assai poco realistici assunti della teoria dell'azione razionale, Kahneman, Tversky e colleghi hanno dimostrato che le persone non sono sempre in grado di fare stime probabilistiche accurate e scelte economicamente vantaggiose. La prospettiva adottata da questi ricercatori è quella, psicologicamente più realistica, della «razionalità limitata», proposta dall'economista e psicologo americano H. Simon, secondo cui i vincoli del sistema cognitivo umano, e la complessità e ambiguità dell'informazione che il sistema stesso si trova a elaborare, rendono spesso impossibile l'applicazione di procedure sistematiche di soluzione di problemi. Per questo motivo, gli individui tendono spesso a risolvere problemi di ragionamento, o di scelta, attraverso l'applicazione inconsapevole di «euristiche», cioè di procedure economiche che, nella maggior parte dei casi, portano a soluzioni corrette dei problemi, ma che, in alcuni casi, possono portare a errori sistematici (biases). Due degli esperimenti condotti da Tversky e Kahneman (1983) possono servire a illustrare gli effetti dell'applicazione delle euristiche di giudizio. In un primo esperimento un gruppo di partecipanti doveva predire quante parole di sette lettere terminanti in «ing» si possono trovare in quattro pagine prese a caso da un romanzo di lingua inglese. Un secondo gruppo di partecipanti, invece, doveva predire il numero di parole di sette lettere aventi «n» come penultima lettera. Dato che tutte le parole «... .ing» sono parole «.....n. », la frequenza delle prime non potrà essere superiore a quella delle seconde. I risultati ottenuti dimostrarono, però, che le stime fornite dai partecipanti del primo gruppo erano superiori a quelle fornite dai partecipanti del secondo. Queste stime rappresentano una violazione di una regola di base nel calcolo delle probabilità, cioè la regola della congiunzione, secondo la quale la probabilità della congiunzione di due eventi non può essere superiore alla probabilità di uno di questi eventi. In termini più formali, dato che le parole «... .ing» sono parole «.....n. » con l'aggiunta di due lettere, si avrà: p(parola «... ing») ≤ p(parola «... .n. ») Secondo Tversky e Kahneman, questo tipo di errore può essere attribuito all'applicazione dell'euristica della «disponibilità», cioè di quell'euristica di giudizio che porta a valutare la frequenza o la probabilità di una classe in base alla facilità con cui ne vengono costruiti o.ricordati gli esemplari: tanto più numerosi saranno gli esemplari costruiti p ricordati, tanto maggiore sarà stimata la frequenza o la probabilità associata alla categoria cui tali esemplari appartengono. Nel caso specifico, i partecipanti possono aver stimato la frequenza di una data classe di parole in base alla facilità con cui ne recuperavano gli esempi dalla memoria. Per controllare questa spiegazione, Tversky e Kahneman chiesero ad altri due gruppi di partecipanti di produrre, in un minuto di tempo, il maggior numero possibile di parole delle due categorie. In effetti, i partecipanti che dovevano produrre parole di tipo «... .ing» ne produssero in media un numero doppio rispetto a quelli che dovevano produrre parole di tipo «....n.». Questo risultato, che si spiega sulla base della maggior facilità a ricordare parole che terminano con un suffisso naturale come «ing» rispetto a parole che terminano con « .n. », permette di attribuire all'euristica della disponibilità l'effetto ottenuto nel problema delle parole. In un altro esperimento veniva presentato ai partecipanti un dado con quattro lati verdi (V) e due rossi (R) che doveva essere lanciato per una ventina di volte. I partecipanti erano invitati a scommettere su una delle due seguenti sequenze di lanci: (i) RVRRR, (ii) RVRRRV. Dato che la sequenza (ii) non è altro che la sequenza (i) con l'aggiunta di un esito V finale, se si verifica la sequenza (ii) si verificherà necessariamente anche la sequenza (i). Di conseguenza la sequenza (i) non può essere meno probabile della sequenza (ii). In termini più formali: p(RVRRRV) <p(RVRRR) La maggior parte dei partecipanti, però, preferi scommettere sulla sequenza (ii). Questo risultato, che rappresenta un'ulteriore violazione della regola della congiunzione, può essere attribuito all'azione di un'altra euristica, quella della rappresentatività, cioè dell'euristica che porta a stimare la probabilità o la frequenza di un evento sulla base del grado in cui è rappresentativo della classe di eventi cui appartiene. In questo caso, la sequenza (ii) è più rappresentativa, rispetto alla sequenza (i), dei possibili lanci del dado, dato che contiene quattro R e due V, cioè una proporzione maggiore di esiti con il colore più probabile (V). E’ da notare che in questo esperimento gli eventi da valutare non erano presentati in forma linguistica ma come sequenze di risultati su cui scommettere. Di conseguenza, il fatto che le persone preferissero la sequenza che aveva minori probabilità di verificarsi non può essere attribuito a possibili ambiguità o anomalie pragmatiche nella descrizione linguistica degli eventi da considerare. Più in generale, questo e altri risultati dimostrano che non tutti gli errori di ragionamento possono essere attribuiti a fattori di tipo pragmatico-linguistico. In conclusione, negli ultimi decenni la ricerca sul ragionamento delle persone non esperte di logica o di altri sistemi formali, come il calcolo delle probabilità, ha dimostrato le loro indubbie competenze di base, ma anche i loro limiti nel trarre inferenze deduttive e probabilistiche. Le controversie circa la natura (formale o meno) delle competenze di base e circa le origini degli errori di ragionamento sono ancora aperte. Tuttavia sembra del tutto tramontata la visione tradizionale del pensiero umano che presupponeva un'impeccabile capacità naturale di valutare argomenti, formulare giudizi e, di conseguenza, prendere decisioni. VITTORIO GIROTTO |