Psicologia dell'Io |
La psicologia dell'Io può essere definita come la corrente di psicoanalisi «ortodossa», erede della tradizione freudiana classica, fiorita originariamente in seno alla Società psicoanalitica di New York a opera di ricercatori di origine mitteleuropea, è divenuta egemone negli anni 1950-60 soprattutto in Nord America. L'autore che più di ogni altro ne ha definito il programma è stato H. Hartmann, fornendo contributi importanti anche in collaborazione con E. Kris e R. Loewenstein; altri esponenti di rilievo sono stati E. Erikson e D. Rapaport. A questa corrente si collegano in qualche misura R. Spitz e A. Freud, con la quale Hartmann e Kris hanno fondato la rivista «The Psychoanalytic Study of the Child». La Freud peraltro aveva anticipato alcuni temi nel saggio L'Io e i meccanismi di difesa (1936), sviluppando a sua volta alcune premesse teoriche già delineate dal padre in L'Io e l'Es (1922), dove tra l'altro l'Io è inteso come l'istanza psichica che ha l'ingrato compito di mediare tra le richieste pulsionali e la realtà ambientale. Tesi centrale della psicologia dell'Io è che esiste una sfera dell'Io autonoma dai conflitti pulsionali: questa parte dell'Io non deriva per differenziazione dall'Es, come riteneva S. Freud in generale per l'Io, né tanto meno origina dai processi di identificazione, ma è innata, anche se soggetta a sviluppo, e ha precise basi neurofisiologiche. Tra gli altri temi ricorrenti, l'idea secondo cui i processi psichici vanno studiati, oltre che attraverso i tre classici punti di vista freudiani (topico, dinamico ed economico), dal punto di vista dell'adattamento all'ambiente e da quello della genesi (in senso evolutivo); l'insistenza su di una concezione dinamico-strutturale della psiche, a scapito di quella «fenomenologica» della prima topica freudiana, incentrata sulle nozioni di rappresentazione, coscienza e inconscio; l'attenzione per le basi cerebrali delle funzioni psichiche; la preoccupazione per il rigore scientifico della psicoanalisi, sul modello delle scienze naturali; la concezione della psicoanalisi come parte integrante di una psicologia generale. Tali concezioni sono state motivo di polemica con la coeva scuola kleiniana e con i neofreudiani, e di accanita avversione da parte dei lacaniani. Sono state invece accolte con favore da quanti intendevano salvaguardare le attività psichiche superiori, quali l'arte, la moralità e la scienza, dal riduzionismo ritenuto implicito nella teoria freudiana delle pulsioni, e inoltre da quanti erano interessati a un dialogo interdisciplinare, non solo con la psicologia cognitiva e le neuroscienze, ma anche con la pedagogia e la sociologia. Il ciclo storico della psicologia dell'Io può forse dirsi concluso con l'opera di O. Kernberg e di quanti hanno lavorato per un'ibridazione con altre scuole, specie quella kleiniana. Hartmann (1894-1970) è stato indiscutibilmente il fondatore della psicologia dell'Io, sia per il primato temporale dei suoi contributi, sia perché sono i più caratterizzanti di questo indirizzo. Psichiatra, ha lavorato con J. W. von Jauregg a Vienna; analizzato da Freud dal 1934 al 1936, nel 1938 è emigrato negli Stati Uniti. Per quanto Rapaport lo superi per rigore di sistematizzazione, nel saggio Psicologia dell'Io e problema dell'adattamento (1937) Hartmann espone le intuizioni basilari dell'indirizzo. Le premesse epistemologiche del nuovo paradigma sono invece formulate in un precedente lavoro, Fondamenti della psicoanalisi (1927); qui Hartmann prende posizione sulla - già allora - vexata quaestio dello statuto della psicoanalisi, oscillante tra scienze della natura e scienze dello spirito, con un'opzione decisa e definitiva: la psicoanalisi è «scienza naturale dello psichico». Questa impostazione ha almeno due conseguenze: la ricerca di convalide empiriche delle teorie psicoanalitiche (alle quali si dedica lo stesso Hartmann con studi sperimentali sui sintomi ossessivi, con la verifica del simbolismo onirico a seguito della somministrazione in stato vigile di stimoli sessuali); e soprattutto l'affermazione del carattere di scienza oggettiva della psicoanalisi, dalla qual cosa consegue che l'Io del ricercatore è concepito come osservatore esterno, neutrale rispetto all'oggetto di indagine (Hartmann contesta i metodi empatici per conoscere lo psichismo altrui). Questa posizione dell'Io è, sul piano epistemologico, la miglior premessa di ciò che di li a poco sarà, sul piano psicologico, l'autonomia dell'Io rispetto a emozioni e processi inconsci. Grazie a questa epistemologia naturalistica, di per sé aperta a contatti con l'allora fiorente neopositivismo, Hartmann potrà, anni dopo, condurre un famoso confronto con filosofi della scienza al convegno di New York del 1958 (Hook, 1959). Ma al vaglio dei canoni epistemologici della controparte, la psicoanalisi uscirà in verità piuttosto malconcia. Nella menzionata opera del 1937 il problema dell'Io e quello dell'adattamento, come suona il titolo stesso, vanno di pari passo: se si negasse l'esistenza, già alle origini della vita, di alcune «funzioni autonome» dell'Io, non si comprenderebbe come l'organismo umano possa progressivamente adattarsi all'ambiente; sarebbe piuttosto travolto da pulsioni e fantasie. Funzioni come la coordinazione e il controllo della motilità, il linguaggio, la memoria, l'intelligenza, la discriminazione tra realtà e fantasia, intervengono nel rapporto con l'ambiente e per mettono l'adattamento, dunque sono tipica appannaggio dell'Io. Non possono pertanto essere intese come semplice risultato dell'incontro delle pulsioni col mondo esterno, ma occorre ammettere una radice dell'Io coeva all'Es e a un tempo da esso diversa: se l'Es è il «serbatoio delle pulsioni», l'«Io autonomo» è la sede di quelle funzioni. E per l'esercizio di tali funzioni occorre, di conseguenza, ammettere una forma di energia di versa da quella libidica e aggressiva: questa è l’«energia neutra». D'altra parte, sia per esercitare le funzioni, sia per difendersi dalle pulsioni, l'Io può anche utilizzare, in misura sempre crescente a seconda del grado di maturazione, l'energia stessa che viene dalle pulsioni una volta deprivate delle loro mete: questa è l'«energia neutralizzata». Di converso, la patologia delle funzioni dell'Io è da attribuirsi a un loro investimento con energia pulsionale non neutralizzata, come Hartmann mostra studiando la schizofrenia, Quanto alla nozione di ambiente, cui l'Io ha da adattare l'organismo, essa risulta calibrata talora sul versante biologico talora su quello sociologico, supponendo, evoluzionisticamente, una sostanziale continuità tra i due: la società umana è l'ambiente di vita e di sopravvivenza proprio dell'individuo umano. Hartmann tuttavia non discrimina tra i vari tipi di organizzazione sociopolitica in cui storicamente si determina una concreta società e rispetto a cui avverrebbe l'adattamento. Da qui gli strali dei culturalisti o neofreudiani, E. Fromm in testa, nonché dei lacaniani, contro una psicoanalisi che con la psicologia dell'Io si sarebbe piegata, sia nella teoria sia nella prassi terapeutica, dell'ideologia del mero adeguamento alla società vigente, eludendo il freudiano «disagio della civiltà» (cioè il conflitto permanente tra il desiderio soggettivo e le esigenti- sociali). L’armamentario concettuale che viene a costituire il modello hartmanniano di mente, e che entra poi nella spiegazione dei casi clinici, è dunque il risultato di un'elaborazione che insiste sulla dimensione dinamico-economica della metapsicologia freudiana - con la moltiplicazione dei tipi di energie, con l’attenzione ai meccanismi di investimento, controinvestimento, difesa, resistenza, ecc. Ma è anche il risultato di un'opera di riordino della teoria freudiana delle pulsioni, che avanza una concezione dell'aggressività come pulsione innata, simmetrica rispetto alla sessualità e similmente dotata di energia propria (laddove Freud era stato più cauto o incompleto). Si profila comunque, anzi si radicalizza, un modello di psiche eminentemente conflittuale, lontano dalle successive (da H. Kohut in poi) concessioni all'idea del «deficit» quale base della patologia. Infatti, proprio per poter rispondere con successo al pericolo costituito dalle pulsioni e garantire l'adattamento, Hartmann insiste sul compito difensivo dell'Io - riprendendo le riflessioni di A. Freud sui meccanismi di difesa - e sulla sua capacità di neutralizzare le energie pulsionali. Scarso, di contro, è il significato positivo e produttivo attribuito a fantasie e processi inconsci quali fonti di creatività e matrici di simbolizzazione; è un significato che invece ai dinamismi inconsci riconoscono altre scuole, specie la kleiniana (W. Bion in testa), oltre naturalmente a quella junghiana. D’altra parte, avendo sterilizzato il pericoloso apporto del mondo pulsionale e fantasmatico, l'autonomia dell'Io facilita l'accostamento ai temi dello sviluppo, inteso come crescente capacità di adattamento interagendo col contesto sociale, in particolare attraverso i processi di identificazione guadagnati nelle «reali» relazioni interpersonali. Ne consegue che gli interventi pedagogico-educativi rivolti a tale Io trovano nuova legittimazione (Hartmann, 1964). L'autonomia dell'Io, infine, garantisce anche l'autonomia dei valori (Hartmann, 1960), nel senso di ribadire, ora con l'avallo della ricerca psicoanalitica, che la genesi psicologica di ogni produzione umana, scientifica, artistica ed etica non pregiudica di per sé il valore di dette produzioni; esse vanno dunque valutate con altri parametri. Gli sviluppi dell'Io in senso squisitamente psicologico e razionale - svincolando i processi psichici superiori dalla caparra, già freudiana, della corporeità (pulsioni e relative energie) - non sono contraddittori, bensì complementari rispetto all'altro pilastro del modello hartmanniano di mente, cioè il radicamento biologico del discorso psicoanalitico. Non solo l'autonomia dell'Io e delle sue funzioni si fonda sui processi neurofisiologici, e dunque sulle basi genetiche del sistema nervoso centrale, ma Hartmann non esclude neppure spiegazioni in senso biologico dei processi psichici, avvalorando i passi in cui Freud plaude a una tale prospettiva. Se Hartmann afferma che la concezione dell'Io come organo di «controllo centralizzato» ne fa qualcosa di molto vicino al pensiero secondo la fisiologia del cervello, c'è chi, richiamandosi a lui, ipotizza localizzazioni cerebrali, identificando l'Io, quale regolatore centrale, col great modulator costituito dal sistema vestibulocerebellare. Infine è meritorio il lavoro di Hartmann volto a chiarificare e rendere coerenti concetti teorici quali quelli di Super-io, sublimazione, salute, ecc., oltre alla menzionata aggressività. Tra di essi spicca l'introduzione nella psicoanalisi «ortodossa» del fortunato concetto di self. Ignoto a Freud, il Sé è definito da Hartmann one's own person, per distinguerlo dall'Io (ego in inglese), che rappresenta invece solo una parte della psiche, cioè la nota istanza freudiana; ed è esso propriamente - come intera persona - l'oggetto elettivo dell'investimento narcisistico. Quanto alla teoria della tecnica, la psicologia dell'Io, in generale, introduce innovazioni radicali rispetto all'impostazione precedente, quella che alcuni hanno battezzato «psicologia dell'Es», perché l'enfasi era soprattutto posta sulla necessità di disvelare i contenuti pulsionali inconsci. Spostando invece l'enfasi sull'Io, si è avviata la tendenza a lavorare sulla parte sana e non patologica, quindi sui meccanismi di adattamento e sulle difese, che vanno sempre rispettate perché permettono all'individuo di funzionare, consentendogli quantomeno di andare in terapia. Pertanto con la psicologia dell'Io si. è portati a vedere nel paziente non tanto ciò che non funziona, quanto ciò che funziona bene nonostante la malattia; centrale diviene l'analisi delle difese, che però non vanno annullate ma eventualmente modificate, rese piti adattive, sempre partendo dalla superficie per poi arrivare eventualmente al profondo (dall'Io all'Es). Vediamo ora in modo più specifico i contributi degli altri principali esponenti di questo indirizzo. E. Kris (1900-1957) era stato in origine uno storico della «scuola di Vienna», allievo di J. von Schlosser, e aveva lavorato al Kunsthistoriches Museum assieme a Gombrich. Grazie al suo prezioso background di storia dell'arte, ha scritto importanti saggi di psicoanalisi applicata all'arte e alla storia, ma si è distinto anche per una serie di scritti di tecnica psicoanalitica e psicoanalisi infantile. Avvicinatosi alla psicoanalisi grazie alla moglie psicoanalista, conobbe Freud che gli affidò la direzione della rivista «Imago». Emigrato nel 1938 a Londra e poi a New York, ha collaborato con Hartmann e Loewenstein. La sua autorevolezza è stata tale che all'interno del New York Psychoanalytic Institute è stato fondato il Kris Study Group, il quale ha prodotto una serie di prestigiose monografie. Il tema della sublimazione - ancora un meccanismo a disposizione dell'Io - svolge per Kris un ruolo essenziale nella produzione artistica, la quale, non ridotta alle matrici pulsionali, può essere in certa misura valutata indipendentemente dalla biografia dell'autore. Fra i tanti contributi di questo autore si può ricordare il concetto di «regressione al servizio dell'Io», che mostra molto bene alcune implicazioni teoriche della psicologia dell'Io. R. M. Loewenstein (1898-1976), di origine russo-polacca, è emigrato prima a Berlino e poi nel 1925 a Parigi. Tra i fondatori della Société psychanalytique de Paris, in cui ha rappresentato la corrente ortodossa, è stato analista, tra gli altri, di S. Nacht, D. Lagache e J. Lacan, con cui avrebbe poi avuto un rapporto conflittuale date le posizioni teoriche opposte. Nel 1942 si stabilisce definitiva mente a New York, dove scrive importanti contributi sulla teoria delle pulsioni, sul rapporto fra teoria e tecnica psicoanalitica sull'antisemitismo. E. Erikson (1902-1994), nato in Germania da genitori danesi, inizialmente ha studiato pittura in Italia e in Germania, per poi collaborare con P. Bios (il pioniere degli studi sull'adolescenza) e D. Burlingham (la più stretta amica di A. Freud) in un asilo infantile a Vienna. Entrato in analisi con A. Freud, ha terminato il training psicoanalitico nel 1933. Emigrato negli Stati Uniti, ha insegnato a Harvard, Yale e Berkeley e infine all'Austen Riggs Center di Stockbridge, Massachusetts, dove si è unito al gruppo di Rapaport. L'interesse per il lavoro con i bambini e per la pedagogia, nonché l'esperienza con tre figli, lo hanno portato a studiare a fondo lo sviluppo infantile e il ciclo vitale, formulando uno «schema epigenetico» articolato in otto fasi evolutive, che continuano e ampliano le fasi libidiche freudiane. Le «otto età dell'uomo» sono le seguenti: prima fase (corrispondente alla fase-orale): fiducia vs sfiducia di base, modulale dalla speranza; seconda fase (anale): controllo, disciplina e coscienza etica vs dubbio e vergogna; terza fase (genitale): autocontrollo, volontà e autonomia vs senso di colpa; quarta fase (periodo di latenza): senso di competenza ed efficacia vs inferiorità; quinta fase (adolescenza): identità integrata vs diffusa; sesta fase (inizio dell'età adulta): amore, tendenza affiliativa e intimità vs isolamento; settima fase (età adulta): generati-vita vs stagnazione; ottava fase (vecchiaia): integrità e saggezza vs disperazione. Questo schema epigenetico trae la sua importanza dall'aver trasceso il modello freudiano dello sviluppo libidico, non solo estendendolo all'adolescenza e alla vita adulta, ma soprattutto respingendo il privilegio che Freud conferiva alla dimensione pulsionale e in genere intrapsichica. Per Erikson il ruolo dei fattori socioculturali è non meno rilevante di quelli intrapsichici, in quanto i primi intervengono a pari titolo dei secondi nella costituzione della personalità; e l'aver introdotto questa nuova concezione in seno alla psicologia dell'Io va certo ascritto a suo merito. Questo approdo teorico è stato reso facile a Erikson per via dei suoi vasti interessi: tra l'altro, ha collaborato con antropologi facendo studi sul campo, ha soggiornato a lungo in India e scritto una biografia di Gandhi, e si è occupato di Lutero, sul cui sviluppo giovanile ha condotto un interessante studio. I suoi principali contributi sullo schema epigenetico sono contenuti nel libro Infanzia e società (1950), la cui pubblicazione scosse l'ortodossia psicoanalitica. D. Rapaport (1911-1960), ungherese, dopo la laurea in psicologia a Budapest è emigrato negli Stati Uniti. Qui ha svolto attività di ricercatore alla Menninger Foundation di Topeka, Kansas, e dopo il 1948 all'ospedale psicoanalitico Austen Riggs Center. Alla Menninger Foundation, costituita a partire dal 1926 e destinata a diventare il più grande centro di formazione psichiatrico-psicoanalitica del mondo, Rapaport ha fondato uno storico gruppo di ricerca sulla metapsicologia e sulla teoria psicoanalitica del pensiero con l'ambizioso scopo di svolgere appieno il programma della psicologia dell'Io, all'interno di un rigoroso impianto accademico. Mai più la storia della psicoanalisi vedrà tanto sforzo di sistemazione teorica della dottrina. Rapaport segue i canoni scientifici dominanti al tempo (quelli del neopositivismo): univoca definizione dei concetti utilizzati, chiara formulazione delle tesi e organizzazione della teoria in un sistema scientifico-deduttivo (esemplare a proposito Rapaport, 1959). Ne deriva un'immagine della psicoanalisi che enfatizza i temi metapsicologici e trascura la sottile problematica semeiotica ed ermeneutica, considerata invece da altri indirizzi come il meglio della dottrina analitica. Con Rapaport si avvera anche uno dei maggiori tentativi di ricondurre la psicoanalisi alla psicologia generale, di contro a una psicoanalisi intesa come scienza eversiva del soggetto inconscio, non coordinabile con alcun altro sapere, tanto meno quello universitario (si pensi a Lacan per una posizione estrema). In questo senso egli trova punti di contatto con la psicologia di matrice cognitiva (Piaget) e con la teoria della Gestalt (Lewin), nell'intento di costruire un quadro complessivo della struttura psichica capace di integrare affetti e pensiero, Io e ambiente; né disdegna, a tal fine, di rapportarsi alla teoria dei sistemi di L. von Bertalanffy. Con gli allievi M. Gill e R. Schafer, Rapaport ha scritto Reattivi psicodiagnostici (1945-1946), la cui edizione riveduta (1968), curata da R. Holt, è diventata un classico della testistica psicologica e servirà da testo di base per generazioni di psicologi in vari paesi. Tra gli allievi che Rapaport ha raccolto attorno a sé vi erano inoltre G. Klein, B. Rubinstein, P. Wolff e M. Brenman, che a loro volta, assieme a colleghi e allievi quali Ph. Holzman, H. Schlesinger, D. Spence, L. Luborsky e S. K. Escalona, hanno costituito uno straordinario gruppo di lavoro. Alla Menninger Foundation hanno lavorato molti altri ricercatori di primo piano come - oltre ai fondatori Karl, William, Roy e Robert Menninger - N. Ackerman, G. Gabbard, L. Horwitz, O. Kernberg, R. Knight, H. Shevrin, L. Stone, R. Wallerstein, ecc. Holt poi rifonderà il gruppo al Research Center for Mental Health della New York University guidandolo dal 1953 al 1989, chiamando G. Klein a codirigerlo, e coinvolgendo altri ricercatori tra cui D. Spence, M. Eagle, L. e D. Silverman, e R. Langs. Gran parte di questi ricercatori, che sono stati tra i principali teorici della psicoanalisi nordamericana, in seguito criticheranno il tentativo di sistematizzazione della metapsicologia freudiana del loro maestro e prenderanno altre strade. Il gruppo di Rapaport, che si è allargato e funziona solo a inviti, continua a incontrarsi annualmente con la stessa motivazione scientifica e ideale sotto il nome di Rapaport-Klein Study Group all'Austen Riggs Center, dove Rapaport ha trascorso l'ultimo periodo della sua vita. Infine, ricordiamo R. A. Spitz (1887-1974); laureatosi in medicina a Budapest nel 1910, è stato analizzato da Freud; nel 1938 è emigrato negli Stati Uniti dove ha condotto famose ricerche di psicoanalisi infantile. Spitz distingue tre stadi dello sviluppo infantile: lo stadio preoggettuale o senza oggetto, lo stadio precursore dell'oggetto, e lo stadio dell'oggetto libidico propriamente detto. Questi stadi si riferiscono alla relazione madre/bambino, e vengono evidenziati da «indicatori» che rivelano l'esistenza di «organizzatori» - un concetto derivato dall'embriologia e applicato alla psiche infantile, dove al posto delle cellule vi sono le pulsioni e le relazioni con oggetti. L'impresa di Spitz è stata quella di costruire una psicologia psicoanalitica del primo anno di vita basata su metodi sperimentali (osservazioni con l'uso di cineprese). MAURO FORNARO e PAOLO MIGONE |