Psicodramma> |
Lo psicodramma è un metodo psicoterapeutico fondato da J. L. Moreno (1889-1974), nato in Romania e vissuto a Vienna in quello straordinario periodo di fermento culturale in cui vedeva la luce anche la psicoanalisi. Tra il 1915 e il 1918 gli fu offerta la possibilità di osservare una comunità di italiani trasferiti dal governo austroungarico a Mittendorf, ed è molto probabile che questa esperienza lo abbia aiutato a consolidare l'interesse per i fenomeni di gruppo. Appassionato da sempre anche di teatro, nel 1921 fondò a Vienna lo Stegreifstheater (teatro della spontaneità), con l'idea di dar vita a una nuova forma teatrale che trasformasse gli spettatori in attori e la loro vita, i loro problemi reali, in una trama da mettere in scena. Unendo l'amore per il teatro e l'interesse per i fenomeni di gruppo, Moreno divenne un geniale regista dell'improvvisazione teatrale, organizzando psicodrammi nei giardini di Vienna, nelle strade, nei teatri, negli accampamenti militari. Non ebbe tuttavia a Vienna il successo sperato e nel 1925 si trasferì a New York, dove trovò un terreno favorevole alle sue idee e ai suoi metodi. Gli fu possibile dare inizio a un progetto di psicodramma aperto al pubblico e, da quel momento, tale tecnica si diffuse negli ambienti psichiatrici americani. Nel 1932, a Hudson, cominciò a occuparsi dello studio sociometrico delle relazioni interpersonali e nel 1936 fondò una clinica psichiatrica privata a Beacon, dove nacque l'Accademia di psicodramma. Nel 1946 pubblicò il primo volume sulla sua tecnica mentre il secondo uscì nel 1953 con la collaborazione della moglie. Negli anni trascorsi a Vienna Moreno aveva contrapposto vivacemente l'azione drammatica al valore terapeutico delle parole pronunciate sul lettino dello psicoanalista. Egli ricusò in modo drastico e costante gli apporti della psicoanalisi, scontrandosi dapprima con il pensiero di S. Freud e in seguito anche con quello di C. G. Jung. Per Moreno era centrale il ricupero della «verità» propria di fronte agli altri e non solo di fronte a se stessi come avveniva sul lettino dello psicoanalista; dunque, in questo senso, nel lavoro psicodrammatico, Moreno attribuiva al gruppo e ai fenomeni di gruppo un valore assai alto. Negli Stati Uniti incontrò una cultura che favori la diffusione e il successo delle tecniche derivate dallo psicodramma che in parte si affiancarono e in parte si contrapposero alla metodologia dei gruppi terapeutici di S. Slavson (1952). Non si può tuttavia inquadrare lo psicodramma analitico senza ricordare come l'humus dui quale psicoanalisi e psicodramma si sono sviluppate presentava delle zolle contigue. Comune era la cultura viennese nella quale Moreno e Freud si sono mossi e comuni erano alcuni passaggi storici dei quali ambedue sono stati testimoni. La tecnica della drammatizzazione era già comparsa agli albori della psicoanalisi precedendo l'invenzione dello psicodramma di un buon numero di anni, ed è difficile pensare che Moreno non ne fosse al corrente. Tuttavia mentre quest'ultimo scelse in modo radicale come via della cura la rappresentazione di fronte al pubblico, testimone dello svolgimento scenico dell'azione e dell'esternazione delle passioni, Freud e i suoi seguaci scelsero in modo altrettanto radicale il campo della parola, privilegiando la via della presa di coscienza del soggetto di fronte a se stesso sul lettino. Le scene popolate dai personaggi che dal passato irrompono attraverso gli affetti sono una presenza costante nel processo psicoanalitico. Già gli Studi sull'isteria (Freud, 1892-95) avevano messo in luce come l'irruzione degli affetti e la loro azione nel campo terapeutico includessero all'interno di una «scena» mascherata sia il soggetto curato che il soggetto curante. Ciò che emanava dalla scena - canovacci, emozioni, affetti, ricordi, personaggi - sembrava costantemente domandare un narratore o un regista che permettesse lo svolgimento della storia e la trasformazione dei suoi contenuti, e di questo si era occupato Freud. La visione, che nella psicoanalisi è rivolta al mondo interiore, come visione mentale che analista e paziente rappresentano nel transfert, nello psicodramma diviene una condivisione di scene che si incarnano nei personaggi che animano le scene. Mentre Freud era tanto interessato al senso nascosto nelle immagini da decidere di entrare nei sogni e analizzarli con i suoi pazienti, lo psicodramma di Moreno li mette in scena dando corpo, voce e volto ai personaggi della mente, attraverso i compagni di gruppo. Nello psicodramma la catena dei significanti viene sollecitata anche attraverso gli stimoli visivi che attivano il preconscio lavorando per concatenazione e successione di scene. Le scene si trasformeranno in pensieri con il lavoro elaborativo degli affetti, le punteggiature del conduttore, l'aiuto del gruppo. La rivisitazione della tecnica moreniana in Europa ha avuto inizio negli anni del dopoguerra, quando lo psicodramma, riscoperto dagli psichiatri francesi, è stato utilizzato nella cura dei bambini per i quali il movimento e la parola si possono facilmente intrecciare attraverso il gioco, per dare espressione scenica alla complessità degli affetti e dei conflitti che accompagnano la progressiva costruzione del sentimento di identità. Procedendo tra il succedersi dei differenti contributi di D. Anzieu, S. Lebovici, R. Diatkine, J. Kestemberg, P. e G. Lemoine lo psicodramma prima in Francia e poi in Italia diventerà una terapia sempre più diffusa e studiata, dapprima per la cura dei bambini e degli adolescenti - per i quali il gioco finirà per rivelarsi una via elettiva del percorso terapeutico - e in seguito anche per il trattamento degli adulti e per la formazione degli psicoterapeuti. Furono i Lemoine (1972) negli anni '70 a diffondere in Italia lo psicodramma analitico, con l'obiettivo di costruire un legame forte tra lo psicodramma stesso e le teorie psicoanalitiche. Essi puntualizzano come proprio nel gioco psicodrammatico, attraverso la messa in scena, si pongano le basi per interrompere la ripetizione nevrotica. Il gioco permette un movimento fra tre registri di esperienza psichica: a partire dall'immaginario - ciò che si evoca con la rappresentazione - si può accedere al simbolico e giungere attraverso questo passaggio al reale. Nel gioco in psicodramma i personaggi reali sono rappresentati dai sostituti - i compagni di gruppo o gli ego ausiliari; poiché essi sono persone e non burattini sfuggono al controllo attivo, propongono sfaccettature inattese, rispondono coi loro pensieri e coi loro ricordi e questo fa si che la «drammatizzazione» divenga trasformazione. In tal modo lo psicodramma, evocando le immagini della memoria, permette di ricordare ciò che non è presente, di rappresentarlo attraverso la funzione simbolica, ma anche di cambiare punto di vista sugli eventi della vita. Sempre in Italia, nell'ambiente psicoanalitico, un particolare interesse per lo psicodramma, soprattutto per il trattamento de gli adolescenti, fu espresso da C. Musatti e da G. Giacoma che individuarono il valore dello spazio psicodrammatico come spazio transizionale (Giacoma, 1988). La corrente postfreudiana dello psicodramma risente degli apporti di D. Winnicott; il tema del luogo del gioco e degli spazi potenziali lega il lavoro dello psicodramma al discorso di Winnicott e aiuta a far luce sul tema del gioco come universale che appartiene alla sanità (Winnicott, 1971). Non ci può essere lavoro psicodrammatico che non condivida fino in fondo questa posizione e non ci può essere uno psicodrammatista che non sappia che la sua presenza ha la funzione di aiutare i pazienti a trasformare l'azione in gioco. Una scena giocata ha delle caratteristiche che oscillano tra la memoria, la favola, il sogno e l'avventura, tra il narrare, il vedere e il fare. La scena prende significato attraverso gli elementi che si compongono nel corso dell'azione e tra questi e le emozioni di chi gioca. L'accoglimento e la condivisione degli stati mentali ed emotivi presenti nel gioco consentono trasformazioni profonde, attraverso le quali è forse possibile non tanto occuparsi di quello che è stato cancellato dalla memoria bensì ripristinare il funzionamento di ciò che Freud denominò il «notes magico»: la memoria sensoriale potrebbe essere contigua al campo del gioco e pertanto sollecitabile attraverso il dispositivo dello psicodramma che interroga le suggestioni spaziotemporali, motorie e sensoriali delle scene, in alternanza all'ascolto della parte di seduta parlata del gruppo. Nel gioco psicodrammatico la condivisione emotiva e affettiva del gruppo e del conduttore che interroga i personaggi sui sentimenti «in gioco» è molto più importante dell'eventuale lavoro interpretativo. Il gioco sarà spesso portatore di contenuti in cerca di contenitore, mentre altre volte si presenterà come contenitore per i contenuti in cerca di pensiero. Tra queste due evenienze un buon lavoro di conduzione avrà la funzione di favorire una relazione costante tra contenitore e contenuti. Possiamo senz'altro affermare che nello psicodramma sia l'azione del conduttore che quella di coloro che giocano hanno funzioni di commutatori che intrecciano esperienze affettive ed esperienze cognitive che vengono pensate nel gruppo e con il gruppo. Il lavoro nel gruppo di psicodramma analitico ha lasciato in penombra gli aspetti interpretativi favorendo invece l'attivazione delle funzioni relazionali del gruppo e la trasformazione prodotta dal movimento scenico. Il gioco è stato guardato soprattutto nella funzione di attivatore del processo trasformativo, sia nella direzione di tradurre i pensieri in immagini, sia in quella inversa di trasformare le immagini visive in pensiero. Esso comunque, pur facendo leva sull'azione, si snoda intorno e dentro a un pensare che sorge dal tessuto affettivo e dal campo relazionale. Situando l'azione presente nel gioco -quale caratteristica di tutti i metodi psicodrammatici - in contiguità alle matrici del pensiero e nel luogo transizionale dell'esperienza, possiamo quindi dire che essa è un potenziale traduttore delle esperienze in emozioni, in affetti, ed è anche un traduttore dei pensieri in figure. Considerando il clima di inizio '900, in cui l'esplorazione degli affetti muoveva i primi passi, e seguendone gli sviluppi fino alla nascita della psicoanalisi di gruppo e dello psicodramma analitico, dobbiamo riconoscere che probabilmente, così come Moreno non volle ammettere il suo debito nei confronti della psicoanalisi nascente, anche gli psicoanalisti rifiutarono di accostarsi allo psicodramma -considerandolo una terapia agita - senza coglierne il possibile valore come elemento motore del preconscio, e come spazio costruttore delle aree potenziali della mente. Questi aspetti sono stati ripresi nel tempo dagli psicodrammatisti a indirizzo analitico per i quali il gioco, in modo parallelo all'entrata in scena dell'analista nel transfert, può funzionare da trasformatore spaziale e temporale delle memorie e accelerare il passaggio del «là e allora» nel «qui e ora» in vista del lavoro trasformativo. Con lo sviluppo delle esperienze è stato possibile verificare l'efficacia dello psicodramma analitico si 1 varie tipologie di pazienti. Dopo essere stato adottato nella fascia dell'età evolutiva, lo psicodramma ha esteso il campo delle sue applicazioni ai pazienti adulti, sia nevrotici che psicotici; per questa tipologia di pazienti è risultato utile il recupero della funzione elaborativa del gioco come esperienza che, peraltro, nelle sue forme trasformate, accompagna la vita umana in tutto il suo arco. Anche nei contesti in cui la dimensione relazionale ha un peso portante nel lavoro (insegnanti, educatori, assistenti sociali, infermieri, ecc.) l'uso della drammatizzazione si è rivelato uno strumento efficace per favorire la capacità di comprendere i movimenti delle identificazioni e per facilitare l'assunzione delle personificazioni e dei ruoli. Il gioco, che differenzia lo psicodramma dalle altre terapie di gruppo, quando viene scelto, inteso e trattato come espressione del funzionamento onirico del gruppo, permette infatti di intervenire sugli assunti e sulle fantasie gruppali, attraverso le immagini che sorgono dai discorsi. Il gioco, usato come risposta associativa alla narrazione, quando viene guardato in modo analogo a un sogno che si sviluppa nel qui e ora nel racconto, conduce il soggetto e il gruppo alle porte dell'inconscio e ha anche funzioni trasformative sull'intero gruppo. Nella messa in gioco di un racconto, infatti, non è tanto importante la ricerca del significato, quanto la possibilità di dare un nuovo significato a ciò che viene giocato, e questo vale per il soggetto e per il gruppo. La possibilità offerta dall'introduzione del gioco favorisce l'esprimersi e il dipanarsi delle semiosi affettive che, emanando dalle immagini, affiancano e talvolta sovrappongono al potere espressivo dei simboli verbali il potere espressivo del corpo. Il gioco in psicodramma si muove tra fantasia e realtà e lo psicodramma apre il suo dispositivo ludico sull'attivazione di un campo dove proprio il ponte tra realtà e fantasia può trovare il suo spazio di costruzione. Il dispositivo psicodrammatico apre dunque nel gruppo uno spazio dalle qualità topologiche visibili, nel quale il mondo delle memorie e degli affetti può sviluppare le sue rappresentazioni per favorire le connessioni tra esterno e interno. Ancora, dal racconto al gioco, c'è uno scarto che rende lo psicodramma un dispositivo di trasformazione. Il lavoro in psicodramma procede nell'alternanza tra la verbalizzazione e il gioco, così da favorire un processo che tende a mentalizzare e a elaborare l'esperienza giocata e a rappresentare le nuove scene che le associazioni verbali vanno producendo. Gruppo e individuo articolano il loro legame transitando attraverso i canovacci delle scene che muovono i processi di identificazione e di differenziazione tra i partecipanti, all'interno della storia che il gruppo stesso costruisce nel tempo come processo. Mentre il gruppo e il gioco si intersecano, le scene drammatizzate si iscrivono nella cornice parlata del gruppo, sviluppandosi al centro del cerchio come materializzazione di alcuni momenti significativi del discorso parlato. Nello psicodramma analitico di gruppo il richiamo di Moreno al teatro e all'azione perde parte della sua centralità a favore della funzione analitica del gruppo e della oniricità del gioco. Anche il ruolo del conduttore si modifica nel gruppo di psicodramma a orientamento analitico; facendosi meno attivo e dirigendo in modo più discreto lo svolgimento delle scene, il conduttore privilegia l'ascolto delle associazioni che sviluppano il tema e conducono dal gioco al gruppo e dal gruppo al gioco. Nello psicodramma analitico si potrebbe dire che il conduttore, servendosi di un'attenzione fluttuante, sviluppa una sorta di fluttuazione dell'azione, fermandola sulle scene che sono di volta in volta il contenuto o il contenitore del divenire del gruppo. L'analista conduttore del gruppo assume il ruolo di fa-cilitatore del gioco, prendendo il posto del regista e del direttore dello psicodramma, e lo spazio interno al cerchio del gruppo sostituisce il palcoscenico. Le funzioni degli ego ausiliari e dell'uditorio sono assorbite dai partecipanti al gruppo e il gruppo stesso svolge la funzione di un contenitore in dialogo con le scene e coi racconti. Attraverso queste modifiche nella tecnica lo psicodramma e il lavoro psicoanalitico in gruppo si avvicinano, e questo consente anche agli psicoanalisti una ricomposizione della frattura tra il valore della parola e quello della scena. Rivedendo il percorso dello psicodramma analitico possiamo dunque riconoscere che l'obiettivo centrale dell'azione scenica non è né la ricerca di liberazione, né la ricerca di catarsi. Il gioco produce altri effetti e altri movimenti, quali quello dello scambio tra registri pensati e registri vissuti dell'esperienza e quello della creazione del tessuto da cui nascono i simboli. A quasi un secolo di distanza dalle origini dello psicodramma vediamo che ciò che è nato come ricupero della verità propria di fronte agli altri si può ridefinire come messa in gioco della soggettività nel campo multipersonale, emotivo e relazionale del gruppo. Chi si forma con lo psicodramma sa che il suo lavoro richiederà anche l'uso di una certa qualità dell'azione come capacità di costruzione di questo spazio e di muoversi al suo interno: è compito del conduttore alzarsi e facilitare il gioco, sollecitare gli scambi di ruolo, chiudere la scena e invitare chi ha giocato a ritornare nel cerchio del gruppo. Nello psicodramma questo intervento attivo del terapeuta segnala che una scena apre buoni spazi e buoni interrogativi e pertanto vale la pena di essere attraversata dal gruppo o dal soggetto, indica quando è importante prendere la parte dell'altro e quando non lo è, chiude l'uso della dimensione scenica e si rivolge alternativamente al gioco, al gruppo, ai soggetti del gruppo. Tutto ciò comporta un lavoro di formazione con precise tappe di approfondimento che si fonda sul fatto che a contraddistinguere il lavoro in psicodramma, anche nel campo formativo, è la funzione di «area transizionale» della scena che stabilisce uno scambio e una continuità creativa tra la realtà psichica interna e la realtà psichica esterna, è l'attivazione della funzione psicoanalitica della mente che contribuisce alla formazione dell'atteggiamento psicoterapeutico. DONATA MIGLIETTA |