Oggetto totale, oggetto parziale

E’ probabilmente corretto ritenere che uno dei grandi cambiamenti della psicoanalisi dopo S. Freud sia stato il ruolo attribuito all'oggetto nella costruzione della vita psichica. Vi sono certamente molte ragioni per questo cambiamento: innanzitutto come postulato polemico nei confronti della teoria pulsionale freudiana, ritenuta essenzialmente solipstica, poi come riconoscimento del fatto che vi è nella stessa teoresi freudiana un cambiamento radicale quando si passa dalla tesi del legame pulsionale con l'oggetto, ritenuto necessario al soddisfacimento ed essenzialmente intercambiabile, all'unicità dell'oggetto quale si definisce a partire dalla riflessione sulla malinconia (Freud, 1915f). Qui, appena si abbandona il campo del rappresentativo e della nevrosi, prende spazio l'oggetto nella sua irrimediabile unicità. In altre parole, è a partire dalla seconda topica che l'oggetto assume un valore differente nel pensiero freudiano, anche se, come osserva A. Green (1988), è indubbio che la teoria freudiana possiede molti centri e che se l'oggetto è uno di questi, altrettanto si può dire della rappresentazione (nella nevrosi), della realtà (nella psicosi), ecc., per cui è possibile costruire una differente derivazione teorica partendo da uno qualsiasi di questi centri. Proprio da questo cambiamento del vertice psicopatologico (psicosi vs nevrosi) si muove del resto il concetto di «amore parziale d'oggetto» di K. Abraham (1924), che descrive una genesi dello sviluppo libidico, in questo precursore del concetto di oggetto parziale di M. Klein. Tuttavia, come osserva R. Hinshelwood (1993), il concetto posto da Abraham designa più una funzione che un'entità reale. Si tratta di definire, in tal modo, una singola modalità del comportamento dell'oggetto soccorrevole, riassumibile in una funzione-oggetto, il seno per la madre che nutre, il gabinetto come indicatore del ricettacolo delle funzioni evacuatone ed espulsive dell'infante. In questo senso il mondo interno infantile è caratterizzato da una molteplicità di oggetti funzionali, di funzioni rappresentate da oggetti, per l'appunto parziali. Nella prospettiva di Abraham, questa molteplicità si riassume e si unifica solo nel momento in cui si passa all'oggetto d'amore totale, caratterizzato da un insieme di funzioni e di tonalità emotive, buone e cattive, soccorrevoli e persecutorie. La prevalenza della funzione di parcellizzazione che non riguarda solo un dato preliminare dello sviluppo, ma che possiamo ritrovare come esito dei processi distruttivi della psiche nei suoi meccanismi di proiezione e di diniego, renderà conto, successivamente, della presenza di interpretazioni, nell'ambito kleiniano, centrate sulla dinamica degli oggetti parziali. Ad ogni modo è corretto osservare che questa dimensione è presente già in Freud quando parla di pulsione parziale (1905c). Si tratta, in tal caso, di definire le componenti delle pulsioni, per esempio di discernere nella pulsione sessuale gli elementi correlabili alla molteplicità delle zone erogene, quelli relativi al loro scopo (per es. la pulsione d'impossessamento), ecc. Nel definire gli oggetti di queste pulsioni, si tratta sempre di oggetti parziali (seno, feci). Analogamente, la definizione del feticismo rivela l'attaccamento all’oggetto parziale (il feticcio come sostituto del pene materno). Infine, occorre segnalare l'infinita sostituibilità degli oggetti parziali nel ciclo delle equivalenze descritte nel saggio sulla trasposizione della pulsione (Freud, 1915h).

Nella riflessione kleiniana, col concetto di oggetto parziale è innanzitutto il valore e il ruolo dell'oggetto ad assumere un peso di rilievo. La Klein (1935) osserva, seguendo E. Glover, che l'Io all'inizio ha una struttura discontinua, costituita da una serie considerevole di nuclei, esito del sadismo orale, re in cui la capacità di identificarsi con gli oggetti è scarsa, perché l'Io non è ancora strutturato e perché gli oggetti introiettati sono prevalentemente oggetti parziali. Nella fondamentale distinzione fra posizione schizoparanoide e posizione depressiva, che farà da matrice a quella bioniana PS-D, la prima e caratterizzata dal fatto che il bambino non si correla con persone ma con aspetti di esse e dalla prevalenza di processi di scissione e angoscia paranoidea. Il termine «posizione» fu consapevolmente scelto per caratterizzare una configurazione specifica di rapporto con l'oggetto, che persiste per tutta la durata della vita e che può essere intesa come una dimensione di oscillazione nel rapporto di integrazione o disintegrazione con l'oggetto. Proseguendo nella riflessione avanzata da Freud relativamente alla struttura dell'Io come precipitato di relazioni oggettuali abbandonate, per la Klein il bambino introietta da subito degli oggetti parziali, la mammella, il pene, e poi oggetti interi. Più precoce è l'introiezione, più fantasmatico e distorto è l'oggetto introiettato. Ora, in questo processo, man mano che le imago interiorizzate aderiscono maggiormente alla realtà e l'identificazione con gli oggetti «buoni» si fa più completa, si realizza il passaggio dall'oggetto parziale all'oggetto totale, esito della posizione depressiva. Si tratta dunque della possibilità di comprendere l'unità dell'oggetto pur nella sua difformità, il che comporta, come conseguenza, un analogo processo di complessizzazione dell'Io. L'esito di questo duplice processo di integrazione determina una diminuzione delle angosce persecutorie, una coalescenza degli aspetti buoni e cattivi dell'oggetto che ne risulta pertanto mitigato nella sua caratterizzazione, e una maggiore tolleranza delle angosce di separazione fra l'Io e l'oggetto. Ovviamente, all'integrazione e alla consapevolezza di sé e dell'oggetto si accompagna una maggiore percezione di colui che è investito da parte dell'oggetto primario, di qui l'esistenza di gelosia e di angosce depressive scaturenti dall'ambivalenza dei sentimenti. E’ per questo motivo che al senso di ritorsione si accompagna anche quello di colpa e di riparazione, fonte, fra le molte, del senso creativo. Questo è un punto estremamente rilevante del processo di lutto descritto dalla posizione depressiva. Piuttosto che far uso delle difese maniacali, il soggetto può ricorrere ora a manovre difensive più elevate e capaci di permettergli un accesso al mondo personale dell'altro, un'operazione dunque che non nasconde o nega il dolore per la perdita, ma che dal dolore riceve una dimensione di sollecitazione e di sollecitudine verso sé e verso l'oggetto, una capacità di utilizzare lo stesso lavoro del lutto per simbolizzare, e dove ogni oggetto o situazione abbandonata dà luogo alla formazione di simboli. Qui si può scorgere una differenza importante fra la posizione della Klein e quella di D. Winnicott in merito alla dimensione riparativa. Per Winnicott (1969), difatti, l'oggetto distrutto non viene riparato dal soggetto ma lo è grazie alla sopravvivenza stessa dell'oggetto alla distruttività dell'altro. La capacità di sopravvivere, senza reagire con ritorsioni, è ciò che permette l'introiezione di sé come separato ed esterno.

Il bambino ha la capacità di provare la perdita di un oggetto totale, osserva J. Kristeva (2000), fin dai sei mesi, grazie alla riduzione delle scissioni e all'esperienza della perdita conseguenza dell'introiezione dell'oggetto. In questa fase, l'amore per l'oggetto totale si accompagna alla colpa per gli attacchi cui l'oggetto è sottoposto, al rimorso e all'angoscia di perderlo. La dimensione di scissione risulta invece particolarmente evidente in quei contesti (per esempio la paranoia) dove l'oggetto totale è presente, ma vi è una grande difficoltà a conservare un rapporto di questo tipo a causa dei sentimenti di persecuzione, dell'angoscia di espellere con la proiezione anche gli oggetti buoni, e alla paura di danneggiarli. Ne consegue un intenso sviluppo dei processi di disintegrazione, dove l'oggetto è rappresentativo di una molteplicità di persecutori, nel senso che ogni frammento a sua volta allude alla realtà di un diverso persecutore. L'angoscia di questo tipo scaturisce, secondo la Klein, dall'introiezione di oggetti parziali e di feci pericolose. Mentre nel lavoro del '35 la Klein sviluppa l'idea che l'angoscia depressiva è in relazione alla scoperta dell'oggetto totale e alla complessità dei sentimenti ad esso correlati, in un testo successivo (1948) muta parere e ritiene invece che se è vero che la fase dell'angoscia schizoparanoide è caratterizza dagli impulsi distruttivi e dalle angosce conseguenti di persecuzione, tuttavia sono sempre presenti stati integrativi e dunque è possibile ritrovare angosce depressive e sensi di colpa già in questa fase. Per questo motivo, la Klein ritiene che l'angoscia depressiva sia originata dal rapporto con l'oggetto parziale, cosa che, osserva la Kristeva, non mancherà di essere sottolineata dai suoi critici: l'angoscia depressiva indica il passaggio verso l'oggetto totale o è invece il segno della nostalgia verso l'oggetto parziale ? Tuttavia, questo passaggio non dovrebbe stupirci troppo, data la continua ricerca di un oggetto trasformatore degli stati affettivi del soggetto anche nell'esperienza di un fallimento delle originarie condizioni ambientali (a meno che non si sia già instaurata una perdita totale di speranza nella possibilità di trovare un oggetto atto a soddisfare i bisogni di contenimento e di pensabilità). Del resto, osserva Hinshelwood, l'interpretazione degli oggetti parziali si modifica negli anni '50 e '60 del '900, nel momento in cui ci si rende conto che le parti del Sé sono collegate in vario modo, e alla prevalenza delle interpretazioni basate sulla distruttività e sull'invidia del soggetto si aggiunge, come a mitigare questo bombardamento interpretativo, la consapevolezza dell'esistenza di affetti di slegamento e del fatto che, all'origine delle intense riattualizzazioni angosciose e di annichilimento, vi può essere anche il fallimento della situazione relazionale attuale. Sono gli anni di riscoperta e di ridefinizione del controtransfert e del suo ruolo nella cura. Più in generale, la concezione kleiniana, basandosi sulla concezione di Abraham dell'oggetto, concepisce l'oggetto orale (il seno materno) come il prototipo dell'oggetto e le caratteristiche gratificanti o frustranti di quest'ultimo come i punti di fissazione dei successivi destini psichici. Introiezione e proiezione contribuiscono a creare una relazione duplice con l'oggetto primario, grazie alle quali si costituisce un nucleo interno, il «seno buono». La successione delle posizioni schizoparanoide e depressiva contribuisce poi al formarsi di quella dimensione di rapporto con l'oggetto che permetterà per l'appunto il costituirsi complementare dell'Io. La stessa attività fantasmatica (l'oggetto interno) è per sua natura oggettuale e complementare all'oggetto esterno, e sono le stesse posture psichiche a determinare le qualità dell'oggetto (parziale/totale, buono /cattivo, ecc). Infine, oltre al primato del pregenitale compare un Super-io precoce, determinato da una relazione d'oggetto sadico orale e anale.

Nella processualità analitica, intesa da D. Meltzer (1967) come una replica dei processi biologici, la questione dell'oggetto parziale si ritrova identificato a una funzione specifica dell'analista. Questo ritrovamento sorge dopo il lavoro compiuto sulla dimensione eccessiva dell'identificazione proiettiva e un riconfigurazione delle confusioni zonali, il che determina l'insorgenza di una forma limitata di dipendenza verso l'analista, o meglio verso quella funzione dell'analista che Meltzer chiama seno-gabinetto, dove l'oggetto è utilizzato ma non preso in considerazione se non come funzione di liberazione dai propri malesseri, mediante la scis-sione e l'utilizzo, per l'appunto, di un oggetto parziale. Il processo di riduzione dell'identificazione proiettiva e lo sviluppo delle introiezioni porterà a vivere una successiva fase, quella del seno che nutre, premessa per la conquista dell'oggetto totale. Una concettualizzazione limitrofa al rapporto fra oggetti parziali e totali può ritrovarsi nella teorizzazione di Meltzer (1992) a proposito del claustrum, inteso come compartimento corporeo-mentale in cui è proiettata una parte della personalità del soggetto. Si tratta di dimensioni di intrusioni atte a far si che specifiche funzioni vengano parassitate dal soggetto che si trova conseguentemente rinchiuso in esse come modalità di relazionalità psichica e di rapporto col mondo. Ne conseguono caratterizzazioni psicopatologiche differenti dove, come osserva Meltzer, gli occhi possono venire invasi dalle esibizioni, le orecchie dalle bugie, il naso dalle flatulenze, la pelle dai pizzicotti e così via. Il risultato - per fare un esempio di configurazione, quella ad esempio descritta da Meltzer come «vita all'interno della testa-seno materna» - è la personalità all'apparenza operosa, gravata di responsabilità e che invece, vista dall'interno, appare come indolente, futile, preoccupata solo dal potere. Le vite segrete di questi soggetti ne rivelano conseguentemente l'aspetto claustrofobico, tormentate come sono da un senso continuo di falsità e di imbroglio. L'apparenza di relazionalità, a un'analisi più accorta, si rivela come la maschera di segmentazioni psichiche illustrate, nel linguaggio di Meltzer, come vicende esistenziali segregate nel retto, negli organi genitali, nella testa onnipotente, ecc.

In correlazione con il concetto di oggetto parziale, ma distinto da esso, è l'oggetto smontato, proposto da Meltzer (1973) nella fenomenologia delle perversioni. Qui, egli propone l'idea che gli oggetti dell'eccitazione sessuale perversa siano oggetti smontati, diversi dagli oggetti parziali. Derivato dalla clinica degli stati autistici precoci, lo smontaggio degli oggetti è inteso come quel processo che si attua mediante un'attenzione selettiva alle qualità monosensoriali di una molteplicità di oggetti esterni, procedura che appare precludere le introiezioni e consente solo la percezione di un accadimento sensoriale immediato, realizzando in tal modo - nella pratica perversa - non tanto la riduzione delle relazioni oggettuali a un'organizzazione narcisistica, ma a un livello autoerotico di sensorialità che impedisce l'emozione, la memoria, la soddisfazione, e che condanna il soggetto all'eterna ripetizione. Lo smontaggio, processo di scissione analogo ma diverso da quello descritto dalla Klein, indica per Meltzer una procedura dove la perdita delle componenti dell'oggetto nella sua totalità conducono necessariamente a quella forma particolare di autoerotismo che si ritrova nella reciprocità perversa: «fallo a me e io lo farò a te». Un'altra prospettiva si delinea invece a partire dal rapporto stabilito da J. Guillaumin (1989) tra oggetto totale, ombra dell'oggetto e sua scomparsa nell'oggetto parziale. Per l'autore, l'oggetto parziale non si comprende se non a partire da quel fondo attivo e vivente, ma nascosto, che caratterizza il certo e l'incerto nell'esperienza dell'oggetto, dimensione che permette all'oggetto totale di mantenere una sua ambiguità identitaria e che invece scompare nel caso dell'oggetto parziale. In altri termini, l'oggetto totale è tale in virtù della sua quota di irriducibile alterità che sfugge al controllo del soggetto, quota di «ombra» che permette una dimensione generativa nell'incontro con l'oggetto. Si può allora ritenere che tutto ciò che ostacola il cammino verso la posizione depressiva e il riconoscimento di quest'alterità sia in relazione a un grado eccessivo di «incertezza» dell'oggetto, una sorta di arresto nella qualità metaforizzante e simbolizzante determinata per l'appunto dall'incontro-giunzione con questa zona di inesplorabilità dell'oggetto. Nel caso delle dimensioni perverse, ad esempio, l'oggetto parziale attesta da questo punto di vista un arresto dinanzi all'ombra dell'oggetto, alla sua alterità sconosciuta e determina pertanto quel mutuo rapporto di non sentimento dell'oggetto e di sé.

Nella prospettiva adombrata da W. Bion, la concretezza dell'oggetto parziale assume tutt'altro senso. Bion (1967) osserva che in primo luogo, quando il paziente ha una relazione parziale, specie quando il caso è grave, ci si trova frequentemente dinanzi a un «sembra» pronunciato dal paziente, che non indica affatto l'«io penso» o l'«io credo» di altri pazienti, dove dunque ad essere in gioco è l'incertezza che transita in- quel momento nella loro mente, ma un'incertezza intesa come oggetto parziale, avulso dalla psiche (dunque come un frammento non simbolizzato, sembrerebbe indicare Bion). Tuttavia, se si parla di oggetto parziale come di una struttura anatomica, si entra in un fraintendimento perché la relazione d'oggetto parziale è una funzione (nutrizione, intossicazione) e non un seno, intendendo con ciò che la posta in gioco è spostata sul legame. E’ questa, osserva Meltzer (1978), l'unità che viene attaccata o distrutta e, con questo spostamento, si introduce di fatto una modifica in quello che la Klein considerava la fonte dell'istinto epistemofilico (e cioè la curiosità come rivolta al corpo materno, sotto la spinta del sadismo). Bion difatti sposta la questione passando da un'idea di accoppiamento seno-bambino operante come bonifica dall'istinto di morte e dagli attacchi di angoscia persecutoria, a un modello di accoppiamento prototipo dell'apprendimento. Ma vi è un'ulteriore e decisiva conseguenza. Il passaggio dalla concezione dell'oggetto parziale posto dalla Klein all'attenzione al legame modifica di fatto anche la gerarchia di valori relativa al passaggio dalla posizione schizoparanoide a quella depressiva. Difatti, in Bion l'oscillazione PS-D non si muove più intorno alla supremazia della posizione depressiva, in quanto la frantumazione di D ha un valore altrettanto importante della sua creazione, il ritmo di integrazione e di disintegrazione appare un ritmo naturale dell'Io e la tendenza a munirsi di un contenitore può soffocare proprio questo ritmo. In questo senso l'oscillazione PS-D diventa non più una relazione di integrazione e disintegrazione oggettuale, ma una relazione che riguarda il pensiero nella sua totalità, finendo per perdere quella prospettiva evolutiva che assumeva nel pensiero della Klein.

E’ plausibile intravedere qui due direzioni di ricerca: da una parte, questo mantenimento fruttuoso di PS permette l'apertura a una condizione di non saturazione preventiva della mente, dando corso alla possibilità di un dispiegamento emotivamente fecondo, non rinchiuso frettolosamente in un quadro teorico concettuale che ne attesti il punto di arrivo ma, cosa altrettanto importante, è possibile qui intravedere una congiunzione con la necessità dei momenti «folli» proposti da Winnicott, cioè di quei momenti che è possibile ritrovare sovente in analisi e che, sebbene destino sempre una grande preoccupazione, riprendono momenti originari di slegamento pulsionale che il soggetto non ha potuto vivere, probabilmente a causa dell'intervento prematuro di un contenitore parentale che ne ha determinato l'arresto.

MAURIZIO BALSAMO