Mead, George Herbert |
G. H. Mead (1863-1931) nacque a South Hadley, Massachusetts, e si laureò in Filosofia a Harvard nel 1887-88, periodo durante il quale si interessò anche di psicologia. Nel 1888 si recò a Lipsia per ottenere un dottorato di ricerca in filosofia e in psicologia fisiologica. Qui si interessa di darwinismo e studia con W. Wundt e G. S. Hall. Su suggerimento di quest'ultimo, nel 1889 si trasferisce a Berlino, dove si concentra sullo studio della psicologia fisiologica e della teoria economica. Il percorso per ottenere il dottorato in Germania si interrompe definitivamente allorché Mead va a insegnare filosofia e psicologia presso l'Università del Michigan, dove rimane fino al 1894. In questo periodo viene assai influenzato dal lavoro del sociologo Ch. Cooley, dello psicologo A. Lloyd e soprattutto dal filosofo J. Dewey. Con quest'ultimo Mead ebbe un legame personale, oltre che intellettuale, basato sulla condivisione di interessi e posizioni nel campo filosofico e psicologico (in un'epoca in cui la distinzione tra filosofia e psicologia era tutt'altro che netta). Nel 1894 Dewey viene chiamato a dirigere il dipartimento di Filosofia dell'Università di Chicago e chiama con sé Mead come assistente. Da quel momento - anche in seguito all'arrivo di J. Tufts - l'Università di Chicago diventa il maggior nuovo centro di elaborazione e diffusione del pragmatismo nordamericano e rimane tale anche dopo che Dewey, nel 1904, si trasferisce alla Columbia University di New York. Mead rimase invece sempre all'Università di Chicago, dove percorse tutti i gradi della carriera accademica. Nel corso della sua quarentennale carriera, Mead pubblicò numerosi articoli e recensioni di libri sia nel campo filosofico che psicologico, ma non sistematizzò mai le sue idee e riflessioni in un volume. Dopo la sua morte furono i suoi allievi, usando i resoconti stenografici e gli appunti delle sue lezioni e i numerosi articoli non pubblicati, a predisporre quattro volumi che sistematizzano il pensiero di Mead nei diversi campi di suo interesse (1932; 1934; 1936; 1938). Il lavoro di Mead - considerato non a caso uno dei padri fondatori della psicologia sociale - è particolarmente rilevante per le sue notevoli implicazioni rispetto al tema fondamentale dell'intersezione fra dimensione psicologica e dimensione sociale. Mead organizzò in una sintesi originale gli spunti diffusi nel pensiero dell'epoca: l'evoluzionismo darwiniano, la sensibilità per l'aspetto socioculturale dei processi psicologici, l'attenzione del comportamentismo per il versante operativo e osservabile del comportamento e il pragmatismo di James e Dewey. Particolarmente influente sullo sviluppo delle posizioni di Mead fu la riflessione epistemologica di Dewey sull'inscindibilità fra processi di pensiero ed esperienze sociali, affrontando il tema della natura sociale della mente e sottolineando l'importanza del linguaggio e della comunicazione nella costruzione dell'esperienza condivisa (Dewey, 1916). Tali tematiche sono appunto riprese e ulteriormente sviluppate dal lavoro di Mead, che dedicò particolare attenzione all'idea della natura socialmente mediata della mente e al ruolo che l'interazione sociale e comunicativa svolge nei processi di costruzione di una realtà simbolica condividi. Per Mead la mente e il Sé sono emergenze sociali ed è il linguaggio a fornire il meccanismo per la loro emergenza. La mente viene socialmente costruita e il Sé diventa consapevole di se stesso come oggetto proprio attraverso l'internalizzazione della conversazione di gesti (gesti vocali). Il linguaggio è un fenomeno di azione reciproca nell'ambito di un gruppo sociale. Secondo Mead è quindi impossibile separare nettamente il sociale dallo psicologico, e l'oggetto di studio della psicologia sociale è il comportamento individuale in quanto collocato nel processo sociale. Pertanto, il comportamento di un singolo individuo può essere compreso solo facendo riferimento al comportamento del gruppo sociale di cui egli è un membro. Le azioni del singolo sono infatti necessariamente connesse e dipendenti dalle azioni sociali che caratterizzano il gruppo nel suo insieme. La psicologia sociale si deve perciò interessare principalmente all'effetto dell'azione del gruppo sociale nella determinazione dell'esperienza e della condotta del membro individuale. L'individuo è membro di un organismo sociale e i suoi atti devono essere considerati sempre nel contesto degli atti sociali che coinvolgono altri individui. Gli stessi oggetti del mondo sociale sono quello che sono in quanto risultato dell'essere stati definiti e utilizzati all'interno di una matrice di specifici atti sociali condivisi da una pluralità di individui. E’’ quindi la comunicazione attraverso simboli significativi a rendere possibile l'organizzazione intelligente degli atti sociali. Tale comunicazione crea un mondo di significati simbolici condivisi nei quali ulteriori e nuovi atti sociali sono possibili. La realtà che gli individui sperimentano è quindi, per Mead, in gran parte socialmente costruita in un processo mediato e reso possibile dall'uso di simboli significativi e progressivamente condivisi all'interno di gruppi sociali specifici. Per Mead (1934) la mente, vista quale strumento fondamentale di adattamento della specie umana, è quindi un prodotto sociale, che opera e si forma, attraverso processi di interazione e comunicazione sociale, per mezzo di simboli significativi di natura intrinsecamente sociale. Nella riflessione di Mead (così come in quella di L. Vygotskij) è quindi fondamentale il ruolo del linguaggio, che rappresenta al livello più alto la capacità di scambiare con i propri simili simboli significativi; è il linguaggio a permettere di creare un «universo di discorso», vale a dire un sistema di significati condivisi da un insieme di individui, che rende a sua volta possibile l'esistenza del Sé e, soprattutto, le attività psicologiche: queste ultime, infatti, presuppongono tale base di significati condivisi, i quali, a loro volta, consentono che questa situazione sociale venga assunta nel repertorio di azioni dell'individuo. Secondo Mead, infatti, le vicende della socializzazione sono caratterizzate dal tenace sforzo dei bambini, degli adolescenti e poi degli adulti, di costruire significati condivisi della realtà, attraverso le prime relazioni con gli adulti significativi, con i coetanei, dando vita a vere e proprie culture condivise che permettono di aprire in modi socialmente connotati all'interno delle attività della vita quotidiana. Altro elemento chiave della relazione fra interazione sociale e mente è appunto il Sé, anch'esso considerato come strumento adat-tivo specie-specifico e inteso come coscienza di sé costruita a partire dalla consapevolezza che gli esseri umani hanno dei propri simili. Mead sottolinea cioè la centralità dell'interazione con gli altri ai fini della costruzione dell'identità, oltre che per la conoscenza della realtà sociale. Il Sé è quindi un prodotto dell'interazione sociale, e non un'istanza che esiste prima di ogni processo sociale. Il Sé è un processo riflessivo, è «un oggetto in se stesso», ed è proprio la sua riflessività che lo distingue da altri oggetti e dal corpo. L'autoconsapevolezza del Sé infatti è, in questo senso, il risultato di un processo nel quale l'individuo cerca di vedere se stesso dal punto di vista di altri. Tale processo richiede che vi sia esperienza di altri sé (diversi dal proprio) e per questo, secondo Mead, il Sé come oggetto può emergere solo attraverso le attività intersoggettive che condividiamo con altri. Tali attività, che sono forme di interazione simbolica in quanto si realizzano grazie alla mediazione di simboli condivisi, sono quindi i processi sociali di base che rendono possibile l'oggettivazione del Sé. L'individuo appare come un Sé quando le esperienze e i comportamenti degli altri attori sociali diventano parte dell'esperienza e del comportamento individuale: per Mead, il processo che consiste nel prendere il ruolo di un altro all'interno delle attività di interazione simbolica è la forma primaria di oggettivazione del Sé e la sua essenziale realizzazione. In tale costruzione, particolare rilievo per la riflessione di Mead ha assunto il costrutto dell'Altro generalizzato: con tale costrutto si mostra come ognuno di noi sia in grado di considerare come spettatore, e anche controllore e valutatore delle nostre azioni, un «altro» che non rappresenta una persona fisica, ma piuttosto un «altro» astratto, in grado di rappresentare i punti di vista, le norme e le risposte tipiche dei gruppi sociali a cui partecipiamo. L'Altro generalizzato permette di dar conto della capacità di super-visionare e regolare, per così dire dall'«esterno», le proprie azioni e di prevedere e valutare quelle degli altri. Come sostiene Mead (1934), la comunità o il gruppo sociale organizzato che dà all'individuo la sua unità in quanto Sé si può denominare l'Altro generalizzato, e l'atteggiamento dell'Altro generalizzato è l'atteggiamento dell'intera comunità. Quando l'individuo riesce a vedere se stesso dal punto di vista dell'Altro generalizzato ha raggiunto l'autoconsapevolezza del Sé nel pieno senso del termine. La costruzione di tale istanza interna avviene nel corso della socializzazione primaria, ma continua anche in quella secondaria: il bambino impara ad astrarre significati e «regole del gioco» dai ruoli e dagli atteggiamenti delle persone per lui importanti. Per questo può diventare anche uno strumento di controllo sociale, un meccanismo attraverso il quale la comunità ottiene il controllo sulle azioni dei suoi membri. L'esito di tali astrazioni progressive è appunto la costruzione dell'Altro generalizzato, che può essere considerato come l'universalizzazione del processo di assunzione di ruoli. Secondo Mead l'esistenza dell'Altro generalizzato permette di descrivere e spiegare come «gli altri» diventino parte delle nostre condotte, anche quando sono fisicamente assenti: il disporre di un patrimonio sempre più ricco e sistematico di «atti propri - reazioni altrui» consente all'individuo sia di prevedere le risposte degli altri che di attribuire un significato alle proprie azioni. L'Altro generalizzato rappresenta quindi il meccanismo attraverso cui le nostre azioni vengono orientate, controllate e valutate in base alle previsioni delle loro conseguenze rispetto ai molteplici e diversi gruppi sociali di cui siamo partecipanti. Esso si forma come precipitato delle molteplici esperienze interattive e della partecipazione a comunità e gruppi sociali che caratterizzano la nostra vita e nel quale sono sedimentati linguaggi, lessici, modi di soluzione, riti, storie, comportamenti attesi, reazioni appropriate e così via. In altre parole, è sotto questa forma, mediante l'interazione sociale e discorsiva, che gli altri, i gruppi sociali di cui un individuo è membro, diventano parte attiva della sua condotta; diventano, come dice Mead (1934), un fattore determinante dei modi di agire, pensare ed essere del singolo individuo. Inoltre, attraverso l'assunzione da parte degli individui dell'atteggiamento dell'Altro generalizzato verso se stessi, è resa possibile l'esistenza di un «universo di discorso», ovvero di quel sistema di significati comuni o sociali che il pensare presuppone. In questo modo Mead cerca anche di superare la classica opposizione tra il gruppo intero come semplice collezione di individui e il gruppo come entità sovraindividuale, proponendo che lo specifico sociale del gruppo e e insista nel suo essere un insieme di individui in rapporto. L'oggetto di studio della I micologia sociale non può essere, per Mead, che quello degli individui in rapporto con altri individui: se è vero che i fenomeni sociali nascono dagli individui, smettono di essere fenomeni soltanto individuali proprio per il fatto di riguardare individui che si riferiscono ad altri individui. Per Mead è quindi centrale la considerazioni- del ruolo del linguaggio e, soprattutto, del processo di simbolizzazione e condivisione dei significati collettivi. Un gesto, una parola, un'espressione diventano simboli in grado di mediare le risposte degli individui proprio in quanto assumono uno stesso significato, condiviso nel corso della storia interattiva del gruppo stesso, per tutti i suoi membri. E’’ proprio tale linguaggio condiviso che rende possibile, per i gruppi sociali, costruire il mondo in cui vivono, operano e decidono. E’ il processo di simbolizzazione che permette di co-costruire oggetti, teorie, gesti e in generale significati prima non esistenti. E questa co-costruzione di significati condivisi non può esistere al di fuori delle relazioni sociali in cui ha luogo la simbolizzazione. Secondo Mead, il linguaggio non ha solo un carattere denotativo, ma anche e soprattutto generativo: non si limita a simboleggiare una situazione o un oggetto già esistente, ma permette agli attori sociali di co-costruire, in modi pubblici e condivisi, quella situazione o oggetto particolari. Il linguaggio, quindi, rappresenta il sistema simbolico più potente per costruire socialmente noi stessi e il mondo in cui viviamo. E’ il linguaggio, o meglio l'intero repertorio di significati condivisi all'interno dei gruppi sociali, che costruisce il paesaggio e gli oggetti del nostro mondo quotidiano e che permette, attraverso l'interazione sociale e la comunicazione, di modificare quel paesaggio e quegli oggetti. Diventa perciò cruciale considerare le menti come fenomeni nati e sviluppati nell'ambito del processo di comunicazione e dell'esperienza sociale in generale - fenomeni che quindi presuppongono quel processo piuttosto che essere presupposti -, vale a dire considerare l'origine sociale e culturale delle nostre relazioni con il mondo. Il pensiero di Mead ha avuto grandissima influenza sullo sviluppo della corrente dell'interazionismo simbolico, approccio che si situa ai confini tra psicologia, psicologia sociale e sociologia. In termini generali, la tesi alla base dell'interazionismo simbolico consiste nel ritenere che l'interazione umana sia mediata dall'uso di simboli, dall'interpretazione e dall'accertamento del significato delle azioni reciproche (Blumer, 1962). In modo più specifico, l'interazionismo simbolico considera che gli esseri umani agiscono nei confronti degli oggetti del mondo sulla base del significato che attribuiscono a tali oggetti; sottolinea, inoltre, come tale significato non sia un prodotto del pensiero individuale, ma dell'interazione sociale fra gli individui, e come tali significati non siano stabili, ma continuamente manipolati e rivisti dagli individui, in un processo incessante di interpretazione/costruzione della realtà. Tali capacità «sociali» si sviluppano e si consolidano progressivamente nel corso della socializzazione (primaria e secondaria), arrivando ogni attore sociale a costruire un più o meno ricco repertorio di significati condivisi per le diverse situazioni di vita, rispetto a cui il linguaggio serve appunto come deposito. L'interazionismo simbolico si distacca dal paradigma scientifico positivista, proponendo piuttosto un approccio di tipo fenomenologico-interpretativo alla costruzione del mondo sociale. Non è quindi un caso che sia proprio all'interno di tale approccio che nasce e si sviluppa l'etnometodologia, cioè lo studio dei metodi che le persone usano per stabilire le basi «ragionevoli» del proprio e dell'altrui comportamento nel mondo (Garfinkel, 1967; Fele, 2002). L'etnometodologia e l'area strettamente connessa dell'analisi conversazionale (Goffman, 1981), pur essendo nate all'interno della sociologia, rappresentano attualmente approcci di notevole interesse per quella psicologia (sociale, culturale e discorsiva) che sta emergendo come area alternativa, anche da un punto di vista metodologico, alle finora dominanti tendenze di ricerca cognitivo-sperimentale. In particolare, fanno esplicitamente riferimento alle idee di Mead e dell'interazionismo simbolico (soprattutto nei suoi sviluppi etnometodologici e nei suoi legami con la psicologia culturale), tutte quelle prospettive di ricerca empirica psicologico-sociali che considerano l'interazione sociale e discorsiva quotidiana all'interno di sistemi di attività reali come fonte primaria di dati sul funzionamento psicologico. CRISTINA ZUCCHERMAGLIO |