Moruzzi, Giuseppe

G. Moruzzi (1910-1986) nacque in provincia di Reggio Emilia, e crebbe a Parma. Seguendo una tradizione di famiglia e rinunciando a una forte inclinazione per gli studi storici e umanistici, si laureò in Medicina all'Università di Parma nel 1933. La sua vocazione per le neuroscienze fu precocemente incoraggiata, se non generata, da due egregi mentori che egli incontrò nei primi anni universitari, e che gli trasmisero gli insegnamenti di due grandi scuole dedicate allo studio del sistema nervoso: A. Pensa, professore di Anatomia e allievo del premio Nobel C. Golgi, e M. Camis, professore di Fisiologia, che aveva lavorato con Ch. Sherrington in Inghilterra. Pensa lo addestrò nelle principali tecniche neuroistologiche e gli fece pubblicare il suo primo lavoro, una ricerca istologica sulla rete nervosa diffusa di Golgi nello strato dei granuli del cervelletto. Camis, di cui Moruzzi fu assistente a Parma e a Bologna, ne determinò la scelta definitiva del mestiere di fisiologo, iniziandolo allo studio delle funzioni cerebellari nel controllo della postura e dei riflessi vegetativi, e procurandogli la possibilità di lavorare all'estero, prima con F. Bremer e poi con E. Adrian.

La carriera universitaria di Moruzzi, dopo gli anni di assistentato e i soggiorni di studio in Belgio e Inghilterra, continuò come professore incaricato di Fisiologia a Siena (1942-43) e a Parma (1945-46); ottenuta la cattedra di Fisiologia all'Università di Ferrara nel 1946, nel 1948 fu trasferito all'Università di Pisa, dove rimase fino alla collocazione fuori ruolo nel 1980. Moruzzi fece dell'Istituto di Fisiologia pisano un centro internazionale per la ricerca in neurofisiologia, attirando giovani da tutta l'Italia e dall'estero. Ricostituì la biblioteca dell'Istituto, che era andata perduta durante la Seconda guerra mondiale, fornendola delle collezioni complete di tutte le riviste di interesse fisiologico. Creò, sempre a Pisa, l'Istituto di Neurofisiologia del Consiglio nazionale delle ricerche, dotato di personale e laboratori propri, la cui attività di ricerca era tuttavia strettamente coordinata con quella dell'Istituto universitario. Nel 1957 rifondò la rivista «Archives italiennes de Biologie», nata nel 1882 ma la cui pubblicazione era cessata nel 1936, dirigendola fino al 1980 e facendone un mezzo di diffusione favorito per i migliori lavori internazionali sulla fisiologia del sonno. Partecipò all'organizzazione e alla redazione di pubblicazioni dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, fra le quali la grande Enciclopedia del '900. Fu membro onorario dell'American Physiological Society e socio eletto di molte accademie e società scientifiche nazionali e straniere. Ricevette per la sua attività scientifica vari premi e lauree ad honorem.

Il contesto in cui prese il via la ricerca di Moruzzi è quello che, nei primi decenni del secolo scorso, aveva visto gli sviluppi della tecnica elettrofisiologica con l'introduzione degli amplificatori a valvole termoioniche e l'oscillografo a raggi catodici, che cambiarono il volto della neurofisiologia. La scelta dei vincitori del premio Nobel per la Medicina del 1932 segnò emblematicamente la transizione fra la vecchia neurofisiologia delle lesioni e delle stimolazioni del tessuto nervoso, impersonata dal settantacinquenne Sherrington, che dallo studio dei riflessi aveva tratto i principi generali dell'integrazione nervosa, e la nuova neurofisiologia dei potenziali d'azione, rappresentata da Adrian, che aveva decifrato il codice dei segnali elettrici trasmessi dalle fibre nervose periferiche. In quello stesso periodo, fra il 1929 e il 1934, lo psichiatra tedesco H. Berger pubblicava le sue ricerche sull'elettroencefalogramma dell'uomo, dimostrando l'esistenza di oscillazioni di potenziale elettrico di diversa frequenza e ampiezza, registrabili dal cuoio capelluto e correlabili con vari stati funzionali. La scoperta di Berger, inizialmente accolta da molti dubbi sulla reale origine dell'elettroencefalogramma dal tessuto nervoso, ma presto confermata da Adrian, apri vasti orizzonti alla neurofisiologia. Due quesiti fondamentali si presentavano con immediatezza alla mente dei ricercatori: a) che rapporto c'è fra le onde elcttroencefalografiche e l'attività elettrica dei neuroni corticali, considerati individualmente? b) quali strutture e meccanismi causano la reazione d'arresto di Berger, consistente nel blocco delle onde a del riposo psicosensoriale, e nella comparsa delle onde β in conseguenza di stimoli di senso o attivazione mentale?

Moruzzi legò il suo nome a due memorabili esperimenti, pubblicati a distanza di un decennio l'uno dall'altro, che fornirono i punti di partenza necessari per rispondere a queste domande. Egli aveva cominciato a studiare l'elettrofisiologia della corteccia cerebrale come borsista straniero all'Università Libera di Bruxelles con Bremer, un esperto e rigoroso sperimentatore, dotato di una perspicace immaginazione riguardo ai possibili meccanismi dell'organizzazione generale del sistema nervoso centrale. Il primo esperimento fondamentale lo esegui all'Università di Cambridge (Adrian e Moruzzi, 1939), riuscendo a registrare l'attività di singoli neuroni non nella sostanza grigia corticale - metodologia a quei tempi impraticabile - bensì tramite elettrodi inseriti nel bulbo lungo i prolungamenti dei neuroni della corteccia motoria che formano il fascio piramidale. L'esperimento, oltre a fornire le prove che i potenziali d'azione così registrati erano effettivamente emessi da neuroni corticali, dimostrò per la prima volta che le onde elcttroencefalografiche erano accompagnate da una scarica continua di potenziali d'azione in uscita dalla corteccia motoria. Tale scarica, pur modulata da fattori fisiologici, farmacologici e patologici, era presente anche in anestesia generale e in assenza di movimenti, a dimostrazione che l'attività dei neuroni corticali tende a essere incessante come le onde elettroencefalografiche. Con questo lavoro, Adrian e Moruzzi furono i precursori di quell'indirizzo di ricerca che analizza il comportamento normale e patologico della corteccia cerebrale in termini di attività di singoli neuroni, e che ancora oggi costituisce uno dei mezzi indispensabili per comprendere il funzionamento del sistema nervoso.

Nel secondo esperimento fondamentale, fatto con H. Magoun alla Northwestern University di Chicago (Moruzzi e Magoun,1949), Moruzzi dimostrò che la stimolazione elettrica ripetitiva della formazione reticolare bulbo-ponto-mesencefalica produce la reazione d'arresto di Berger e l'attivazione dell'elettroencefalogramma, indipendentemente da qualsiasi stimolazione delle vie di senso che decorrono nel tronco dell'encefalo. La scoperta portò al concetto di un sistema reticolare deputato all'attivazione della corteccia cerebrale nel risveglio e nel mantenimento dello stato vigile, e capace di un'attività intrinseca propria anche se influenzabile dai sistemi specifici di senso. Questo concetto marcò una svolta epocale nella storia delle neuroscienze, rivoluzionando il modo di pensare non solo dei neurofisiologi, ma anche dei farmacologi interessati ai meccanismi d'azione degli anestetici generali, degli psicologi interessati allo studio dell'attenzione e della motivazione, dei neurologi e dei neurochirurghi interessati alla fisiopatologia del coma e degli stati alterati di coscienza, degli psichiatri interessati ai possibili substrati organici delle distimie e di altre sindromi psicopatologiche. Il sobrio lavoro di Moruzzi e Magoun è ancora oggi, dopo più di mezzo secolo, citato da decine di pubblicazioni ogni anno. In esso erano confluiti il modo di pensare di Moruzzi, plasmato dalle collaborazioni con Bremer e Adrian sui meccanismi di regolazione dell'attività corticale, e quello di Magoun, che aveva scoperto l'azione regolatrice discendente della formazione reticolare sul midollo spinale, alla quale si poteva ora affiancare un'analoga azione regolatrice ascendente sulla corteccia cerebrale.

Rientrato in Italia, Moruzzi sviluppò con grande successo la conoscenza della fisiologia del sistema attivatore ascendente, dimostrando la convergenza di segnali da varie modalità di senso su singoli neuroni della formazione reticolare. Ma ancora più importante fu la scoperta, ottenuta in collaborazione con C. Batini, M. Palestini, G. F. Rossi e A. Zanchetti, che non meno della veglia anche il sonno è generato attivamente dal tronco dell'encefalo, e in special modo dalle sue porzioni caudali. Le prove sperimentali di questa genesi attiva del sonno furono magistralmente esposte da Moruzzi nella sua Harvey Lecture del 1963, nella quale l'alternanza fra veglia e sonno fu ascritta a influenze sia attivanti che deattivanti esercitate dal tronco dell'encefalo sul diencefalo e sul telencefalo, in una visione organica dei rapporti fra corteccia e centri sottocorticali che continua a influenzare le odierne teorie sui principi di funzionamento generale dell'encefalo. Moruzzi previde anche il possibile frazionamento funzionale della formazione reticolare in vari comparti e in vari livelli di attività, legati a diverse condizioni mentali e comportamentali, una previsione confermata dalle attuali conoscenze sui molteplici sistemi chimicamente differenziati che ascendono dal tronco dell'encefalo alla corteccia. Inoltre, nella tuttora incompiuta ricerca del significato fisiologico del sonno, egli avanzò ipotesi originali, basate su erudite considerazioni sia fisiologiche che etologiche, del sonno come ristoro dei meccanismi nervosi impiegati nell'apprendimento e nella memoria durante la veglia, e come comportamento istintivo con varie fasi appetitive e consumatone legate a diverse modulazioni dell'attività reticolare. Anche queste ipotesi forniscono l'ispirazione per ricerche dei nostri giorni.

La fama scientifica di Moruzzi è legata soprattutto ai lavori sopra descritti, ma si deve ricordare che egli apportò anche solidi e duraturi contributi ad altri settori della neurofisiologia, specialmente riguardo al cervelletto e all'epilessia sperimentale, argomenti sui quali pubblicò, oltre a lavori riportanti ricerche originali, anche ampie e informative rassegne monografiche. La sua lucida e illuminante capacità didattica, mai disgiunta dal suo impegno nella ricerca, è attestata, oltre che dal vivo ricordo di tutti coloro che seguirono le sue lezioni, dai due volumi dedicati rispettivamente alla fisiologia della vita vegetativa (1978) e alla fisiologia della vita di relazione (1981).

GIOVANNI BERLUCCHI