Psicologia del Sé

La psicologia del Sé, originata dalle idee di H. Kohut (1913-1981), è sicuramente uno dei movimenti psicoanalitici più importanti, e che ha avuto le più profonde ripercussioni, della seconda metà del '900. Nato a Vienna, nel 1939 Kohut si trasferì a Chicago, dove compi tutto il suo percorso professionale. Fu una figura particolare, ricca di fascino e facilmente mitizzata, sia per il coinvolgente modo di scrivere che per le idee che hanno squarciato più di un velo della psicoanalisi classica. Aveva tutte le carte in regola per diventare l'erede di S. Freud alla guida del movimento psicoanalitico, provenendo da una solida formazione classica, e anche avendo compiuto tutti i gradini dell'ascesa del potere dell'istituzione psicoanalitica. Non gli riuscì però di raggiungere il vertice, fu solo presidente dell'American Psychoanalytic Association dal 1964 al 1965 e vicepresidente dell'International Psychoanalytic Association (Ipa) dal 1965 al 1973. Non fu mai eletto presidente dell'Ipa, e a questo proposito vi è anche chi ha dato una lettura psicologistica, certamente ridutttiva, alla sua creazione di una psicologia dissidente: quando al congresso dell'Ipa di Roma del 1969 non passò la sua elezione a presidente (cosa che lui aveva dato per scontata), pare che ne fosse rimasto molto ferito, e che questa delusione abbia giocato un ruolo non irrilevante nella sua creazione di una diversa e separata psicologia psicoanalitica.

Kohut è noto per i suoi studi sul narcisismo, per avere rivalutato il valore dell'«empatia» come fattore terapeutico, e per avere rilanciato il termine «Sé» nel linguaggio psicoanalitico con una accezione nuova rispetto all'uso precedente che, ad esempio, ne aveva fatto H. Hartmann (1950). La sua influenza fu tale che con tutta probabilità fu anche grazie al movimento kohutiano, molto vivo negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni '70, che si decise di introdurre nella terza edizione del manuale diagnostico ufficiale dell'American Psychiatric Association (DSM-III, 1980) la diagnosi di «personalità narcisistica». I libri di Kohut furono soltanto tre (1971, 1977 e 1984, postumo), oltre a molte raccolte (da segnalare l'interessantissimo Casebook curato da A. Goldberg, 1978).

Il problema teorico che Kohut all'inizio si trovò a dover affrontare riguardava la spiegazione di determinati quadri clinici sulla base della seconda teoria delle pulsioni di Freud. In un primo momento Freud concepì un dualismo tra «pulsioni sessuali» e «pulsioni dell'Io», che presupponeva due tipi di pulsioni: quelle di autoconservazione (o dell'Io) miranti alla preservazione dell'individuo (ad esempio la fame), e quelle sessuali per la conservazione della specie. I problemi causati da questa prima teoria duale delle pulsioni sorsero appunto quando Freud affrontò il problema del narcisismo, problema che in seguito affronterà Kohut. Freud aveva postulato diverse fasi dello sviluppo della pulsione sessuale, da lui chiamata anche «libido». Questa, secondo lui, all'origine sarebbe autoerotica, cioè senza oggetto, in cui ogni pulsione parziale cerca soddisfazione su parti del corpo (le zone «erogene» orale, anale e fallica). In seguito la pulsione diventa alloerotica, cioè con scelta oggettuale. Ma a un certo punto Freud (1910d) postula una fase intermedia tra le due, detta narcisistica, in cui il soggetto unifica le sue pulsioni sessuali parziali autoerotiche e prende se stesso come primo oggetto d'amore. Freud postulò anche che, dopo la fase di investimento oggettuale, la libido può essere ritirata dagli oggetti, in una fase che chiama «narcisismo secondario» (e ridefinì quindi «narcisismo primario» quello prima descritto). Ricapitolando quindi gli stadi libidici, si hanno quattro fasi: autoerotismo, narcisismo primario, amore oggettuale, narcisismo secondario.

Ecco dunque il punto che aprì dei problemi nella prima teoria delle pulsioni di Freud: se nella fase di narcisismo primario il soggetto ama se stesso, diventa difficile distinguere le pulsioni dell'Io da quelle sessuali, in quanto entrambe rivolte all'Io (Freud non faceva distinzione tra Io e Sé). Nel risolvere questo problema, Freud (1914d) volle comunque mantenere una dualità delle pulsioni, ma decise di riferirla - nella sua seconda teoria delle pulsioni - non tanto alla fonte delle pulsioni (dell'Io o sessuali) quanto alla direzione (narcisistica o oggettuale). Inoltre introdusse la famosa metafora dell'ameba e dei suoi pseudopodi: se un'ameba estende uno pseudopodo diminuisce il suo centro, cioè più investiamo sull'esterno più si depaupera l'investimento sul Sé. Fu proprio questa concettualizzazione a rivelarsi inadeguata per l'eccessiva estensione che il termine narcisismo doveva assumere, e pesare molto sulla specificità di questo concetto. Infatti le condizioni in cui la libido «si ritirerebbe dagli oggetti» possono essere regressioni sia fisiologiche che patologiche, e possono comprendere una svariata serie di fenomeni clinici: sonno, autismo, schizofrenia, megalomania, paranoia, ipocondria, credenze magiche, animismo, onnipotenza del pensiero, malattie organiche, innamoramento, certi tipi di omosessualità o di perversioni, persino vanità, autoammirazione, autostima, «sentimento oceanico», ecc. Essendovi in tutti questi casi anche un'implicazione economica, si dovrebbe avere l'effetto di vasi comunicanti: più diminuiscono gli investimenti sugli oggetti, più aumentano i suddetti fenomeni narcisistici e viceversa. Ovviamente sappiamo che ciò non è vero per alcuni fenomeni clinici: se si può essere d'accordo che quando abbiamo il mal di denti amiamo meno nostra moglie perché siamo presi dal dolore che ci affligge, oppure che quando dormiamo ci distacchiamo dal mondo esterno, è dimostrato che spesso sono proprio coloro che hanno una buona autostima quelli che amano di più gli altri e investono maggiormente nel mondo esterno. Problematica fu anche l'equiparazione tra narcisismo e schizofrenia: secondo questa primitiva concezione freudiana, nella nevrosi la libido verrebbe investita sugli oggetti, mentre nelle psicosi schizofreniche (da Freud chiamate appunto «nevrosi narcisistiche») la libido verrebbe investita sul soggetto, depauperando così gli oggetti di investimento libidico, come accadrebbe ad esempio nell'autismo. Ebbene, fu il primo Kohut (1971), mentre affrontava lo studio dei vari aspetti clinici dell'equilibrio dell'autostima e del «narcisismo sano», colui che tentò di risolvere questo problema teorico postulando due «linee di sviluppo» della libido, rispettivamente di libido oggettuale e di libido narcisistica, non più strettamente collegate tra loro come vasi comunicanti ma indipendenti l'una dall'altra. Sembra che qui Kohut proponesse un ritorno alla prima teoria delle pulsioni di Freud, quella che prevedeva due tipi di pulsioni: sessuali e di autoconservazione. Ma nei due libri successivi (1977, 1984) egli modificò le sue concezioni allontanandosi ulteriormente dall'ortodossia freudiana, affermando che esiste una sola libido, quella «narcisistica», che grazie a rapporti «empatia» con le figure genitoriali (definiti «oggetti-Sé») trasformerebbe il Sé in forme meno arcaiche e via via più mature. Questa seconda fase della ricerca di Kohut rappresenta una vera frattura dal pensiero freudiano.

Kohut incominciò col notare due particolari tipi di transfert nei pazienti narcisistici, che chiamò transfert «speculare» e transfert «idealizzante» (in seguito identificherà un terzo tipo, precedentemente considerato una variante del transfert speculare, che chiamerà transfert «gemellare» o «alter ego»; modificherà anche il termine «transfert narcisistico» in «transfert oggetto-Sé»), Nel transfert speculare il paziente esprimerebbe il bisogno di essere ammirato e rispecchiato dal terapeuta, mentre nel transfert idealizzante esprimerebbe il bisogno complementare di idealizzare e ammirare il terapeuta stesso. Egli poi postulò che il compito del terapeuta non è quello di frustrare questi bisogni, magari interpretandoli come difese (ad esempio un freudiano potrebbe interpretare una idealizzazione del terapeuta come una difesa da paura o aggressività inconsce), ma di accettarli in quanto tali e di corrispondere empaticamente ad essi per permettere al Sé di svilupparsi. In altre parole, non si tratterebbe di desideri conflittuali, ma di bisogni legittimi del bambino o paziente. E’ solo permettendo di ripercorrere queste tappe evolutive attraverso un terapeuta empatico che ammira il paziente e gli permette a sua volta di farsi ammirare, che il paziente riesce gradualmente a mitigare o modificare il suo Sé grandioso attraverso quelle che Kohut chiama «internalizzazioni trasmutanti». Infatti secondo Kohut (1977) un atteggiamento poco «empatico» da parte dei genitori provocherebbe l'arresto dello sviluppo a un «Sé grandioso arcaico» (ed «esibizionistico») e a una «imago parentale idealizzata», di cui appunto i due tipi di transfert prima menzionati sarebbero la riattivazione nel transfert. Queste due configurazioni, tramite il rapporto empatico con l'oggetto-Sé (la figura genitoriale nell'infanzia e il terapeuta nella vita adulta), possono gradualmente trasformarsi, grazie all'elaborazione ottimale dei transfert speculare e idealizzante (il primo corrispondente al Sé grandioso arcaico e il secondo alla imago parentale idealizzata, spesso legati, rispettivamente, alla figura materna e a quella paterna), e costituire strutture stabili di autostima collegate, rispettivamente, ad «ambizioni» e «ideali»: l'«arco di tensione» tra ambizioni e ideali costituirebbe il «Sé bipolare» - un terzo polo sarebbe costituito dalle abilità e doti dell'individuo che mediano tra ambizioni e ideali.

Già da questi pochi accenni si può intravedere la radicale diversità della teoria kohutiana da quella freudiana. Kohut concepisce il Sé come qualcosa che dipende dall'ambiente, il quale può farlo crescere o arrestare a seconda di determinate proprie caratteristiche (come l'empatia dei genitori), il conflitto è tra il Sé e gli oggetti, non è intrapsichico come vuole la teoria classica chi postula una conflittualità tra Io, Es e Super io (in questo senso si può dire che Kohul appartenga alla scuola della «teoria delle relazioni oggettuali», secondo la quale l'ambiente ha una primaria responsabilità nella costituzione del soggetto). Il Sé di Kohul quindi è un'entità autonoma, priva di conflitto in se stessa, che appartiene a un livello di astrazione diverso da quello della strutttura tripartita Io/Es/Super-io, poiché viene concepito come il centro della psiche e «sovraordinato» a Io/Es/Super-io, e non come una delle funzioni dell'Io secondo la definizione di Hartmann, il quale suggerì un'accezione ristretta del Sé come «rappresentazione del Sé», cioè della persona, da parte dell'Io.

Queste concezioni hanno profonde implicazioni. Infatti, il concetto di conflitto intrapsichico, che è centrale in psicoanalisi, è strettamente legato a quello di pulsione, cioè all'Es, che appunto entra in conflitto con altre strutture psichiche come ad esempio il Super-io. Ed è per questo che Kohut, coerentemente, nega l'esistenza autonoma delle pulsioni, e afferma che le loro manifestazioni (aggressività, sessualità, il complesso di Edipo, e così via fino a comprendere lo stesso conflitto intrapsichico) sono già di per sé dei «prodotti di disintegrazione» della libido narcisistica nel momento in cui il soggetto (il Sé) entra in un rapporto non empatico o frustrante con le figure parentali (gli oggetti). Sono interessanti a questo proposito le osservazioni cliniche di Kohut sulle funzioni dell'erotizzazione, anche negli adulti, come stimolazione del Sé per difendersi dal vuoto, da un senso di frammentazione, da un rapporto in crisi o privo di valori. Kohut mostra in particolare come l'erotizzazione, soprattutto se perversa e masturbatoria, e altre stimolazioni forti - quali uso di droghe, gioco d'azzardo, automutilazioni, ecc. - possono servire a compensale un senso di depressione, di malessere iniettore o di «frammentazione del Sé» non altrimenti gestibile, laddove invece una f orte sensazione fisica, anche se dolorosa, risveglia e «compatta» la psiche, facendola uscire da un malessere ancor peggiore (allo stesso modo con cui a volte i bambini autistici nelle istituzioni totali passavano la giornata a battere la testa contro il muro [head-hanging], quasi nel tentativo di provare almeno qualcosa rispetto al nulla e alla solitudine in cui erano immersi). Tra le prime osservazioni cliniche di Kohut vi erano, ad esempio, quei malesseri che i pazienti provavano nel week-end, come erotizzazioni, emicranie e altri disturbi psicosomatici, considerati espressione della rottura del rapporto transferale con l'oggetto-Sé/analista empatico a causa dell'interruzione del fine settimana.

Le idee portanti della psicologia del Sé sembrano dominanti nella psicoanalisi contemporanea, poiché ad esempio costituiscono il retroterra teorico della stessa infant research in psicoanalisi (D. Stern, R. Emde, S. Green-span, J. Lichtenberg, B. Beebe, F. Lach-mann, ecc.), cioè dell'importante movimento di ricerca sperimentale sul bambino, prevalentemente nordamericana, che ha rivoluzionato le concezioni dello sviluppo, contraddicendo la teoria di M. Mahler e revisionando la teoria della motivazione. Non mancano però le voci critiche, secondo le quali Kohut non sarebbe riuscito a fondare un sistema teorico coerente e realmente alternativo a quello della psicoanalisi classica (Gedo, 1986), e la sua posizione, per l'implicita negazione della centralità del conflitto intrapsichico, rischia di rappresentare un ritorno a psicologie prepsicoanalitiche come quelle di P. Janet e J.-M. Charcot. Inoltre la concezione fenomenica, esperienziale e conscia del Sé, assieme a una rivalutazione dell'empatia (che viene intesa da Kohut sia come tecnica terapeutica sia come «introspezione vicaria», cioè come strumento di conoscenza), sembra segnare un ritorno all'impostazione fenomenologica di K. Jaspers e L. Binswanger, sempre più presente peraltro in gran parte del movimento psicoanalitico. Né va dimenticato che il ruolo dell'empatia era già stato teorizzato da C. Rogers all'interno della «terza forza» del movimento psicoterapeutico (l'area umanistico-esperienziale), che pure usò il termine Sé e il concetto di autorealizzazione (self-actualization) grazie a un ambiente facilitante. Del resto, una convergenza di idee in questo senso è inevitabile una volta fatte le scelte di campo che fece Kohut. Una possibile interpretazione del fenomeno della psicologia del Sé è quella di vederla come un'oscillazione del pendolo della storia della psicoterapia, nel senso che rappresentò anche una reazione ai danni iatrogeni di una tecnica psicoanalitica classica stereotipata (ortodossa ma non «freudiana») con cui in certi settori - soprattutto nordamericani -essa era stata appresa e praticata (anonimità, astinenza, neutralità, ecc.). Non è un caso che molte analisi di Kohut fossero seconde analisi di pazienti - spesso candidati in training psicoanalitico - le cui precedenti analisi «ortodosse» fallite avevano rappresentato una ferita narcisistica prolungata. Inoltre si può dire che la psicologia del Sé di Kohut sia stata un importante affluente dell'approccio relazionale contemporaneo, insieme, rispettivamente nel vecchio e nel nuovo continente, alla scuola inglese delle relazioni oggettuali e al movimento postsullivaniano - movimenti che avevano in comune la rivalutazione della «realtà reale» nei confronti del cosiddetto «intrapsichico», cioè una rivalutazione della teoria della seduzione. La psicologia del Sé, in sostanza, assieme ad altri orientamenti psicoanalitici del secondo '900, concorse a correggere possibili estremizzazioni o fraintendimenti di una psicoanalisi concepita solo come «intrapsichica» o «monopersonale». Più in generale, si può dire che Kohut fu anche l'espressione del clima dei tempi, di una diversa atmosfera sociale, di quella «cultura del narcisismo» (Lasch, 1978) che caratterizzerebbe l'era del benessere delle società avanzate, in cui la crisi dei valori e altre complesse trasformazioni avrebbero letteralmente stravolto il significato dell'esistenza dell'uomo facendolo per così dire «ripiegare su se stesso». Questa era del narcisismo, iniziata nelle ultime decadi del '900, avrebbe prodotto quello che Kohut stesso definì P«uomo tragico», ben diverso dall'«uomo colpevole» che attirò l'interesse di Freud ai primi del secolo.

Qualunque sia il bilancio di questo movimento, tutti sono concordi nel ritenere che molte intuizioni di Kohut costituiscono non solo un notevole progresso nella nostra comprensione della terapia del narcisismo e dei disturbi gravi di personalità in generale, ma anche un importante arricchimento per tutto il movimento psicoterapeutico.

PAOLO MIGONE