Pulsione/istinto, libido

Come indicato dal termine italiano, oltre che dal suo corrispondente tedesco Trieb, ciò che caratterizza fondamentalmente la «pulsione» è la nozione di spinta verso una determinata direzione. Un «concetto convenzionale», come lo definisce S. Freud (1915g), che pur aspirando ab origine a diventare un «concetto fondamentale» della psicoanalisi resterà piuttosto oscuro, perfino «mitologico» (Id., 1932). Esso mira infatti a denominare le forze che si suppone siano dietro alle tensioni dovute ai bisogni e il fondamento ultimo di ogni attività umana, inclusi i comportamenti o le idee sperimentati passivamente che emergono spontaneamente senza essere risposte a uno stimolo esterno o a una condizione somatica. Mira inoltre a superare la tradizionale separazione fra comportamento istintuale biologicamente determinato e comportamento intelligente astratto liberamente promosso, ancorando alla sessualità, nel senso allargalo specificamente introdotto da Freud (1905c), il variegato e articolato piano motivazionale umano, nella normalità e nella patologia.

In psicoanalisi il termine «pulsione» è ufficialmente introdotto da Freud per la prima volta nel 1905, all'interno della sua nuova descrizione delle caratteristiche peculiari della sessualità umana, contrassegnata dalla scoperta di una sessualità infantile (oggetto fino ad allora solo di isolate osservazioni, ad esempio di Ch. Darwin) che risulta permanentemente attiva anche nell'adulto, e per di più è «perversa polimorfa»: essa comprende tutti quei tratti che entreranno a far parte della sessualità genitale come sue componenti o preliminari, e che invece, scomposti, isolati e cristallizzati, caratterizzeranno le singole perversioni adulte. Ed è introdotto per designare, precisamente, la rappresentanza psichica di una fonte di stimolo endogena in continuo flusso, differenziabile dagli stimoli discreti provenienti dall'esterno. Così intese, le pulsioni non avrebbero in sé alcuna qualità, ma andrebbero prese in considerazione solo come misura del lavoro richiesto alla psiche per via del suo legame con il corpo - secondo una delle classiche definizioni di Freud che la postula come un concetto-limite tra lo psichico e il somatico - e potrebbero essere parzialmente qualificate solo dalla relazione con le loro fonti somatiche e dalle loro mete, nella loro varietà e nei loro ribaltamenti, tutte riconducibili alla meta comune dell'abolizione dello stimolo organico per l'appunto lì dove scaturisce. Ma Freud aveva cominciato a parlarne già nel 1894, inizialmente propendendo per il termine Impuls, «impulso», attribuendolo significativamente ai ricordi, alle fantasie e alle rappresentazioni delle scene primarie, e individuandovi il bersaglio della rimozione (Freud, 1887-1904). Del resto, ricorrendo poi al termine «pulsione», Freud non attingerà solo alla biologia, dove era ed è spesso usato come sinonimo di istinto, ma a un uso consolidato, anche nella sua accezione sessuale, deEa lingua tedesca, nonché a corpose tradizioni di pensiero. Innanzitutto alla tradizione filosofica del Bildungstrieb sviluppatasi ampiamente nella cultura tedesca tra la fine del '700 e la prima metà dell'800, anche grazie a Goethe e Kant, a partire dal concetto di un impulso, o pulsione «formativa», introdotto nel 1780 dallo scienziato e antropologo tedesco J. Blumenbach per indicare la forza permanentemente attiva responsabile della strutturazione organica e della forma orientata finalisticamente negli esseri viventi, attraverso le tre funzioni della generazione, nutrizione e riproduzione. Tale concetto si inseriva nel dibattito sul funzionamento degli esseri organici e sull'origine della vita, nel quale aEora si contrapponevano meccanicismo e vitalismo, il preformismo di A. von Haller e l'epigenesi di C. Wolff, ma fu esteso anche al campo antropologico e artistico, dove peraltro nel Romanticismo tedesco la teoria della traduzione postulava con Novalis un Trieb zur Übenetzung, una pulsione alla traduzione intesa come un atto di decentramento che era modello di ogni pensiero e discorso. Pili ampiamente, Freud poteva riallacciarsi alla secolare tradizione di pensiero intorno alla coppia concettuale dell'attività e della passività, che via via dal la filosofia trasbordò alla fisica e alla medicina e, riconoscendo le forze vitali nella contrattilità, irritabilità e sensibilità, sostenne il passaggio dalle teorie senzienti a quelle motorie della mente.

Del resto, è in analogia con l'istinto, con cui spesso si confonde, che il termine pulsione mira a spiegare il comportamento spontaneo degli esseri viventi, accentuando ancor più quell'attività che la stessa riflessologia - per la quale ogni comportamento è una risposta riflessa a stimoli sensoriali esterni o interni (o una loro concatenazione gerarchicamente organizzata) - aveva inoculato nella pura passività. Infatti già con l'istinto si affermava la produzione endogena di eccitamenti non attivati dall'esterno, bensì coordinati centralmente e soprattutto relativamente fissi e caratteristici della specie, perché geneticamente predisposti e trasmessi ereditariamente. L'istinto è infatti, secondo un'ormai classica definizione (Tinbergen, 1951), un meccanismo nervoso, gerarchicamente organizzato, che è sensibile a determinati impulsi preparatori, scatenanti e orientanti, di origine interna come pure esterna, e che risponde a tali impulsi con movimenti coordinati, i quali contribuiscono alla conservazione dell'individuo e della specie. Pur avendo di mira specificamente il comportamento innato, e dunque la preformazione e predisposizione dei suoi moduli, nella stessa concezione dell'istinto sono via via sfumate le caratteristiche di rigidità e stereotipia. Più precisamente, esse sono state circoscritte ai livelli gerarchici inferiori degli atti consumatori, riservando variabilità e adattabilità a quelli superiori dei comportamenti cosiddetti «appetitivi», a entrambi contribuendo fattori causali sia interni che esterni, sia meccanismi già innatamente predisposti che meccanismi richiedenti un apprendimento e talvolta la mediazione dell'altro. La pulsione si propone appunto come un'attività scaturita endogenamente e radicata nel corpo, analogamente all'istinto, ma si contraddistingue per il fatto di essere una spinta costante anziché un circuito chiuso in un arco temporale definito (in un atto consumatorio o un'«azione specifica», come dirà fin dall'inizio Freud, se le condizioni esterne lo consentono), e per essere fondamentalmente sessuale. Ma anche per il fatto di non essere preformata e innata, bensì estremamente variabile, poiché intimamente legata alle vicissitudini storiche del soggetto, e in particolare alle relazioni che ha intessuto nella sua vita, specie precocemente. Cosicché la pulsione sembrerebbe raccogliere e amplificati oltre modo quella caratteristica dell’istinto umano che fa dell'uomo uno «specialista della non specializzazione», come sosteneva K. Lorenz, e che ne è diventata il fondamento funzionale ed evolutivo, benché sia costitutivamente disadattiva.

Con l'introduzione della pulsione, sono subito definite da Freud le dimensioni che la contraddistinguono e la qualificano, ricalcandole sull'attività istintuale, dal momento che nell'essere umano essa cercherà di assumerne o mimarne l'organizzazione: la spinta, la fonte, la meta e l'oggetto. 1) La spinta è l'aspetto quantitativo, motorio del «frammento di attività» rappresentato dalla pulsione, anche quando ha una meta passiva, e la proprietà generale della pulsione, addirittura la sua essenza. J. Lacan (1973), invece, escluderà che la pulsione sia la spinta, ma soprattutto per minare l'idea che equivalga al la pressione di un bisogno, dallo scarto rispetto al quale essa si costituisce. 2) La fonte è invece il luogo somatico e il processo organico il cui eccitamento è rappresentato nella vita psichica dalla pulsione, e può essere direttamente o indirettamente erogena, giacché qualsiasi attività (da quella muscolare a quella intellettuale, ecc.) può fungere da fonte di energia sessuale, che ne può scaturire come prodotto marginale. La parcellizzazione e moltiplicazione delle fonti è all'origine della costitutiva parzialità delle pulsioni rispetto all'organizzazione di una funzione riproduttiva, che nell'essere umano sarebbe il prodotto di un lungo e tortuoso percorso per nulla scontato e niente affatto definitivo, di una vera e propria peripezia. Nella misura in cui si radica nel corporeo, la fonte costituisce inoltre la parte più oscura della pulsione, indipendentemente dal fatto che quest'ultima sia considerata la forza e la spinta stesse del processo somatico o il suo rappresentante nello psichico, ciò che esso causa o che si organizza nello psichismo, un rappresentante a sua volta rappresentato dai suoi delegati: rappresentazione e affetto. Queste due concezioni, peraltro, non si escludono, come sostengono coloro che intravedono proprio nel passaggio dall'idea di rappresentanti (rappresentativi ma anche affettivi) all'idea di moti pulsionali la svolta essenziale nella metapsicologia con la seconda topica, in vista della comprensione delle patologie extranevrotiche, in cui è problematica proprio la costituzione di un livello fantasmatico e rappresentazionale dello psichismo, o di una psichicizzazione del somatico. 3) La meta della pulsione, che non implica una sua teleologia, è in ogni caso costituita dal soddisfacimento consistente nella scarica della tensione con il conseguente piacere d'organo. Questa scarica è ottenibile mediante varie azioni (attive o passive), ed è suscettibile di una più o meno parziale inibizione e di trasformazioni o deformazioni più o meno marcate: il capovolgimento sulla propria persona, il ribaltamento nel contrario, la rimozione e la sublimazione che costituiscono i suoi principali destini, necessariamente plurali e, come ribadisce Lacan, piuttosto avventure, vicissitudini. È esattamente lungo il percorso dalla fonte alla meta, sottolinea Freud (1932), che la pulsione diviene psichicamente attiva, diventando rappresentabile come ammontare di energia che preme verso una direzione mediante i suoi rappresentanti. 4) L'oggetto, infine, è ciò mediante cui la pulsione cerca di raggiungere la sua meta, e può essere costituito da una persona, nella sua totalità, o da una sua parte, da un oggetto reale come pure da un oggetto puramente fantasmatico. Esso rappresenta la dimensione più variabile e contingente della pulsione, legata com'è alle vicissitudini della storia infantile, e specialmente all'intervento della rimozione che, disarticolando rappresentazione e affetto che ne compongono la rappresentanza psichica, favorisce le trasposizioni pulsionali - mediante le quali, ad esempio, si stabilisce un'equivalenza inconscia tra feci, denaro, dono, bambino, pene (Freud 19152). Questa contingenza dell'oggetto pulsionale è stata peraltro bersaglio di molte critiche: per esempio, in base all'idea che la pulsione e la libido ricerchino l'oggetto, anziché il piacere (Fairbairn, 1952), e siano piuttosto rappresentanti dell'aspetto dinamico delle strutture egoiche; oppure ritenendo che si debba tener conto dell'importanza dell'oggetto e della sua risposta nella costituzione dello psichismo (Winnicott, 1965). Ma è stata anche riaffermata con forza (Lacan, 1973). Questa parzializzazione, variabilità e alcatorietà della pulsione nelle sue quattro dimensioni, equivalente alla mancanza che la fonda e che ogni suo moto alimenta - giacché la pulsione può solo, per così dire, fare un giro a vuoto intorno all'oggetto fondamentalmente mancante e ritornarsene a mani vuote -, serve a spiegare le permutazioni di mete e oggetti che la caratterizzano e la variegata sessualità umana. Questa, lungi dal percorrere binari ben definiti in partenza, raggiunge la genitalità e la funzione riproduttiva (o un'organizzazione che può presentarne o mimarne alcune caratteristiche) solo alla fine di un lungo percorso, essendo contrassegnata da una sessualità infantile che occupa e organizza lo psichismo ben prima della pubertà, quando comparirà la sessualità istintuale che dovrà costantemente fare i conti con la prima, il più delle volte conflittualmente e con esiti sempre incerti e mai definiti per sempre (Laplanche, 1999). Alla base di queste trasformazioni e vicissitudini pulsionali è comunque postulata un'energia, intesa come una grandezza quantitativa, denominata libido (sottinteso: sexualis), termine già impiegato da R. von Krafft-Ebing e M. Benedikt per il desiderio sessuale. Essa equivale non a un'aspecifica energia mentale (come sarà intesa e concettualizzata da C. G. Jung), ma al corrispettivo, nell'ambito della sessualità umana, di ciò che ad esempio per l'istinto alimentare sono la fame e la sete, e di ciò che l'interesse è nel campo delle cosiddette pulsioni di autoconservazione o dell'Io del primo duali smo pulsionale. Più in particolare, la libido, essendo la manifestazione dinamica nella vita psichica della pulsione sessuale, è la controparte psichica dell'eccitamento somatico che ne può essere il substrato. Proprio l'insufficiente psichicizzazione di questo eccitamento somatico nella libido sarà proposta da Freud (1887-1904) come causa della sintomatologia melanconica, e poi da altri (Marty et al., 1963) delle cosiddette psicosomatosi. La parzialità delle pulsioni sembrerebbe spingere a una loro moltiplicazione tassonomica più ancora che per gli istinti, in genere raggruppati in poche categorie: alimentare, fuga, accoppiamento, combattimento, cura della prole. Tuttavia Freud ha distinto poche pulsioni (orale, anale, fallica, di guardare, di impossessamento) e ne ha rifiutate altre (gregaria, di imitazione, ecc.), sempre mantenendone una categorizzazione dualistica, benché variabile, per rendere ragione del conflitto psichico già al livello economico prima ancora che topico. All'iniziale suddivisione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io o di autoconservazione subentra, con la scoperta della libidinizzazione delle pulsioni dell'Io (cioè del narcisismo), la ripartizione tra pulsioni dell'Io e pulsioni d'oggetto; ma presto questo larvato monismo è di nuovo sdoppiato nel cosiddetto secondo dualismo pulsionale del 1920, tra pulsioni di vita e pulsione di morte, quest'ultima intesa in un certo senso come il pulsionale delle pulsioni, la loro dimensione conservatrice distillata alla stato puro ed estesa a proprietà universale della materia vivente. Per alcuni questi differenti dualismi varierebbero per l'elemento antisessuale; per altri il secondo dualismo, come la fugace concezione intermedia, si collocherebbe invece del tutto all'interno dell'area della pulsione sessuale, riproponendo l'aspetto slegante e parziale della sessualità inizialmente scoperto e poi ricoperto dall'individuazione della sua dimensione legante, totale, ossia narcisistica. Tuttavia solo il primo dualismo garantirebbe una corretta distinzione tra l'ambito sessuale e quelli dell'autoconservazione e dell'attaccamento, differenziazione che si sarebbe poi smarrita per una progressiva istintualizzazione della concezione della pulsione e per la scoperta del narcisismo - come peraltro avverrebbe nella realtà dell'essere umano. Un aspetto di questa istintualizzazione delle pulsioni sarebbe costituito dalla successiva proposta di una loro organizzazione libidica, nella quali le stesse fonti e la loro naturale progressione nello sviluppo individuale detterebbero le modalità di relazione oggettuale, i soddisfacimenti e le mete.

La concezione delle pulsioni, benché cardine della teoria psicoanalitica, in tutto il XX secolo è stata progressivamente al centro di numerose e talvolta aspre critiche e vivaci dibattiti, tanto rispetto alla loro ripartizione (monismo/dualismo, primo/secondo dualismo), quanto rispetto alla sua stessa definizione, congruità e utilità, sia teorica che clinica. A partire dalla concezione kleiniana che, pur aderendo fortemente al secondo dualismo pulsionale, ha sottolineato la centralità delle relazioni precoci con gli oggetti primari e della loro interiorizzazione e fantasmatizzazione in veri e propri oggetti interni. Fra i sostenitori della teoria delle relazioni oggettuali, infatti, vi sono coloro che ritengono che questa soppianti la teoria freudiana delle pulsioni e che tra i due modelli vi sia incompatibilità (Mitchell, 1988). Altri, invece, ritengono le due teorie compatibili, o adottano soluzioni intermedie, ad esempio facendo delle relazioni oggettuali la cornice dello sviluppo delle pulsioni, oppure riferendo le une e le altre a tipi diversi di fenomeni emergenti in fasi diverse dello sviluppo individuale, o ancora a dimensioni differenti dell'esperienza umana nonché del trattamento analitico, quasi alla stregua di nuovi punti di vista metapsicologici: pulsioni, funzioni dell'Io, relazioni oggettuali, Sé. Un terreno che si è particolarmente prestato a questo scontro è la questione dell'aggressività, per alcuni una delle motivazioni primarie e innate del comportamento - per Freud essenzialmente autodiretta (masochismo originario) -, per altri un effetto secondario della frustrazione e della mancata validazione narcisistica nella relazione con l'altro. Queste critiche al concetto di pulsione in quanto relativo a un livello metateorico esplicativo anziché al livello della cosiddetta «teoria clinica», e per di più insostenibilmente meccanicistico e basato sul desueto modello dell'arco riflesso, divergono poi nel propugnarne l'abbandono - totale o parziale - e la sostituzione o meno con altri concetti - desiderio, relazione o affetto -oppure nel continuare a sostenerne la necessità, ma aggiornandolo con le conoscenze attuali di biologia, psicologia e neuroscienze. A questi si contrappongono coloro che, pur confrontandolo con le attuali conoscenze di altre discipline, ne ribadiscono la specificità e la centralità per la psicoanalisi e per la stessa coerenza della concezione dell'apparato psichico, che peraltro avrebbe precorso recenti conoscenze neuroscientifiche. A. Green (1987), ad esempio, ritiene irrinunciabile postulare un'autonomia della vita pulsionale irriducibile all'esperienza acquisita, sottolineando la struttura triadica della psiche umana (un elemento interno, uno esterno e uno di mediazione), descrivendo d'altro canto la pulsione come una «catena» arborescente che, dai radicamenti corporei e somatici dei sistemi segnici, attraverso il sistema della rappresentanza pulsionale, conduce alle rappresentazioni inconsce e poi coscienti. Un percorso diverso è invece tracciato da J. Laplanche 1999), invertendo la direzione della nozione di appoggio. Presente dal 1905 e inizialmente denominato «associazione», l'appoggio è un concetto implicito messo in evidenza solo negli anni '60 (Laplanche e Pontalis, 1967), e relativo all'originaria articolazione nel bambino delle pulsioni sessuali con quelle autoconservative. Esso oscilla tra una concezione emergentista e una parallelista: per la prima, la pulsione sessuale funzionerebbe congiuntamente con l'autoconservazione, per poi staccarsene con un movimento tangenziale o controcorrente; per la seconda, invece, tra i due funzionamenti vi sarebbero scarse influenze, tranne per l'innesco alla fonte. In entrambi i casi, meta e oggetto delle pulsioni sessuali sarebbero loro indicate da quelle autoconservative. Laplanche vede invece nella seduzione originaria, nel senso generalizzato, la «verità» dell'appoggio, riscrivendo le dimensioni della pulsione e considerandola piuttosto come l'esigenza di lavoro imposta all'Io e al corpo dai fantasmi inconsci. Soprattutto per distinguerla accuratamente dall'istinto, a differenza del quale, per usare un calembour lacaniano, è una deriva che non indica nessuna via, se non che è necessario in qualche modo sbarazzarsene, ma sulla quale è costruito lo psi-chismo umano.

ALBERTO LUCHETTI