Narcisismo |
Nella letteratura psicopatologica, il termine «narcisismo» compare nel 1886 nella Psycho-pathologia sexualis di R. von Krafft-Ebing, per indicare un insieme di esibizionismo, masturbazione e omosessualità. Da allora e attraverso tutta l'opera di S. Freud e della psicoanalisi postfreudiana, il tema del narcisismo come categoria psicopatologica ha dominato la scena in rapporto alla malattia mentale (nevrosi, personalità borderline, psicosi). L'analisi storico-clinica di questo concetto inizia con l'opera di Freud, il cui approccio al narcisismo si sviluppa lungo diverse fasi. Nella prima fase (1910c e d) il narcisismo viene definito come scelta autoerotica del proprio corpo (idea che ricompare in 1915g, dove l'amore viene considerato narcisistico all'origine in quanto l'Io soddisfa le proprie pulsioni autoeroticamente). Successivamente (1912-13), Freud tenta di sganciare il narcisismo dalla sessualità e di collegarlo all'onnipotenza del pensiero. La seconda fase è quella di Introduzione al narcisismo (1914d), dove Freud pone il problema del rapporto tra l'Io e il mondo esterno nello sviluppo sessuale dell'individuo. Qui Freud distingue una libido dell'Io da una libido che riguarda gli oggetti della realtà. Suggerisce tuttavia che l'Io è il serbatoio della libido che, in condizioni di normalità, può portarsi verso gli oggetti e investirli, diventando in quel momento oggettuale. In questo lavoro Freud collega per la prima volta il concetto di narcisismo alla schizofrenia, interpretandolo come il risultato di un ritiro nell'Io della libido oggettuale. Due sono per Freud le condizioni normali in cui la libido va incontro a un ritiro narcisistico sull'Io: le malattie organiche e il sonno. Sono due invece i casi patologici: lo stato schizoparanoide, in cui è massima la libido dell'Io e minima quella degli oggetti, e lo stato di innamoramento, in cui è massima la libido investita nell'oggetto e minima quella investita nell'Io. Nello sviluppo, il bambino investe con la libido il primo oggetto d'amore: la madre. E’ questo il momento del narcisismo primario, caratterizzato dal sentimento del bambino di essere confuso con la madre, vissuta come parte di sé. Lo sviluppo dell'Io consiste in un suo progressivo allontanamento dalla condizione di narcisismo primario, ma questo processo ne mette in moto un altro, di segno contrario, che tende e riportare l'Io verso l'Eden del narcisismo primario, in cui la libido dell'Iole quella dell'oggetto sono indifferenziate. È questo il narcisismo, definito «secondario» da Freud, in cui la libido viene ritirata dall'oggetto, con tutte le sue potenzialità erotiche, e diretta di nuovo sull'Io. In Lutto e melanconia (1915f), Freud collega il narcisismo alla perdita dell'oggetto. In queste condizioni, la libido che resta priva di oggetti da investire si rivolge al proprio Io, che viene a identificarsi con l'oggetto perduto. Freud chiama questo processo «identificazione narcisistica», sottolineando un collegamento, che sarà successivamente sviluppato da M. Klein, tra narcisismo e identificazione proiettiva. Il concetto di identificazione narcisistica può essere considerato un'anticipazione dell'identificazione proiettiva intrapsichica che sarà sviluppata molti anni più tardi da P. Heimann. La terza fase coincide con la pubblicazione del saggio Al di là del principio di piacere (1920a), in cui Freud ritorna al concetto di narcisismo in relazione al mondo pulsionale. All'inizio della vita mentale, l'Io è il contenitore delle pulsioni ed è in grado di soddisfarle (attraverso l'autoerotismo). La pulsione autoerotica definisce l'Io-piacere, la pulsione non autoerotica l'Io-realtà. L'amore - dice Freud - è in origine narcisistico e legato alla soddisfazione autoerotica. Per questo l'odio è più vecchio dell'amore: perché deriva dal ripudio del mondo esterno da parte del primitivo narcisismo dell'Io. Ma nel 1920 la concezione metapsicologica di Freud diventa più complessa. L'Io, pur contenendo la libido, non è pili considerato in maniera monistica. In esso operano due parti in opposizione tra loro: Eros, o istinto di vita, e Thanatos, o istinto di morte. Il primo comprende sia la libido oggettuale di natura sessuale indirizzata alla conservazione della specie, sia la libido dell'Io diretta ali ' autoconservazione. Nella quarta fase, che coincide con la pubblicazione di L'Io e l'Es (1922a), si assiste a ulteriori evoluzioni del concetto di narcisismo. Con l'introduzione della teoria dualistica delle pulsioni non è pili l'Io, ma l'Es il contenitore della libido. È nell'Es che la libido presenta il massimo di potenzialità e può uscire a investire gli oggetti. Il narcisismo primario è la condizione anteriore all'investimento oggettuale e riguarda anche l'Io nella misura in cui l'Io non è ancora differenziato dall'Es. Con la formazione dell'Io, la libido si rivolge anche a questa istanza realizzando la condizione di narcisismo secondario in cui la libido viene desessualizzata e sublimata. In questo scritto, Freud trasforma profondamente la sua concezione meta-psicologica della mente facendo assorbire dal Super-io l'istanza «ideale dell'Io» quale residuo di una identificazione con le figure dei genitori. Questo processo nullifica il concetto di ideale dell'Io quale oggetto interno ideale e struttura portante della personalità ricca di valori cognitivi, morali, estetici. Questa svolta del pensiero freudiano non avverrà senza conseguenze per la teoria della mente, per il concetto stesso di narcisismo e per l'applicazione alla clinica del concetto di pulsione di morte. Un'ulteriore evoluzione del concetto di narcisismo, che viene progressivamente dilatato e legato dinamicamente alla pulsione di morte, compare in Freud (1924a), dove l'autore collega il narcisismo al masochismo quale derivato dell'istanza di morte e quale espressione di una distruttività che, sussunta dal Super-io, aumenta il suo sadismo contro l'Io. Il pensiero freudiano in questo scritto appare fortemente influenzato dal precedente (1922a): anche l'ideale dell'Io, che avrebbe potuto contrastare la tendenza sadica del Super-io, diventa parte integrante del Super-io stesso e fa dell'Io la vittima senza appello della sua persecuzione. Nel 1937 (a e b) Freud propone un possibile collegamento tra pulsione di morte, nevrosi narcisistica (psicosi), resistenza al trattamento terapeutico (reazione terapeutica negativa), masochismo e senso di colpa inconscio. Ritorna a parlare di odio come di un sentimento che deriva dal ripudio, da parte dell'Io narcisistico, del mondo esterno e del dolore mentale come esperienza collegata causalmente alla rinuncia del piacere narcisistico e alla soddisfazione autoerotica, nonché al dover riconoscere la presenza dell'altro con una relazione d'oggetto il cui prototipo è l'Edipo, dove il padre entra nella relazione diadica tra madre e bambino e ridimensiona l'onnipotenza di quest'ultimo riconducendolo nei confini dolorosi di una realtà. L'ambiguità e le trasformazioni cui è andato incontro il concetto di narcisismo in Freud nell'ultimo anno della sua vita danno ragione della sua complessità dai diversi punti di vista con cui questo concetto si è sviluppato dopo di lui. Ad esempio, molti autori postfreudiani pensano che fin dall'inizio della vita l'Io si trovi a dover investire il mondo esterno. In particolare M. Balint (1937) nega che le fasi più precoci di una relazione oggettuale siano narcisistiche, portando la stessa clinica a sostegno della sua ipotesi, dal momento che i pazienti narcisisti mostrano un'esagerata sensibilità e vulnerabilità proprio nella sfera relazionale. Già K. Abraham (1919) aveva intuito alcune modalità relazionali che gli apparivano espressione di un narcisismo alimentato da invidia nei confronti dell'analista che tendeva a svalutarlo, renderlo impotente e far fallire l'incontro. Ad Abraham si collega il pensiero della Klein, che già nel 1932 rifiuta di considerare il concetto di narcisismo primario come stadio aoggettuale. Essa afferma che il bambino ha, fin dall'inizio della vita, una relazione con la madre incentrata sul seno, con tutte le componenti di una relazione oggettuale, caratterizzata da amore, odio, fantasie, angosce e difese. Con la Klein, il narcisismo da stato aoggettuale diventa un modo di relazionarsi con l'oggetto con modalità specifiche quali la scissione, l'identificazione proiettiva, la negazione, l'idealizzazione dell'oggetto, che partecipano all'organizzazione di quella personalità del bambino che ritroviamo nell'adulto. Con la Klein, il modello pulsionale di Freud viene sostituito, anche se parzialmente, da un modello relazionale che conferisce un'importanza primaria all'oggetto: madre, padre, fratelli e ambiente familiare in cui il bambino cresce. Tuttavia la Klein resta paradossalmente ancorata al concetto di pulsione di multe. Relativamente al concetto di narcisismo, la Klein (1946) introduce nel pensiero psicoanalitico una differenza tra stati narcisistici e relazioni d'oggetto narcisistiche. I primi risultano prodotti dall'identificazione proiettiva del proprio ideale dell'Io sull'oggetto, che viene amato e ammirato in quanto contiene le parti migliori del Sé. Le relazioni d'oggetto narcisistiche sono invece strutturalmente legate all'identificazione proiettiva sull'oggetto di parti disturbanti del Sé, invidiose, sadiche, ostili, avide e aggressive. In condizioni fisiologiche, queste specifiche modalità relazionali permettono al bambino di conoscere la capacità di rêverie della madre, la sua tolleranza, il suo potere di contenimento. È attraverso di essa che il bambino compie le prime esperienze di conoscenza del mondo. Se la madre sarà capace di metabolizzare e bonificare le angosce del bambino e gli saprà dare il sentimento di essere amato, gli permetterà l'introiezione di un oggetto ideale buono, protettivo e rassicurante. Il bambino potrà allora costruirsi un suo «ideale dell'Io» che lo illuminerà e assisterà nelle sue relazioni con il mondo e gli permetterà di credere nell'amore oggettuale. Se invece la madre è ansiosa o depressa, priva di capacità di contenimento e di rêverie e incapace di soddisfare i desideri del bambino, di accogliere e di elaborare con affetto e tolleranza le parti in lei proiettate per restituirgliele bonificate per una introiezione o, peggio, se lo userà per identificare proiettivamente le sue angosce depressive, questi introietterà un oggetto cattivo, angosciato e depresso e sarà costretto a liberarsene con una modalità narcisistica caratterizzata dalla scissione e dall'identificazione proiettiva, negazione e idealizzazione dell'oggetto. Questa modalità gli servirà anche per controllare l'oggetto stesso, negare la separazione da esso, fargli sentire il disagio e il dolore mentale che lui stesso vive. Sono questi i processi difensivi impliciti che caratterizzeranno, anche da adulto, le relazioni patologiche narcisistiche. Il fallimento, dunque, della relazione primaria costituirà il trauma originario (e la madre sarà l'oggetto-trauma) che costringerà il bambino a organizzare fantasie e difese patologiche (molte delle quali resteranno inconsce), prime fra tutte la scissione e l'identificazione proiettiva usate in forma massiva. Poiché quest'ultima modalità è considerata anche come una difesa rispetto all'invidia e all'avidità, questi dolorosi sentimenti saranno dominanti nella relazione d'oggetto narcisistico. Il risultato di questa situazione farà si che l'Io del soggetto, disilluso e frustrato dall'«oggetto-trauma», sarà costretto a un'organizzazione narcisistica della personalità con un attacco distruttivo all'ideale dell'Io e la sua trasformazione in un Super-io caratterizzato da sentimenti di ostilità e di odio per il mondo (interno ed esterno). L'identificazione proiettiva di queste parti del Sé cariche di aggressività creerà oggetti «bizzarri» e persecutori che a loro volta produrranno angosce psicotiche. La vera, profonda, difesa dell'Io sarà, a questo punto, la creazione in chiave onnipotente di oggetti pronti a soddisfare i suoi desideri, oggetti che sono lontani dalla realtà e che la negano, protesici e sostitutivi nel senso che sono creati dall'Io con il compito di compensare una mancanza affettiva, un fallimento relazionale e una catastrofe emozionale e di fare fronte ai sentimenti di impotenza, esclusione, solitudine, inadeguatezza e incapacità di affrontare la realtà e il mondo. Si organizza così una struttura narcisistica che si sostituisce megalomanicamente alla realtà e che sarà la base del delirio e delle allucinazioni. Sul piano più strettamente clinico, H. Segal (1957), uno dei primi analisti, con H. Rosenfeld, a essersi occupati di schizofrenia, e che ha profondamente studiato il rapporto tra narcisismo e psicosi, considera il transfert negativo come l'oggetto di interpretazione pili specifico in questi pazienti. Tale interpretazione dovrà dunque essere incentrata sul senso della scissione e dell'identificazione proiettiva (piuttosto che sul materiale rimosso), così da aiutare il paziente a elaborare i sentimenti (in primo luogo l'invidia) che ne sono alla base e le difese contro di essi. L'analisi del transfert negativo faciliterà il passaggio dalla posizione schizo-paranoide a quella depressiva e ciò comporterà una maggiore integrazione delle parti scisse del Sé, un ridimensionamento dell'onnipotenza e una riduzione dell'identificazione proiettiva con un maggiore contatto con la realtà. Rosenfeld (1965; 1987) è l'autore che introduce, per i disturbi psicotici e borderline della personalità, il concetto di narcisismo maligno e distruttivo come modalità relazionale, caratterizzata da onnipotenza e onniscienza, invidia, voracità e gelosia, processi massicci di scissione e identificazione proiettiva che tendono a svalutare il lavoro analitico e a far sentire l'analista impotente, inadeguato, umiliato, spesso annoiato e paralizzato nel suo pensiero. Questo autore usa per descrivere questo status della mente metafore molto suggestive: parla di organizzazione mafiosa o nazista, dove i membri che la compongono sono criminali che usano la propaganda interna per attaccare le parti libidiche del Sé e si proteggono tra loro nelle loro azioni delittuose. Sono metafore utili per capire, e far capire al paziente, come è organizzato e funziona il teatro interno della sua mente: le sue dinamiche oggettuali intrapsichiche che condizionano la sua sfera affettiva, emozionale e cognitiva e ne determinano il comportamento nella realtà. In ogni personalità psicotica o borderline, per la psicoanalisi post-kleiniana, aspetti libidici e distruttivi sono fusi in varia misura e spesso in conflitto fra loro. Se in questo conflitto la parte distruttiva attacca l'Io pensante svuotandolo attraverso l'identificazione proiettiva di parti del Sé all'esterno, sarà la psicosi. Se l'attacco è diretto all'Io soma, attraverso l'identificazione proiettiva di parti distruttive e sofferenti del Sé in parti del corpo, sarà una malattia psicosomatica. Se lo stesso processo sarà seguito da una reintroiezione dell'oggetto-corpo invaso proiettivamente dalla sofferenza, sarà una malattia ipocondriaca. Nella personalità psicotica o borderline la parte distruttiva del Sé agirà contro i propri oggetti interni (in particolare contro l'oggetto-trauma delle relazioni primarie), contro la relazione analitica (che si collega transferalmente a questi oggetti-trauma) e contro il Sé (che di queste relazioni primarie è il risultato). L'attacco all'analista sarà teso a farlo uscire dal setting e renderlo incapace di pensare. Questa operazione del paziente costituirà una difesa rispetto ai suoi intollerabili sentimenti di invidia e rabbia per l'analista che con il suo lavoro interpretativo cerca di decostruire le sue difese. Il paziente psicotico o borderline dunque è in grado di fare un transfert che sarà ancora più intenso di quello del nevrotico. Questo transfert, infatti, anche più di quello nevrotico, sarà in grado di sollevare intensi sentimenti nell'analista stesso (che possono collegarsi ad aree inconsce non rimosse della sua personalità) e vissuti controtransferali che l'analista dovrà essere in grado di gestire e usare per una corretta comprensione del transfert del paziente e per evitare pericolosi controagiti e controidentificazioni proiettive. W. Bion (1956), in un lavoro sullo sviluppo (lei pensiero schizofrenico, ha ripreso il pensiero della Klein secondo cui nella schizofrenia l'identificazione proiettiva si svolge sotto l'influenza di un'angoscia violenta. L'Io è costretto a frantumare se stesso e an-che gli oggetti che introietta, venendosi così a trovare con relazioni interne molto frammentate. La conseguenza è che si sbarazza con la proiezione di questa realtà psichica e crea «oggetti bizzarri». Come risultato, il paziente vive un odio per la realtà che giustifica la sua massiva identificazione proiettiva, che a sua volta permea gli oggetti di ostilità, rendendo la realtà ancora più aggressiva e pericolosa, per cui la sua reintroiezione è ostacolata. Ne consegue che la realtà viene sempre più rifiutata e sostituita con oggetti che acquisiscono caratteristiche narcisistiche deliranti. Per Bion, i disturbi schizofrenici prendono origine dall'interazione tra ambiente e personalità. Quest'ultima è dominata da pulsioni distruttive e dall'odio per la realtà (esterna e interna). Ciò comporta una continua minaccia di annientamento che rende la personalità dello schizofrenico particolarmente fragile. L'uso eccessivo dell'identificazione proiettiva crea inoltre le condizioni per un'incapacità del paziente a introiettare, e ciò rende il lavoro analitico particolarmente frustrante per l'analista e poco efficace per il paziente stesso, che vive la sua esperienza analitica giorno dopo giorno, senza memoria e senza riuscire a darle uno spessore storico. E’ necessario per Bion, in questi casi, analizzare l'attacco che il paziente fa alla sua memoria e alle parti libidiche del Sé e chiarirgli la sostituzione che egli compie della rimozione e dell'introiezione con l'identificazione proiettiva. In un lavoro successivo, Bion (1957) propone di differenziare le caratteristiche della personalità psicotica rispetto alla nevrotica sottolineando il fatto che le personalità psicotiche sono andate incontro a una frammentazione del Sé che influenza la percezione della realtà esterna e interna. Inoltre riprende il pensiero di Freud (1923b), secondo il quale mentre nelle nevrosi l'Io reprime le pulsioni agendo sull'Es, nello psicotico l'Io si pone al servizio dell'Es ritirandosi dalla realtà. Una rilettura attenta di Freud, specie dei suoi ultimi scritti, alla luce del pensiero kleiniano e postkleiniano, ci permette interessanti osservazioni relative alle sue intuizioni in merito alla nevrosi narcisistica (psicosi). Nonostante pensasse che l'analisi degli psicotici fosse impossibile in quanto pazienti incapaci di fare un transfert, Freud nel 1938 ritornerà sull'argomento precisando che per una terapia efficace è necessario che lo psicoanalista trovi nell'Io del paziente un alleato. Ma il problema è che l'Io dello psicotico non è un buon alleato e «non è in grado di tenere fede a un simile contatto». Malgrado questo pessimismo, Freud si era già interessato alla psicopatologia delle psicosi (1915g), intendendole come un conflitto pulsionale dominato da modalità narcisistiche tra cui spicca per importanza il meccanismo della proiezione. Ma la proiezione implica scissione, e Freud si approprierà di questo concetto solo più tardi, in rapporto ai meccanismi dell'Io che occorrono nelle psicosi. In un breve flash clinico relativo a un paziente con delirio di gelosia, Freud (1938a) ipotizza che in tutti i casi simili a quello si attui una scissione psichica. Anziché una sola impostazione psichica se ne sono formate due, coesistenti: quella normale, che tiene conto della realtà, e una seconda che, sotto l'influsso pulsionale, stacca l'Io dalla realtà. L'esito della psicosi dipende dalla forza relativa di queste due parti: se l'ultima è o diventa più forte della prima, la condizione della psicosi permane; se il rapporto si capovolge, la malattia in apparenza guarisce. Questi concetti dell'ultimo Freud sono stati applicati alla clinica solo molti anni dopo la sua morte. In questa accezione, il narcisismo diventa una forma particolare di resistenza con cui il paziente psicotico si oppone in forma estrema a ogni cambiamento, situazione questa già descritta da Abraham. Rosenfeld (1987) riprende il pensiero di Freud affermando che la descrizione freudiana della scissione dell'Io in una parte normale e in una parte psicotica è di importanza fondamentale per la comprensione della psicopatologia delle psicosi narcisistiche. Anche se, al tempo di Freud, si riteneva che il conflitto principale nella psicosi fosse tra l'Io e la realtà e non piuttosto tra parti del Sé (un conflitto intrapsichico) che secondariamente creano un conflitto fra l'Io e la realtà. Come è noto, gli autori kleiniani (Segal, Rosenfeld, il primo Bion) hanno sempre considerato la psicosi come l'espressione di una pulsione di morte che opera nell'organizzazione delle parti narcisistiche della personalità e che assumono caratteristiche dell'organizzazione mafiosa o nazista, tese a portare dolore e morte sia nella realtà esterna che nella stessa realtà interna attaccando le parti libidiche del Sé. E’ tuttavia possibile sostituire questo modello pulsionale mortifero con la realtà, qui descritta, della personalità narcisistica come espressione di un fallimento relazionale precoce che ha impedito alla madre e ai genitori di soddisfare i desideri del bambino caricandolo di frustrazioni e delusioni o di traumi di varia intensità, tali da costringerlo a crearsi delle difese patologiche. Tra queste, è di primaria importanza l'organizzazione narcisistica della personalità. Naturalmente è da considerare anche l'importanza dell'equipaggiamento interno del bambino, espressione del suo patrimonio genetico, nel far fronte o meno a questo fallimento primario e al dolore mentale collegato alla separazione dall'oggetto che destabilizza il suo sistema di attaccamento e la sua sintonizzazione affettiva. L'equipaggiamento interno in questione non va visto come espressione di una pulsione, bensì di una funzione mentale collegata al patrimonio genetico indispensabile al bambino nelle sue componenti affettive, emozionali e cognitive per affrontare la realtà. Quando l'equipaggiamento è inadeguato, l'oggetto è particolarmente frustrante e traumatico e l'ambiente violento e distruttivo (il tutto costituirà un oggetto-trauma per eccellenza), il bambino sarà costretto a introiettare oggetti interni cattivi, violenti e persecutori cui opporrà difese narcisistiche patologiche, tra cui la creazione di oggetti interni sostitutivi autarchici, violenti e fragili a un tempo, comunque scissi rispetto alla realtà. Questo processo va visto come un'estrema difesa rispetto alla frammentazione del Sé e, a un tempo, come uno specifico adattamento (anche se patologico) alla dolorosa e traumatica realtà. Tale complesso percorso nello sviluppo del bambino sarà in gran parte archiviato nella sua memoria implicita e farà parte di un inconscio non rimosso che costituirà il contenitore di fantasie e difese patologiche. Queste ultime saranno alla base del delirio che potrà esplodere in qualsiasi momento in seguito a situazioni traumatiche che ripetano nell'adolescente o nell'adulto le caratteristiche specifiche, affettive ed emozionali, dell'oggetto-trauma originario sedimentato nel suo inconscio non rimosso. Pertinente al discorso sulla psicopatologia del narcisismo è il contributo di D. Meltzer (1992), il quale ha descritto le evidenze per considerare l'identificazione proiettiva come una modalità intrusiva in alcuni pazienti narcisistici, capace di operare sulla «madre interna» o meglio su parti di essa con modalità che alimentano un paradiso masturbatore. In questo paradiso la masturbazione genitale può assolvere numerose funzioni difensive e comparire nel transfert come insistente agito, ma anche la masturbazione anale può rispondere al desiderio onnipotente del paziente di negare la separazione e la realtà. Spesso anche l'estrema voracità può assolvere queste funzioni. Altre modalità di attacco al legame tendono a svalutare l'oggetto (l'analista nel transfert) e danno al paziente l'illusione narcisistica di poter fare da solo, escludendo l'analista. Ciò gli permette di difendersi da una dolorosa dipendenza e da sentimenti spesso catastrofici collegati alla separazione. Il fare per proprio conto significa anche, in seduta, interpretarsi i propri sogni oppure privare di significato le interpretazioni ricevute dall'analista e cancellare dalla memoria quanto si è detto e vissuto in seduta. Il che significa una massiccia difesa dall'introiezione. La linea storica del concetto di narcisismo qui tracciata non deve impedire di consideare altri apporti significativi e divergenti. Ad esempio, B. Grunberger (1971) e H. Kohut (1971) hanno privilegiato il concetto di narcisismo formulato da Freud dopo il 1920, ma isolandolo dal suo rapporto con la pulsione di morte. In particolare, Grunberger considera il narcisismo un'istanza psichica caratterizzata da uno stato emozionale privo di rapporti oggettuali, pura onnipotenza o elazione, come egli immagina si trovi il feto nella sua vita prenatale. La nascita e la lealtà che il neonato incontra produrranno una ferita narcisistica che aprirà le porte alla maturazione dell'Io e all'integrazione delle pulsioni. Il collegamento è con la sola pulsione di vita. Ne deriva che l'analisi, in quanto regressione narcisistica controllata, permetterà al paziente di recuperare una restaurazione narcisistica. Kohut (1971; 1978) definisce lo stato narcisistico della mente come un investimento libidico del Sé che non ha caratteristiche patologiche ma rappresenta un'organizzazione che esprime un tentativo di affrontare quelle situazioni maturative irregolari che inevitabilmente si verificano nello sviluppo infantile e che tendono a idealizzare l'imago genitoriale. Da questa operazione nascono, per Kohut, quell'amore e attrazione che caratterizzano l'ideale dell'Io, che ha il compito di gestire il mondo delle pulsioni. Ne deriva che il dio della mitologia kohutiana è questo oggetto idealizzato che contiene immagini idealizzate del Sé e degli oggetti-Sé. In Italia, G. Sassanelli (1982; 1989) si collega al pensiero di Kohut e vede il narcisismo come la dimensione di un'area della personalità coesiva che partecipa alla creazione di una trama organizzatrice, o connettore psichico, che fa da sostegno e contenimento alle esperienze mentali dell'uomo. Naturalmente, in modo parallelo alla strutturazione coesiva, può svilupparsi nel bambino un'organizzazione simbiotica e parassitaria che può rendersi responsabile di forme difensive e antilibidiche del narcisismo stesso che possono condurre a forme di sadismo e distruttività. Con O. Kernberg (1984) assistiamo a una differenziazione del narcisismo in normale e patologico. Il primo rifletterebbe un investimento libidico del Sé che permette l'integrazione di componenti libidiche e aggressive; il secondo rifletterebbe invece l'investimento libidico di una struttura patologica grandiosa del Sé permeata di onnipotenza e aggressività, che si rende responsabile della malignità propria del narcisismo. Altri autori, fra cui A. Green (1982), differenziano il narcisismo in una forma di vita e in una forma di morte. Essi si scostano dalla concezione rosenfeldiana di narcisismo distruttivo e ne riducono il significato causale nella clinica e in particolare nelle patologie gravi come la psicosi e la personalità borderline. MAURO MANCIA |