Negazione

In psicoanalisi le nozioni relative alla concezione del negativo e della negazione devono essere collocate tra l'affermazione di S. Freud che nell'inconscio non vi è segno di negazione e l'intrinseca dualità che caratterizza il funzionamento economico della psiche strutturato nella coppia di opposti formata da piacere/dispiacere, dalla quale procedono poi tutte le altre (presenza/assenza, buono/cattivo, ecc.). La questione della negazione e quella del negativo si sono poste, nel pensiero di Freud, sin dall'inizio. Infatti è lo stesso processo della rimozione, e quindi della formazione dell'inconscio, che vede un contenuto psichico essere respinto fuori dalla coscienza, per cui si può dire che l'inconscio è il negativo della coscienza. Ma è a proposito del funzionamento psicotico che questa nozione è stata pili direttamente chiamata in causa. Nella Minuta H allegata alla lettera a W. Fliess del 24 gennaio 1895, Freud afferma che nella paranoia i contenuti e gli affetti delle rappresentazioni incompatibili vengono trattenuti nella coscienza ma sono proiettati all'esterno, e nella Minuta K, allegata alla lettera del 1 ° gennaio 1896, precisa che la caratteristica della proiezione paranoica consiste nell'aggiungere alla proiezione all'esterno il rifiuto di credere all'autoaccusa. In questo modo, quello che sarebbe stato un giudizio, un rimprovero, veniva tenuto lontano.

In tutta l'opera di Freud i riferimenti alla negazione sono numerosi, ma le cose sono rese ancor più complicate dalla molteplicità di termini che egli ha utilizzato per descrivere questi aspetti del funzionamento psichico. In Teorie sessuali dei bambini (1908d) e nel Piccolo Hans (1908a) si descrive il fenomeno del «diniego» (Verleugnung) della mancanza del pene nella donna. Vi ritornerà più tardi (1923a), definendolo un meccanismo di difesa mediante il quale il soggetto rifiuta di riconoscere la realtà di una percezione negativa, cioè di una percezione in contrasto con il principio di piacere. Questo meccanismo si differenzia dalla rimozione, che è tipica della nevrosi ed è, piuttosto, prossimo alla psicosi. Nel saggio sul Feticismo (1927b) e, ancora più tardi, nel Compendio di psicoanalisi (1938a) e in La scissione dell'Io nel processo di difesa (1938c), questo meccanismo viene messo in relazione con la scissione dell'Io. Infatti, quello che accade è che due disposizioni mentali, tra loro incompatibili, sembrano non influenzarsi tra loro, tanto che, più che di un diniego della realtà, sembra trattarsi di un diniego reciproco. R. Laforgue e poi E. Pichon hanno ipotizzato che il diniego fosse, di fatto, una scotomizzazione, ma Freud non ha mai accettato questa lettura del meccanismo. Infatti, non si tratta della cancellazione di una percezione o di una rappresentazione, ma del rifiuto del significato che questa implica, nella fattispecie, del rifiuto del fantasma della castrazione. Pertanto, ciò che viene rifiutato è il «giudizio di attribuzione». Si potrebbe dire che la rimozione tratta l'affetto come il diniego tratta la rappresentazione, nel senso che, come la prima non cancella l'affetto ma lo sposta nell'inconscio, il secondo non cancella la rappresentazione ma ne elimina il significato. Bisogna comunque tenere presente che il diniego è sempre diniego di una mancanza, mentre la negazione, di cui parleremo più avanti, è il primo tempo del riconoscimento preconscio di qualcosa.

La questione della scissione dell'Io è presente anche a proposito di un meccanismo di difesa che Freud non menziona esplicitamente, ma al quale allude nell'Uomo dei lupi (1914a) a proposito dell'atteggiamento del paziente rispetto alla castrazione. Qui Freud afferma che nessun giudizio fu propriamente formulato circa l'esistenza dell'evirazione, ma si fece semplicemente conto che essa non esistesse, per cui coesistevano nel paziente, una accanto all'altra, due correnti contrarie: da un lato aveva in orrore l'evirazione, dall'altro era disposto ad accettarla e a consolarsi con la femminilità a titolo di risarcimento. Continuava, poi, a restare virtualmente operante la terza corrente, la più antica e profonda, quella che si era limitata a respingere l'evirazione senza porsi neppure il problema di esprimere un giudizio circa la sua realtà. In questo passaggio il verbo «respingere» traduce il tedesco verwerfen, per cui da allora questo meccanismo di rigetto di una realtà presentata come non esistente è conosciuto con il termine Verwerfung, comunemente tradotto in italiano con «preclusione». Dopo Freud dobbiamo riconoscere a J. Lacan il merito di avere individuato nel meccanismo della preclusione il paradigma della difesa psicotica, rintracciandolo nelle riflessioni di Freud a proposito del Caso Scbreber (1910d) ove è scritto che nella psicosi ciò che era stato abolito dentro di noi, a noi ritorna dal di fuori. Qui il concetto di «abolizione» rende conto del meccanismo della preclusione, che Lacan traduce con l'ormai universalmente diffuso termine di «forclusione». In realtà questo termine ha la sua origine nella definizione che H. Bernhein dava dell'allucinazione negativa come assenza della percezione di un oggetto presente nel campo percettivo. Esso deriva da un dato grammaticale della lingua francese, nella quale la negazione è costituita da due parti: ne.. .pas, ne.. .jamais, ne... rien, ecc. La prima parte è definita «discordativa», vale a dire che è espressione della discordanza tra il desiderio del soggetto e le possibilità che questi prende in considerazione; la seconda parte, invece, allude a ciò che il soggetto non considera facente parte della realtà. E’ stato questo secondo aspetto ad essere utilizzato da Laforgue e Pichon per cercare di identificare questa nozione con la scotomizzazione, cosa che sarebbe in accordo con l'uso che F. Brentano fa della Verwerfung applicandola al giudizio. Nella lettura di Lacan, la preclusione consiste nel rigetto di un significante al di fuori dell'universo simbolico del soggetto, ovvero, nel rifiuto dell'iscrizione di un significante nella catena simbolica. La Verwerfung rappresenterebbe allora l'inverso della Bejahung (ammissione). Rimane comunque che il significante abolito all'interno ritorna dall'esterno, nel reale, sotto forma di allucinazione o delirio. E’ stato infine nel 1925 che Freud ha dedicato un breve lavoro alla «negazione» (Verneinung), presentandola come un meccanismo di difesa mediante il quale un soggetto esprime un desiderio inconscio in forma negativa. In questo breve scritto, in realtà, vengono esposti due differenti processi. Il primo consiste nel rifiuto di un pensiero, ed è esemplificato dal paziente che nelle associazioni a un sogno si rivolge all'analista dicendogli: «Lei domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre» (Freud, 1925a). Qui il contenuto del pensiero inconscio è conservato, ma il soggetto vi si avvicina esprimendolo attraverso il simbolo della negazione. Si tratta quindi di un sostituto della rimozione, o meglio, il rimosso è riconosciuto, ma in forma negativa. Così la negazione permette un certo superamento della rimozione senza che il soggetto ne accetti il contenuto. Il secondo processo consiste in un giudizio espresso da una psiche che non ritrova nella realtà esterna la presenza di una rappresentazione soddisfacente. In questo caso la negazione è attinente all'istituzione del «principio di realtà definitivo». Si tratta della constatazione di un'assenza che comporta il riconoscimento di una realtà esterna indipendente dal soggetto. Questo implica che si sia stabilita una separazione tra le funzioni intellettuali e quelle affettive. Inoltre, la creazione del simbolo della negazione permette lo sviluppo della funzione del giudizio, che vediamo esplicitamente all'opera nel secondo dei due processi che abbiamo mostrato far parte del meccanismo della negazione. Si tratta, pertanto, della conquista di un primo livello di indipendenza dagli effetti della rimozione e della costrizione esercitata dal principio di piacere.

Infine Freud riconduce l'origine dell'istituirsi del negativo al formarsi stesso dei moti pulsionali primari che fondano il dualismo sul quale si costituisce il principio di piacere/dispiacere: «questo lo voglio mangiare o lo voglio sputare». Tutto ciò ci porta a riesaminare, a posteriori, tutta la concettualizzazione freudiana su questo tema. Lacan ha supposto che il primo movimento dovrebbe essere la contrapposizione tra Bejahung e Verwerfung. Seguendo Freud, saremmo piuttosto indotti a pensare che la genesi del negativo dovrebbe essere ricondotta alla costituzione della dualità piacere/dispiacere, connessa alla dimensione qualitativa del funzionamento economico della psiche che A. Green definisce come «simbolizzazione primaria». Forse, ancor più precisamente, la genesi del negativo dovrebbe essere fatta risalire al momento mitico dell'istituzione della differenza, quella espressa dal Fort-da che, secondo Laplanche e Leclaire (1981), rappresenta l'atto che fonda il funzionamento psichico umano e dal quale prende l'avvio la formazione dell'inconscio. Sarebbe a partire da questo momento fondativo che il negativo incomincia a declinarsi nelle differenti forme cliniche, sia fisiologiche che patologiche: dall'istituzione del simbolo della negazione, indispensabile alla funzione del pensare e del calcolare, alla preclusione e al diniego, espressioni di funzionamenti patologici extranevrotici.

FRANCESCO CONROTTO